Sviluppo, crescita, squilibri

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Transcript della presentazione:

Sviluppo, crescita, squilibri Una geografia economica dell’Europa

Europa: un piccolo spazio dalle grandi diversità Forti divergenze Il rapporto tra il PIL pro capite del 25% della popolazione europea che risiede nelle regioni più ricche e il 25% che risiede nelle regioni più povere è di 1 a 6,5

Nell’America anglosassone questo stesso rapporto è di 1 a 1,4 Con un’estensione territoriale pari al doppio di quella europea

“Centro e periferia” nella geografia economica Dagli anni Sessanta diversi autori hanno cominciato ad analizzare gli squilibri nelle relazioni economiche e commerciali alla scala globale Critica alla divisione internazionale del lavoro: alimenta i divari Una nuova divisione internazionale del lavoro?

Il sistema-mondo (Wallerstein) centro periferia semiperiferia E’ la struttura stessa dell’economia capitalistica a determinare le condizioni di perifericità: il sottosviluppo è funzionale allo sviluppo

Periferie d’Europa: il Mediterraneo A partire dagli anni Sessanta, l’Italia, la penisola iberica, la Grecia, si sono avvicinate progressivamente alle economie dell’Europa nord-occidentale Aiuti nazionali ed europei + sviluppo del turismo L’avvicinamento ha avuto un ritmo sostenuto fino alla metà degli anni Settanta (Vandermotten)

Ancora sull’Europa mediterranea Diverse caratteristiche “periferiche”: Settore secondario debole e pochi investimenti nell’alta tecnologia Capitalismo “familiare” Periodi di crescita in rapporto all’intervento statale

Dalla “periferia” al “centro”? Il caso dell’Irlanda Una crescita economica straordinaria a partire dagli anni Ottanta Seconda solo al Lussemburgo per pil pro-capite Nel 1973 il pil pro-capite irlandese era pari al 56% della media europea, nel 2007 è al 140%! Il ruolo dei capitali stranieri (soprattutto americani: il 40% degli investimenti USA in Europa, nel campo dell’elettronica, è destinato all’Irlanda) Una manodopera istruita e a costi medio-bassi Utilizzo virtuoso dei fondi europei

Un po’ di numeri… I quattro “grandi” (Germania, Francia, Regno Unito, Italia): 54% della popolazione, 62% del PIL, 34% dei voti al Consiglio I venti “piccoli”: ¼ della popolazione, 24% del PIL, 47% dei voti al Consiglio I 12 nuovi membri: 21% della popolazione, 11% del PIL, 27% dei voti al Consiglio

Ripartizione fondi strutturali 2000-2006 2007-2013 1. Spagna 23,6% 1. Polonia 19,4% 2. Italia 12,4% 2. Spagna 10,2% 2. Germania 3. Italia 8,3% 4. Grecia 10,7% 4. Rep. ceca 7,7% 5. Portogallo 9,7% 5. Germania 7,6% 6. UK 6. Ungheria 7,3% 7. Francia 7,0% 7. Portogallo 6,2% 8. Polonia 4,8% 8. Grecia 5,9% 9. Irlanda 1,8% 9. Romania 5,7%

Per la “convergenza” (2007-2013): Polonia: 19,2% (tutto il Paese) Spagna: 7.6% (Sud e Centro-sud, Galizia, Asturie) Rep. ceca: 7,5% (tutto il Paese, tranne Praga) Ungheria: 6.6% (tutto il Paese, tranne Budapest) Italia: 6,3% (Mezzogiorno) Portogallo: 5,9% (tutto il Paese, tranne Lisbona) Grecia: 5,7% (tutto il Paese, tranne la Grecia centrale e isole dell’Egeo) Romania: 5,6% (tutto il Paese) Germania: 4,6% (Länder orientali, tranne Berlino) Slovacchia: 3,2% (tutto il Paese, tranne Bratislava)

Il rapporto centro-periferia è sempre una questione di scale: L’Europa e la periferia mondiale L’Europa occidentale e le periferie orientali e meridionali La scala regionale

Europa occidentale: un processo di convergenza negli ultimi 50 anni Ma all’interno degli Stati dell’Europa occidentale: aumento delle disparità Europa centro-orientale: le regioni delle capitali sono il punto di contatto con l’economia internazionale  aumento delle disparità interne ai singoli stati

Un’Europa “diversa” dagli Stati….la dorsale continentale

Centro/periferia alla scala europea Il centro dorsale europea (i paesi più ricchi) cuore europeo (il vantaggio della prossimità) centro europeo La periferia dalla periferia “annessa”… (Nord e Centro Italia, Lisbona, Madrid, Praga, ecc) …alla periferia “relitta” (Albania, Macedonia, ecc)

I numeri di “centro” e “periferia” All’interno del confine segnato da Londra-Parigi-Milano-Monaco-Amburgo (20% del territorio dell’Ue) si concentra il 40% della popolazione e il 50% del PIL Nella periferia meridionale (Grecia, Portogallo, Spagna, Mezzogiorno) e in quella orientale, il PIL pro-capite oscilla tra il 50 e il 65% della media europea

La convergenza è solo una questione di PIL? Cultura, educazione, formazione, infrastrutture sociali Lo Schema di sviluppo dello spazio europeo  coesione, competitività, ambiente

L’Europa come “centro” alla scala globale alcune debolezze strutturali (mancanza di competitività nei settori di punta) un processo interno di convergenza di lungo periodo  processo di convergenza che ritroviamo alla scala globale (con gli Stati Uniti, dal primo dopoguerra agli anni Settanta) un “modello sociale” caratteristico il ruolo della prossimità spaziale nelle relazioni economiche europee  le strategie delle imprese e il ruolo dello stato una geografia economica influenzata dalla contrapposizione tra spazio degli stati e spazio delle imprese  assenza di una rete “comunitaria”

Tre modelli descrittivi dello spazio europeo: Le reti christalleriane Le reti interconnesse a più livelli La gerarchia centro – periferia

Le reti christalleriane Sistema gerarchico con località centrali e aree complementari Struttura gerarchica verticale Importanza della “prossimità spaziale” E' un modello tipico di una società pre-industriale.

Gerarchia centro - periferia Polarizzazione spaziale Tendenza alla formazione di un'area centrale che racchiude i nodi principali e di aree periferiche esterne Tipica della fase “fordista” dell'economia industriale.

Reti interconnesse a più livelli Relazioni tra nodi non dettate dalla “prossimità” Flussi orizzontali e verticali tra poli E' una struttura tipica dell'era della globalizzazione e dell'economia dell'informazione.

Le reti della finanza, dei trasporti, degli scambi commerciali L’Europa delle reti Le reti della finanza, dei trasporti, degli scambi commerciali una gerarchia variabile

La rete anseatica un’associazione di città dai Paesi Bassi al Baltico una rete di supporto al commercio dal XII secolo fino al XVII dai prodotti agricoli ai prodotti industriali

Le principali città della lega anseatica

Le dinamiche spaziali sono sempre il frutto di processi storici Con la rete anseatica Lévy ci invita a riflettere sul ruolo delle reti nello spazio europeo e sulla formazione di una dinamica centro-periferia. Le dinamiche spaziali sono sempre il frutto di processi storici

Le “autostrade del mare” dei progetti prioritari TEN-T

Le “tipologie regionali” europee (Vandermotten) Regioni metropolitane centrali (Londra, Parigi. Ma anche Francoforte, Colonia, Monaco, Milano) Regioni centrali/intermedie non metropolitane, con struttura economica diversificata (Fiandre, Midlands inglesi, ecc) Regioni centrali/intermedie a forte connotazione tecnologica (Ruhr, Rhônes-Alpes, sud della Svezia, ecc) Regioni d’industria leggera, a forte connotazione commerciale (Austria alpina, Italia centrale) Regioni con debole base industriale, orientate ai servizi (litorale mediterraneo francese, Mezzogiorno) Regioni agricole e d’industria leggera (Bretagna, Mezzogiorno, Ungheria orientale) Regioni periferiche (vaste aree dell’Europa orientale, della Spagna, della Grecia, del Portogallo, dell’Italia meridionale)  agricoltura tradizionale, industria debole, disoccupazione 1+2+3 = centro europeo

Centralità delle questioni economiche Trattato di Roma Sostegno alle aree meno sviluppate Convergenza economica regionale Importanza del “mercato”

Ma le considerazioni geopolitiche hanno sempre accompagnato il processo di allargamento L’adesione britannica Il fronte mediterraneo La “ricomposizione” con l’Europa orientale

Il fronte mediterraneo per l’Italia adesioni di Grecia, Spagna, Portogallo: Il profilo economico  una maggiore competizione con Paesi dalle strutture produttive simili Il profilo politico  il “blocco meridionale” diventa più forte

Ancora sull’allargamento ai Paesi meridionali… Nonostante alcuni punti in comune con il caso italiano, l’economia di Grecia, Spagna e Portogallo era lontana per struttura e risultati dagli altri Paesi membri Esiti incerti per l’economia italiana, ma il nostro Paese fu tra i più convinti sostenitori delle nuove adesioni Nelle adesioni di Grecia (1981), Spagna e Portogallo (1986) prevalsero le considerazioni geopolitiche su quelle (incerte) economiche

Italia, Europa e internazionalizzazione dell’economia Espansione delle imprese italiane all’estero (dagli anni Ottanta fino alla metà dell’ultimo decennio) Aumento degli investimenti italiani all’estero e delle partecipazioni

Ue come “ponte” tra mercato interno e mercati internazionali? L’Unione europea – e la costruzione di un ampio mercato interno – hanno aiutato l’internazionalizzazione dell’economia italiana? Ue come “ponte” tra mercato interno e mercati internazionali?

Alcuni dati sulla presenza delle imprese italiane all’estero Crescita degli investimenti italiani nell’area UE, in particolare nell’Europa orientale Crescita in altre aree (Mediterraneo, Vicino Oriente) Dinamismo delle PMI e del Made in Italy (settori tradizionali) Fattori di debolezza  settori ad elevata intensità tecnologica (informatica, elettronica, chimica, telecomunicazioni)

L’Italia non è tra i protagonisti dei mercati internazionali nei settori strategici l’Unione europea e il recente allargamento hanno offerto delle opportunità alle imprese italiane Inoltre, in una prospettiva storica, il boom economico italiano – trainato dalle esportazioni – ha ricevuto un aiuto importante dal processo di integrazione

Import/export e rapporti “intracomunitari” Le importazioni europee hanno una netta matrice “intracomunitaria” rapporto UE/Resto del mondo  dal 55,8% di Grecia e Germania al 76,64% del Portogallo Le esportazioni europee hanno una netta matrice “intracomunitaria” Rapporto UE/Resto del mondo  dal 50,5% della Grecia all’81,1% del Portogallo

nuovi “attori”  Cina, Europa dell’est, Stati Uniti In quindici anni (1990-2005), i principali partners dell’import-export italiano (Francia e Germania) hanno ridotto notevolmente i rapporti commerciali con l’Italia nuovi “attori”  Cina, Europa dell’est, Stati Uniti

Cambia la geografia delle relazioni commerciali italiane (spostamenti verso Est e verso il Mediterraneo), ma continua a registrarsi un peggioramento del saldo commerciale Contrazione delle esportazioni nel settore manifatturiero Aumento dei costi di produzioni Concorrenza di nuovi produttori  sia sui rispettivi mercati interni sia su quelli internazionali Il nodo critico rimane il potenziamento delle esportazioni italiane: Opportunità dai recenti allargamenti? Debole presenza sui mercati in crescita (regione asiatica) Debolezza dei partners “tradizionali” Investimenti sui settori a più alto valore aggiunto

Prospettive e scenari geoeconomici Incidenza sempre maggiore delle attività ad alto contenuto tecnologico  centralità dei nodi europei capaci di inserirsi nella rete globale (Londra, Parigi, Monaco, Milano, ecc)  e la coesione sociale? La questione della riconversione economica  nuove criticità nell’Europa orientale? La crisi dei distretti industriali  la Terza Italia, Porto, regioni francesi  il nodo della tecnologia Lo sviluppo delle principali città dell’Europa orientale  sedi di funzioni internazionali?

Energia e ambiente: due nodi fondamentali per il futuro dell’UE obiettivi: Migliorare le prestazioni energetiche dei mezzi di trasporto Privilegiare i trasporti ferroviari e marittimi Nuovi modelli di consumo, soprattutto nelle città Comportamenti energetici più “virtuosi” nel settore industriale

Rapporto ESPON 2007 sugli scenari futuri dello spazio europeo Priorità alla competitività Riduzione del budget europeo Priorità alle liberalizzazioni Investimenti su nuove tecnologie, ricerca, educazione Priorità all’allargamento e non all’approfondimento delle politiche comuni Crescita economica più forte ma più “concentrata” Priorità alla coesione Rafforzamento dei fondi strutturali Investimenti per le regioni periferiche Investimenti nelle regioni rurali Attenzione alle energie rinnovabili, all’ambiente, alla diversificazione economica Crescita economica più debole ma più “equilibrata”