EVOLUZIONE STORICO-SOCIOLOGICA DEL PROBLEMA DISABILITA’

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Transcript della presentazione:

EVOLUZIONE STORICO-SOCIOLOGICA DEL PROBLEMA DISABILITA’ HANDICAP. Hand-in-Cap:mano sul cappello. Traducibile in italiano con “svantaggio”, questa parola nasce dalla pratica diffusa in passato, nell’ambiente inglese delle corse di cavalli, di obbligare il fantino, che cavalcava un cavallo dotato di qualità superiori, a gareggiare portando la mano sinistra a contatto con la visiera del cappello, utilizzando l’evidente svantaggio dato da questa posizione per equilibrare le sue prestazioni rispetto a quelle degli altri concorrenti. La storia della disabilità è anche una storia di nomi, di etichette, di terminologia proposta, acclamata ed accantonata all’insegna del politically correct. La storia di un percorso di integrazione “linguistica” e “formale” che nasconde secoli di esclusione teorica e pratica ed un grande paradosso. Ogni classe dominante di ogni società tratta da sempre con lo scomodo problema della disabilità, e nel costruire i modelli sociali e di pensiero ricorre ad espedienti diversi per giustificare una delle più tristi quanto ricorrenti consuetudini legate alla costruzione dell’identità sociale: l’esclusione della diversità. Parallelo al percorso di emarginazione reale, di esclusione, di reclusione e di allontanamento fisico della persona disabile, corre una strada di teorie a supporto dello stesso, immane sforzo dell’intelligentia per giustificare questo sistema. La storia della disabilità è costellata di prove che testimoniano il suo scontro con “l’ortodossia” sia questa religiosa, filosofica, sociale. Quelli che seguono sono, pur senza rigore cronologico, esempi che contribuiscono ad inquadrare il fenomeno, istantanee di un rapporto che negli anni ha raggiunto estremismi inquietanti. FINE

Platone affermava che l’uomo era costituito da anima e corpo: la prima, era creata dal Demiurgo e a lui destinata, il secondo proveniva dalla materia, intesa come caos. La materia era controllata dalla potenza razionale dell’anima. Nel momento in cui la materia prendeva il sopravvento, era possibile la nascita di esseri handicappati. “L’ubriaco quando getta il seme e' incerto e squilibrato, col risultato di ottenere, con ogni probabilità figli anomali, irresponsabili, devianti nel comportamento e fisicamente deformi”. E' quasi normale pensare di poter procedere alla eliminazione di fenomeni naturali venuti male. Così, il grande filosofo Platone proponeva di accettare solo i figli degli uomini e delle donne migliori e di praticare l’infanticidio. Aristotele propose una legge che proibiva di allevare i figli minorati. Una forma di legittimazione dell’infanticidio. Cicerone affermava: “un bambino orribilmente deforme deve essere ucciso immediatamente, come impongono le Dodici Tavole”. Le religioni che credono nella reincarnazione, partendo dal presupposto che le esperienze passate sono responsabili di ciò che avviene nell’esistenza successiva, hanno storicamente sostenuto che il vero colpevole e' lo stesso handicappato e le malformazioni genetiche sono manifestazioni del suo karma negativo, accumulato nelle vite precedenti. Solo sostenendo una vita di sofferenze fisiche e psichiche, otterrà che la sua vita successiva sia piena di gioie. I Babilonesi credevano che la nascita di figli malformati portasse segnali riguardanti le sorti del regno e la crescita economica. Se, per esempio il piccolo nasceva senza milza, ci sarebbe stata la carestia; se gli mancava la lingua, il nemico avrebbe devastato il paese. Con la nascita delle religioni monoteiste si opta per considerare la loro nascita come l’espressione di una punizione divina. Nel libro dell’Esodo si afferma “Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso, che colpisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione”. La teoria della punizione divina è riscontrabile anche tra i musulmani: “qualunque sventura vi colpisca, sarà conseguenza di quello che avranno fatto le vostre mani” (Corano XLII, 30). FINE

Alcuni testi talmudici attribuiscono la nascita di malformazioni a un uso poco ortodosso della sessualita'. “Chi compie l’atto sessuale alla luce di una lampada ricevera' figli epilettici”. “Se un uomo possiede sua moglie durante i giorni della mestruazione, i suoi figli saranno colpiti dalla lebbra”. Nel Nuovo Testamento i discepoli, imbattendosi in un cieco dalla nascita, chiesero a Gesù: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco?”. E Gesù: Né lui ha peccato, né i suoi genitori. è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio”. Negli anni bui dell’inquisizione si fa strada l’immagine del disabile o del “pazzo” come di un uomo sotto il controllo del demonio, con tutte le conseguenze che questo poteva comportare al tempo. Il successo sociale della borghesia determina infine la definitiva collocazione del disabile al di fuori della società. Nel momento in cui i valori della ragione e del profitto prendono il sopravvento, chi non è in grado di partecipare con efficienza al progresso economico e sociale viene visto come ostacolo. Si fa strada una rigida analogia tra produttività-salute-religiosità e improduttività-malattia-eresia. Dell’idea di diversità al posto di quella di menomazione o svantaggio. Nascono una serie di tabù linguistici, che sostituiscono termini un tempo di uso comune colpevoli di discriminare ed offendere. Dall’ormai quasi dimenticato “mongoloide” carico di valori dispregiativi (ma qualcuno si ricorda che nasce unicamente dalle caratteristiche somatiche della sindrome di down?) al già citato “handicappato” o nella sua versione edulcorata “portatore di handicap”, anch’esso nato con intenti tutt’altro che discriminatori. Tabù il suffisso –ato (minorato, ritardato) perché offensivo, sotto processo anche il prefisso dis- e con lui il termine correntemente più usato: “disabile”, poi sostituito da “persona disabile” che sposta l’accento sull’individuo e non sulla sua non abilità. FINE

Ultima nata la locuzione “diversamente abile” al cui proposito Franco Bomprezzi, giornalista disabile presidente della UILDM, scrive: […] ha fatto irruzione con foga emotiva il termine "diversamente abile", carico di ambivalenza (e anche, di una certa dose di buonismo), con lo scopo di sottolineare le abilità, ossia le capacità delle persone disabili, ma anche la diversità (il che mette a posto la coscienza di chi non si sente affatto disabile, ma normale). Il neologismo più gettonato si è trasformato, con una crasi assai ardita, in “diversabile”, che sembra definire un soggetto ben preciso, dotato di Poteri e di Abilità (una specie di Pokemon, come ha acutamente osservato un mio amico), e francamente non si capisce quali problemi possa incontrare nella nostra società, essendo così abile. Disabili, ovvero fragili, sfortunati, economicamente in difficoltà, vittime di ingiustizia, e però portatori di valori, di risorse, di ricchezza morale, di esempi virtuosi. Parole come pietre, spesso pronunciate senza vergogna davanti a centinaia di persone disabili “vere”, che hanno ascoltato con paziente senso civico, rassegnati al fatto che in genere siano “altri” a parlare di loro. Siamo ancora lontani dal processo di normalizzazione della comunicazione sul e per l’handicap, una comunicazione che deve necessariamente assumere le caratteristiche tipiche di quella rivolta al grande pubblico. Chi parla di disabilità spesso lo fa con l’obiettivo dichiarato di combattere la discriminazione, eppure proprio per questo contribuisce ad accrescere un modello comunicativo che rimane separato ed emarginante. Beninteso, quella dell’evoluzione linguistica non è una strada sbagliata, se contenuta entro certi termini, quello che più la rende indigesta è il suo sostituirsi alle problematiche concrete. Il 2003, proclamato dall’UE Anno Europeo delle Persone con Disabilità, rappresentava una enorme occasione per far progredire il processo di integrazione, si è trasformato (in Italia più ancora che all’estero) in iniziativa autoreferenziale e sostanzialmente di facciata. FINE

Questo il commento del Commissario Europeo agli Affari sociali, Anna Diamantopoulou: “solo Spagna, Gran Bretagna, Francia e Belgio hanno attuato progetti nell’ambito dell’Anno europeo per le persone con disabilità. Si spartiranno i 12 milioni di euro stanziati dall’Ue. L'Italia ha buone leggi, ma stenta ad applicarle”. Alcuni dati a supporto, dopo oltre mezzo secolo di legislazione mirata a favorire l’integrazione, e dopo anni di battaglie per ottenere i diritti elementari di cittadinanza: Inserimento lavorativo. Risulta dai dati Istat che su un numero stimato di 2 milioni e 800 mila persone con disabilità, solo il 17,4% di quelli in età lavorativa (555 mila) risulta essere occupato, a fronte di un 98% dei disoccupati che dichiara di voler trovare un impiego qualora esistessero le condizioni adeguate (Istat 2001). Integrazione scolastica. Per quanto riguarda l’accesso degli alunni disabili alle strutture scolastiche, i dati rivelano che il 23,8% delle strutture è dotato di servizi igienici a norma e il 24,8% di porte in linea con le norme sulle barriere architettoniche e il servizio di trasporto degli alunni con handicap è presente solo nel 15% degli istituti (Istat 2001). Barriere architettoniche. Le città in cui viviamo sono costellate di edifici di vecchia costruzione, che rendono difficoltoso se non impossibile metterli a norma al fine di superare le barriere, i mezzi pubblici rappresentano troppo spesso un ostacolo troppo grande alla mobilità dei cittadini disabili. Incalcolabile il numero degli edifici non a norma. Il disagio delle parole, a coprire il disagio sulla realtà. FINE