Declinazioni, sfumature, storia, suggestioni

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Transcript della presentazione:

Declinazioni, sfumature, storia, suggestioni I Nomi della Felicità Declinazioni, sfumature, storia, suggestioni

La Metodologia Innanzitutto, per rispetto di chi ascolta, è necessario chiarire l’epistemologia che sarà utilizzata, cioè la fondazione scientifica degli asserti che seguiranno. Ciò che si cercherà di mostrare è: 1. La Polisemia etimologica del concetto di Felicità 2. La sua Valenza Analogica 3. Il suo legame con un’Etica per un Fine

Declinazioni I La Felicità è una verità dell’esistenza e del sapere umano, oggi molto inflazionato e con-fuso dai mass-media. Felicità si può dire in molti modi, di varia densità, con l’occhio centrato, sia sul plesso biblico e greco-latino, sia su Benares o verso il Tibet, oppure immerso nella modernità. Felicità è dunque un termine analogo.

L’Analogia I L’Analogia è una figura della Retorica classica, ma anche della Logica. In quanto figura logica si configura come: 1) Analogia di attribuzione, come la “bianchezza”, che si attaglia a “muro bianco”. 2) Analogia di partecipazione (proporzionale): in tale prospettiva “felicità”, come “vita” si colloca in un ambito analogico. Ad es.: è vita quella umana, ma anche quella di un batterio.

L’Analogia II Infatti, nell’ambito della vita umana è vita sia quella di Beckham, sia quella di un bimbo del Darfur, della striscia di Gaza o di Sderot, sia come quella di Eluana. “Vita”, dunque, è termine analogo, non univoco, e neppure equivoco. È importante non diventare miso-logi, cioè “odiatori del sapere, del discorso, del lògos (λόγος)”, sposando le ideologie.

Declinazioni II Si deve infatti sapere come si chiama la “cosa” di cui si discute, che cosa si intende con quel “nome”: in questo caso Felicità, se vi sia una ricetta per conseguirla, e via dicendo. Qui in occidente, nel bacino del Mediterraneo furono i Greci a dare i nomi alle cose, che ritroviamo nel nostro linguaggio comune e scientifico.

Declinazioni III Eudaimonìa - ευ̉δαιμονία è “avere un buon dèmone”, Eutichìa - ευ̉τικία è “buona sorte”, Olbos - ο̉́λβος è “disponibilità materiali”., Makarìa - μακαρία, infine, significa “beatitudine” (cf Mt 5, 1 - 9) Dunque “felicità”. Eudaimonìa è, dunque, “avere un buon dèmone”, Eutichìa è “buona sorte”, Olbos è “disponibilità materiali”. Makarìa, infine, significa “beatitudine”. Oppure “felicità”, detta con termine contemporaneo, anche se l’accezione profonda di “beatitudine” è molto più intensa di “felicità”..

Declinazioni IV I Latini, invece, hanno coniato felicitas, da una radice indoeuropea “fe”, che aveva il senso di “fecondità - prosperità”, e fortuna, termine piuttosto neutro, in grado di significare sia “buona sorte” sia “mala sorte”.

Declinazioni V La semantica della felicità tende dunque a significare una specie di pienezza esistenziale, e distingue fra una felicità imperfetta e transeunte, la felicitas, e una felicità perfetta, intramontabile, che è la beatitudo, la quale si attaglia perfettamente solo alla condizione dell’Essere divino.

Declinazioni VI Le principali lingue europee hanno termini non tra loro corrispondenti come campo semantico: il francese bonheur non è proprio la traduzione dell’inglese happiness (da to happen, accadere, e quindi accadimento), né del tedesco Glück, attestato fin dal XII secolo, e forse derivante da Luke, cioè “passaggio - riparo”.

Declinazioni VII Ma perché l’uomo desidera la felicità? Il motivo è duplice: 1) la sua tendenza ad autotrascendersi, che si manifesta con un’ansia infinita dell’animo che sempre fugge, e 2) la constatazione del problema del male, il quale assume, specie nel suo manifestarsi più crudele (ad esempio verso gli innocenti), una dimensione di assurdità e di nonsense.

Storia I Proponiamo anche una brevissima “storia della felicità”. In ambiente biblico-semitico troviamo all’inizio la situazione edenica (cfr. Genesi) di ish (l’uomo-maschio) e di issha (la donna-femmina), che vivono lo shalòm (la pace, e dunque una situazione di felicità), la quale è dovuta ad una situazione di pace con Dio e con il creato: Dio è vicino a loro con la sua emet e hesed (giustizia e misericordia) nel tob (bello e buono) della creazione.

Storia II Quando i proto-genitori pretendono di accedere all’albero della conoscenza del bene e del male (cfr Gn 3, 1 - 7), scoprono che la vita è anche mysterium tremendum et fascinans (Cfr. R. Otto, Das Heilige, 1927), ed è lì che accade la frattura tra l’esperienza esistenziale e il perenne conatus essendi (volontà di essere) della libertà.

Storia III Nel conatus essendi è la sorgente della “tendenza all’infinito” (Levinas), la “tensione alla pienezza di Eros” (Platone), la “satietas insatiabilis” (Sant’Agostino), ma anche l’essere-gettati nel mondo inconsapevoli e non interpellati (Heidegger), e la contraddizione che sussiste tra questa “gettatezza” e la responsabilità richiesta a chi è autocosciente e libero, come l’animale-uomo.

Storia IV Secondo la tradizione greco-latina, l’uomo deriva dal superno mondo delle idee (platoniche), che sono la vera realtà, di cui è solo una pallida immagine quella che conosciamo. Nella vita terrena l’uomo conosce la Necessità (anànke - α̉νάνκη) e il lavorio sotterraneo delle Parche (il destino), che poi è l’impegno stesso dell’uomo che si incontra con le circostanze. Oggi potremmo dire che si tratta di genetica, ambiente, educazione e l’insieme di infinite concause (non certo “il caso” caro a J. Monod), che generano i tratti e i limites di un’esistenza.

Storia V L’uomo, dunque, secondo Aristotele, è tenuto ad esercitare la scelta (proàiresis - προαίρεσις), mediante l’esercizio delle virtù (aretài - α̉ρεται̃), poiché, tendendo al bene (sundèresis - συνδέρεσις), necessita di un “governo” delle passioni e degli istinti.

Storia VI Le virtù umane preposte sono quattro: la prudenza (phrònesis - φρόνεσις), la giustizia (dikaiosùne - δικαιουσύνη), la fortezza (aretè - α̉ρητή) e la temperanza (sofrosùne - σοφροσύνη), e una quinta, l’epichèia - ε̉πικει̃α, che è una giustizia giusta, e vanno intese ed osservate insieme per rendere la vita umana equilibrata, e tendenzialmente felice.

Suggestioni I Si pone, dunque, non tanto uno sfruttamento meramente strumentale delle facoltà interiori, come sostiene il sincretismo oggi in voga, quanto una scelta eticamente fondata sulla finalità, sull’eudemonismo, cioè sulla determinazione che per “essere felici bisogna fare il bene”.

Suggestioni II Non basta elaborare i “sensi di colpa” per essere felici, poiché esiste, ed ha pregnanza ontica anche la “colpa”, che non può essere meramente dimenticata. Se si potesse semplicemente elaborare il senso di colpa e risolvere tutto, Eichmann avrebbe dovuto essere assolto, perché lui “eseguiva ordini superiori” (dalla sua difesa al processo di Tel Aviv, 1960).

Suggestioni III Non basta neppure il deontologismo kantiano (fai ciò che prescrive la legge), né il deleterio edonismo della pura utilità e convenienza del “carpe diem”. L’azione attuale ha un valore solo se è inserita in un contesto di sapienza profonda sull’uomo, non in sé e per sé.

Suggestioni IV Il comandamento evangelico: ”(…) ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19, 19b) è il percorso più saggio per come è fatta la struttura ontologica dell’uomo: nessuno può amare alcun altro, se non ha innanzitutto una nozione equilibrata di se stesso, cosicché può “amarsi”. In altri linguaggi più in voga si dice “autostima”.

Suggestioni V Soi même comme un autre”, siamo-noi-stessi-come-esser-un-altro, afferma Paul Ricoeur, per spiegare come la relazione con l’altro sia il passaggio decisivo per la vita beata (felice). La torsione e la sofferenza dell’essere uomini (maschi e femmine) è il problema della libertà e dell’arbitrio, del finito e dell’infinito, della possibilità e della necessità, verso un felice equilibrio.

Suggestioni VI Fuori da queste piste, la cronaca e la clinica ci raccontano solo di nevrosi ossessivo-coatte, di isteria, di deliri, di depressione e di sindromi schizoidi. Gaudium de veritate è la felicità del sapere che solo un’anima filosofica è in rotta verso l’Isola dei Beati. Gioia è proprio da gaudium.

Suggestioni VII Ma la ricerca della felicità, che appartiene all’uomo come una spinta, una tensione istintiva e in parte inconsapevole, è soprattutto accettazione del limite, e quindi di un equilibrio fra varie dimensioni esistenziali. Perché il senso del limite governa l’equilibrio delle scelte e delle azioni umane libere, e perciò eticamente rilevanti.

Suggestioni VIII La ricerca della felicità può dunque essere la strada che porta alla verità delle cose, che si acquisisce accettando a) il limite, cioè il tra-noi-e-gli-altri, la Traità’, e b) la colpa ontica, cioè relativa alla responsabilità dell’essere-a-questo-mondo: perché l’uomo talora sbaglia, sia agendo, sia omettendo di agire. L’accettazione di questo limite può costituire la premessa della Felicità possibile.

Una prospettiva L’ Eudemonismo teleologico, come finalismo o felicità-legata-a-un-fine, può essere la prospettiva sintetica proponibile all’uomo, progetto armonico di realizzazione personale e sociale, proprio in base all’insegnamento del Maestro di Nazaret, che amava chiamarsi Figlio dell’Uomo: “(…) Ama il prossimo tuo come te stesso”, etc. (Mt 19, 19b).

E dunque… siamo qui per pensare, amare, contemplare, sperare sperare…