Il mondo islamico nel medioevo mediterraneo

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Transcript della presentazione:

Il mondo islamico nel medioevo mediterraneo

1. Corano in arabo Qur’an (“recitare fedelmente” uno Scritto, una Kitab) - la rivelazione a Maometto del destino delle tribù arabe (poi si allarga a tutto il mondo, grazie all’ampliamento della società islamica) - secondo la tradizione è rivelato sostanzialmente in una sola volta, nella “notte del destino”, e poi nei particolari in occasione di diverse circostanze storiche (le “Sure” sono divise in due gruppi, quelle della Mecca [601-622] e quelle di Medina [622-632]) Il Corano viene messo per iscritto intorno al 650

E’ diviso in 114 capitoli o Sure (ordinati dai più lunghi ai più corti). Ogni Sura è a se stante e non ha un seguito. E’ considerato parola “non creata” di Dio, sua espressione originaria

- Corano come rivelazione alla lettera della Parola di Dio al profeta. - Leggendo il Corano, secondo il credente si legge parola per parola ciò che Dio ha detto a Maometto - In un certo senso il Corano ha nell’Islam la stessa posizione e funzione che nel Cristianesimo hanno non i Vangeli, ma Cristo stesso (non il libro, ma la persona) - Cristo stesso è la Parola fatta carne (et verbum caro factum est) ; - il Corano è Parola di Dio fatta libro

“Non storicità” della rivelazione islamica rispetto a quella cristiana: - Nel cristianesimo, molti testi, considerati tutti ispirati da Dio, ma di autori diversi, con scopi e obiettivi diversi, scritti in tempi molto diversi, per comunità diverse - E’ scontata una mediazione umana per la “Parola di Dio” - Il Canone (elenco dei testi sacri) si definisce lentamente - Vangeli (sono quattro) e loro nucleo essenziale (kerigma) - Lettere pastorali

Oggettiva debolezza della filologia islamica Solo negli studi moderni: classificazione dei testi - secondo criteri filologici e stilistici - secondo l’analisi delle circostanze nelle quali Maometto si trova di fronte ai suoi oppositori - individuando quei testi che organizzano la comunità islamica

- la radice slm significa in arabo “essere in pace” , “essere salvo” - la radice slm significa in arabo “essere in pace” , “essere salvo”. Il verbo aslama significa “sottomettersi alla legge di Dio per essere salvo”. L’Islam è la sottomissione a Dio e al suo profeta. Il participio presente del verbo aslama è muslim “colui che si sottomette e si affida a Dio”. - la parola muslim contiene anche il concetto che i profeti anteriori a Maometto e i loro seguaci sono ‘sottomessi a Dio’. Adamo, Mosé, Gesù, erano anch’essi muslim. Secondo il Corano il termine muslim è coniato da Abramo. -

- La concezione islamica della divinità trascendente: assomiglia di più al Dio del Vecchio Testamento che al Dio del Vangelo - Se ne sottolinea l’onnipotenza e la trascendenza - C’è un rapporto verticale: Allah è il Signore e l’uomo è il suo servo. Il rapporto dipende dalla magnanimità, dalla liberalità di Dio. (Per l’Islam Allah è buono perché decide di esserlo. Se volesse non esserlo, se volesse essere giusto e vendicativo, l’uomo non potrebbe che accettare: è troppo imperscrutabile la saggezza di Dio).

l’atto che opera l’islam, la sottomissione, implica un ‘ritorno a Dio’, tawba - ha un valore interiore ma anche un legame con il culto e la legge, din - deve concretizzarsi nelle opere (atti cultuali prescritti) [dibattito sulla predestinazione] - l’islam è “adorare Dio senza associare a lui null’altro, fare la preghiera canonica, pagare l’elemosina legale, digiunare durante il mese del digiuno” l’islam è esteriore, la fede appartiene al cuore

I rapporti reciproci tra le tre “religioni del libro:(ebraismo, cristianesimo, islamismo) - gli ebrei, eretici dell’antichità (eretici rispetto alle religioni naturalistiche caratterizzate dalle divinità antropomorfe; il passaggio alle concezioni monoteistiche con la conseguente in-dicibilità del nome di Dio, YHWH) J. Assman, La memoria culturale, Torino 1998

Per i cristiani, l’ebraismo è un predecessore (incompleto, superato, ma non falso; tollerabile fintantoché si attiene all’AT [ma no se segue il Talmud, che è post-cristiano] I musulmani sono successivi al cristianesimo, esprimono una religione nell’ottica cristiana falsa e questo in prospettiva spiega le espulsioni (Sicilia, Spagna, Portogallo). Per i cristiani l’Islam è nel migliore dei casi un’eresia, o una falsa dottrina, fondata da un uomo, Muhammad, che nella storia della cultura europea è stato descritto come un eretico, o un impostore. Per i musulmani, il cristianesimo è un predecessore, così come l’ebraismo, e questo spiega una certa tolleranza. E’ una religione che era stata vera, che aveva avuto un’autentica rivelazione, ma ora è superata dall’Islam. E’ abrogata, i suoi seguaci assurdamente continuano a seguirla anzichè accettare la parola definitiva di Dio. Ma purché si sottomettano possono essere tollerati; I teologi musulmani hanno problemi con la dottrina di Cristo o la trinità, che il Corano respinge, ma in linea di massima accordano alle religioni precedenti la tolleranza prescritta dalla legge coranica

- L’Islam non ha un magistero istituzionalizzato, in particolare nella versione sunnita (Sunna = “tradizione”; attualmente 90% dei credenti) che propriamente non ha una chiesa, un clero, una gerarchia e- raccoglie i musulmani che non aderiscono a sette particolari come gli Sciiti - - Gli Sciiti (seguaci di Alì, il nipote di Maometto). (10% dei credenti), giurano fedeltà all’Imam - Esistono persone dotte che per loro competenza vengono riconosciute come punti di riferimento - Di per sé il singolo fedele, se ha studiato può accedere direttamente alla Parola di Dio

Le parole principali Jihad (impegno, lotta, sforzo, sia nel miglioramento personale che nella difesa della terra islamica; mobilitazione di tutte le risorse da parte dell’uomo in vista di un ideale da perseguire). [importanza della guerra nella società araba delle origini, come del resto in quella ebraica]. Nel Corano il Jihad è il simbolo della lotta del Bene contro il Male, è la battaglia della Luce contro le tenebre. Shari’a (legge islamica. sulla base di... Qu’ran...e Sunna (tradizione, consuetudine che dalle azioni, dalle parole e dai silenzi del Profeta ispira le regole del buon operare islamico) Fatwa (responso emesso dall’autorità religiosa a proposito dell’applicazione della legge) Umma (comunità dei credenti) Imam (“Guida”, colui che suggerisce; il devoto che presiede la preghiera)

I cinque pilastri dell’Islam Professione di fede (“Non vi è altro Dio che Allah, e Maometto è il suo inviato”) Preghiera rituale (cinque volte al giorno) Elemosina ai poveri Digiuno (dal cibo e dal sesso; dall’alba al tramonto; nel mese di Ramadan, il nono mese secondo il calendario lunare) Pellegrinaggio (una volta nella vita)

Il Mediterraneo al momento dell’espansione islamica I successi della stagione di Giustiniano si rivelarono sostanzialmente effimeri. Gran parte dei Balcani, dominati da gruppi slavi o da altri invasori, sfuggiva di fatto al controllo del governo centrale, anche se questo dato di fatto non era riconosciuto ufficialmente dall'autorità imperiale. La nuova presenza longobarda in Italia centro-settentrionale e l'incapacità dell'esercito di stanziare forze militari regolari nel Mediterraneo occidentale unite alle minacce di guerra provenienti da nord (avari e slavi) da est (persi sassanidi) fecero sì che la maggior parte delle conquiste giustinianee andassero perdute assai prima della fine del VII secolo. Eraclio, 610-642

Con il grande successo di Eraclio contro i sassanidi, nel 627, solo in apparenza si era chiusa la fase più densa di rischi per le sorti dell'impero; la fase cioè segnata da un lato dalla grave crisi politica interna suscitata dall'usurpazione del tiranno Foca (602-610) e dall'omicidio dell'imperatore Maurizio, e dall'altro dalle pressioni di avari e slavi, che si erano spinti sino a minacciare Costantinopoli. In realtà entrambi i grandi imperi uscivano dai lunghi anni di guerra fortemente indeboliti e in una condizione di forte disordine economico.

Così, quando tra il 630 e il 640 nella penisola araba comparvero gli Arabi sotto la bandiera dell'Islam e della guerra santa, la resistenza imperiale fu poco più che simbolica. Nel 642 tutto l'Egitto e le provincie medio-orientali erano perse, gli eserciti arabi erano penetrati in Libia e in Asia Minore, dove le armate imperiali si erano ritirate. Nel corso di circa dodici anni dunque l'impero perdette più di metà del suo territorio e tre quarti delle sue risorse, perdite drammatiche per uno stato imperiale che doveva comunque continuare a mantenere e ad equipaggiare un grosso esercito e una burocrazia che era necessario mantenere in efficienza.

Nel 700 aveva già perso anche tutte le provincie nordafricane e quelle del Mediterraneo occidentale, fatto salvo un presidio nelle Baleari. L’espansione in Spagna agli inizi del secolo VIII

Nella Continuatio Isidoriana Hispanica, scritta verso la metà del secolo VIII da un anonimo chierico di Toledo con l’intento di completare le Historiae composte circa un secolo prima dal vescovo di Siviglia. Tra gli eventi narrati c’è anche la celeberrima battaglia di Poitiers del 732, con la quale Carlo Martello sconfisse un contingente arabo. In passato quest’evento è stato caricato di un forte significato simbolico ed è stato interpretato come una delle più importanti vittorie dell’«Occidente» cristiano contro l’espansione islamica. Il principale punto di riferimento di queste interpretazioni è stato offerto proprio dalla Continuatio Isidoriana, dove per la prima volta dopo alcuni secoli ricompare l’espressione Europenses, in contrapposizione a quella di «Saraceni» o «Ismaeliti» attribuita ai contingenti arabi sconfitti.

Nell’Arabia preislamica alla vigilia della predicazione di Muhammad – il cui nome fu dagli occidentali mutato in Maometto – l'Arabia era perlopiù abitata da genti nomadi, i beduini (in arabo badawin, «abitanti del deserto») che si sostentavano allevando dromedari, montoni e capre in specie nelle zone settentrionali e centrali di quella penisola. Popolazioni sedentarie si trovavano per contro nelle oasi situate lungo le strade carovaniere, a Yàtrib e alla Mecca in primo luogo. Tribù prevalentemente nomadi refrattarie a ogni ordinamento gerarchizzato, o genti sedentarie contraddistinte da una più evoluta cultura urbana, dedite all'agricoltura e a traffici commerciali di buon livello, gli arabi presentavano peraltro tratti comuni.

Tratti comuni alla cultura e alla società araba - Lingua - Complementari le due economie - Simile – a fronte di società mediorientali, quali la bizantina e la persiana, politicamente centralizzate – era l'organizzazione sociale fondata sul lignaggio e sulla clientela una struttura tribale che assorbiva in sé tutti i vincoli di solidarietà - Affine la fede religiosa popolata da divinità astrali e incline al culto delle pietre di cui la più celebre – un frammento nero di origine meteoritica esistente alla Mecca da tempo immemorabile – era venerata nella Ka'ba, costruzione cubica in legno che era annualmente oggetto di un pellegrinaggio sacro da parte di tutti i fedeli (elemento unitario; contribuisce a mantenere viva la coscienza collettiva di appartenere alla medesima razza semitica, grazie al mese di tregua santa) incoraggiava l'afflusso delle carovane all'oasi della Mecca, arricchendo così la città e con essa la tribù dei Quraishiti, favoriti dall'indiscusso prestigio loro conferito dalla guardia della Ka'ba.

Spinte al rinnovamento religioso - in seguito al contatto con le credenze bibliche e cristiane propagandate dai mercanti ebrei e bizantini, sempre più numerosi nella penisola araba, - ma anche per l'autonoma predicazione dei hanif, asceti e ‘monaci’ insoddisfatti del politeismo tradizionale e inappagati dai monoteismi ebraico e cristiano, sceglievano di ritirarsi in solitudine alla ricerca di un dio unico e personale

, Muhammad cominciò ad avere visioni notturne, sino a che verso il 610, mentre meditava in una grotta nei pressi della Mecca, ebbe la decisiva rivelazione di essere un eletto dal cielo. Il Dio che ha mandato i profeti ebrei e cristiani trasmette in modo ultimo e definitivo il proprio Verbo rivelato, divino e ineguagliabile, per mezzo di un suo messaggero affinché questi lo diffondesse, come palesa il termine Qura'an – donde Corano – che significa appunto «recitazione ad alta voce»: fu la nascita di una nuova fede alla quale tutti gli arabi indistintamente erano chiamati a partecipare

Le caratteristiche sono quelle che abbiamo visto: Monoteismo senza compromessi, la cui istanza suprema consiste nella totale e assoluta sottomissione dell'essere umano al volere divino, donde il nome «islàm» adottato dalla nuova religione; Dio onnipotente, non generato e non generante, inconoscibile e non rappresentabile, che non concede a nessuno di mutare i suoi giudizi o di interferirvi e a cui l'uomo, sua creatura e suo servo, deve sottostare se vuole accedere alla beatitudine eterna.

La predicazione di Muhammad rappresentava una sfida a tutte le istituzioni sociali e religiose esistenti tra le genti arabe, Le famiglie della Mecca , a cui pure il profeta appartiene, si oppongono a un credo che attaccava quel politeismo dal quale esse traevano profitti cospicui e prestigio politico. égira 622: Divenuta impossibile la permanenza alla Mecca, nel 622 il profeta e i suoi seguaci furono costretti a rifugiarsi a Yàthrib, la futura Medina (al-Madinat an-nabi, vale a dire «la città del profeta»): ovvero la «migrazione», l'anno da cui si data l'inizio dell'èra musulmana.

Dall’elaborazione dei “cinque pilastri” un progetto di radicale trasformazione della società araba esistente a favore di un nuovo genere di comunità, la umma: trasformando il significato e il ruolo della tribù la umma doveva integrare «individui, clan e anche gruppi etnici in una compagine più ampia dove una suprema osservanza religiosa compendiava in sé tutti gli altri doveri senza annullarli, dove fu possibile costruire una nuova legge comune e una nuova autorità politica per regolare gli affari del popolo nel suo complesso» (I. Lapidus)

È fondamentale dar coesione alla nuova comunità (umma), fondata sulla comune appartenenza religiosa. Maometto lo fa diventando, da profeta, anche organizzatore / uomo di stato / condottiero A partire da lui il messaggio religioso viene interpretato anche come un richiamo a realizzare il regno dell’Islam su questa terra, attraverso la costituzione di uno stato islamico.

Più lo stato si espande, più si è vicini alla realizzazione perfetta del volere divino. Chi lavora a tale realizzazione è nella condizione di Islam, «attiva sottomissione a Dio», di strumento per concretizzare il progetto divino per l’umanità Di conseguenza i musulmani utilizzano un linguaggio religioso per esprimere le loro istanze politiche L’azione umana non è esclusivamente finalizzata al regno dei cieli, ma deve portare anche al successo in terra. Una volta affermata insieme all’assoluta trascendenza divina l’incommensurabilità tra il livello del libero agire di Dio e quello dell’ubbidienza richiesta alla sua creatura, l’uomo credente deve agire concretamente.

Conseguenza di una tale impostazione era l’idea di uno stato rigidamente teocratico che traeva legittimità dal «patto» (mithaq) tra uomo e Dio, e in cui i valori della shari'a – la «strada maestra» dettata da Dio al suo profeta in forza della quale si governano tutti gli aspetti della vita umana – avrebbero fornito l'assetto di ogni futuro comportamento la mancanza di distinzione tra sacro e profano e la conseguente assenza di un linguaggio politico capace di attuarsi nelle istituzioni. Difficoltà a accettare la fondamentale distinzione tra potere spirituale e temporale che segna per contro la storia dell'Occidente cristiano fin dalla sua nascita e che sarà riconfermata nel secolo XII e XIII.

Islam è corrispettivo sia di cristianesimo (religione) che di cristianità (civiltà) Ed è anche qualcosa di più, che non ha equivalente nel cristianesimo occidentale: l’identità e l’appartenenza politica che trascendono ogni altra

La successione Maometto muore senza lasciare precise direttive su chi dovesse succedergli alla guida spirtituale e politica del popolo arabo. Inizialmente il supremo esercizio del potere politico passò al suocero di Muhammad, Abu Bakr (632-34), a cui, fu attribuito per la prima volta il titolo – da allora divenuto ufficiale per designare colui che stava al vertice dello stato islamico – di califfo (khalifa rasul Allah), ovvero «successore dell'inviato di Dio» (non rappresentante o vicario di Dio: concezione incompatibile con l'idea di un Dio che non delegherebbe mai agli uomini parte della propria autorità)

Ad Abu Bakr seguirono nell'ordine Omar (634-644), esponente anch'egli dei «Compagni» (sahaba) del profeta – una cerchia formata dai suoi primi e più fedeli seguaci reclutati perlopiù negli ambienti medinesi –, quindi Othman (644-656), di eminente famiglia quraishita, che rappresentava gli interessi meccani. Dopo l'assassinio di Othman, il califfato passò ad Ali (656-660) il quale sosteneva di essere stato designato a succedergli dal profeta stesso, suo cugino e genero.

Dalle divergenze circa la legittimità del potere di chi doveva dirigere la nuova comunità nasce la contrapposizione tra sunniti e sciiti Il gruppo di maggioranza privilegiando la «tradizione» (in arabo sunna, donde il termine di sunniti) riteneva che il califfo dovesse essere scelto in base al merito, con un criterio elettivo da esercitarsi nell'àmbito della tribù dei Quraishiti. Per contro gli sciiti, ovvero i seguaci del «partito» (shi'a) di Ali, sostenevano norme più restrittive fondate sulla diretta appartenenza del califfo alla famiglia del profeta. Ne conseguirono discordie e guerre civili culminate con l'as­sassinio di Ali e con la vittoria di Mu'awiya (660-80), un aristocratico meccano appartenente al clan degli Omayyadi, che riuscì a coordinare la società araba intorno a un forte potere centrale, vieppiù organizzato in senso monarchico, secondo modelli mutuati dall'Oriente bizantino e persiano

Sotto i primi quattro califfi due furono le direttrici lungo le quali si aprì la conquista araba. Una, verso Est in direzione dell'Eufrate, spazzò l'impero persiano la cui capitale Ctesifonte fu conquistata nel 637, aprendo all'islàm la strada dell'Asia sino all'odierno Turkestan cinese. La seconda, contemporanea ma orientata verso Nord, condusse rapi­damente gli arabi a scontrarsi con l'impero bizantino che aveva per lungo tempo rappresentato ai loro occhi un ammirato modello di stato. Sotto l'incalzante pressione araba la Siria fu conquistata nel 637, mentre l'Egitto, la Cirenaica e la Tripolitania caddero pochi anni dopo, tra il 642 e il 645. Malgrado gli sforzi dell'imperatore greco Costante II (641-68), anche la costiera africana, ricuperata solo un secolo prima da Giustiniano, veniva conquistata dall'islàm che sviluppò allora, e per la prima volta, una cosciente vocazione mediterranea.

Ad Alessandria e nei porti della Siria si cominciarono ad allestire quelle flotte musulmane che inflissero, alla metà del secolo VII, una drammatica sconfitta alla flotta imperiale bizantina mettendo a più riprese in pericolo la stessa Costantinopoli. Attraverso queste imprese gli arabi mettevano fine all'egemonia bizantina sul Mediterraneo senza peraltro riuscire a imporre quella completa ed esclusiva talassocrazia, sostenuta invece all'inizio del Novecento da Henri Pirenne (1862-1935)

Motivi del successo arabo-islamico la loro capacità bellica l'entusiasmo della loro fede non meno la debolezza degli imperi persiano e bizantino La Persia aveva subito infatti l'azione disgregatrice svolta da una potente aristocrazia ora associata ora in competizione con il ceto sacerdotale Bisanzio a sua volta era minata dai conflitti religiosi fra le varie comunità cristiane, in cui si esprimeva oltre che un diverso modo di intendere il messaggio evangelico il disagio delle popolazioni periferiche cristiane nei confronti della politica costantinopolitana.

Vincitori, relativamente poco numerosi se commisurati agli abitanti delle regioni sottomesse Sfruttano i malcontenti Li accettano dopo la conversione Concedono loro lo statuto di Dhimmi, popolazioni soggette alle tasse ma escluse dagli obblighi militari e da quelle pressioni religiose che con tanto forza avevano gravato sui sudditi bizantini l'espansione islamica non venne avvertita da coloro che abitavano quei territori come una reale minaccia alla propria fede, secondo le parole del cronista Michele il Siro la si avverte come «una liberazione dalla tirannia dei romani», ovvero dei bizantini.

L’organizzazione (cenni) All’inizio le vecchie élites e l'apparato amministrativo degli imperi greco e sassanide furono incorporate nel nuovo regime che mantenne intatto il precedente ordinamento sociale e religioso, Ma secolo VIII non si impose una progressiva islamizzazione soprattutto in quelle regioni – Egitto, Siria e Irak – nelle quali più forte era stato l'insediamento dei conquistatori.

Delle zecche furono organizzate a Damasco, e nelle grandi città si cominciarono a coniare monete auree – dinar (dal latino denarius) – e argentee – dirham (dal greco dracma) –, recanti come iscrizione la professione di fede musulmana, monete concorrenziali a quelle bizantine. I funzionari arabo-musulmani divennero egemoni nell'apparato burocratico

l'arabo si impone quale lingua ufficiale di un'amministrazione pubblica organizzata secondo una concezione politica che sempre più tendeva ad assimilare regalità e possesso. Naturalmente, i califfi vanno in crisi per la contraddizione tra la pratica del potere e il rigore della vocazione religiosa che interpretava l'ordine politico come opera di Dio, ispirato alla purezza della sua Rivelazione e dunque estraneo ai falsi valori umani.

Altre conseguenze delle “concezioni” teologico-politiche che stanno alle spalle dell’organizzazione politica dell’islam mediterraneo (il potere legislativo è nelle mani di Dio che lo manifesta attraverso la rivelazione; Dio è l’unico vero padrone del creato, il suo proprietario; lo amministra attraverso i vicari del profeta): 1.Lo stato islamico è in via di principio proprietario della terra e la concede in gestione a chi la coltiva o a chi ne gode l’usufrutto in cambio di determinati servizi 2. Di conseguenza lo stato è tendenzialmente centralizzato 3. Non si crea un’aristocrazia terriera che abbia potere contrattuale col sovrano e col potere centrale 4. non c’è feudalesimo (almeno fino al XI secolo e al ‘feudalesimo orientale’ importato dai turchi) 5. Non esiste un pensiero economico musulmano