Letteratura Italiana 2007/8

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Transcript della presentazione:

Letteratura Italiana 2007/8 Fabio Forner

Introduzione Perché studiare la storia della letteratura italiana oggi? Obiettivo principale del corso è quello di introdurre allo studio della letteratura italiana attraverso l’analisi diretta di un corpus di testi rappresentativi di un tema di particolare rilievo. Specifica attenzione verrà riservata agli autori del Quattrocento e del Cinquecento.

Parte generale Programma Modulo 1 (CFU 4: ore 32) -         Disegno storico-cronologico della letteratura italiana, con particolare attenzione alla storia letteraria del Quattrocento e del Cinquecento. Lo studente è tenuto alla lettura dei seguenti testi: Dante Alighieri, Commedia, Inferno, canto XIII, Purgatorio canto VIII Paradiso, canto XXXIII Lettera a Cangrande della Scala 

Parte generale Francesco Petrarca, Canzoniere, n. 1-5 e 128; dall’Epistolario, Familiari IV, 1 (ascesa al monte ventoso); XIV, 3 (a Cicerone); Posteritati. Giovanni Boccaccio, Decameron, giornata I 7 (Bergamino); II, 5 (Andreuccio da Perugia); IV, 1 (Tancredi); X 10 (Griselda). Bibliografia: R. Bruscagli, Storia della letteratura italiana. Il Quattrocento e il Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 2005. Sarà cura del docente allestire un dossier antologico con i testi richiesti.  

Corso monografico Modulo 2 (CFU 4: ore 32) -         Epistolografia e letteratura fra Quattrocento e Cinquecento. Bibliografia: M. L. Doglio, L'arte delle lettere, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 7-28 p. 49-104. Gli appunti presi durante le lezioni costituiranno materia d’esame. Sarà cura del docente allestire un dossier antologico con i testi richiesti.

Modalità d’esame Avvertenza Ulteriori materiali e indicazioni bibliografiche anche per i non frequentati saranno forniti nel corso delle lezioni. Modalità d’esame L’accertamento della preparazione avverrà tramite esame orale, inteso a verificare soprattutto la conoscenza diretta e la capacità di analisi dei testi. Verrà data la possibilità di sostenere l’esame in forma scritta limitatamente al primo modulo.

Dante Alighieri Nato a Firenze circa nel 1265 La Commedia avvio della stesura; le tre cantiche e la diffusione manoscritta La metrica della Commedia: la terzina dantesca

Introduzione alla metrica Verso e prosa Metro e ritmo: la differenza con il latino Misura della versificazione: il concetto di sillaba L’endecasillabo: ha come ultima sillaba tonica la decima: 11 sillabe se l’uscita è piana: 'Sperent in te' di sopr' a noi s'udì; a che rispuoser tutte le carole. (Par. xxv) Già non compié di tal consiglio rendere, Gli accenti: 4° 8° o 7° e 10°

La Commedia Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco. Non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che 'n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani con tristo annunzio di futuro danno.

Commedia Ali hanno late, e colli e visi umani, piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre; fanno lamenti in su li alberi strani. E 'l buon maestro «Prima che più entre, sappi che se' nel secondo girone», mi cominciò a dire, «e sarai mentre che tu verrai ne l'orribil sabbione. Però riguarda ben; sì vederai cose che torrien fede al mio sermone». Io sentia d'ogne parte trarre guai e non vedea persona che 'l facesse; per ch'io tutto smarrito m'arrestai.

Commedia Cred' ïo ch'ei credette ch'io credesse che tante voci uscisser, tra quei bronchi, da gente che per noi si nascondesse. Però disse 'l maestro: «Se tu tronchi qualche fraschetta d'una d'este piante, li pensier c'hai si faran tutti monchi». Allor porsi la mano un poco avante e colsi un ramicel da un gran pruno; e 'l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: «Perché mi scerpi? non hai tu spirto di pietade alcuno?

Commedia Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb' esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi». Come d'un stizzo verde ch'arso sia da l'un de' capi, che da l'altro geme e cigola per vento che va via, sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond' io lasciai la cima cadere, e stetti come l'uom che teme. «S'elli avesse potuto creder prima», rispuose 'l savio mio, «anima lesa, ciò c'ha veduto pur con la mia rima,

Commedia non averebbe in te la man distesa; ma la cosa incredibile mi fece indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa. Ma dilli chi tu fosti, sì che 'n vece d'alcun' ammenda tua fama rinfreschi nel mondo sù, dove tornar li lece». E 'l tronco: «Sì col dolce dir m'adeschi, ch'i' non posso tacere; e voi non gravi perch' ïo un poco a ragionar m'inveschi. Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando, sì soavi,

Commedia che dal secreto suo quasi ogn' uom tolsi; fede portai al glorïoso offizio, tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi. La meretrice che mai da l'ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune e de le corti vizio, infiammò contra me li animi tutti; e li 'nfiammati infiammar sì Augusto, che ' lieti onor tornaro in tristi lutti. L'animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto.

Commedia Per le nove radici d'esto legno vi giuro che già mai non ruppi fede al mio segnor, che fu d'onor sì degno. E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che 'nvidia le diede». Un poco attese, e poi «Da ch'el si tace», disse 'l poeta a me, «non perder l'ora; ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».

Commedia Ond' ïo a lui: «Domandal tu ancora di quel che credi ch'a me satisfaccia; ch'i' non potrei, tanta pietà m'accora». Perciò ricominciò: «Se l'om ti faccia liberamente ciò che 'l tuo dir priega, spirito incarcerato, ancor ti piaccia di dirne come l'anima si lega in questi nocchi; e dinne, se tu puoi, s'alcuna mai di tai membra si spiega». Allor soffiò il tronco forte, e poi si convertì quel vento in cotal voce: «Brievemente sarà risposto a voi.

Commedia Quando si parte l'anima feroce dal corpo ond' ella stessa s'è disvelta, Minòs la manda a la settima foce. Cade in la selva, e non l'è parte scelta; ma là dove fortuna la balestra, quivi germoglia come gran di spelta. Surge in vermena e in pianta silvestra: l'Arpie, pascendo poi de le sue foglie, fanno dolore, e al dolor fenestra. Come l'altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch'alcuna sen rivesta, ché non è giusto aver ciò ch'om si toglie.

Commedia Qui le strascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun de l'ombra sua molesta». Noi eravamo ancora al tronco attesi, credendo ch'altro ne volesse dire, quando noi fummo d'un romor sorpresi, similemente a colui che venire sente 'l porco e la caccia a la sua posta, ch'ode le bestie, e le frasche stormire. Ed ecco due da la sinistra costa, nudi e graffiati, fuggendo sì forte, che de la selva rompieno ogne rosta.

De vulgari eloquentia e Monarchia De v.e.: scritto tra il 1303 e il 1304, interrotta al secondo libro. Il latino sermo artificialis. La Monarchia, 3 libri: incerta la datazione; autonomia del potere civile da quello religioso La lettera a Cangrande della Scala: dedica della terza cantica della Commedia; interpretazione letterale e allegorica

Lettera a Cangrande 5]. Dice Aristotele nel secondo libro della Metafisica che "come una cosa si pone rispetto all'essere, così si pone rispetto alla verità": il significato che la verità di una cosa, contenuta nella verità come nel suo soggetto, risiede nella somiglianza perfetta di una cosa con il suo essere. Delle cose che esistono, tuttavia, alcune sono tali da contenere in sé l'essere assoluto; in altre, invece, l'essere dipende da un'altra cosa con cui sta in relazione, come essere nello stesso tempo e relazionarsi ad altro; come il padre e il figlio, il signore e il servo, il doppio e la metà, il tutto e la parte, e simili, in quanto tali. Dal momento che l'essere di tali cose dipende da altro, ne deriva che anche la verità di esse dipende da altro: se si ignora la metà, infatti, non si può mai conoscere il doppio, e così tutto il resto.

Lettera a Cangrande [6]. Pertanto, quando si vuole fornire un'introduzione esplicativa su una parte di un'opera di uno scrittore, occorre fornire qualche notizia della produzione integrale di cui essa, un segmento. Per cui anch'io, intenzionato a offrire qualche spunto, in qualità di introduzione, riguardo alla Cantica sopracitata della Commedia, ho ritenuto di dover premettere qualche informazione riguardo all'intera opera, affinché risulti più facile e completo l'approccio alla parte. Dunque, sono sei gli aspetti da considerare, quando ci si accosta a qualunque opera dottrinale: il soggetto, l'autore, la forma espositiva, l'obiettivo, il titolo del libro e il genere della sua dottrina. Di queste, tre sono tali da variare in quell'aspetto che ho deciso di dedicare a voi, ossia nel soggetto, nella forma e nel titolo; negli altri aspetti, per la verità, non c'è variazione, come risulta evidente a chi l'esamini. Così nell'indagine sulla totalità, queste tre parti vanno considerate "in sé": in tal modo sarà aperta la via all'introduzione. Successivamente analizzeremo le altre tre parti, non solo in rapporto alla globalità dell'opera, ma anche in riferimento alla sezione qui offerta.

Lettera a Cangrande [7]. Per chiarire quanto stiamo per dire, occorre sapere che non è uno solo il senso di quest'opera: anzi, essa può essere definita polisensa, ossia dotata di più significati. Infatti, il primo significato è quello ricavato da una lettura alla lettera; un altro è prodotto da una lettura che va al significato profondo. Il primo si definisce significato letterale, il secondo, di tipo allegorico, morale oppure anagogico. E tale modo di procedere, perché risulti più chiaro, può essere analizzato da questi versi: "Durante l'esodo di Israele dall'Egitto, la casa di Giacobbe si staccò da un popolo straniero, la Giudea divenne un santuario e Israele il suo dominio". Se osserviamo solamente il significato letterale, questi versi appaiono riferiti alll'esodo del popolo di Israele dall'Egitto, al tempo di Mosè; ma se osserviamo il significato allegorico, il significato si sposta sulla nostra redenzione ad opera di Cristo. Se guardiamo al senso morale, cogliamo la conversione dell'anima dal lutto miserabile del peccato alla Grazia; il senso anagogico indica, infine, la liberazione dell'anima santa dalla servitù di questa corruzioe terrena, verso la libertà della gloria eterna. E benchè questi significati mistici siano chiamati con denominazioni diverse, in generale tutti possono essere chiamati allegorici, perché sono traslati dal senso letterale o narrativo. Infatti allegoria viene ricavata dal greco alleon che, in latino, si pronuncia alienum, vale a dire diverso.

Commedia Par. XXXIII Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace.

Commedia Par. XXXIII Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz' ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. Or questi, che da l'infima lacuna de l'universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una,

Commedia Par. XXXIII supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l'ultima salute. E io, che mai per mio veder non arsi più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co' prieghi tuoi, sì che 'l sommo piacer li si dispieghi. Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi.