René Descartes (1596-1650) Vita e opere.

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Transcript della presentazione:

René Descartes (1596-1650) Vita e opere

Biografia e autobiografia Discorso sul metodo (1637), da cui si traggono le informazioni relative alla sua formazione. Epistolario, fonte biografica preziosa e primo laboratorio della genesi delle sue teorie filosofiche e scientifiche. Opere giovanili (Parnassus, Olympica, Democritica, Experimenta, Preambula. Initium sapientiae timor Domini) La biografia di A. Baillet , La Vie de Monsieur Des Cartes, Paris 1691, 2 voll. Opuscoli in possesso di C. Clerselier, la cui trascrizione fu fatta eseguire da Leibniz.

Biografia: tappe fondamentali Formazione presso il collegio dei gesuiti di La Flèche (1604-1612) Viaggi (approfittando, da nobile, dei privilegi della vita militare durante le prime fasi della Guerra dei Trent’anni, 1619-1630) Soggiorno in Olanda (1628-1649): incontro con Isaac Beeckman e interessi nel campo della fisica, statica, dinamica, musica Viaggio in Svezia su invito della regina Cristina (1649-1650)

Opere principali Regulae ad directionem ingenii (1619-1630, incompleto) Discours de la méthode, pubblicato (in seguito alla condanna di Galilei, 1633) come prefazione ai tre Essais: Diottrica, Meteore, Geometria (1637) Meditationes de prima philosophia (1639), ripubblicata nel 1641 con Obiezioni (Mersenne, Hobbes, Arnauld, Gassendi) e Risposte Principia philosophiae (1644) Le passioni dell’anima (1649)

Un giudizio sulla formazione ricevuta Dopo 9 anni di studi, 6 dedicati a grammatica e retorica, 3 alla filosofia «mi ritrovai impacciato da tanti dubbi ed errori che mi sembrava di non aver ricavato altro profitto, cercando di istruirmi, se non di avere scoperto sempre di più la mia ignoranza» (Discorso sul metodo)

Un pensatore immerso nella modernità «Perché a conversare con gli uomini del passato accade quasi lo stesso che col viaggiare. E’ bene conoscere qualcosa dei costumi di altri popoli, per poter giudicare dei nostri più saggiamente, e non pensare che tutto ciò che è contrario alle nostre usanze sia ridicolo e irragionevole, come fanno di solito quelli che non hanno visto nulla. Ma quando si spende molto tempo nei viaggi, si diventa alla fine stranieri in casa propria; e quando si è troppo curiosi delle cose del passato, si rimane di solito assai ignoranti di quelle del presente» (Discorso sul metodo)

Un momento cruciale Nella notte del 10 novembre 1619, egli scopre «i fondamenti di una scienza mirabile», che può consentirgli di rifondare l’intero sapere… «perciò pensai che fosse necessario cercare un altro metodo, che, raccogliendo i pregi di queste tre [scienze: filosofia, logica, matematica], fosse immune dai loro difetti» (Discorso sul metodo)

Alla ricerca di un metodo Il metodo che Cartesio cerca è nello stesso tempo teoretico e pratico: esso, infatti, deve condurre a saper distinguere il vero dal falso anche e soprattutto in vista dell'utilità e dei vantaggi che possono derivarne alla vita umana. La filosofia che ne risulterà dovrà pertanto essere una filosofia «non puramente speculativa, ma anche pratica, per la quale l'uomo possa rendersi padrone e possessore della natura»

Le Regulae ad directionem ingenii (1619-1630, incompleto) «Tutte le scienze sono tra loro così connesse, che è molto più facile apprenderle tutte insieme che separarne una sola dalle altre» (Regulae ad directionem ingenii) Il metodo deve essere dunque un criterio di orientamento unico e semplice, che serva all'uomo in ogni campo teoretico e pratico. «Quelle lunghe catene di ragionamenti, semplici e facili, di cui i geometri si servono per giungere alle loro più difficili dimostrazioni, mi dettero motivo a supporre che tutte le cose di cui l'uomo può avere conoscenza si seguono nello stesso modo». (Regulae ad directionem ingenii)

Il compito filosofico di Cartesio Cartesio si propone di: formulare le regole del metodo, tenendo soprattutto presente il procedimento matematico, nel quale esse già sono in qualche modo presenti; fondare con una ricerca metafisica il valore assoluto e universale del metodo individuato; dimostrare la fecondità del metodo nei vari rami del sapere.

Il Discorso sul metodo «Se questo discorso sembra troppo lungo per essere letto tutto in una volta, lo si potrà dividere in sei parti. E si troveranno, nella prima, diverse considerazioni sulle scienze. Nella seconda, le principali regole del metodo che l’autore ha cercato. Nella terza, qualche regola della morale ch’egli ha tratto da questo metodo. Nella quarta, gli argomenti con i quali prova l’esistenza di Dio e dell’anima dell’uomo, che sono i fondamenti della sua metafisica. Nella quinta, la serie delle questioni di fisica che ha esaminato, in particolare la spiegazione del movimento del cuore e di qualche altra difficoltà della medicina e, ancora, la differenza tra l’anima nostra e quella dei bruti. Nell’ultima, le cose ch’egli crede siano richieste per andare avanti nello studio della natura più di quanto si è fatto, e i motivi che lo hanno indotto a scrivere» (Discorso sul metodo)

La prima regola: evidenza «Non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser tale con evidenza; cioè evitare diligentemente la preoccupazione e la prevenzione; e non comprendere nei miei giudizi niente di più di ciò che si presentasse così chiaramente e così distintamente al mio spirito che io non avessi alcuna occasione di metterlo in dubbio» (Discorso sul metodo) Questa è per Cartesio la regola fondamentale, la quale prescrive l’evidenza, l'intuizione chiara e distinta di tutti gli oggetti del pensiero e l'esclusione di ogni elemento sul quale sia possibile una qualche forma di dubbio.

La seconda regola: analisi «Dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare nel maggior numero di parti possibili e necessarie per meglio risolverla» (Discorso sul metodo). Questa è la regola dell’analisi, per la quale un problema viene risolto nelle sue parti più semplici, da considerarsi separatamente.

La terza regola: sintesi «Condurre i miei pensieri ordinatamente, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscersi per risalire a poco a poco, quasi per gradi, fino alle conoscenze più complesse; supponendo che vi sia un ordine anche tra gli oggetti che non precedono naturalmente gli uni agli altri» (Discorso sul metodo) Questa è la regola della sintesi, per la quale si passa dalle conoscenze più semplici alle più complesse gradatamente, presupponendo che ciò sia possibile in ogni campo

La quarte regola: enumerazione «Fare in ogni caso enumerazioni così complete e revisioni così generali da essere sicuro di non omettere nulla» (Discorso sul metodo). L'enumerazione controlla l’analisi, la revisione controlla la sintesi. Questa regola offre così il controllo delle due precedenti.

Necessità di una legittimazione sul piano filosofico

Il dubbio «… pensai di dover rifiutare come assolutamente falso tutto ciò su cui potevo figurarmi il minimo dubbio, allo scopo di vedere se – dopo tutto questo – non restasse in ciò che credevo qualcosa di assolutamente indubitabile» (Discorso sul metodo)

Dubitare per trovare Bisogna sospendere l’assenso a ogni conoscenza comunemente accettata, dubitare di tutto e considerare - almeno provvisoriamente - come falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile. Se, persistendo in questo atteggiamento di critica radicale, si giungerà a un principio sul quale il dubbio non è possibile, questo principio dovrà essere ritenuto saldissimo (evidenza) e tale da poter servire di fondamento a tutte le altre conoscenze.

Dal dubbio metodico… Dubitare per trovare un nuovo metodo (differenza con scetticismo/pirronismo), dunque: a) Rigettare le conoscenze sensibili b) Rigettare le dimostrazioni matematiche c) Equiparazione tra sonno e veglia

… al dubbio iperbolico In tal modo il dubbio si estende a ogni cosa e diventa assolutamente universale: si giunge così al cosiddetto dubbio “iperbolico”... «supporrò [...] che non l’ottimo Dio, fonte di verità, ma un genio maligno, e per giunta estremamente potente e astuto, abbia posto in atto tutta la sua abilità nell’ingannarmi» (Meditationes de prima philosophia) 

Dal dubbio al “Cogito ergo sum” Annichilimento esterno: nessuno corpo, nessun mondo, nessun luogo, nessuna certezza… MA: Dubito (cogito), sum! (evidenza) NB: Proprio in quanto dubito/penso, esisto! E il pensiero, per esistere non ha bisogno di alcun luogo, né di dipendere da alcuna cosa materiale → razionalismo, soggettivismo

Dal dubbio la prima certezza Proprio nel carattere radicale di questo dubbio si intravede una prima certezza. Io posso ammettere di ingannarmi o di essere ingannato in tutti i modi possibili, ma per ingannarmi o per essere ingannato io debbo esistere, cioè essere qualcosa e non nulla. La proposizione “io esisto” è dunque la sola assolutamente vera (nel senso di evidente), perché il dubbio stesso la conferma; infatti può dubitare solo chi esiste: cogito (ergo) sum.

«mentre io volevo pensare in questo modo che tutto fosse falso, era assolutamente necessario che io, che lo pensavo, fossi qualche cosa. E, notando che questa verità, io penso, dunque sono, era così ferma e sicura che tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici non erano in grado di minarla, giudicai che potevo riceverla senza scrupolo come primo principio della filosofia che cercavo» (Discorso sul metodo).

Dal cogito alla res cogitans Affermata come verità assolutamente certa la propria esistenza in quanto soggetto nell’atto di pensare, Descartes ne ricava l’ulteriore certezza di essere una res cogitans, «una sostanza la cui essenza o natura consiste solo nel pensare e che, per essere, non ha bisogno di alcun luogo, né dipende da alcuna cosa materiale» (Discorso sul metodo).

Cartesio e Agostino AGOSTINO: Il suo “dubito, sum” è inserito all’interno di una relazione io-Tu (confessio), in cui è il Tu a dire all’io chi è: «Io stesso ero diventato per me un grosso problema (magna quaestio)» (Confessioni) CARTESIO: Il cogito è la “leva di Archimede”, a partire dalla quale ri-fondare filosoficamente (metafisicamente) l’esistenza di Dio e l’esistenza del mondo esterno (rischio del solipsismo)

Le critiche al cogito: Gassendi Secondo Gassendi il cogito sarebbe una forma di sillogismo abbreviato, del tipo: “Tutto ciò che pensa esiste. Io penso, dunque esisto”, e quindi risulterebbe infondato, in quanto il principio “Tutto ciò che pensa esiste” cade preliminarmente, come tutto il resto, con l’ipotesi del genio maligno. MA: Cartesio risponde che il cogito non è un ragionamento, ma un’intuizione immediata della mente (evidenza).

Le critiche al cogito: Hobbes Hobbes critica quello che ritiene un indebito passaggio dal cogito alla res cogitans. In ciò Cartesio sarebbe simile a chi dicesse: «Io sto passeggiando, quindi sono una passeggiata». Infatti il quid, o la x, che pensa, la sostanza di quell'atto che è il pensiero, potrebbe essere benissimo il corpo o il cervello, ossia qualcosa di materiale. Cartesio replica affermando: che l'uomo non passeggia costantemente, però pensa sempre, per cui il pensiero, per lui, risulta essenziale; 2. che il pensiero indica talvolta l'atto del pensiero, talvolta la facoltà del pensiero, talvolta la cosa o sostanza con cui si identifica tale facoltà. Pertanto, in quest'ultimo caso, si può legittimamente parlare di una sostanza pensante, la cui essenza è appunto costituita dal pensiero.

La “necessità filosofica” dell’esistenza di Dio Il cogito, la res cogitans, non rispondono ancora completamente alle esigenze del razionalismo cartesiano… ad esempio: esistono le “verità eterne” (es. verità matematiche)? esiste il mondo esterno, ed è conoscibile in modo scientifico? NB: Il razionalista Cartesio “ha bisogno” di dimostrare filosoficamente l’esistenza di Dio per superare completamente il dubbio iperbolico (genio maligno)

Dio garante dell’evidenza «quella stessa che io ho appena preso come regola, cioè che le cose che concepiamo molto chiaramente e distintamente sono tutte vere, è assicurata solo dal fatto che Dio è o esiste, e che è un essere perfetto, e che tutto ciò che vi è in noi viene da lui. Da ciò consegue che le nostre idee o nozioni, essendo cose reali, e che vengono da Dio, per quanto concerne il loro essere chiare e distinte non possono che essere vere» (Discorso sul metodo)

L’analisi delle idee e l’innatismo Per rispondere a queste domande, Cartesio divide tutte le idee in tre categorie: quelle che mi sembrano essere innate in me (innate); quelle che mi sembrano estranee o venute dal di fuori (avventizie); quelle formate o trovate da me stesso (fattizie).

Le prove dell’esistenza di Dio L’idea di infinito in me La causa della mia esistenza La ripresa dell’argomento ontologico NB: Il fondamento delle prime due prove è il cogito!

1. L’idea di infinito in me Ho in me l’idea di infinito (idea innata) Infinito = «sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente, onnisciente, onnipotente» Questa idea non può essere causata da un ente finito quale io sono La causa di questa idea innata è un ente infinito effettivamente esistente… cioè Dio

La causa della mia esistenza Il dubitare è segno del mio essere imperfetto, che evidenzia il fatto che non posso essere causa di me stesso… c’è dunque un essere perfetto da cui dipendo… NB: Non sono io la causa di me stesso, ma Dio, essere/ente perfettissimo di cui possiedo l’idea…

La ripresa dell’argomento ontologico di Anselmo Per Cartesio questa terza prova corrobora le prime due… è però interessante che, rispetto ad Anselmo d’Aosta, egli ne dia una formulazione in chiave matematico-geometrica!!!

«Per esempio vedevo bene che, supponendo un triangolo, bisognava che i suoi tre angoli fossero uguali a due retti, ma nulla vedevo che per questo mi assicurasse che al mondo v’era un qualche triangolo. Quando invece tornavo a prendere in esame l’idea che avevo di un Essere perfetto, trovavo che l’esistenza vi era compresa come nell’idea di triangolo è compreso che i suoi tre angoli sono eguali a due retti […], e perfino con maggior evidenza; e di conseguenza che Dio, cioè questo Essere perfetto, sia o esista, è almeno tanto certo quanto non potrebbe esserlo nessuna dimostrazione di Geometria» (Discorso sul metodo)

Il Dio dei filosofi e il Dio dei credenti «non posso perdonare a Cartesio; egli avrebbe pur voluto in tutta la sua filosofia, poter fare a meno di Dio, ma non ha potuto esimersi di fargli dare un colpetto, per mettere il mondo in movimento; dopo di che non sa più che farsene di Dio» (Pascal, Pensieri) PER APPROFONDIRE: http://www.filosofico.net/preghierafilosofia7.htm

Il meccanicismo Riduzione della materia ad estensione (res extensa) Riduzione dell’universo a estensione (cioè spazio) e movimento; Matematizzazione della fisica, attraverso una rigida impostazione razionalistico-deduttiva (se Galilei è un ingegnere, Cartesio è un fisico teorico); Rifiuto del vuoto e teoria dei vortici (cfr. William Harvey e la teoria della circolazione sanguigna, 1616)

Il cuore nel De homine

Anima e corpo: il dualismo Se il mondo è res extensa, nell’uomo si trovano corpo (res extensa) e anima (res cogitans) La ghiandola pineale (epifisi) è il luogo fisico in cui avviene il “commercium” fra queste due res eterogenee

La ghiandola pineale

Le passioni Cartesio ha il merito di essere il primo filosofo moderno a dare dignità filosofica alle passioni Passioni = modificazioni involontarie e passive causate nell’anima dal movimento degli spiriti vitali, cioè dalle forze meccaniche che agiscono sul corpo Saggezza = capacità di rendersi padroni delle passioni, usandole con accortezza NB: Meccanicismo e razionalismo…

L’origine dell’errore «Essendo la mia volontà molto più ampia ed estesa dell’intelletto, io non la contengo negli stessi limiti di questo, ma la estendo anche alle cose che non intendo […]» (Meditazioni metafisiche) NB: L’errore nasce dunque quando, troppo precipitosamente, si dà l’assenso a ciò che non si presenta in modo sufficientemente chiaro e distinto

“L’errore di Cartesio” Il neurofisiologo portoghese Antonio Damasio (1944-) ha criticato il dualismo cartesiano, affermando che oggi, alla luce delle recenti scoperte in questo ambito, sarebbe più corretto affermare Sentio, ergo sum… «Noi siamo, e quindi pensiamo; e pensiamo solo nella misura in cui siamo, dal momento che il pensare è causato dalle strutture e dalle attività dell’essere» (A. Damasio, L’errore di Cartesio, 1994)