WITTGENSTEIN E LA DELIMITAZIONE DEL SENSO

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Transcript della presentazione:

WITTGENSTEIN E LA DELIMITAZIONE DEL SENSO

CENNI BIOGRAFICI Ludwig Wittgenstein nasce a Vienna il 26 aprile 1889 1908: W. è a Manchester a studiare ingegneria aeronautica 1911-1914: W. a Cambridge studia logica con Bertrand Russell 1914-1918: W. si arruola volontario nell’esercito austriaco; durante i combattimenti scrive la maggior parte delle riflessioni che confluiranno nel Tractatus Logico-philosophicus

1920-1926: W. insegna come maestro elementare in alcuni paesi della Bassa Austria 1921: viene pubblicato il Tractatus Logico-philosophicus 1926: W. lavora come giardiniere in un convento 1926: W. progetta e costruisce una casa a Vienna per la sorella Margarete 1929: W. torna a Cambridge dove inizia a tenere delle lezioni 1947: W. abbandona l’insegnamento e si trasferisce in Irlanda 1951: W. muore di cancro a Cambridge; si dice che le sue ultime parole siano state “Tell them I’ve had a wonderful life”

La casa progettata da Wittgenstein nella Kundmangasse di Vienna

Interni della casa costruita da Wittgenstein

Edizione annotata da Wittgenstein del Tractatus Logico-philosophicus

Senso e non-senso nel Tractatus: la delimitazione del dicibile come operazione etica Finalità essenziale della filosofia è la delimitazione del linguaggio Questo intento è vicino alla volontà di chiarificazione logica di Frege e Russell, che miravano all’oggettività di un linguaggio formalizzato. Ma la critica agli equivoci, alla chiacchiera e alla reificazione del linguaggio deriva a W. anche dall’ambiente viennese (cfr. Kraus e Circolo di Vienna e in particolare Carnap) La filosofia è dunque chiarificazione e critica.

La filosofia è diversa dalle scienze: queste hanno uno scopo cumulativo, portano alla costruzione di teorie (costruiscono le fondamenta di un edificio, dice W.). La filosofia “lascia ogni cosa com’è” (“cosa scopriamo in filosofia è banale”). Essa non è una dottrina, ma un’attività, è una critica che deve smascherare i fraintendimenti del linguaggio e, insieme, un’autoterapia che ha lo scopo di eliminare i nostri ideali illusori e le nostre sublimazioni (è ‘psicoanalisi’) Il Tractatus ha un senso etico, ma la finalità etica viene definita (nel senso letterale di delimitata) grazie al silenzio su di essa. W. nella prefazione del Tractatus afferma di aver tracciato un limite (Grenze) tra ciò di cui si può parlare chiaramente (i fatti delle scienze naturali) e l’ineffabile (quello che nel Tractatus è chiamato Mistico: l’etico, l’estetico, Dio, …). Su ciò che si trova al di là del limite non si può dire (sagen) nulla La delimitazione del Mistico si mostra (zeigen) solo dall’interno, cioè a partire da ciò che si può dire: non è possibile uscire dalla dimensione del linguaggio, in cui ci esprimiamo, pensiamo e incontriamo il mondo. Al di là del limite, rimangono una serie di questioni insensate che costituiscono i nostri ‘problemi vitali’: su di essi bisogna tacere.

Il chiarificarsi delle proposizioni per mezzo della filosofia apre uno spazio di sensatezza: il mondo abitabile del linguaggio. Tuttavia, proprio perché la forma logica è ciò che ci rende possibile incontrare il mondo, noi non possiamo uscire da essa, non possiamo dirne nulla, ponendoci fuori dal linguaggio Il fatto assoluto che ci sia un linguaggio è allora qualcosa che, proprio come il senso etico, può solo essere mostrato: la forma logica e l’etico non sono fatti come quelli descritti dalle scienze naturali, potrebbero essere visti solo ‘sub specie aeternitatis’ Il linguaggio non è un fatto che possa essere detto (non possiamo uscirne, lo abitiamo radicalmente). Il tacere sul Mistico non è legato ad un’insufficienza del linguaggio o ad una scarsa valorizzazione di ciò che sta oltre al limite: il senso etico e la forma logica si mostrano solo grazie al silenzio e mostrano così le condizioni per cui è possibile per noi un mondo sensato. (Così nella Critica della ragion pura: attraverso la delimitazione della ragione e il silenzio sul noumeno possiamo cogliere le condizioni di possibilità della nostra esperienza)

I membri del Circolo di Vienna sono accomunati a W I membri del Circolo di Vienna sono accomunati a W. dall’interesse per la dimensione del linguaggio e dalla volontà di delimitare gli enunciati dicibili e sensati Tuttavia il loro netto rifiuto della metafisica e la valorizzazione della ‘superficie’ è un fraintendimento del silenzio di W., che non vuole affatto negare l’importanza dei ‘problemi vitali’ e del Mistico. Il fraintendimento è provocato anche dalla prospettiva diversa dei circolisti, che non sono interessati al problema del senso, alle condizioni della dicibilità del mondo, ma alla questione della verificabilità. I membri del Circolo sono molto distanti da W. anche nella presentazione del ruolo della filosofia: la loro volontà di unificazione delle scienze e l’intento politico presentato nel loro manifesto non potrebbero esser più lontani dalla concezione wittgensteiniana di filosofia come attività inattuale e anti-mondana

IL TRACTATUS LOGICO-PHILOSOPHICUS Schema dell’opera Il Tractatus logico-philosophicus, unica opera che W., dopo varie vicessitudini editoriali, pubblica in vita ha una forma compositiva insolita. Si compone di 526 proposizioni ordinate gerarchicamente le 7 proposizioni principali sono definite da numeri interi e sono – tutte tranne l’ultima - via via sviluppate in una serie di proposizioni inferiori, indicate da numeri decimali (ad esempio, ad 1 segue 1.1, questa a sua volta si amplia in 1.11, in 1.12, …)

La numerazione è essenziale per la comprensione (“senza questa numerazione il libro sarebbe un incomprensibile pasticcio”) e suggerisce un ordine argomentativo La proposizione può essere in relazione con il mondo e può avere significato rispetto alla realtà, perché ha in comune con essa la struttura della configurazione, cioè la forma logica. La proposizione ha senso, in quanto è un’immagine della realtà; ciò non significa che il linguaggio fornisce una serie di ‘etichette’ da porre affianco a cose che abbiano consistenza propria. Le proposizioni sono raffigurazioni del mondo perché ne rappresentano una configurazione, come il modellino in scala di un incidente stradale illustra i reciproci rapporti tra i veicoli coinvolti. La teoria della raffigurazione non rimanda ad una semantica di tipo realistico, la proposizione non ha cioè significato in rapporto ad una realtà con cui deve essere confrontata. Il senso della proposizione è indipendente dalla verità o falsità di questa; la sensatezza del nostro parlare precede la verifica, ne è la condizione. La proposizione può dire qualcosa del mondo nella misura in cui mostra il proprio senso, che non può essere detto

La comprensione di una proposizione avviene quando sappiamo di quali stati di cose si asserisce l’esistenza, se essa è vera. Ciò significa che possiamo comprendere enunciati di cui non conosciamo la verità (o falsità), ma di cui possiamo individuare le condizioni di verità. Grazie al fatto che c’è un’unica forma logica che ci apre il mondo, può essere rintracciata l’unica struttura formale generale della proposizione: anche gli enunciati più complessi possono essere riportati alle proposizioni elementari. Studiando le condizioni di verità di queste e grazie al metodo delle tavole di verità, si coglie il senso di tutto il linguaggio che raffigura il mondo. Accanto agli enunciati sensati della scienza naturale ci sono proposizioni che non dicono nulla del mondo. Dal momento che esse non raffigurano possibilità del sussistere di stati di cose, non ci è possibile stabilire le condizioni di verità per cui queste proposizioni valgono; esse sono dunque insensate. Di questo tipo sono gli asserti logici: tautologie e contraddizioni sono incondizionatamente vere e false Esse sono i casi limite del linguaggio, poiché raffigurano la forma logica senza dire nulla del mondo Etica, estetica, senso del mondo sono il Mistico: esso non è uno stato di cose che possa essere descritto in base al suo come, al pari dei fatti delle scienze: il sentimento del Mistico vede il mondo dall’esterno, sub specie aeterni

L’invito a non porsi domande sui ‘problemi vitali’ non è legato ad una mancanza di interesse per questi ultimi. Il metodo filosofico corretto impone la rinuncia - una rinuncia del sentimento, più che dell’intelletto – a parlare di ciò che sta oltre al limite; è necessario rispettare l’essenziale differenza tra dire e mostrare, tra campo scientifico della verità e della falsità e campo filosofico del senso, tra fatti del mondo e fatto assoluto per cui vi è un linguaggio La fondamentale esigenza di riconoscimento del limite portano W. a mettere in discussione le stesse proposizioni del Tractatus: esse non parlano di fatti del mondo, ma sono illustrazioni del fatto, indicibile, della forma logica del mondo. Il lettore attento deve servirsi del Tractatus come di una scala, che deve alla fine gettare: le proposizioni dell’opera devono essere riconosciute come insensate nella loro pretesa di dire l’immagine del linguaggio. Il compito della filosofia consiste nel rispettare con il massimo rigore il limite: proprio per questo l’opera non può che chiudersi con un invito al silenzio; dopo aver mostrato l’apertura del mondo nel linguaggio alla filosofia non resta che tacere di tutto ciò di cui non si può parlare.

GIOCO LINGUISTICO, FORMA DI VITA E SIGNIFICATO NEL “SECONDO” WITTGENSTEIN Nella biografia wittgensteiniana, la conclusione del Tractatus rappresenta una delimitazione netta tra la prima fase del pensiero dell’autore e le riflessioni successive. Infatti Wittgenstein, che riteneva con la sua prima opera “d’aver definitivamente risolto nell’essenziale i problemi” (T, Prefazione, p. 24) La svolta decisiva, che segna il ritorno di Wittgenstein alla filosofia, si presenta in occasione di una conferenza di Brouwer sui fondamenti dell’aritmetica Al centro delle riflessioni wittgensteiniane di questo periodo si colloca la concezione del linguaggio come sistema: “Comprendere una proposizione significa comprendere un linguaggio” (RF, § 199) A partire dal Libro blu, W. sottolinea la varietà e la vaghezza tipiche del linguaggio e utilizza l’espressione “gioco linguistico” [language game]: i giochi linguistici non sono altro che “modi d’usare i segni” (LB, p. 26) Il linguaggio è composto da proposizioni, parole, esclamazioni e addirittura gesti, il loro uso non può venire definito e delimitato in modo netto.

Tra le numerosissime possibilità di utilizzo delle parole e delle proposizioni sussistono alcuni elementi comuni: nonostante non si possa rintracciare una “forma generale della proposizione e del linguaggio” (RF, § 65), come invece si affermava nel Tractatus, si può tuttavia notare come tra i diversi giochi emergano alcuni tratti in comune, alcune parentele, alcune “somiglianze di famiglia” (RF, § 67) Le regole di un particolare gioco linguistico non devono essere pensate come qualcosa di fisso e definibile a priori Il motivo pragmatico e la centralità della questione dell’utilizzo sono un Leitmotiv della riflessione wittgensteiniana a partire dal Libro blu: infatti, se il linguaggio viene pensato come un gioco, allora parallelamente le parole vengono presentate come strumenti di questo gioco, quasi fossero dei pezzi di una scacchiera che vengono utilizzati secondo specifiche regole e in vista di un determinato scopo In base a questa concezione il significato di una parola viene a coincidere proprio con l’uso di questa parola stessa: “Considera la proposizione come uno strumento, ed il suo senso come il suo impiego!” (RF, § 421) o, come si afferma più icasticamente nel Libro blu, “La grammatica (l’uso)” (LB, p. 35). Ma chi compie questa attività? W. risponde affermando che “il parlare un linguaggio fa parte di un’attività, o di una forma di vita” (RF, § 23). La “forma di vita” indica il gruppo omogeneo delle persone che partecipano ad un determinato gioco linguistico

Il gioco si riflette nei suoi giocatori e i giocatori si identificano nel loro gioco; non è possibile uscire da questo gioco di specchi, perché non c’è una priorità logica del linguaggio sulla forma di vita, né una priorità di questa su quello Se, a partire dalle riflessioni wittgensteiniane, si tenta di dare una definizione della forma di vita, ci si trova davanti ad una difficoltà insormontabile, questa impossibilità di spiegazione è motivata dalla natura stessa del concetto di forma di vita; poiché, infatti, propriamente questa non è neppure un concetto, ma una dimensione vaga e dai contorni sfumati, una definizione d’essenza risulta impensabile Ecco perché Wittgenstein sottolinea l’importanza di mostrare la forma di vita secondo un metodo descrittivo In generale si potrebbe dire che l’approccio descrittivo è uno dei principali fili conduttori della filosofia wittgensteiniana, al punto che una frase delle Ricerche filosofiche potrebbe essere considerata il suo motto: “Non pensare, ma osserva!” (RF, § 66). L’inclinazione iconica del pensiero wittgensteiniano e il costante riproporsi di metafore legate al tema della visione segnano la riflessione di Wittgenstein dagli inizi fino ai suoi ultimi scritti

Il metodo della filosofia diventa allora quello del “vedere come”, di cui Wittgenstein parla nelle Ricerche Filosofiche e negli Ultimi Scritti: “vedere come” significa cogliere la relazione interna tra l’aspetto percepito e l’oggetto significato, significa cioè vedere in una certa forma un determinato significato, senza che l’interpretazione segua alla percezione, ma con un unico sguardo Il reale è caratterizzato da un insieme di similitudini, di analogie formali, segno di un iconismo intrinseco; di fronte ad esso è l’occhio dell’uomo ad essere chiamato in causa per riconoscere, descrivere e agire di conseguenza.