De Chirico: Pictor classicus sum

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Transcript della presentazione:

De Chirico: Pictor classicus sum METAFISICA De Chirico: Pictor classicus sum

Il termine «metafisica», di origine greca, è inerente alla filosofia. Fu utilizzata da Andronico di Rodi, nel l secolo a.C, per distinguere gli scritti di Aristotele in due gruppi di opere. Il primo comprendeva i trattati riguardanti la fìsica (che studia le leggi della natura); il secondo era costituito dai testi riferiti all'essenza delle cose. Mentre le opere del primo gruppo studiano i fenomeni naturali percepibili attraverso i cinque sensi (τὰ φυσικά), quelle del secondo indagano, tramite l'intuizione e il ragionamento, le realtà di cui non abbiamo esperienza diretta μετά τα Φυσικά .

Nell'uso di De Chirico e dei metafisici, il termine ha, come unico punto di contatto con quello filosofico, l'allusione a una realtà diversa, che va oltre ciò che vediamo allorché gli oggetti, usati fuori del loro contesto solito, sembrano rivelare un nuovo significato che sorprende. “Nella parola metafisica non vedo nulla di tenebroso: è la tranquillità stessa e la bellezza priva di senso (cioè fine a se stessa) della materia che mi sembra metafisica, e tanto più metafisici sono gli oggetti, che per il nitore delle tinte e l’esattezza delle proposizioni si trovano agli antipodi di ogni confusione” Il grande metafisico

 «L'opera d'arte metafìsica è quanto all'aspetto serena; dà però l'impressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre a quelli già palesi, debbano subentrare sul quadrato della tela. Tale è il sintomo della profondità abitata. Cosi la superficie piatta d'un oceano perfettamente calmo ci inquieta non tanto per l'idea della distanza chilometrica che sta tra noi e il suo fondo quanto per tutto lo sconosciuto che si cela in quel fondo» (De Chirico, in «Valori Plastici», aprile-maggio 1919).

I contenuti di un dipinto metafìsico, quindi, vanno al di là di ciò che vediamo; vanno, pertanto, oltre la natura. «Io entro in una stanza, vedo un uomo seduto sopra una seggiola, dal soffitto vedo pendere una gabbia con dentro un canarino, sul muro scorgo dei quadri, in una biblioteca dei libri, tutto ciò non mi colpisce, non mi stupisce, poiché la collana dei ricordi che si allacciano l'uno all'altro mi spiega la logica di ciò che vedo; ma ammettiamo che per un momento e per cause inspiegabili e indipendenti dalla mia volontà si spezzi il filo di tale collana, chissà come vedrei l'uomo seduto, la gabbia, i quadri, la biblioteca; chissà allora quale stupore, quale terrore, e forse anche quale dolcezza e quale consolazione proverei io mirando quella scena» («Valori Plastici», aprile-maggio 1919).

La «collana dei ricordi» è la logica dei ricordi, che associa significati, usi e spazi propri a ogni casa; se essa si spezza, tutto diventa all'improvviso nuovo. Tale situazione, che crea una diversa realtà o che carica di informazioni nuove gli oggetti comuni e le situazioni della sfera quotidiana, può essere proposta dalla pittura estraniando gli oggetti dal loro usuale contesto oppure mostrando come inanimati luoghi fatti per contenere persone, con un effetto provocatorio che genera un vago senso di turbamento. i Surrealisti ritennero De Chirico loro precursore ma De Chirico non farà mai ricorso al sogno, all'automatismo, all'inconscio, alla pretesa di conciliare sogno e veglia in una realtà trasfigurata e superiore.

La vita pittorica e gli interessi artistici di Giorgio de Chirico possono essere condensati ed esemplificati nelle frasi epigrafiche che accompagnano due suoi autoritratti e in una celebre affermazione: «Pictor classicus sum» (Sono un pittore classico). Nella prima epigrafe si legge: «Et quid amabo nisi quod aenigma est?», cioè «E cosa amerò se non ciò che è enigma?»;

nella seconda (scolpita in un cartiglio che l'artista, come in un ritratto del Quattrocento, tiene con la mano destra) è detto invece: «Et quid amabo nisi quod rerum metaphysica est?», «E cosa amerò se non ciò che è metafisica?».

I capisaldi della pittura di De Chirico L’enigma, la Metafisica e la classicità

La classicità è l’essenza del suo dipingere L’enigma è il mistero, il dubbio, il segreto da svelare, l’inspiegabile La Metafisica è quella verità nuova che si cela in ogni oggetto se solo si riesce a vederlo o immaginarlo al di fuori del suo solito contesto La classicità è l’essenza del suo dipingere

De Chirico parla del Futurismo che, con le sue «baldorie», aveva dato il colpo di grazia alla pittura italiana «in fatto di materia e di mestiere» concludendo: «Per mio conto sono tranquillo, e mi fregio di tre parole che voglio siano il suggello d'ogni mia opera: Pictor classicus sum». De Chirico, pertanto, ritiene di essere sempre stato classico perché in linea con la tradizione pittorica italiana basata sul disegno, sulla forma e sul volume.

I TEMI METAFISICI Il manichino (sorta di oggetto vivente-non vivente), il pavimento in assi di legno come quelle dei palcoscenici, la stanza prospetticamente definita, il paesaggio urbano con un edificio industriale dotato di arcate e alte ciminiere che non buttano fumo, il senso infinito dell'attesa (il manichino visto di spalle e rivolto verso la porta aperta della stanza, come se aspettasse qualcuno).

L’enigma dell’ora Il colore uniforme e il cielo limpido che traspare dalle aperture del portico e della loggia contribuiscono a definire la geometria dell'architettura resa in modo essenziale, ma con una prospettiva approssimativa.

[a] Un porticato sovrastato da una loggia occupa quasi l’intero spazio della tela.

[b] Nell’ombra del porticato una figura umana immobile aspetta.

[c] In basso i raggi del sole pomeridiano sfiorano appena una vasca con uno zampillo d’acqua…

[d] mentre investono l’uomo vestito di bianco che le sta di fianco.

[e] I due uomini immobili e l’orologio stabiliscono con l’osservatore un rapporto di attesa.

Nel mezzo di una grande piazza dominata dalla rossa sagoma del Castello Estense di Ferrara, si protende un palco formato da tavole di legno il cui colore non è molto dissimile da quello del castello. Le fughe delle assi sembrano governate da una prospettiva rigorosa, ma è solo apparenza. Infatti, almeno due sono i punti di fuga del palco, ma molto vicini, tanto da suggerirne alla vista uno solo Le muse inquietanti

Sul palco prendono posto armonicamente delle statue-manichino dalle grandi teste ovoidali e collocate su piedistalli (la figura inanimata al centro, seduta su un parallelepipedo azzurro, è "smontata": la sua testa rimossa le è appoggiata ai piedi). Altri corpi geometrici, colorati come i giochi di un bimbo, sono disposti fra i muti personaggi di pietra. L'uomo è assente dalla scena, le finestre degli edifici sono buie o chiuse. Le Muse, protettrici delle arti, sono immobili ed enigmatiche presenze depositarie di un mistero inaccessibile e inquietante.

Rosse e alte ciminiere sulla sinistra non buttano fumo e non sono, pertanto, segno di attività o di vita. Le muse ispiratrici sono qui ridotte a fantocci, manichini incomunicanti: quella di sinistra, volta di spalle, risulta dall’assemblaggio di pezzi scultorei con una testa di manichino di sartoria; anche quella di destra rimanda ad una scultura classica, ma si rivela un manichino nel tratteggio di sartoria e nell’attaccatura della testa

La brezza che muove i vessilli issati sul castello e che rende terso il cielo, la nitidezza del segno, la mancanza di una prospettiva atmosferica, le ombre nette e lunghe, il colore caldo e dorato che pervade l'intero dipinto, il silenzio che regna sovrano, il tempo sospeso sono gli ingredienti di cui l'artista si serve per prospettarci una realtà diversa da quella usuale, metafisica appunto, di cui non siamo sempre consapevoli, ma che è insita in tutte le cose - se solo sappiamo percepirla

Le atmosfere magiche e enigmatiche dei quadri di De Chirico colpiscono proprio per l’apparente semplicità di ciò che mostrano. Invece le sue immagini mostrano una realtà che solo apparentemente assomiglia a quella che noi conosciamo dalla nostra esperienza. Uno sguardo più attento ci mostra che la luce è irreale e colora gli oggetti e il cielo di tinte innaturali. La prospettiva, che sembrava costruire uno spazio geometricamente plausibile, è invece quasi sempre volutamente deformata, così che lo spazio acquista un aspetto inedito. Le scene urbane, che sono protagoniste indiscusse di questi quadri, hanno un aspetto dilatato e vuoto. In esse predomina l’assenza di vita e il silenzio più assoluto.