SALA DEI NOVE – Palazzo Pubblico Siena
La grande stagione della pittura senese del Trecento vede nei fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti i propri ultimi, straordinari rappresentanti. Mentre Pietro (Siena, 1280/1285-ca 1348), sulla scia di Giotto, raggiunge vette di grande drammaticità espressiva, Ambrogio riesce, più del fratello, a essere testimone attento e partecipe della vita sociale e degli ideali politici del suo tempo. Le notizie biografiche su Ambrogio Lorenzetti sono, se possibile, ancora più frammentarie di quelle - già scarse - relative al poco più anziano fratello. La sua data di nascita può comunque essere collocata intorno all'ultimo quindicennio del XIII secolo. Solo la data di morte è certa, in quanto desumibile dal testamento redatto in tutta fretta il 9 giugno 1348, l'anno della terribile pestilenza che devastò tutta l'Europa. Senese di nascita, Ambrogio Lorenzetti è molto attivo anche a Firenze. I soggiorni fiorentini lo mettono necessariamente in contatto con la produzione di Giotto e della sua scuola che, al contrario del fratello Pietro, assimila con meno entusiasmo. Infatti, la radicata formazione senese gli impediscono di aderire in profondità ai nuovi canoni artistici della pittura fiorentina e in particolare a Giotto. Alla prospettiva giottesca, infatti, che tenta di definire la reale collocazione dei personaggi nello spazio, Ambrogio contrappone una visione della realtà, nella quale tutte le figure vengono ridotte a preziosi arabeschi decorativi.
Alla solidità strutturale e alla corporeità dei personaggi di scuola fiorentina, modellati nello spazio mediante il chiaroscuro, il maestro senese preferisce la sinuosità delle linee di contorno che racchiudono campiture di colori omogenei e squillanti. La nutrita produzione artistica del Lorenzetti spazia dal fondo oro di carattere religioso (principalmente Maestà e Madonne con il Bambino) agli affreschi di carattere civile. Il più importante è il ciclo del Buon Governo e del Cattivo Governo, nella Sala dei Nove, al primo piano del Palazzo Pubblico di Siena. Realizzato tra il 1338 e il 1339, tale ciclo si snoda grandiosamente lungo tre pareti contigue del vasto salone. Quella minore (a destra entrando), è occupata dalle complesse allegorie del Buon Governo. Su quella lunga d'ingresso, invece, sono rappresentati gli Effetti del Buon Governo in città e in campagna. La seconda parete lunga, infine, quella che prima ci troviamo davanti agli occhi entrando nella sala, ospita - purtroppo molto deteriorate - le allegorie del Cattivo Governo e, analogamente, degli Effetti del Cattivo Governo in città e in campagna.
La Sala dei Nove o del "Buon Governo" La sala incarna appieno la mentalità dei Nove, la forma di governo che più a lungo e meglio resse a Siena, dal 1287 al 1355, garantendole uno sviluppo economico e artistico con pochi eguali al mondo. I Nove incaricarono nel 1337, Ambrogio Lorenzetti, che dopo la partenza di Simone Martini per la corte papale ad Avignone, era rimasto il principale interprete della Scuola senese, di decorare l'ambiente. In esso i Nove ricevevano gli ospiti, volendo che fosse immediatamente chiaro quali erano gli ideali che ispiravano il loro agire. Scegliendo Ambrogio per la loro realizzazione i Nove intendono onorarlo - come già era avvenuto per la Maestà di Simone Martini - quale miglior pittore senese del momento o, quanto meno, quale miglior interprete del modo di vivere e di pensare della ricca borghesia mercantile allora al potere. L'importanza di questi affreschi è assolutamente fondamentale soprattutto se si considera che essi sono una delle prime espressioni di arte civile (cioè non religiosa) del nostro Medioevo. Si tratta, infatti, del primo ciclo profano della storia dell'arte e si sviluppa per vari gradi descrittivi con una meticolosa determinazione didascalica, come a dire che non vi dovesse essere alcun dubbio sulla comprensione del messaggio proposto.
“Allegoria del Buon Governo” La grandiosa “Allegoria del buon governo“, emblema orgoglioso delle virtù civili dei Senesi, è - non a caso - inondata dalla luce proveniente dall'alta finestra dell'opposta parete corta. Essa si basa sul concetto della divisione dei poteri tra il "governo", raffigurato attraverso un vecchio saggio, e la "giustizia" dotata della simbolica bilancia. I due protagonisti dell' amministrazione dello Stato agiscono sullo stesso piano, pur lavorando in ambiti diversi.
Magnanimità Temperanza Giustizia Sapienza Concordia I 24 consiglieri della città Governo Fede Speranza Carità Prudenza Fortezza Pace
Nell'affresco vi è un complicato intrecciarsi di figure simboliche, secondo uno schema che il colto Ambrogio ha probabilmente attinto dalle teorie filosofiche di San Tommaso d'Aquino (1225-1274), il più importante e studiato fra i Dottori della Chiesa medioevali. Il "governo" si avvale dell'apporto delle virtù cristiane, nel suo operare, mentre la "giustizia" è assistita dalla "sapienza". Dai piatti della bilancia della "giustizia" si diparte un doppio filo, poi riunito dalla figura della "concordia" e consegnato da questa a ventiquattro cittadini che lo riconducono al "governo”.
In tale visione il Buon Governo, dunque, è rappresentato da un vecchio saggio con scettro, scudo e corona. Vestito di un mantello bianco e nero (i colori dello stemma di Siena), egli è assiso in trono sotto le figure alate di Fede, Speranza e Carità. Alla sua destra siedono la Prudenza, la Fortezza e la Pace, mentre alla sua sinistra vi sono la Magnanimità, la Temperanza e la Giustizia.
Quest'ultima riappare incoronata in trono, all'estrema sinistra del dipinto e quasi con il medesimo rilievo del gran saggio. Essa è raffigurata in atto di reggere in perfetto equilibrio la bilancia, in ciò ispirata dall'alto dalla Sapienza. Conclude la complessa composizione una sottostante sfilata di ventiquattro Consiglieri della città che reggono simbolicamente due lunghi cordoni che la Concordia, seduta immediatamente sotto la Giustizia, porge loro. Tali cordoni si dipartono dai due piatti della bilancia e stanno a significare come ciascun cittadino debba essere legato all'altro da una concorde e unitaria volontà di giustizia.
Sull' altro lato della figurazione è schierato l' esercito con dei prigionieri in catene, come altro elemento fondamentale dell'equilibrio politico. Ai piedi del "governo" è assisa una lupa, per la prima volta proposta come simbolo della città, un segno che fino ai nostri giorni è stato riproposto nelle architetture, nelle monete, nelle insegne anche più umili.
Tramite questo affresco l'oligarchia al potere celebra se stessa e la propria potenza raffigurandosi come sostenitrice di un governo giusto e saggio, all'interno del quale ognuno deve concorrere con equilibrio e lealtà al bene comune, nel rispetto delle leggi di Dio e di quelle degli uomini. La pace Questa ha le sembianze di una giovane donna languidamente semidistesa su un cumulo di corazze, con un ramoscello d'ulivo nella mano sinistra e con la mano destra in atto di sorreggersi il capo. Il corpo, di cui pur si intuisce il carnoso tondeggiare sotto una lunga veste classicheggiante, non ha il rilievo massiccio che gli avrebbe conferito Giotto.
Il corpo è evidenziato dal susseguirsi di linee curve che, grazie a un panneggio più decorativo che realistico, congiungono le spalle alle cosce e queste alle ginocchia, con un tratto fluente e continuo. Significativo, a tale proposito, è il colore della sottile veste, steso in modo uniforme e con pochissimi tocchi di chiaroscuro. Ciò evidenzia ancora di più il senso di distensione e di pace della figura che, unica tra tutte quelle dell'allegoria, sembra addirittura ispirarsi alla serena compostezza di una statua classica.
Effetti del Buon Governo in città e in campagna L'affresco, che si trova nella parete sovrastante la porta d' accesso, lungo circa 14 metri, rappresenta nella metà di sinistra la città di Siena e, in quella di destra, un ampio tratto del contado circostante. È la prima volta, in tutta la storia della pittura gotica italiana, che il paesaggio, solitamente ignorato a favore del fondo oro o tutt'al più - dopo Giotto - utilizzato come semplice sfondo di una narrazione, diventa esso stesso soggetto principale.
La città e il paesaggio non sono astratti ma ben identificabili in Siena e nel suo territorio, raffigurati con tutte le loro peculiari caratteristiche. Nella Siena medievale fervono le varie attività: i commerci, le manifatture, lo studio. Nella raffigurazione della città, irta di torri in muratura e di splendidi palazzi merlati, gli effetti del Buon Governo sono evidenziati descrivendo con compiaciuta minuzia la maestà degli edifici e la pacifica operosità degli abitanti.
Ecco allora i maestri muratori intenti a erigere torri sempre più alte e sicure,
ecco i contadini che conducono al mercato le loro greggi,
ecco infine i cavalieri, i mercanti e gli artigiani, ciascuno dei quali svolge la propria attività con competenza e passione. Ogni vicolo pullula di vita e la piazza principale è tutta un pacifico e operoso brulicare di uomini e donne sereni e indaffarati.
Anche il divertimento trova spazio nella visione lorenzettiana della ricca e ben governata Siena dei primi decenni del XIV secolo. Un gruppo di dieci fanciulle riccamente agghindate stanno infatti danzando un'allegra caròla. Esse si tengono spensieratamente per mano, al suono di un tamburello a sonagli.
Gli effetti positivi del Buon Governo si propagano beneficamente anche al di fuori delle robuste e ben guarnite mura cittadine. La campagna, infatti, rispecchia gli stessi principi d'ordine, prosperità e operosità già messi in evidenza in città. I campi diligentemente coltivati si alternano ai pascoli, ai frutteti e ai boschi rigogliosi. Le dolci colline punteggiate, fino agli estremi limiti dell'orizzonte, di case coloniche, castelli e pievi, a riconferma della totale assenza di qualsiasi nemico esterno. I contadini lavorano di buona lena, gli animali pascolano tranquilli
e un gruppo di giovani cavalieri parte lietamente per una battuta di caccia al falcone.
In alto aleggia la Secùritas (Sicurezza) In alto aleggia la Secùritas (Sicurezza). Avvolta in un leggerissimo velo scivolatole sulle gambe, essa reca nelle mani la macabra rappresentazione di un impiccato, simbolo di una giustizia implacabile con chi trasgredisce le leggi, e un voluminoso cartiglio. In questo si ricorda che ciascuno può percorrere la città e il contado in piena libertà, attendendo serenamente alle proprie faccende, fino a che la Sicurezza continuerà a regnare.
Sulla parte opposta, rispondendo ad una esigenza di tipo didattico, sono raffigurati "L'allegoria e gli effetti del cattivo governo" in modo che l'esempio negativo possa ancor più far brillare le concezioni dei Nove.
Il tiranno, ai cui piedi vi è un caprone (simbolo di Lussuria), è sovrastato da Avarizia, una vecchia con ali di pipistrello, le cui mani uncinate tengono sacchi di monete strette in ceppi; Superbia, con la spada e il giogo simboli di tirannide; Vanagloria intenta a specchiarsi. Ai lati siedono Crudeltà che strozza un bambino; Tradimento, che regge un agnello dalla coda velenosa di scorpione; Frode, con ali di pipistrello e piedi unghiuti; Furore, metà uomo e metà bestia, che tiene un pugnale e ai suoi piedi delle pietre, simbolo delle rivolte urbane; Divisione, vestita con i colori di Siena su cui si legge SI e NO, che taglia se stessa con una grande sega; infine un guerriero sul cui scudo è scritto “Guerra”
Il concetto che si vuole esplicitare è quello della "tirannia", di un tipo di governo cioè che non guarda al bene comune ma ai propri ristretti interessi. Per ottenere lo squallido risultato il Tiranno, che come consiglieri ha i "vizi", ha dovuto per prima cosa neutralizzare la "giustizia" che, legata e spogliata, è ormai priva delle sue prerogative.
Ne conseguono effetti devastanti per la città e la campagna, ridotte a scenario di angherie e violenza, teatro di morte e distruzione, dove nessuno lavora e soltanto il fabbro prosegue nella sua mortifera attività di costruttore d'armi.
Conclusioni Nell’affresco di Ambrogio non vi è, nonostante l'apparenza. alcun desiderio di rappresentazione realistica. Si osservi, al riguardo, come la prospettiva degli edifici cittadini non segua una regola geometrica unica, comune a tutti, e come -di conseguenza - essi appaiano innaturalmente incombenti. Analogamente, nella raffigurazione della campagna non sono tenute in alcun conto le più elementari regole della visione e anche gli alberi o gli edifici all'orizzonte conservano le stesse dimensioni apparenti di quelli vicini. Il Lorenzetti, pur prendendo spunto dalla realtà, la trasforma togliendole ogni verosimiglianza e trasportandola in una dimensione di favola incantata. La sensazione che ne ricaviamo è quella di un'intima e commossa adesione dell'artista a ciò che dipinge, nella piena consapevolezza di aver saputo dare poeticamente corpo alle aspirazioni e alle certezze dei suoi concittadini. Egli è infatti il cantore più alto delle virtù civiche di quella Siena ricca e orgogliosa che era al colmo del suo splendore politico ed economico. Ambrogio è il primo e più alto artista capace di esprimere le novità di una pittura a soggetto civile.