Gli etruschi Tra il IX e il VII secolo a. C.

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Transcript della presentazione:

Gli etruschi Tra il IX e il VII secolo a. C. Gli Etruschi sono un popolo dell'Italia antica affermatosi in un'area denominata Etruria corrispondente al triangolo compreso tra l’Arno (a Nord), il Tevere (a Sud) e il Mar Tirreno (a Ovest), comprendendo quasi tutti i territori dell'attuale Toscana e parte di quelli di Umbria e Lazio, con propaggini in Campania e verso la zona padana dell'Emilia Romagna. Il massimo di prosperità e di espansione fu raggiunto dagli Etruschi verso la metà del VI secolo a. C.

Un po’ di storia… Riguardo le loro origini due sono le ipotesi più diffuse: Erodoto, uno dei più grandi storici greci dell'età classica (484-425 a.C), riferisce che gli Etruschi provengono dalla Lidia, un'antica regione dell'Asia Minore corrispondente a parte dell'attuale Turchia occidentale; Dionigi di Alicarnasso uno storico greco di epoca ellenistica (I secolo a. C), è invece il primo a sostenere la teoria secondo la quale gli Etruschi sono una popolazione autòctona. Vi è una terza che avrebbe voluto gli Etruschi provenire dai territori della Rezia, una vasta regione alpina comprendente all'incirca le attuali Svizzera, Baviera, Austria, Trentino e Alto Adige Di essi cominciamo ad avere notizie affidabili solo tra il 700 e il 450 a.C quando, giunti alla loro massima espansione territoriale. L'arresto della loro espansione cominciò invece sul finire del secolo e fu seguito da declino nel V secolo a. C. Prima fu Roma a liberarsi dalla loro supremazia con la cacciata, verso il 509 a.C., dei Tarquini; poi se ne liberarono i Latini, che, insieme ai coloni Greci, li sconfissero in battaglia. Dal 289 a. C. in poi tutta l’Etruria viene sottomessa a Roma.

Per gli Etruschi ogni espressione artistica è profondamente connessa con qualche esigenza di carattere religioso. Diversamente dai Greci, infatti, essi non arrivano mai a considerare l'arte come libera attività dello spirito ma la vedono sempre legata a precise necessità di ordine pratico e religioso. Mentre l'uomo greco giunge, in età classica, a sentirsi orgogliosamente capace di costruire la propria vita con le sue sole forze, l'uomo etrusco sembra piuttosto subire un destino ignoto. Egli si sente pertanto costretto a impiegare ogni sua energia intellettuale per assecondare il volere degli dei, inter­pretarne i segni e assicurarsene la benevolenza.

La religione Alla base della religione etrusca stava l’idea fondamentale che la natura dipendesse strettamente dalla divinità. Ne conseguiva che ogni fenomeno naturale era espressione della volontà divina; o meglio, un segnale che la divinità stessa inviava all’uomo il quale, a sua volta, doveva fare del tutto per capirlo, scoprirne il significato e adeguarsi ad esso. Comportarsi cioè secondo il volere divino. Confronto con Egizi e Greci Gli Etruschi elaborano una dottrina religiosa incentrata su una visione estremamente cupa della morte. Essi non posseggono né la certezza degli Egizi riguardo alla beatitudine della vita ultraterrena né, tantomeno, hanno con la divinità il rapporto confidenziale dei Greci

Gli Etruschi, infatti, vedono nei propri dei (molti dei quali derivano dalla tradizione greca) degli esseri misteriosi e, in quanto tali, sempre potenzialmente nemici. Per questo essi immaginano l'esistenza di un mondo sotterraneo dell'oltre­tomba, popolato da tremende divinità infernali. Gli dei etruschi erano ostili e disposti a fare del male. La religione etrusca serve quindi per interpretare la volontà di questi dei e soddisfare ciecamente il loro volere. Dopo la morte essi pensano che l'anima viaggiasse verso il regno dei morti e soggiornasse nel mondo sotterraneo. Soggiorno triste, senza speranza, a volte dominato dallo spavento che incute la presenza di mostruosi demoni, o addirittura dai tormenti che essi infliggono alle anime. È, in sostanza, la materializzazione dell'angoscia della morte

AITA: il signore degli inferi vestito con una pelle di lupo, che impugna uno scettro con un serpente avvinghiato DIVINITA’ INFERNALI CHARUN VANTH TUCHULCA

E a simboleggiare la morte sono specialmente due figure infernali: la dea Vanth, la dea alata della morte dalle grandi ali e con la torcia, che, simile alla greca Moira, rappresenta il fato implacabile e assiste impassibile all’agonia dei morenti

e il dèmone Charun, figura semibestiale armata di un pesante martello, con naso adunco e orecchie aguzze che sottrae i defunti alle preghiere dei loro familiari percuotendoli con un gigantesco martello e scortandoli nel regno dei morti. Può considerarsi una paurosa deformazione del greco Caronte dal quale prende il nome.

Ma la demonologia infernale è ricca e pittoresca, e conosce altri personaggi, come l'orripilante Tuchulcha con corpo umano, il volto di avvoltoio, le orecchie d'asino, i serpenti tra i capelli, le zampe e le ali di rapace e armato di serpenti; Egli impedisce ai defunti di fuggire dagli Inferi.

Solo la presenza di una tomba bella e corredata con utensili e offerte può mettere al riparo i morti da questi demoni consentendo ai defunti di sottrarsi a punizioni terribili. La religione doveva essere il tramite tra gli dei e gli uomini per interpretare la volontà degli dei e compiacerli. Per questo i sacerdoti erano potenti perché praticavano l’arte della divinazione

L’arte divinatoria Lo strumento di conoscenza per l’approccio ai segni con cui il volere divino si manifestava era la divinazione; un’arte che gli stessi dei avevano insegnato agli uomini e che poggiava sul fondamento teorico della corrispondenza tra mondo celeste e mondo terreno: il mondo degli dei e quello degli uomini. All’interno di questo sistema, erano fondamentali la definizione e la partizione dello spazio celeste, sede degli dei. Dal momento che nello spazio celeste si trovavano le sedi degli dei, il cielo era la fonte di informazione più autorevole e diretta. Esso costituiva quindi il primo e fondamentale ambito di osservazione per ogni pratica divinatoria. Il segno più frequente e dunque più osservato nel cielo era quello rappresentato dal fulmine.

L’interpretazione delle viscere o aruspicina Le viscere degli animali di cui si servivano gli Aruspici erano di diverso tipo: polmoni, milza, cuore, ma specialmente fegato (in latino hepas). Esse venivano strappate ancora palpitanti dal corpo degli animali appena uccisi ed espressamente riservati alla consultazione divinatoria e quindi distinti da quelli immolati per il sacrificio. Si trattava in genere di buoi e talvolta anche di cavalli ma soprattutto di pecore. Delle viscere dovevano essere prese in considerazione la forma, le dimensioni, il colore ed ogni minimo particolare, specialmente gli eventuali difetti.

L’osservazione era più minuziosa nel caso del fegato, dato che in esso, veniva riconosciuto il “tempio terrestre” corrispondente al “tempio celeste”. La sua importanza era del resto connessa alla credenza diffusa presso gli antichi che esso fosse la sede degli affetti, del coraggio, dell’ira e dell’intelligenza. Ritenuto che nel fegato fosse esattamente proiettata la divisione della volta celeste, si trattava di riconoscere a quale delle caselle di quella corrispondessero, nel fegato, le irregolarità. Per meglio riuscire nell’intento, per l’istruzione dei giovani aruspici, venivano utilizzati degli appositi modelli di fegato, in bronzo o in terracotta, sui quali erano riprodotte le varie ripartizioni e scritti i nomi delle diverse divinità.

I primi villaggi etruschi erano costruiti da capanne a pianta quadrata, rettangolare o tonda con un tetto molto spiovente (generalmente in paglia o argilla). Urna cineraria a capanna

Le città etrusche si differenziavano dagli altri insediamenti italici perché non erano disposte a caso, ma seguivano una logica economica o strategica ben precisa. Ad esempio, alcune città erano poste in cima a delle alture, cosa che rendeva possibile il controllo di vaste aree sottostanti, sia terrestri che marittime. Altre città sorgono in un territorio particolarmente fertile e adatto all‘agricoltura.

S N E cardo decumano O La città etrusca veniva fondata dapprima tracciando con un aratro il perimetro esterno e poi due assi principali fra loro perpendicolari, detti cardo (nord-sud) e decumano (est-ovest), in seguito dividendo i quattro settori così ottenuti in insulae (dal latino, isole), tramite un reticolo di strade parallele al cardo e al decumano.

Non è, in ogni caso, una novità etrusca, in quanto l'idea di fondare le città partendo da due strade perpendicolari era di uso comune in Grecia e fu ripresa in epoche successive anche dai Romani per fondare accampamenti e città. Le città sono cinte da mura, molto spesso ciclopiche, le quali rappresentano l'unica testimonianza, assieme a tombe e basamenti di templi, di architettura etrusca in pietra. I materiali usati erano l‘argilla, il tufo e la pietra calcarea; il marmo invece era pressoché sconosciuto.

Le città etrusche sono cinte di mura di dimensioni ciclopiche con pietre a forma di parallelepipedo poste in opera a filari isodomi

L'ingresso alla città avviene attraverso le porte, che erano solitamente sette o quattro (ma si hanno testimonianze di alcune città a cinque e sei entrate), le più importanti in corrispondenza delle estremità del cardo e del decumano. Inizialmente erano delle semplici architravi, ma a partire dal V sec. a.C. le porte assunsero caratteristiche imponenti a forma di arco, costruite incastrando a secco tra loro enormi blocchi di tufo, a loro volta inseriti nelle mura.

Porta Marzia Le porte di epoca tardo-etrusca, come ad esempio la Porta Marzia e l’Arco Etrusco di Perugia, erano inoltre decorate con fregi e bassorilievi nelle loro parti principali

L’arco si inizia a costruire dai due estremi del piano di imposta

e termina con il concio di chiave che chiude la struttura. Durante le fasi della costruzione si ricorreva a una struttura in grado di sostenerlo, la cèntina. Essa, solitamente di legno, si costruisce prima dell’arco e ha la funzione di dargli la forma desiderata. Una volta sistemato il concio di chiave la centina viene smontata

Dei templi etruschi e, più in generale dell'architettura religiosa, sono giunte sino a noi solo poche testimonianze perchè i templi erano costruiti con materiali deperibili. Dobbiamo accontentarci di modelli in terracotta o di resti di fondamenta.

IL TEMPIO ETRUSCO Le informazioni che abbiamo su di essi ci provengono dai testi di Vitruvio (in epoca romana). A differenza dei templi greci ed egizi, quelli etruschi non erano la dimora terrena della divinità, bensì un luogo in cui recarsi per pregare gli dei, per onorarli e interrogarli. Sulla base di quello greco, esso ha pianta rettangolare ma è spesso collocato su un alto podio in muratura, accessibile non più tramite un crepidoma perimetrale, ma attraverso un'unica, ripida scalinata frontale, che ne individua immediatamente l'entrata rivolta a Oriente. Per quanto riguarda l’ordine delle colonne, Vitruvio classifica un nuovo ordine, quello tuscanico da Tuscia. Le colonne erano in legno, senza scanalature e policrome.

Differenze con il tempio greco Il tempio era accessibile non tramite un crepidoma perimetrale, ma attraverso una scalinata frontale. L'area del tempio è divisa in due zone: una antecedente o pronao, porticata, con otto colonne disposte in due file da quattro, una posteriore costituita da tre celle uguali e coperte, ognuna dedicata ad una particolare divinità (forse Tinia, Uni e Menerva). L’ordine delle colonne è tuscanico. a differenza di quelle doriche, esse non poggiano direttamente sullo stilobate, ma su una massiccia base, formata da un plinto a pianta quadrata sormontato da un toro solitamente della medesima larghezza del plinto sottostante

Colonne di ordine tuscanico, lignee, prive di scanalature e policrome Il tetto, molto spiovente, è del tipo a due falde e ricalca, nella forma come nei materiali, quelli delle abitazioni etrusche, Il capitello è assai più modesto e meno massiccio di quello dorico. L'abaco, che non sporge dall'echino, è a sua volta sormontato dalle travi lignee che costituiscono la trabeazione. Il fusto pur essendo rastremato verso l'alto (il diametro al sommoscapo infatti, è ¾, non i 5/6, di quello all'imoscapo), risulta completamente privo di entasi. Poggiano su una base formata da un plinto a pianta quadrata sormontato da un toro

Unici motivi decorativi del tempio etrusco sono gli acroteri e le antefisse, solitamente realizzati in terracotta dipinta. La loro funzione, però, è sempre legata anche alle ritualità religiose, come nel caso dell'antefissa proveniente dal tempio dedicato a Minerva a Veio. Essa, infatti, rappresenta una mostruosa testa di Gorgone con evidente funzione apotropaica, cioè di protezione contro le divinità infernali antefissa

Lo stretto rapporto di sudditanza nel quale gli Etruschi si pongono rispetto alla divinità li spinge a privilegiare soprattutto l'architettura funeraria, in quanto è proprio nel mistero della morte che gli dei manifestano maggiormente la loro supremazia. Ecco dunque spiegato il motivo per cui, fin dagli inizi, tutte le tombe etrusche vengono costruite in pietra e, in quanto tali, si sono conservate fino a oggi. L'uomo ha bisogno - dopo morto - di un luogo nel quale la sua anima possa continuare a vivere in un ambiente intimo e familiare. È per questo che la tomba assume tutte le caratteristiche che aveva la casa, della quale ripropone forma e dimensioni. Come una casa accogliente, infatti, essa deve contenere cibi, bevande, utensili, volti amici, arredi e quant'altro è necessario per vivere nell'aldilà e quasi sconfiggere la morte. Poiché la tomba, al contrario delle abitazioni, è buia, le sue pareti dovranno anche essere vivacemente decorate, affinché la dolcezza delle rappresentazioni e la luminosità delle pitture aiutino a contrastare il buio eterno della morte.

Tre tipologie di tombe: costruzioni ipogee Esse erano scavate interamente sottoterra o erano ricavate all'interno di cavità naturali preesistenti (grotte, caverne, ecc...). Tra esse, la più famosa è l‘Ipogeo dei Volumni a Ponte San Giovanni Questo tipo di tombe era formato da un ripido accesso a gradini, che portava direttamente nell'atrio rettangolare, al fondo del quale si trova la camera sepolcrale principale. Alla destra e alla sinistra dell'atrio si aprono, simmetricamente, altre otto piccole camere ipogee (tre per parte, due delle quali doppie) di forma pressoché cubica. Esse imitano l'organizzazione dello spazio domestico e servono per i riti funerari o come depositi di doni e offerte.

Scala di accesso Atrio Camera principale Camere secondarie

Costruzioni a tumulo (tholos) Esse devono il proprio nome al fatto che, una volta eseguita la sepoltura, venivano ricoperte da mucchi di terra, allo scopo di creare una specie di collinetta artificiale. Ognuna di queste tombe si articola, come le ipogèe, in diverse camere sepolcrali di dimensioni proporzionali alla ricchezza e alla notorietà del defunto o della famiglia del defunto. Tra esse ricordiamo la Tomba dei Rilievi, all'interno della necropoli della Banditaccia, presso Cerveteri. I tumuli, a pianta generalmente circolare, sono sostenuti da coperture di vario tipo (pseudocupole, pseudovolte, lastroni piani) appoggiate a una struttura cilindrica detta tamburo

Le più antiche sono composte di un'unica vasta camera circolare, solo parzialmente scavata nel terreno, sormontata da una massiccia tholos in pietra.

L'accesso alla tomba avviene attraverso alcuni gradini e si imbocca un dromos scoperto lungo circa 11 metri . Questo immette a sua volta in un piccolo atrio rettangolare. A metà di tali pareti si accede a due strette camere laterali adibite a deposito delle offerte. Sia l'atrio, sia le camere laterali sono coperte con lastre di pietra inclinate a imitazione delle falde di un tetto a capanna. accesso dromos Atrio

Dall'atrio si accede nella camera sepolcrale a tholos che è una pseudocupóla (come le tombe micenee) formata da una serie di lastroni sovrapposti in filari concentrici fino a chiudersi in corrispondenza di un massiccio pilastro centrale in tufo a pianta pressoché quadrata avente funzione di sostegno

Qui la copertura dell'unica camera sepolcrale è in lastre di tufo inclinate, in modo da imitare il soffitto ligneo di una normale casa di abitazione, con tanto di finte travi scolpite nella roccia. Tomba dei Rilievi

Tutte le pareti della camera e i pilastri che ne sorreggono il tetto sono coperti da rilievi molto realistici eseguiti in stucco dipinto (da cui il nome della tomba stessa). Essi rappresentano, in grandezza naturale, svariati utensili casalinghi (coltelli, tenaglie, padelle, asce, ventagli, bastoni, vasi, brocche, corde, cuscini), al fine di ricostruire intorno al defunto il suo ambiente domestico

Costruzioni a edicola Esse erano costruite completamente fuori terra, si chiamano edicole perché hanno la forma di tempio in miniatura ma in pratica sono molto simili alle abitazioni dei primi insediamenti etruschi. In un'unica costruzione, quindi, si concentra il senso della vita (la casa), della religiosità (il tempio) e della morte (la tomba). Tra esse, ricordiamo il Bronzetto dell’Offerente, la meglio conservata, che si trova a Populonia.

La pittura in Etruria fu destinata generalmente al mondo dei morti ed ebbe sempre un legame con la vita quotidiana, una finalità pratica più che estetica. Dall’arte greca gli Etruschi trassero la maggior parte dei temi rielaborandoli però in forme espressive più immediate e decorative. Gli artisti etruschi con le loro opere, cercavano di ricreare un’atmosfera familiare e di fissare con forme dinamiche e colori brillanti la vitalità della vita terrena. Si trattò quindi di un’arte spontanea, che mirava all’intensità dell’espressione anche a costo di deformare la realtà naturale.

Due generi pittorici: L’affresco stucco Questa tecnica consiste nel dipingere su una parete a fresco, cioè quando l’intonaco non è seccato. In questo modo i colori, amalgamandosi con l'intonaco stesso, ne diventano parte integrante e, una volta asciugatosi quest'ultimo, entrano stabilmente a far parte del muro. Muratura isodoma Disegno inciso con punta metallica Disegno dipinto su intonaco fresco con applicazione dei colori Intonaco (argilla e torba o paglia)

la pittura etrusca non era perfettamente realistica, ovvero tendente a rappresentare la realtà per come ci appare, ma è legata a molti degli schemi propri della tradizione figurativa antica, con particolare riferimento a quella greca, ma anche a quella vicino-orientale ed egizia. I volti, infatti, sono sempre raffigurati di profilo,

cosi come le braccia e le gambe

L'occhio viene ancora dipinto in modo frontale

Particolare rilievo assumono i due danzatori affrescati sul limite destro della parete di fondo. Quello di destra, in particolare, è colto nell’atto di slanciare la gamba destra in un passo di danza. Per fare ciò scarica l'intero peso del corpo sulla gamba e sul piede sinistri, che per questa ragione vengono riprodotti in modo esageratamente dilatato. Tale accorgimento viene definito espressionista. Per sottolineare lo sforzo sostenuto dall'arto sinistro e, per contrapposizione, la leggerezza di quello destro, si deformano volontariamente alcune proporzioni dei corpi, al fine di indirizzare meglio l'attenzione su ciò che si vuole esprimere.

Nel VI e nel V secolo, infatti, il motivo dominante è quello del banchetto, cui si affiancano i giochi, le danze, la caccia, le attività di lavoro e così via. A partire dal IV secolo invece i temi cambiano: demoni infernali, eroi mitici, viaggi nell’aldilà mostrano un mondo più cupo, quasi ossessionato dalla morte. Indipendentemente dai soggetti, legati al motivo conviviale oppure al mondo mitologico o ancora a quello religioso, gli affreschi giunti fino a noi sono comunque quasi sempre lo specchio di una civiltà raffinata, attaccata alla vita e ai suoi riti quotidiani.

Il sanguinoso Sacrificio di Achille Il sanguinoso Sacrificio di Achille. Al centro l'eroe greco è rappresentato nell'atto di sgozzare ferocemente un guerriero troiano per vendicare la morte dell'amatissimo amico Patroclo. Presenziano alla crudele esecu­zione i demoni etruschi degli Inferi Charun (a destra), che brandisce minacciosamente il suo terribile martello, e Vanth (a sinistra), con le con le ali già spiegate, pronta ad accompagnare il morto nell'aldilà. Tomba Francois

In molti coperchi di sarcofagi accanto al defunto viene spesso rappresentata anche la moglie. L'usanza è da riferire alla volontà di ricreare attorno alla salma un ambiente familiare nel quale potersi più agevolmente rasserenare dopo la morte.

La coppia, semidistesa fra i cuscini di un triclinio, conserva ancora nei volti la rigidità del sorriso arcaico di evidente derivazione greca. L'attenzione ai dettagli del vestiario, invece, è più propriamente etrusca, in quanto la donna calza dei particolari stivaletti a punta (i cosiddetti calcei repandi) e un copricapo a calotta (tutulus)

L'intimità affettiva dei due coniugi, che costituisce un'altra carat­teristica tipicamente etrusca è ben rappresentata dal gesto del marito che abbraccia teneramente la sposa cingendole le spalle con il braccio destro

Scultura La scultura etrusca a tutto tondo utilizza di preferenza due materiali: il bronzo e la terracotta. La Lupa Capitolina L'opera raffigura il feroce animale con le zampe ben piantate al suolo e il muso voltato verso la propria sinistra.

La cosiddetta Chimera è una statua bronzea a tutto tondo rappresentante un mostro mitologico avente corpo e testa di leone, coda di serpente e, sulla schiena, una testa di capra vomitante fiamme.

La raffinata esecuzione di alcuni elementi della statua di Apollo quali: la ricercata acconciatura dei capelli, la presenza del cosiddetto sorriso arcaico, il complesso panneggio della veste e il sostegno decorativo, con palmette e doppi riccioli (che contribuisce a sorreggere la statua stessa), hanno fatto ritenere che l'opera potesse essere stata realizzata da un artista greco ma oggi è sttao smentito. Apollo di Veio di Vulca

Apollo dello Scasato

È molto realistica complessivamente. non possiede né le proporzioni ideali proprie della statuaria classica (la testa, ad esempio è troppo piccola rispetto al resto del corpo), né la raffinata tecnica scul­torea di quella ellenistica (la toga e il braccio sinistro infatti, risultano modellati in modo approssimativo e convenzionale). Nonostante ciò l'ampio e severo gesto del braccio destro e il volto, serio e pensoso, che doveva avere occhi in pasta vitrea o in avorio (oggi perduti), ci comunicano con immediatezza una sensazione di grande dignità ed equilibrio morali. L’Arringatore