per sorprendere il lettore Le figure retoriche non sono ACCESSORI per abbellire il DISCORSO MA “VEICOLI” di significati nascosti per sorprendere il lettore
Si chiamano figure retoriche i diversi aspetti che il pensiero assume nel discorso. Oggi vengono intese come “VEICOLI” di SIGNIFICATO che permettono cioè al lettore di cogliere i significati nascosti “dietro le parole”,contenuti nuovi rispetto all’uso comune delle parole stesse. La funzione delle figure diventa essenziale all'interno di un discorso, non tanto per abbellirlo,quanto piuttosto per sorprendere il lettore e non lasciarlo indifferente. La retorica, che è la scienza che studia le proprietà del discorso, le ha distinte, in: - figure di PAROLA = si basano sulla forma delle parole (allitterazione, chiasmo, climax,); - figure di PENSIERO = si basano sul significato delle parole (litote, metafora, ossimoro, similitudine, sinèddoche / metonimia, sinestesia );
ANAFORA: figura retorica di suono che consiste nella ripetizione di una parola all’inizio di due o più versi. Esempi: S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo; s’i’ fosse vento, lo tempestarei; s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i’ fosse Dio, mandere il en profondo; (Cecco Angiolieri, S’i’ fosse…)
1.ALLITTERAZIONE = deriva dal latino adlitterare, che significa appunto "allineare le lettere". L'allitterazione è una figura retorica che consiste nella ripetizione di una lettera, di una sillaba o più in generale di un suono all'inizio o all'interno di parole successive (Coca Cola, Marilyn Monroe ecc…). Pone l'attenzione sui rapporti tra le parole dal punto di vista del suono, al fine di “catturare” l’attenzione del lettore ed evocare così determinate idee o emozioni. Esempio: l’allitterazione dei suoni f / sc riproduce la sensazione del fruscio del fogliame agitato dal dolce vento, paragonato alla dolcezza delle parole del poeta: "Fr/e/sche le mie parole ne la s/era ti sian come il fruscìo che fan le foglie del gelso ne la man di chi le coglie silenzioso... (G. D’Annunzio)
Altri esempi di allitterazione e caddi come corpo morto cade. (Dante, Inferno, Canto V, v 142) Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; (F. Petrarca, Canzoniere, I, vv 9-11) Sotto questi cipressi, ove non spero, ove non penso di posarmi più:… (G. Carducci, Davanti San Guido, vv 105-106)
« UNO PER TUTTI TUTTI PER UNO » (Alexandre Dumas. I tre moschettieri) CHIASMO Il chiasmo (letteralmente dal greco "struttura a croce di chi greca") è la figura retorica di parola in cui si crea un incrocio immaginario tra due coppie di parole, in versi o in prosa. La disposizione contrapposta delle parole può essere raffigurata mediante la lettera greca ("chi"), corrispondente a "ch" aspirata. Il famoso motto dei Moschettieri, dal romanzo di Alexandre Dumas padre, è un esempio di chiasmo. Se lo scriviamo in questo modo: « UNO PER TUTTI TUTTI PER UNO » (Alexandre Dumas. I tre moschettieri) si può notare chiaramente la disposizione a X delle parole: basta infatti tracciare due linee, una che unisca le parole "tutti" e un'altra che unisca le parole "uno", per ottenere una X.
CLIMAX La climax (dal greco klímax, «scala», pronuncia: "clìmacs"), è una figura retorica di parola che consiste nell'usare più termini o locuzioni con intensità crescente. Se l'intensità è decrescente si parla di anticlimax. La climax serve ad attirare l’attenzione del lettore sulla sequenza di parole, al fine di suscitare nel suo animo un atteggiamento di crescente o decrescente partecipazione emotiva al testo. Esempi di climax e di anticlimax nei Promessi Sposi: - Ah birbone! Ah dannato! Ah assassino!" (climax) - "Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria..." (climax)
Don Abbondio non era nato con un cuor di leone LITOTE La litote è una figura retorica di parola che consiste nell’affermare un concetto attraverso la negazione del suo contrario. Serve ad attenuare il carico espressivo di ciò che si intende dire, perché ritenuto o troppo banale, o troppo offensivo, osceno o troppo crudo, o troppo doloroso. Un esempio di litote è probabilmente la definizione che Alessandro Manzoni dà di Don Abbondio nei Promessi Sposi: Don Abbondio non era nato con un cuor di leone per affermare il suo contrario, cioè che era pauroso, un codardo, ma in modo attenuato, delicato, non crudo e diretto (“Don Abbondio era un vile e codardo”), poiché il Manzoni non intendeva demonizzare la persona, quanto denunciarne il difetto / peccato morale (in base al principio cristiano del “salvare la persona, ma condannare il peccato”).
OSSìMORO L'ossimoro (pronunciabile tanto ossimòro quanto ossìmoro, dal greco όξύμωρον, composto da όξύς «acuto» e μωρός «sciocco») è una figura retorica di pensiero che consiste nell'accostamento di due termini in forte antitesi tra loro (contrari). I due termini sono spesso incompatibili. Si tratta quindi di una combinazione scelta deliberatamente o comunque significativa, tale da creare un originale contrasto, ottenendo spesso sorprendenti effetti stilistici che meravigliano / stupiscono il lettore (effetto dello straniamento). Esempi: brivido caldo, urlo silenzioso, disgustoso piacere, copia ori ginale. Esempi di ossìmoro nei Promessi Sposi: - “Assaporato dolorosamente” ( capitolo 2, r. 33) - “Silenzio assordante” (capitolo 32, r.45)
- " E il viso si contraeva, come le foglie d'un fiore" SIMILITUDINE La similitudine è la figura retorica in cui si paragona un oggetto ad un altro le cui proprietà sono ben note. Ad esempio: · bianca come la neve · rosso come il fuoco Differisce dalla metafora per la presenza di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali ("come") e per le conseguenze nella struttura della frase che questo comporta. Esempi di similitudine nei Promessi Sposi: - E quelle parole frizzavano sull'animo della poveretta, come lo scorrere d'una mano ruvida sur una ferita. - " E il viso si contraeva, come le foglie d'un fiore" - Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto.”-
tu sei un dio = (simile a) METAFORA La metafora (dal greco μεταφορά, da metaphérō, «io trasporto») è una figura retorica che implica un trasferimento di significato. Si ha quando, al termine che normalmente occuperebbe il posto nella frase, se ne sostituisce un altro il cui significato o funzione va a sovrapporsi a quella del termine originario creando, così, immagini di forte carica espressiva. Differisce dalla similitudine per l'assenza di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali ("come"). Esempi: tu sei un dio = (simile a) …e prego anch’io nel tuo porto quiete. (U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni, 11) =morte
Metonimia Consiste nella sostituzione di un termine con un altro, con cui è in rapporto: la causa per l’effetto, l’effetto per la causa, la materia per l’oggetto, il contenente per il contenuto, lo strumento al posto della persona, l’astratto per il concreto, il concreto per l’astratto, il simbolo per la cosa simbolizzata. Esempi: … s’accendon le finestre ad una ad una come tanti teatri. (V. Cardarelli, Sera di Liguria, 5-6) = causa per l’effetto
SINESTESìA La sinestesia è una figura retorica di parola che prevede l'accostamento di due sfere sensoriali diverse. Si tratta quindi di una combinazione scelta deliberatamente o comunque significativa, tale da creare un originale contrasto, ottenendo spesso sorprendenti effetti stilistici che meravigliano / stupiscono il lettore (effetto dello straniamento ), quindi ha una funzione identica a quella dell’ ossìmoro. Ha largo uso in poesia ed in genere nella versificazione. · All’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? (Salvatore Quasimodo, Alle Fronde dei Salici , da La buona novella) (udito e vista) profumo fresco (olfatto e tatto) colori chiassosi (vista e udito) muto sapore (udito e gusto)
SINEDDOCHE La sinèddoche (dal greco συνεκδοχή, «ricevere insieme») è una figura retorica che consiste nell'uso in senso figurato di una parola al posto di un'altra, mediante l'ampliamento o la restrizione del senso. La sostituzione può essere: della materia per l’oggetto (“Il legno solcava agile il mare” per “La nave”; o “il ferro" al posto della "spada"); del singolare per il plurale e viceversa ("l'Italiano" -inteso come persona- "all'estero" per "gli Italiani all'estero"); dello strumento per la qualità (“Sei una buona forchetta” per “Sei un gran mangiatore = vorace”); del contenitore per il contenuto (“Ci facciamo un bicchierino?” per “Beviamo il contenuto del bicchiere” = in genere alcolico: vino, birra…). La sineddoche si distingue dalla metonimia perché si basa su relazioni di tipo quantitativo:- di una parte parte per il tutto (“L’Olanda” per i “Paesi Bassi”);
L'hysteron proteron (locuzione greca, composta da hýsteron, «ultimo», e da próteron, «[come] primo») è una figura retorica che consiste nell'inversione dell'ordine cronologico di una successione di eventi, dei quali si dice per primo quello che è successo per ultimo, per dare risalto all'informazione più importante o per conseguire un particolare effetto espressivo. Es. Tu non avresti in tanto tratto e messo nel foco il dito = tirato indietro e messo il dito nel fuoco (Dante, Divina Commedia, Pd. XXII, 109-110)
La figura etimologica è la figura retorica in cui si ha l'accostamento di due parole che condividono la stessa radice etimologica. Esempio: “esta selva selvaggia" (Dante Alighieri, “Divina Commedia" Inferno Canto I, v.6) Onomatopea: è l'insieme di trascrizioni fonetiche e riproduzioni di rumori, voci di animali e suoni. Esempio: Il tuo trillo sembra la brina / che sgrigiola, il vetro che incrina... / trr trr trr terit tirit (Pascoli, L'uccellino del freddo).
La perifrasi è una figura retorica, detta anche comunemente "giro di parole" e consiste nell'utilizzare, anziché il termine proprio, una sequenza di parole per indicare una persona o una cosa. In essa, quindi, il significato di una parola o di una frase è espresso dalla descrizione dei rapporti di quel concetto con altri elementi: si ottiene così una serie diversa di parole o frasi, in genere più lunga. La parola perifrasi deriva dal greco, perí = intorno, phrázo = dire ="fare una frase attorno". Le perifrasi possono essere usate nel linguaggio di tutti i giorni per evitare una ripetizione ravvicinata dello stesso termine, per rendere meglio comprensibile un concetto complicato dal punto di vista tecnico, oppure per evitare termini che possono essere percepiti come non rispettosi, ma anche per dare varie sfumature all'oggetto. Esempi: “andò a ricevere il premio della sua carità” = per dire "morì" (A. Manzoni, I Promessi Sposi).
Apòcope, detta anche troncamento, indica la caduta di uno o di più fonemi (generalmente una sillaba) in finale di parola. In ambito letterario erano presenti forme tronche di quasi tutte preposizioni articolate al maschile plurale, derivate dalla fusione con l‘articolo "i": da' (dai); a' (ai); de' (dei); ne' (nei); co' (coi); su' (sui); pe' (pei); fra'(frai); le forme di quei e bei: que' e be‘. Antiche forme letterarie che invece potrebbero portare alcuni problemi interpretativi invece sono: e' come troncamento di due pronomi: eo (cioè «io» dal latino ego) prima persona; ei da egli terza persona singolare. Altri esempi: i' per io me' con diversi significati: - meglio « Ond'io per lo tuo me' penso e discerno / che tu mi segui » ( Dante Inferno canto I, vv. 112-113)1818