UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI

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Transcript della presentazione:

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI Gas cromatografia Prof. S. Andini

CROMATOGRAFIA Miscela di componenti da separare B  e A  La cromatografia è una tecnica impiegata per la Separazione dei componenti (analiti) di una miscela, e consente quindi di Identificare i diversi analiti della miscela. Miscela di componenti da separare B  e A  Miscela A+B Processo cromatografico B A

fra la fase fissa e la fase mobile Principi Teorici Perchè i componenti si separano La tecnica cromatografica utilizza due fasi immiscibili tra loro: una fase stazionaria o fissa (solida o liquida), e una fase mobile (liquida o gas) Qualsiasi tipo di cromatografia si basa sulla ripartizione dell’analita fra la fase fissa e la fase mobile La RIPARTIZIONE di mobile La RIPARTIZIONE

Metodi Cromatografici 3-In colonna si vedono le bande colorate separarsi; si aggiunge alla colonna altro CS2 clorofilla A e B Eluente CS2

Richiami sulle Tecniche cromatografiche Tra le tecniche più idonee all’analisi di campioni vi sono le cosiddette tecniche cromatografiche, utilizzate per separare e identificare singolarmente i componenti di una miscela Tipi di cromatografia In base alla forma del letto cromatografico Cromatografia su colonna (impaccata, open- tubular) Cromatografia planare (su carta, su strato sottile) In base allo stato fisico della fase mobile Cromatografia Liquida (LC) Gascromatografia (GC) Cromatografia fluida supercritica (SFC) In base al meccanismo di separazione Adsorbimento Ripartizione Scambio ionico Esclusione Affinità

Meccanismi principali di separazione Adsorbimento: La fase stazionaria è un solido. Ripartizione: La fase stazionaria è un liquido, che impregna un solido granulare inerte. Scambio ionico: La fase stazionaria è costituita da macromolecole con siti attivi ionizzati, i cui controioni possono essere scambiati con quelli eluiti nella fase mobile

Meccanismi principali di separazione Esclusione: La fase stazionaria è un solido poroso. In tali pori possono sostare le molecole degli analiti.

Cromatografia liquida Cromatografia fluida supercritica Quale tecnica usare? analiti volatili o volatilizzabili, termicamente stabili, non ionici  Gascromatografia analiti non volatili o poco volatili, ionici, ionizzabili o non ionici, termicamente instabili Cromatografia liquida analiti non volatili o termicamente instabili ma non rivelabili dai comuni detector per LC Cromatografia fluida supercritica

Gascromatografia Nella gascromatografia il campione è vaporizzato e poi iniettato in colonna; un gas costituisce la fase mobile ma in questo caso non ha alcuna interazione con i soluti in quanto agisce soltanto da carrier, cioè trasporta i soluti lungo la colonna I composti iniettabili in un sistema GC devono avere Teb < 300°C e non devono essere termolabili, ovvero non devono degradarsi per effetto della temperatura, pena l’impossibilità di riconoscerli nel campione.

Metodi di classificazione Una prima classificazione si può fare in base allo stato fisico della fase stazionaria: cromatografia gas-solido (GS) cromatografia gas-liquido (GL) Gas-solido fasi stazionarie di silice, allumina o carbone meccanismo di adsorbimento adatta per la separazione di gas come H2, He, Ar, O2, N2, CO o idrocarburi a basso punto di ebollizione Gas-liquido supporto inerte solido liquido non volatile, legato covalen- temente meccanismo di ripartizione moltissime applicazioni In GC la fase mobile è un gas permanente (CARIER) che fluisce attraverso una colonna in cui è posto la fase stazionaria. Il prodotto di ciò e un gascromatogramma in cui la quantità di sostanza eluita è diagrammata in funzione del tempo che la sostanza impiega per attraversare la colonna. Per i meccanismi di separazione e le prestazioni, importante, sono le caratteristiche chimico-fisiche della fase stazionaria e della forma con cui essa è presente. Con questa tecnica è possibile analizzare campioni (altobolenti) gassosi, liquidi o solodi opportunamente solobulizzati e che possono essere vaporizzati, ed è infatti questa la limitazione della GC che non può lavorare con sostanze termolabili.

Metodi di classificazione Una seconda classificazione prende in considerazione sia la geometria della colonna e la collocazione della fase stazionaria in essa: Colonne impaccate contengono un supporto solido inerte, finemente suddiviso (comumente basato su terra di diatomee), ricoperto di fase stazionaria liquida Colonne capillari WCOT (Wall Coated Open Tubular), strato sottile di fase liquida (1 µm) depositato sulla superficie SCOT (Support Coated Open Tubular), strato poroso creato sulle pareti della colonna per trattamento o deposizione chimica PLOT (Porous Layer Open Tubular), strato poroso polimerico o inorganico che funge da fase stazionaria per una cromatografia di adsorbimento

Colonne capillari Gc su colonne “impaccate”: in cui la FS è formata da un solido granulare poroso o di un liquido supportato da particelle porose e inerti ; questa è costituita da vetro o acciaio è lunga da 1 a 6 m con un diametro interno di 2-4 mm. GC su colonne “capillari”: (80% delle GC vendute) in cui la FS è sotto forma di film sottile (0.1-5 μm) sulle pareti inerti con un diametro interno di 0.1-075 mm e lunga da 10 a 100 m, (in essa il contatto carrier /FS è migliore). Secondo come si presenta la FS: GC colonne aperte (WCOT): le pareti sono ricoperte da un film di liquido. GC colonne aperte con rivestimento supportato (SCOT): come le WCOT ma supportato da materiale granulare poroso fine. GC colonne aperte con rivestimento poroso (PLOT): la FS è costituita solo da particelle porose fatte aderire alle pareti. La colonna può essere di due tipi: impaccata o capillare.. L’impaccata (diametro interno 2-4 mm, lunghezza 1-4 m), usata nella gas- cromatografia classica, comporta una separazione in colonna di acciaio o di vetro(due metri circa) riempita di materiale inerte (supporto per la fase stazionaria) sul quale è distribuita una pellicola sottile di liquido (fase stazionaria) continuamente attraversata da un gas (fase mobile) detto gas di trasporto. Il processo di separazione è limitato dalla lentezza di eluizione della molecole del campione lungo la colonna. La capillare (diametro interno 0,1-0,8 mm, lunghezza 10-100 m), ormai di uso comune, rappresenta un’importante innovazione per la sua rapidità di eluizione e per una migliore risoluzione (il numero di picchi risolti, in metà tempo, è superiore di oltre quattro volte quello della colonna impaccata). Essa è molto più lunga dell’impaccata (anche cento metri), di diametro molto minore e quindi contiene una quantità molto minore di fase stazionaria, per cui la quantità di campione da iniettare è molto più piccola e viene eluita prima. Le colonne sono alloggiate in una camera termostatica, in genere a circolazione di aria calda, con questo sistema viene assicurata una buona stabilità di temperatura. Un dispositivo permette all’operatore di fissare la temperatura, la quale può essere mantenuta costante per tutta la durata dell’analisi (isoterma) oppure fatta variare (programmata). Forno di un gascromatografo in cui è visibile la colonna avvolta a spirale attorno al sostegno metallico

Confronto tra colonne impaccate e capillari Le colonne capillari possono essere lunghe fino a 100 m e hanno quindi un numero di piatti teorici enormemente più elevato rispetto alle colonne impaccate. Questa differenza è esemplificata nella figura a lato (in alto separazione con colonna capillare, in basso la stessa separazione con colonna impaccata)

Schema di un GC 1) Sistema di alimentazione gas di trasporto (carrier). Si tratta di bombole di gas inerte (azoto, elio, argon), talvolta può essere utilizzato anche l’idrogeno. Lo scopo principale é quello di trascinare i componenti della miscela in analisi lungo la colonna cromatografica. 2) Sistema di alimentazione dei gas per il rivelatore FID. Qualora si utilizzi un rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID) è necessario alimentare un combustibile e d’un comburente (ad esempio idrogeno ed aria). 3) Iniettore o camera di iniezione. Il suo compito é assicurare l’istantanea vaporizzazione del campione. Poiché con l’uso di colonne capillari (vedi più avanti) la quantità di campione da iniettare é dell’ordine dei nanolitri, e misurare queste quantità con siringhe é praticamente impossibile (con apposite siringhe si arriva ai μL), sono state messe a punto particolari tecniche di iniezione. Spesso si utilizzano quindi opportune tecniche (split, ...) che consentono di far entrare effettivamente in colonna solo una parte (ad esempio ca.1/100) del liquido iniettato. La camera di iniezione è corredata da un sistema di resistenze variabili attraverso le quali è possibile fissare la temperatura ritenuta più adatta per la vaporizzazione della miscela. L’introduzione del campione viene effettuata con una iniezione su un apposito disco di gomma al silicone, posto tra una ghiera metallica e i dispositivi di attacco alla colonna.

Il carrier (elio, azoto, argon, idrogeno) deve avere un’elevata inerzia chimica nei confronti della fase stazionaria e del materiale di cui è costituita la colonna. Non deve essere segnalato dal rivelatore o deve fornire un rumore di fondo trascurabile 4) Colonna. La colonna può essere di due tipi: impaccata o capillare. L’impaccata (diametro interno 2-4 mm, lunghezza 1-4 m), usata nella gas- cromatografia classica, comporta una separazione in colonna di acciaio o di vetro(due metri circa) riempita di materiale inerte (supporto per la fase stazionaria) sul quale è distribuita una pellicola sottile di liquido (fase stazionaria) continuamente attraversata da un gas (fase mobile) detto gas di trasporto. Il processo di separazione è limitato dalla lentezza di eluizione della molecole del campione lungo la colonna. La capillare (diametro interno 0,1-0,8 mm, lunghezza 10-100 m), ormai di uso comune, rappresenta un’importante innovazione per la sua rapidità di eluizione e per una migliore risoluzione (il numero di picchi risolti, in metà tempo, è superiore di oltre quattro volte quello della colonna impaccata). Essa è molto più lunga dell’impaccata (anche cento metri), di diametro molto minore e quindi contiene una quantità molto minore di fase stazionaria, per cui la quantità di campione da iniettare è molto più piccola e viene eluita prima. Le colonne sono alloggiate in una camera termostatica, in genere a circolazione di aria calda, con questo sistema viene assicurata una buona stabilità di temperatura. Un dispositivo permette all’operatore di fissare la temperatura, la quale può essere mantenuta costante per tutta la durata dell’analisi (isoterma) oppure fatta variare (programmata).

Cromatografia di ripartizione (o gas-liquido, GLC) Caratteristiche fondamentali della fase stazionaria: Bassa tensione di vapore (il punto di ebollizione della fase stazionaria liquida deve essere di almeno 100 °C superiore alla massima temperatura di operazione della colonna) Stabilità chimica Alta viscosità Fasi stazionarie più comuni: Polisilossani, polifenileteri, poliesteri,polietilenglicoli

Materiale di supporto per la fase stazionaria in GLC Caratteristiche fondamentali: Distribuzione regolare delle dimensioni delle particelle Buona conducibilità termica Stabilità meccanica e termica Elevato rapporto area superficiale/massa Il materiale di supporto in assoluto più usato è costituito da terre di diatomee calcinate (Chromosorb), costituite dai residui fossili di piante unicellulari.

Programmazione della temperatura di lavoro Confronto tra cromatografia a temperatura costante (isoterma, caso a) e a temperatura programmata (caso b) di idrocarburi lineari

5) Rivelatore. I dispositivi in grado di rivelare la presenza di una sostanza estranea nel gas di trasporto, a valle della colonna, possono dividersi in universali e selettivi. I primi consentono di individuare tutti i componenti di una miscela, i secondi rivelano solo particolari categorie di composti. Tra i rivelatori più usati, si segnalano:

Rivelatori per GC Scelta del rivelatore Uno dei punti di forza della tecnica GC è la grande varietà dei rivelatori disponibili. Alcuni sono aspecifici e quindi di uso generale (TCD, FID), altri sono invece molto specifici. Quelli universalmente accettati sono TCD ed FID, ma è sempre più diffuso l’impiego del rivelatore a spettrometria di massa (MS): Rivelatori più utilizzati: a conducibilità termica (TCD) a ionizzazione di fiamma (FID) a cattura di elettroni (ECD) a ionizzazione in fiamma termoionico (rivelatore azoto-fosforo, NPD) Scelta del rivelatore La selezione è basata su: natura chimica degli analiti potenziali interferenze limite di rivelabilità richiesto disponibilità e/o costo

Rivelatore a termoconducibilità (HWD) Campione Riferimento si misura la variazione di conducibilità termica in un flusso di H2 ed He (Conducibilità termica di elio ed idrogeno è circa 6– 10 > composti organici e non) si tratta di un rivelatore non specifico, quindi risponde ad ogni tipo di composto la sensibilità è una delle peggiori è un sistema non distruttivo Rivelatore a a termoconducibilità (HWD) Si tratta di un rivelatore universale e non distruttivo. Si basa su due sensori contenenti un filamento la cui resistenza elettrica varia al variare della temperatura. La temperatura dipende a sua volta dalla conducibilità termica dei gas con cui sono a contatto i filamenti (e che varia con la composizione dei gas stessi). Un sensore è lambito dal carrier puro mentre l'altro è sull'uscita della colonna: un accurato sistema elettrico rileva ed amplifica le differenze dei due segnali. La sensibilità di questo rivelatore non è elevata ed inoltre costringe all'uso di carrier più costosi (ad esempio elio e argon).

Rivelatore a ionizzazione di fiamma si misura la conducibilità elettrica di una fiamma in un campo elettrico è sensibile a tutti i composti contenenti legami C-C e C-H (per questo si tratta del rivelatore più utilizzato) In seguito alla combustione e quindi alla ionizzazione dell’analita, si crea una corrente elettrica fra i due elettrodi, proporzionale alla concentrazione non risponde a molecole volatili non infiammabili la sensibilità è buona è un sistema distruttivo Rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID) Si tratta di un rivelatore universale ma distruttivo in quanto i campioni vengono bruciati per ottenerne la trasformazione in ioni allo stato gassoso. Il carrier viene convogliato verso un ugello a cui giungono anche idrogeno ed aria, necessari per alimentare una piccola fiammella. Una resistenza posta accanto all’ugello provoca l’accensione della fiammella. Quest’ultima si trova circondata da un collettore cilindrico caricato positivamente; il secondo elettrodo del circuito, quello caricato negativamente, é costituito dall’ugello stesso. La microfiamma provoca una debolissima corrente ionica tra gli elettrodi, che vengono mantenuti sotto una differenza di potenziale di circa 300V. Questa corrente, elaborata, amplificata e misurata, viene inviata ad un opportuno registratore e costituisce il rumore di fondo. Quando un componente della miscela raggiunge la fiamma, viene subito ionizzato con conseguente aumento dell’intensità di corrente e quindi rivelato con un segnale più intenso. Come già detto questo rivelatore é di tipo universale, sono poche infatti le sostanze che hanno potenziali di ionizzazione così alti da non poter essere ionizzate nelle normali condizioni di lavoro (tra queste abbiamo acqua, solfuro di carbonio, anidride carbonica, ossido di carbonio, ossidi di azoto, ammoniaca, acido solfidrico, biossido di zolfo, acido formico, gas nobili, azoto e ossigeno). La sensibilità di questo rivelatore é molto elevata, infatti si può arrivare ai nanogrammi. E’sensibile soprattutto ai composti idrocarburici. Non è sensibile ai composti inorganici del carbonio (CO2, CO, ecc.), né ad altri composti inorganici (NH3, SO2, NOx).

Rivelatore a cattura di elettroni si misura la diminuzione di corrente dovuta alla cattura di elettroni da parte di analiti all’uscita della colonna è sensibile soprattutto a composti con gruppi funzionali elettrofili (alogeni, perossidi, nitrogruppi, ecc.) Una sorgente di radiazioni β (emesse da tritio o 63Ni) provoca la ionizzazione del gas di trasporto: Analiti(X) con elevata affinità elettronica possono catturare gli elettroni: Rivelatore a cattura di elettroni (ECD) Si tratta di un rivelatore selettivo e non distruttivo. Esso é costituito da una sorgente radioattiva (63Ni) che emette radiazioni beta (elettroni). Gli elettroni, detti primari, emessi dalla sorgente, vengono a trovarsi in un campo elettrico di cui la sorgente costituisce l’anodo, mentre il catodo si trova verso l’uscita. Gli elettroni primari colpiscono il carrier formando ioni positivi ed elettroni secondari. Il flusso di queste cariche costituisce la corrente di fondo e dipende dalla differenza di potenziale tra i due elettrodi. Quando insieme al carrier é presente un’altra sostanza elettroaffine, cioè in grado di catturare gli elettroni secondari, si verifica una diminuzione di corrente di fondo. La corrente, elaborata, amplificata e misurata, viene inviata ad un registratore. I limiti di rivelabilità possono essere molto bassi, ad esempio per i pesticidi cloro-organici o derivati del fosforo, si può arrivare a rivelare i picogrammi. Le sostanze maggiormente rivelate sono quelle contenenti alogeni. La ricombinazione fra ioni N2+e X- è 105-108volte più probabile di quella fra N2+ ed elettroni. Si osserva una diminuzione di corrente al passaggio di analitielettron-affini la sensibilità è ottima per gli idrocarburi clorurati è un sistema non distruttivo

Rivelatore termoionico Rispetto al FID è provvisto di una perlina costituita da un sale di Rb o Cs, riscaldata a 600-800 °C, dove avviene la liberazione di ioni Rb+/Cs+: Rb Rb+ + e- Gli atomi di rubidio interagiscono selettivamente con i radicali generati in fiamma da composti contenenti N e P (CN. e PO2.), la cui affinità elettronica è superiore al potenziale di ionizzazione del Rb. L’interazione fa aumentare il numero di ioni Rb+ rilasciati dalla perlina e quindi anche quello degli elettroni che possono raggiungere l’anodo, portando così ad un incremento dell’intensità di corrente. è specifico per composti contenenti azoto e fosforo (per questo è chiamato anche NPD) basato sulla formazione di radicali a partire da composti di N e P è un sistema distruttivo

Impostazione dei parametri strumentali La determinazione dei composti volatili è generalmente effettuata con la gascromatografia (GC). La GC è utilizzata per la separazione di sostanze volatili o volatilizzabili come idrocarburi a basso peso molecolare, aromi, acidi organici. Tra le varie versioni, particolarmente utilizzata in campo agroalimentare è quella accoppiata alla spettrometria di massa (GC-MS) nella quale, è possibile avere informazioni strutturali sulle sostanze separate Forno per la colonna Iniettore Impostazione dei parametri strumentali Interfaccia cromatografo – spettrometro di massa Spettrometro di massa al PC

Esempio di cromatogramma GC-MS I database di cui dispongono i moderni strumenti GC-MS contengono gli spettri di massa di circa 400.000 composti, tra cui quasi tutti quelli di interesse in chimica degli alimenti. Per confronto, è sempre possibile riconoscere i composti separati cromatogramma tempo di ritenzione spettri di massa m/z m/z

Esempio di analisi GC-MS Quale che sia il tipo di pretrattamento, l’analisi GC-MS dei composti volatili permette di determinare un numero elevato di sostanze, quindi di avere un set di dati molto ampio. In un vino sono determinabili 50-100 sostanze aventi caratteristiche di volatilità, in prevalenza alcoli, terpeni ed esteri. Con opportuni trattamenti, è possibile ampliare ulteriormente il gruppo di composti, a vantaggio della possibilità di caratterizzare le varietà Nella figura è riportato un esempio di analisi GC-MS di un estratto da vino Nebbiolo