Diventare genitori rappresenta, in effetti, un momento delicato, una svolta reale per la vita della coppia: connessa alla nascita di un figlio, vi è un’assunzione inedita di responsabilità, la percezione di una nuova fase dell’essere adulti, l’esperienza del giocare se stessi in un rapporto di cura: tutto ciò tratteggia nuovi contorni per la propria identità di persone adulte.
A partire dalla richiesta del battesimo per il proprio figlio, possono nascere domande di senso del soggetto- genitore che meritano di essere accolte e fatte maturare nel percorso di accompagnamento battesimale e nel successivo itinerario per la comunione e la cresima.
È ovvio che tali domande non prescindono dalla vita della persona in questa particolare età, che presenta alcuni tratti caratteristici: «La preoccupazione per la casa, per il lavoro, per i figli; il disagio di fronte a un mondo e a una cultura vertiginosamente in progresso; l’insicurezza e la tensione» RINNOVAMENTO DELLA CATECHESI, 139.
L’età adulta non è infatti quell’età di stabilità che si credeva in passato: più che uno stato, è un processo, e questo processo è proprio il compito e la sfida che ogni adulto è chiamato ad assumere.
A tal riguardo, la psicologia descrive il ciclo di vita articolandolo in fasi di evoluzione costanti. L’evoluzione da una tappa di vita a un’altra non è automatica: ogni fase è superata grazie a un periodo di «crisi». È necessaria dunque una riorganizzazione che può prevedere momenti più o meno dolorosi e risoluzioni più o meno positive Cfr. SONIA SPINELLI, «I genitori: adulti in formazione», in ID. (a cura di), Catechesi battesimale, EDB, Bologna 2009,
Nella pratica dell’accompagnamento dei genitori, si tratta di distinguere almeno due situazioni. In primo luogo, quando la persona è disposta ad apprendere, approfondendo conoscenze per una sintesi personale (fasi di stabilità).
In secondo luogo, quando la persona ha bisogno di fare il punto per riorganizzarsi, valutando il tragitto che l’ha portata fin lì (momenti di crisi); in questo caso non bastano «normali» incontri che propongono contenuti di fede: occorre partire, più che mai, dall’esperienza del momento e cercare di dare strumenti di riflessione appropriata che portino la persona a lavorare su di sé.
5. Imparare a far lavorare gli adulti su se stessi Ma come si fa ad aiutare il genitore a lavorare su di sé? Sembra già difficile chiedergli di aiutarci a lavorare insieme per il bene dei ragazzi.
In realtà, come la nostra stessa esperienza ci mostra ogni giorno, non è vero che l’adulto non possa cambiare o non possa più apprendere. Lo conferma anche, in un contesto diverso da quello pastorale, l’insistenza che molte aziende pongono sulla formazione: evidentemente ritengono che si possano migliorare gli obiettivi raggiunti dalle persone, la collaborazione in équipe, l’atmosfera sul luogo di lavoro, la motivazione con cui i dipendenti prestano la loro opera.
Ricorriamo allora alla pedagogia degli adulti per cogliere le caratteristiche di un adulto che entra in formazione. Le consideriamo brevemente, chiedendoci se gli incontri e le altre iniziative, ché proponiamo alle mamme e ai papà dei bambini e dei ragazzi dell’iniziazione cristiana, rispettano queste esigenze del mondo adulto.
In primo luogo, l’adulto apprende in modo responsabile e autonomo. Il rapporto tra genitore e catechista è nei termini della «relazione di aiuto», a partire dalle domande di senso che possono essere scaturite all’inizio del percorso di iniziazione cristiana dei figli.
L’adulto, inoltre, apprende a partire dalla propria esperienza. Il catechista deve ricordarsi che l’esperienza degli adulti può giocare in modo diverso nell’apprendimento religioso.
Dai nuovi Orientamenti: non trattiamo gli adulti da bambini Le caratteristiche dell’adulto in formazione, che stiamo esponendo, portano a chiarire conseguenze pastorali. Ecco come le ununciano gli Orientamenti CEI: l’azione catechistica con e per gli adulti non può esser pensata «in forma di comunicazione unidirezionali»; richiede, piuttosto, «il coinvolgimento attivo degli adulti stessi che non sono solo recettori, ma depositari dello Spirito del Vangelo, nelle pieghe della loro vita» (CEI, IG 24).
In terzo luogo, l’adulto apprende a partire da una serie di bisogni. Per aiutarlo a fare un progresso significativo nel campo della fede, bisogna tenere conto dei bisogni e degli interessi religiosi e umani propri di quella particolare tappa della sua vita. In particolare, l’adulto apprende:
modificando l’immagine di sé e del proprio ruolo. La persona sente l’inadeguatezza tra ciò che è e il compito/ruolo che le viene richiesto. I genitori pensano spesso di essere inadeguati al compito educativo, quindi al ruolo di genitore in quanto tale. Compito del formatore è quello di far percepire questa dissonanza e renderla cosciente per favorire l’apprendimento. Progettando un’attività educativa con adulti, è dunque più fecondo privilegiare i bisogni e gli interessi legati ai loro ruoli piuttosto che la logica del contenuto o i bisogni dell’istituzione;
modificando il campo del sapere e del saper essere precedente. Ciò che viene proposto non solo si aggiunge alle idee precedenti, agli atteggiamenti e alle emozioni, ma le modifica. Nei percorsi con i genitori sarà allora importante, col tempo, favorire l’emergere delle emozioni;
desiderando percepire l’utilità di quello che sta facendo. Per un genitore, un apprendimento utile, ad esempio, è quello che può aiutare a svolgere meglio il ruolo di padre o madre;
secondo modalità segnate da un particolare rapporto con il tempo. Mamme e papà, già impegnati su molti fronti, non hanno tempo da perdere: se diamo l’impressione di invitarli a condividere momenti ed esperienze non ben preparati o inutilmente prolissi o ripetitivi, è probabile che, la volta successiva, ci lasceranno soli. Prima di cominciare un incontro con i genitori, bisogna determinare chiaramente il tempo che si intende investire nella formazione. In concreto, occorre inoltre non sovraccaricare mai un incontro, nonché cominciare e terminare all’ora stabilita.
Dove tutto ha inizio. In dialogo con le famiglie Strumenti per il laboratorio 1. Lavorare con i genitori dei bambini 0-6 anni Leggiamo un passaggio dai nuovi Orientamenti CEI: Dai nuovi Orientamenti: la domanda del Battesimo «La domanda del Battesimo dei bambini è un’occasione propizia per avviare contatti che potranno dare frutto col tempo, soprattutto se lo stile dell’accoglienza nelle nostre comunità saprà coniugare rispetto della verità del Vangelo e attenzione alle storie personali e di coppia, che non di rado sono chiamate a maturare, magari verso lo stesso matrimonio cristiano, con l’aiuto della vicinanza dei credenti. Occorre far sì che, preparando al Battesimo, si pongano le premesse di una qualità di relazione, affinché dopo il sacramento possa continuare e consolidarsi un cammino che si apre all'ascolto, all’annuncio e alla crescita di fede. Si tratta di mostrare che la Chiesa condivide l’interesse dei genitori per i figli, dai quali sono a loro volta interpellati» (CEI, IG 59).
Ora ciascuno provi a riflettere sulle domande seguenti. Dopo un momento personale, potrete mettere in comune le riflessioni. Che stile si richiede alla comunità verso i genitori che vengono a chiedere il battesimo per il loro bambino? Che cosa si fa al riguardo nella tua parrocchia? L’obiettivo della pastorale delle prime età, secondo i vescovi, è quello di costruire una relazione di qualità tra famiglie e comunità. Che cosa ne pensi? Tu cosa intendi per «qualità» in una relazione?
Leggiamo un altro passaggio dai nuovi Orientamenti: Dai nuovi Orientamenti: primo annuncio per e con i genitori «La pastorale battesimale e delle prime età costituisce, dunque, un terreno fecondo per avviare buone pratiche di primo annuncio per e con genitori, famiglie, nonni e insegnanti delle scuole per l’infanzia. La comunità cristiana impara in tal modo a costruire relazioni fondate sulla continuità, la gratuità, la semplicità, la stima per ciò che le famiglie realizzano nella dedizione per i loro figli» (CEI, IG 59).
Ora ciascuno provi a riflettere sulle domande seguenti. Dopo un momento personale, potrete mettere in comune le riflessioni. Che cosa si intende con «pratiche di primo annuncio»? Hai qualche esperienza in merito? Possiamo anche andare al capitolo 5 di questo volumetto e chiederci se qualche elemento può illuminare la pastorale delle prime età. Solo le famiglie imparano dalle altre figure della comunità o la stessa comunità nel suo insieme ha qualcosa da imparare dalla vita familiare? Quali sono gli elementi che sottolineano i vescovi? Che cosa ne pensi?
2. Dopo i 6 anni del bambino: che cosa si fa con i genitori? Attraverso la seguente tabella, provate a rileggere le proposte del catechismo finora adottate nella vostra parrocchia per i genitori. CosaQuandoModalitàFinalitàPartecipazioneSoddisfazione
Quali altre modalità vedete possibili per camminare insieme con i genitori? Quali attenzioni, legate soprattutto allo stile di un lavoro con gli adulti esposto nel capitolo, considerate necessarie?
3. Genitori protagonisti Leggiamo un passaggio dai nuovi Orientamenti: Dai nuovi Orientamenti: coinvolgere genitori e figli «Si tratta non solo di fissare veri e propri itinerari di catechesi per i genitori, ma anche e soprattutto di responsabilizzarli a partire dalla loro domanda dei Sacramenti. Molte esperienze in questi anni hanno mostrato l’efficacia che deriva dal coinvolgere genitori e figli nella condivisione di alcuni appuntamenti di preghiera, di riflessione e di approfondimento, suffragati da una sussidiazione semplice e mirata, vissuti in ambito domestico, in gruppi, nella comunità. Fruttuosi sono pure quei metodi che convocano genitori e figli in appuntamenti periodici, dove si approfondisce il medesimo tema con attività diversificate, rimandando poi al confronto in famiglia» (CEI, IG 60).
Ora ciascuno provi a riflettere sulle domande seguenti. Dopo un momento personale, potrete mettere in comune le riflessioni. Che cosa si intende con «responsabilizzare i genitori a partire dalla loro domanda dei sacramenti»? Non si rischia di risultare un po’ noiosi, se non addirittura irritanti o molesti? Oppure è giusto richiamare i genitori alle loro responsabilità? Ma come farlo bene? Conosci qualche metodo che coinvolga genitori e figli insieme, almeno per una parte del cammino? Hai qualche esperienza in merito? Come è andata?
Leggiamo un altro passo dai nuovi Orientamenti: Dai nuovi Orientamenti: la preghiera e la lettura del Vangelo in famiglia «[Occorre aiutare] i genitori a trasmettere ai loro piccoli uno sguardo credente con cui leggere i momenti della vita. Lo si fa a partire da strumenti semplici: la preghiera e la lettura del Vangelo in famiglia, specie nei momenti forti dell’anno liturgico, le parole di fede per accogliere un momento di gioia, come la nascita di un fratellino o di una sorellina, un buon risultato nella scuola o nello sport, una ricorrenza familiare; ma anche per affrontare i motivi di tristezza che derivano da un lutto, una malattia, un insuccesso, una delusione. Così pure si educa insegnando il valore del perdono donato e ricevuto, come del ringraziamento» (CEI, IG 60).
Ora ciascuno provi a riflettere sulle domande seguenti. Dopo un momento personale, potrete mettere in comune le riflessioni. Quali contenuti di fede vengono trasmessi dalla famiglia? C’è qualche altro elemento che metteresti in luce, anche a partire dalla tua esperienza di catechista e/o di genitore?