Forme della crisi Relazione per il I Seminario delle 4 giornate 13 maggio 2014 Università degli studi Federico II, Napoli Maurizio Donato.

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Forme della crisi Relazione per il I Seminario delle 4 giornate 13 maggio 2014 Università degli studi Federico II, Napoli Maurizio Donato

Gli argomenti Breve e lungo periodo (cicli e trend) Forma monetaria e forma reale Polarizzazione di classe e salario relativo.

C’era una volta la crescita Tra il 1950 e il 1973 il tasso di crescita delle economie sviluppate è stato – in media - del 5% l’anno, il doppio del saggio registrato nel periodo Gli investimenti in capitale fisso crescevano a un ritmo del 5,5% l’anno contro il 2,9 del periodo precedente Un trend di crescita, con cicli di breve periodo Il capitalismo come modo di produzione storicamente determinato

La crescita del Pil prima dell’ultimo ciclo

L’andamento del prodotto mondiale lordo

L’andamento del prodotto mondiale lordo pro-capite

I dati del Fondo monetario internazionale

La piccola divergenza

Tassi di variazione del reddito reale, 1970–2010 (media mobile a 10 anni della variazione percentuale sull’anno precedente) fonti: WDI database per China, Japan, e European Union e St. Louis Federal Reserve Database (FRED) per United States ).

Euro area, nel medio periodo

L’Italia, dagli anni ’60 cambiando frequenza

Felice, non si sa, decrescita sicuramente

Quota degli investimenti fissi lordi sul Pil Italia (elaborazioni dell’autore su dati ISTAT)

L’Italia nell’ultimo ciclo della crisi In Italia, nei cinque anni di crisi compresi tra il 2008 e il 2013, gli investimenti fissi lordi si sono ridotti del 24%. Con una riduzione del livello della produzione italiana della stessa entità (un quarto in meno in cinque anni) il risultato è che il contributo netto degli Ifl alla crescita del Pil italiano è stato negativo. 500 miliardi di euro di investimenti in meno.

Tassi di profitto nell’industria in senso stretto Italia ( elaborazioni dell’autore su dati ISTAT, ISCO, Bankitalia )

La diminuzione della quota di investimenti sul Pil a livello globale

Accumulazione, con meno approssimazioni La quota di capitale accumulato va riferita al plusvalore, e per questa ragione il rapporto Ifl/Pil va considerato solo come un’approssimazione del saggio di accumulazione Nel breve periodo è l’accumulazione che dipende dal saggio di profitto, cioè le decisioni di investimento dei capitalisti sono determinate dalle opportunità di profitto a breve, mentre nel lungo periodo è il saggio di profitto che dipende dall’accumulazione che è la variabile cruciale

Saggio di accumulazione Usa dati elaborati da Andrew Kliman

Saggio netto del profitto Usa dati elaborati da Paolo Giussani

Investimenti e profitti negli ultimi due cicli Nel penultimo ciclo ( ) il saggio netto del profitto era in ripresa Tra il 2006 (massimo ciclico) e il 2009 (minimo ciclico) non solo il saggio, ma la massa dei profitti nell’economia statunitense si è ridotta (di un terzo) Nello stesso periodo gli investimenti si sono ridotti di circa due terzi

Saggio del profitto e saggio di accumulazione nel medio periodo dati elaborati da Paolo Giussani

(II parte) Forme monetarie e forme reali: l’impiego speculativo del capitale monetario I prodromi si hanno con lo sganciamento del dollaro dall’oro (Nixon, agosto ’71) Nella primavera del ’73 si passa definitivamente a un nuovo sistema di tassi di cambio flessibili mentre il prezzo del petrolio, denominato in dollari, quadruplica Tra il ’73 e il 75 sia il Dow Jones che lo S&P (i due indici di borsa più importanti US) dimezzano il proprio valore: in termini reali, è (breve) recessione

Ripresa a debito Tra il 1975 e il 1982 il livello di indebitamento dei consumatori Usa passa dal 72 all’80% del reddito disponibile, in Gran Bretagna dal 55 al 65%, in Giappone dal 60 all’80% Il rapporto tra debito pubblico e Pil nei paesi maggiormente sviluppati sale dal 16 al 33% tra il 1973 e il 1986

Espansione monetaria Per far fronte alla stagflazione (stagnazione della produzione + inflazione) l’offerta di moneta mondiale cresce espandendosi oltre ogni limite: è la svolta della politica monetaria US (’79-’80) I “petrodollari” diventano prestiti che dalle banche occidentali vanno a paesi latino-americani e asiatici il cui debito estero sale da 160mrd$ del 1975 a 540 nel 1982 Alcuni paesi non riescono a far fronte ai debiti come il Messico che nel 1982 non può più pagare i suoi 82mrd$ di debito (8,6 nel 1973)

La diminuzione strutturale del tasso di interesse

Il tasso di inflazione in Italia ( )

capitale immaginario Nel cap. 29 del III libro del Capitale Marx-Engels parlano, a proposito del debito pubblico, di capitale fittizio È un’espressione che non si riferisce unicamente al debito pubblico, come chiarito nello stesso capitolo, poche pagine appresso: “ la maggior parte del capitale del banchiere è quindi meramente fittizia [..] il valore monetario del capitale rappresentato da questi titoli [..] è meramente fittizio [..] esso viene determinato a prescindere dal valore del capitale reale che questi titoli, almeno parzialmente, rappresentano..”

Il rendimento del debito pubblico

ricchezza fittizia e tassi di interesse Nel cap. 30, Marx-Engels: “[..] il loro valore, vale a dire la loro quotazione di borsa, tende per forza a rialzarsi quando diminuisce il tasso di interesse in quanto questo, a prescindere da movimenti specifici del capitale monetario, consegue dalla caduta tendenziale del saggio di profitto; e così tale ricchezza fittizia aumenta sviluppandosi la produzione capitalistica [..]”

Forma finanziaria come apparenza della crisi “.. In un sistema di produzione in cui tutto il meccanismo del sistema riproduttivo si fonda sul credito, deve per forza di cose sorgere una crisi, una affannosa ricerca di mezzi di pagamento, quando d’un colpo il credito cessa e tutti i pagamenti debbono essere eseguiti in denaro contante. Per questo a primo aspetto sembra che la crisi sia solo una crisi di credito e di denaro.” Al di là delle apparenze

Il ciclo del capitale Ogni ciclo industriale inizia con una espansione della produzione le cui cause possono essere ricondotte ad apertura di nuovi mercati sorgere di nuovi rami produttivi introduzione di nuove tecnologie Il ciclo inizia con il rinnovamento e la crescita del capitale fisso

Produttività e innovazioni tecnologiche Per vendere le merci, ogni capitalista deve abbassarne il prezzo – il valore – e poi cercare di vendere la (maggiore) produzione Il metodo “migliore” (per aumentare il plusvalore) è introdurre innovazioni tecnologiche che, aumentando la forza produttiva del lavoro, fanno crescere la produttività, riducendo il tempo di lavoro necessario a produrre l’unità di merce, dunque il suo valore

La produttività è cresciuta poco, nell’ultimo decennio..

.. perché era cresciuta tanto prima, molto più dei salari

La tendenza all’aumento della composizione di capitale Per ammodernare gli impianti devi investire di più in capitale costante (impianti, macchine nuove) relativamente all’investimento in capitale variabile (v x l) Questa tendenza implica sovrappopolazione, aumento dell’esercito industriale di riserva, diminuzione relativa del salario La contraddizione (una delle) è che tutti i capitalisti considerano gli operai come costo, se li pagano loro e come domanda, se li pagano gli altri

“Distruzione creatrice”, centralizzazione e svalorizzazione Le imprese che hanno innovato per prime possono aumentare la produzione e le quote di mercato Le altre o utilizzano gli impianti sotto la media, o chiudono, o vengono assorbite da quelle più grandi Un elemento importante del ciclo della crisi riguarda l’esplosione della contraddizione tra valore d’uso e valore di scambio, con un capitale (in forma di merce ma non solo) invenduto che ha un valore virtuale positivo, ma un valore di mercato nullo

Bolla continua Nell’espressione π/k che rappresenta il saggio del profitto il capitale tende nelle fasi alte del ciclo a far crescere il numeratore aumentando la produttività.... ma nelle fasi di crisi è il denominatore che deve essere svalutato, il capitale in eccesso in tutte le sue forme: capitale merce, capitale fisso, capitale monetario, capitale variabile

L’ultima chance Nei settori dove vengono impiegati i lavoratori eccedenti la composizione di capitale si abbassa facendo risalire il saggio medio di profitto Se il capitale è ancora in eccesso, la quota che è impossibile valorizzare va svalutata o distrutta La competizione globale riguarda oggi questo aspetto La guerra serve a distruggere il capitale in eccesso per far ripartire il ciclo

Il moltiplicatore Nel biennio le spese militari Usa raggiunsero il picco con 540mld$ (prezzi 1996) equivalenti al 44% del Pil Usa Nello stesso biennio il reddito Usa è cresciuto di 430mld$ l’anno, per cui il moltiplicatore = 0.8 Per lo staff economico di Obama k = 1.5 che con circa 780mld$ di spesa pubblica aggiuntiva fa la differenza con l’Europa austera Non si possono ridurre contemporaneamente l’eccesso di indebitamento privato e quello pubblico

Produzione industriale di macchinari per il complesso militare

Capitale monetario in eccesso Il capitale monetario sovrabbondante rispetto alle normali possibilità di valorizzazione o prende la via della speculazione o viene investito all’estero Le due fasi della delocalizzazione: la svolta avviene tra il 2001 e il 2002

La prima fase della delocalizzazione

Ide ed estrazione di plusvalore Nei cicli precedenti la maggior parte degli Ide si è verificato all’interno dei paesi dominanti, risolvendosi per lo più in fusioni e acquisizioni (centralizzazione) Tra il 1970 e il 1998 il flusso netto di capitali esportati dai paesi dominanti verso i paesi dominati dall’imperialismo è aumentato di un fattore pari a 20

la cosiddetta “globalizzazione” Nel 2002 il totale degli Ide in entrata nei paesi dominati dall’imperialismo era pari a 300 mrd$ Gli investimenti di portafoglio (speculativi), che rappresentavano tra il 2 e il 3% del totale negli anni ’80 e ’90 contano nel 2002 per più del 20% Il flusso totale di risorse finanziarie dai paesi dominati a quelli dominanti è stato nel 2002 di 700 mrd$

Gli investimenti di capitale nei paesi dominati In Cina passano da 3.5mld.$ (1990) a 52.7 (2002); in India da 0.4 a 5.5 Il primo paese esportatore di capitali è ancora (nel 2002) la Gran Bretagna che investe all’estero circa il 5% del PIL La quota che va ai paesi dominati è ancora una frazione modesta, poco più del 6% del totale mondiale dei flussi di capitale ma tra il 1970 e il 2000 il flusso netto di capitali è cresciuto di 20 volte: nel 2002 è 300mld.$

Le crisi finanziarie degli anni ‘90 negli anni ’80 la crisi del debito colpisce le economie “povere” dell’America latina; durante gli anni ’90 la crisi finanziaria ha colpito Messico, Brasile, Russia, Nell’estate del ’97 tocca alle tigri dell’ est-Asia; Tra il 1999 e il 2000 falliscono l’Argentina, il fondo LTCM, e ad aprile scoppia la bolla della new economy

Est/Asiati dal profitto Intorno alla metà degli anni ’90 si gonfiava la bolla speculativa Enormi flussi di capitale migravano verso Corea, Thailandia, Filippine dove si andava delocalizzando l’accumulazione Quando la politica monetaria della Fed è cambiata, fuga di capitali, crisi valutaria, rischio di fallimento dei paesi

L’importanza del controllo sul movimento dei capitali Si sono salvate le economie che avevano mantenuto un controllo sui flussi di capitale (Malaysia) e sul tasso di cambio (Cina) Quando gli investitori ritengono un’area “promettente” compreranno obbligazioni interne denominate in valuta locale

La Banca centrale In tali occasioni la Banca centrale può vendere attività interne e comprare riserve estere per evitare sopravvalutazioni Quando la Banca viceversa ritiene la moneta locale sotto attacco venderà riserve estere per comprare attività interne

Il regime di cambio Il governo cinese ha legato lo yuan al dollaro avvantaggiandosi della sua diminuzione di prezzo Molti paesi hanno legami più o meni stretti con una valuta di riferimento In America latina alcuni paesi hanno dollarizzato le economie

L’Euro e le aree valutarie In Europa la novità è stata la nascita dell’euro la cui area valutaria va al di là del territorio europeo cessione volontaria di sovranità Molte valute scompaiono, la competizione è per aree valutarie transnazionali

Dalle multinazionali alle transnazionali Le imprese multinazionali operano in molte nazioni, ma la proprietà è ancora nazionale La transnazionalità riguarda le basi di provenienza degli investimenti La competizione globale vive della contraddizione tra produzione (capitale) tendenzialmente transnazionale e circolazione (domanda – reddito) che si esprime ancora prevalentemente in valuta locale

Trasversalità e concorrenza La concatenazione degli investimenti segue una logica di filiera tecnologica e finanziaria C’è interdipendenza tra aree e competizione le valute sono gestite su base nazionale, ma il loro dominio si estende al di là del territorio “naturale” Da qui il ruolo strategico degli investimenti diretti all’estero e delle Banche centrali

Investimenti diretti all’estero (movimenti globali)

Ide e approfondimento della crisi Nei cinque anni dell’ultimo ciclo della crisi, il movimento dei capitali globali riconducibile agli Ide si è quasi dimezzato. Gli ultimi dati (2013, primo trimestre 2014) confermano la tendenza. I 2/3 della riduzione si devono all’Unione europea. Se consideriamo gli investimenti complessivi come un indicatore dell’accumulazione, nel giro dei dieci anni compresi tra il 2001 e il 2011, la quota di investimenti totali sul Pil dei paesi dell’Unione europea è diminuita dal 20.2 al 18.5%, il Giappone ha visto diminuire il tasso di investimento dal 24.3 al 20.7, gli Usa dal 19.7 al 15.2.

Ide in entrata e in uscita dall’Unione europea ( )

Ide in entrata e in uscita dalla Germania ( )

Ide in entrata e in uscita dall’Italia ( )

Saldo tra Ide in uscita e in entrata dall’Italia (2007 – 2012)

Ide in entrata Italia in percentuale del Pil (1970 – 2012)

Ide in entrata e in uscita dagli Usa,

La competizione globale nell’ultimo ciclo Nel 2007 i paesi dell’UE registravano un movimento complessivo di capitali con il resto del mondo superiore ai duemila miliardi di dollari, con un saldo positivo di quasi quattrocento miliardi, mentre per gli Usa il movimento ammontava a meno di ottocento miliardi, con un saldo di poco più di cento; dopo un quinquennio di crisi, il totale dei paesi UE vale poco più di cinquecento miliardi, con un saldo di poco più di cinquanta, mentre il totale USA è quasi a seicento miliardi di dollari, meno degli ottocento che entravano negli Usa cinque anni prima, ma molto meno peggio di quanto non sia successo in UE, tant’è che il saldo è stato per l’ultimo anno disponibile pari a 170.

Saldi Ide Usa e UE a confronto nella crisi (2007 – 2012)

La competizione tra aree valutarie: un confronto decennale tra i saldi Ide (2001 – 2012)

III parte Produttività e salari Polarizzazione e salario relativo Conflittualità e rapporti di forza

Lavorare di più, guadagnare di meno negli USA

.. e in Europa

il salario relativo

Quota corretta dei salari sul Pil al costo dei fattori

Redditi personali della classe operaia e dei capitalisti in percentuale del Prodotto interno netto (Usa, 1947 – 2007)

Quota dei profitti sul reddito – Italia ( ) ( dati elaborati da Antonella Stirati )

I ricchissimi crescono elaborazioni dell’autore su dati Picketty et al.

I ricconi crescono

La conflittualità in Italia

Ore non lavorate per conflitti di lavoro (ISTAT)

Conflitti di lavoro e lavoratori partecipanti

Tassi annuali di variazione dei salari orari reali dei lavoratori dell’industria e del commercio