Scharnhorstgymnasium Hildesheim Liceo Statale G. Mazzini Napoli Conseguenze della seconda guerra mondiale a Napoli ed a Hildesheim Il complesso conventuale di Santa Chiara dalla sua fondazione al 4 agosto 1943 Progetto di scambio Scharnhorstgymnasium Hildesheim Liceo Statale G. Mazzini Napoli
La cittadella di Santa Chiara con la sua Basilica ed il Monastero fu tra i primi complessi monastici ad essere eretti nel centro storico di Napoli. La sua fondazione avvenne nel 1310 per volere di Roberto D’Angiò, re di Napoli, e della sua seconda moglie Sancia di Maiorca.
La Basilica con la sua imponente mole fu realizzata nelle forme del gotico provenzale, uno stile che le conferisce l’aspetto di una fortezza inespugnabile. La cultura gotica di Santa Chiara, infatti, è una cultura gotica-romanica influenzata anche dall’appartenenza all’ordine francescano, dedito alla povertà ed alla preghiera: è priva dell’abside ed ha una sola navata con cappelle laterali. Le forme di Santa Chiara, inoltre, non furono realizzate da architetti gotici come l’abside della Chiesa di San Lorenzo o la Chiesa di Sant’Eligio al Mercato, ma da angioini “meridionalizzati”, che avevano subito l’influenza napoletana. La scelta di preferire una struttura caratterizzata del forte spessore delle murature, inoltre, fu determinata anche dalla nota sismicità della zona, dove le strutture a scheletro tipiche del gotico d’oltralpe avrebbero fatto correre maggiori rischi.
La fase di realizzazione del monastero si protrasse fino al 1340, anno in cui la Basilica fu consacrata e nel corso dei secoli subì molte trasformazioni, proprio a causa dei frequenti terremoti a cui seguirono interventi di restauro. Proprio in occasione di uno di questi interventi fu adeguata al gusto barocco, ma la chiesa barocca sarà completamente distrutta il 4 agosto 1943 a causa dei bombardamenti delle “Fortezze volanti” americane. Interno verso l’ingresso prima della guerra
L’insula monastica era circondata da mura e si poteva accedere solo attraverso due varchi, uno posto in Piazza del Gesù, l’altro in via Santa Chiara, ma ospitando le monache di clausura non era accessibile ai laici. La cittadella francescana fu realizzata in una modalità atipica, costruendo due conventi contigui ma separati, uno femminile, relativo all’ordine di clausura delle clarisse ospitate nel chiostro grande maiolicato in epoca barocca, e l’altro maschile ospitante i frati minori francescani che avevano l’ingresso posto all’esterno. Tale concessione straordinaria, accordata nel 1317, fu dovuta ai buoni rapporti che intercorrevano tra la dinastia angioina e il papa francese Clemente V. Dopo la guerra, il bombardamento e l’incendio della chiesa si ebbe lo scambio dei due chiostri: attualmente, infatti, il chiostro maiolicato ospita i frati francescani, anche se molti locali sono stati adibiti a nuove destinazioni d’uso come le celle monastiche dove sono ospitate le sale del Museo dell’Opera.
L’interno verso l’Altare Maggiore prima della guerra Il monastero fino al settecento mantenne nel complesso il suo aspetto gotico. Nell’epoca dei lumi e in particolare negli anni 1740-69, si ebbe il radicale cambiamento del monastero e della Basilica; la chiesa, infatti, rivestita di stucchi e marmi, fu trasformata in un sontuoso edificio barocco e l’originale soffitto a carena rovesciato venne coperto da una volta decorata con affreschi di Giuseppe Bonito, Francesco De Mura e Paolo De Maio.
Il Vaccaro, inoltre, poliedrico artefice del Barocco napoletano, capace di spaziare tra pittura, scultura e architettura, avvalendosi dell’operato dei maestri riggiolari napoletani Donato e Giuseppe Massa, diede luogo alla trasformazione del chiostro trecentesco delle clarisse che assunse l’aspetto attuale, caratterizzato da viali con pilastri ottagoni e sedili maiolicati. Le riggiole, utilizzando i tipici colori della tradizione napoletana, il blu, il giallo ed il verde, aprono una finestra bucolica sulla Napoli settecentesca ed il suo regno, dando luogo così ad un unicum, un artificio barocco che dialoga con i colori circostanti – il blu del cielo, il giallo ed il verde del giardino e degli agrumeti – e che ha reso il chiostro celebre in tutto il mondo.
L’interno verso l’Altare Maggiore con i lavori di blindatura
Il bombardamento e la ricostruzione Dopo l’impatto delle bombe e degli spezzoni incendiari, divampò un rogo che, fomentato anche dalla presenza dei sacchi di sabbia dei blindamenti, durò fino al 10 agosto lasciando in piedi solo le mura perimetrali.
Rovine Il crollo delle strutture e l’incendio dell’enorme travatura lignea del tetto trecentesco e dell’armatura del settecentesco sottotetto ad incannucciata, causarono la perdita totale delle opere di De Mura, Bonito, Conca, Giovanni da Nola, oltre al danneggiamento gravissimo dei sepolcri tre e quattrocenteschi di Tino di Camaino, Pacio e Giovanni Bertini, Bamboccio da Piperno.
Rovine
L’interno della chiesa subito dopo lo spegnimento dell’incendio Il restauro determinò non pochi problemi specialmente in merito alla scelta delle modalità di intervento. La basilica di Santa Chiara era divenuta uno dei simboli della città, l’impatto psicologico sulla popolazione risultò vivissimo, e le fasi della ricostruzione furono complesse e, specialmente nelle fasi iniziali, non prive di discussioni metodologiche, affrontate, comunque, con una tempistica dettata dall’emergenza e fortemente condizionate da una forte carica emotiva. trecentesca. L’interno della chiesa subito dopo lo spegnimento dell’incendio
In un articolo pubblicato il 25 ottobre su Il Risorgimento, si legge: <<Passeranno gli anni; e i fratelli e le sorelle della nostra pena e noi viventi passeremo per San Biagio dei Librai, il quartiere di Giovanbattista Vico, i restauri barocchi del grande palazzo Filomarino, il Corpo di Napoli col Nilo alessandrino adagiato su un morbidissimo letto di marmo, l’edificio della Pietà, reggia dei torvi usurai, il trionfo marmoreo di Palazzo Marigliano….Ma in Santa Chiara regnerà il pianto. Un grande ricordo di chiesa; una necropoli di fantasmi senza più tregua…>>. L’interno verso l’Altare nel 1944
Lavori esterni di ricostruzione del tetto Le capriate dopo il restauro
Il monumento di Antonio Penna Il monumento di Antonio Penna dopo il l bombardamento Il monumento di Antonio Penna stato attuale Progetto grafico per il ripristino del monumento di Antonio Penna
Senza alcuna intermediazione concettuale ed operativa furono cancellati resti per nulla trascurabili dell’apparato decorativo settecentesco in stucchi policromi, ancora riconoscibili in alcune foto d’epoca anteriori alla fase più avanzata dei lavori di ripristino, procedendo con un’implacabile univocità di riproposizione morfologica, più o meno integrale ed in parte solo immaginata, al recupero dell’antica basilica trecentesca.
Targa posta sulla facciata dopo il restauro