Approccio teorico alla scuola “inclusiva” Istituto Comprensivo Aldo Moro di Sutri Approccio teorico alla scuola “inclusiva” Miur, Direttiva 27 dicembre 2012 di Antonia Tordella a. s 2013/2014
“Gli alunni con disabilità si trovano inseriti all’interno di un contesto sempre più variegato, dove la discriminante tradizionale - alunni con disabilità / alunni senza disabilità - non rispecchia pienamente la complessa realtà delle nostre classi. Anzi, è opportuno assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione, che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta. A questo riguardo è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni.” (Miur, Direttiva 27 dicembre 2012, Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e l’organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, 2013). Si veda: www.istruzione.it
Con queste affermazioni puntuali e chiare, la Direttiva del Miur delinea e orienta in senso innovativo la strategia inclusiva della scuola italiana ridefinendo il tradizionale approccio all’integrazione scolastica, sostanzialmente fondato sulla certificazione della disabilità, grazie anche al ruolo centrale dell’ICF e alle sue notevoli potenzialità applicative evidenziate ormai anche da tempo in una molteplicità di documenti ministeriali.
L’ICF sottolinea infatti la necessità, in una autentica prospettiva inclusiva, di considerare la persona nella sua globalità e fondamentalmente nell’interazione tra la condizione individuale e il proprio contesto di vita.
“Fermo restando l’obbligo di presentazione delle certificazioni per l'esercizio dei diritti conseguenti alle situazioni di disabilità e di DSA”, la Direttiva estende, infatti, a tutti gli allievi, condisabilità e/o con difficoltà nell’apprendimento dovute a cause diverse (svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse), il “diritto alla personalizzazione dell’apprendimento” affermato dalla Legge n.53/2003.
Da questo punto di vista, il compito dei Consigli di classe o dei team dei docenti nelle scuole primarie è quello di individuare “in quali altri casi sia opportuna e necessaria l'adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni”.
con modalità concrete e sistematiche di collegialità, corresponsabilità e partecipazione, gli insegnanti privilegiano la progettazione di percorsi individualizzati e personalizzati avvalendosi del Piano Didattico Personalizzato (PDP) che ha lo scopo di “definire, monitorare e documentare le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione degli apprendimenti” (Miur, Direttiva 27 dicembre 2012, cit.).
L'evoluzione della normativa sull'integrazione nella scuola italiana Per quanto concerne le fasi queste sono: • l'Esclusione (fino al 1960) • la Medicalizzazione (dal 1960 al 1970) • l'Inserimento (dal 1970 al 1977) • l'Integrazione (dal 1977 al 1994) • l'Inclusione (dal 1994 ad oggi)
Il concetto di integrazione …è proprio sul concetto di normalizzazione che sembrano addensarsi le criticità mosse dai diversi studiosi che, sia in ambito internazionale sia in ambito nazionale, hanno analizzato gli effetti e i livelli di qualità (in termini di efficacia ed efficienza) raggiunti dalla scuola mediante il modello dell'integrazione.
E’ sempre il soggetto ad adattarsi al “Sistema” (scuola) e mai il contrario. Per superare la situazione occorre mettere effettivamente in discussione il paradigma della normalizzazione, che continua a rimanere il modello di riferimento indiscusso.
“Se l’integrazione tende a identificare uno stato, una condizione, l’inclusione rappresenta piuttosto un processo, una filosofia dell’accettazione, ossia la capacità di fornire una cornice dentro cui gli alunni – a prescindere da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale – possono essere ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità a scuola» (Dovigo, 2008, p. 13).
Come affermano Booth e Ainscow, disabile non è l’individuo, ma la situazione, la qual cosa spinge alcuni studiosi (Mura, 2012) ad avvalersi della dizione di persona in situazione di disabilità e a superare anche la locuzione – oggi molto in voga – di BES Bisogni Educativi Speciali (Special Educational Needs).
Se, dunque, è la situazione ad essere disabile e non l'allievo, nella scuola dell'inclusione «non è il soggetto che deve adattarsi al sistema (che lo accoglie, lo accetta e ne richiede la normalizzazione) ma è il sistema che deve essere change friendly, ossia culturalmente e socialmente pre-disposto al cambiamento…”
“Essere inclusi, in ultima analisi, significa essere parte integrante di un sistema che contempla l’inclusione come una dimensione del diritto di esistere, giammai come qualcosa che il soggetto (chiunque esso sia e qualunque sia la sua condizione) deve richiedere nella speranza di vedersi riconosciuto, magari come una elargizione, una concessione, un prestito o, peggio ancora, un dazio» (Bocci, 2013).
La sfida che investe il sistema formativo – e la società tutta è di dare vita ad una scuola che, nello spirito costituzionale, sia pre-disposta alla funzione che gli è propria: la rimozione degli ostacoli all’apprendimento e la promozione della partecipazione di tutti e di ciascuno, nessuno escluso. Lavoriamo per questo!