IL DECADENTISMO IN ITALIA Pascoli e D’Annunzio, per aspetti e caratteristiche molto differenti, sono tra i maggiori rappresentanti del Decadentismo italiano. Anche in Italia, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la crisi di valori che è all’origine della letteratura decadente trova eco nelle opere di molti scrittori.
Pascoli e il Decadentismo Pascoli riesce a inventare un proprio istintivo simbolismo e, pur essendo legato alla tradizione classica, riesce ad essere innovatore, anche in assenza di vitali contatti con le correnti rinnovatrici moderne.
Formazione culturale : Cultura positivista (interessi per la botanica, la zoologia) Cultura classica e eccellente classicista, vincitore di premi di poesia latina di Amsterdam più volte) Scarsa conoscenza della cultura d’oltralpe
Pascoli con la sua poesia fatta di sentimenti, stati d’animo, piccole cose, cerca di penetrare il mistero dell’esistenza, il senso profondo della vita. Il suo linguaggio, simbolico, teso a suscitare suggestioni e intuizioni, fondato su accostamenti inusuali, è fortemente innovativo nel panorama della letteratura italiana.
BIOGRAFIA Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna in provincia di Forlì il 31 dicembre 1855 da Ruggero Pascoli e da Caterina, quarto di 10 figli. Il padre era l’amministratore della tenuta agricola “La Torre” della nobile famiglia Torlonia, originaria di Roma.
Nel 1862 Giovanni Pascoli insieme ai fratelli Giacomo e Luigi entrò nel collegio “Raffaello” di Urbino, diretto dai padri Scolopi, e vi rimase fino al 1871 Il 10 agosto del 1867 il padre Ruggero Pascoli fu ucciso con una fucilata mentre tornava in calesse da Cesena a San Mauro. Poesia
Abbraccia le idee anarchico- socialisteggianti di Andrea Costa. Muore anche il fratello maggiore Giacomo che aveva fatto da padre e Giovanni si trova a vivere di lezioni private e di supplenze Militanza politica 1879 (segretario partito) Arrestato per atti sovversivi (accusato di urla durante un processo) fa 3 mesi di carcere. Verrà assolto con formula piena ma resta segnato dall’esperienza.
Si allontana dalla politica nell’ ‘80 riprende gli studi 1881 – si laurea in letteratura greca 1887 – si stabilisce a Massa con le sorelle Ida e Maria (nido familiare) 1895 – Ida si sposa contro la volontà del fratello Pascoli si trasferisce a Castelvecchio (Lucca) con Maria
Così lui dirà: "Questo è l'anno terribile, dell'anno terribile questo è il mese più terribile. Non sono sereno: sono disperato. Io amo disperatamente angosciosamente la mia famigliola che da tredici anni, virtualmente, mi sono fatta e che ora si disfà, per sempre. Io resto attaccato a voi, a voi due, a tutte e due: a volte sono preso da accesi furori d'ira, nel pensare che l'una freddamente se ne va strappandomi il cuore, se ne va lasciandomi mezzo morto in mezzo alla distruzione de' miei interessi, della mia gloria, del mio avvenire, di tutto!"
1897 Pascoli è nominato professore di letteratura latina all’Università di Messina. Nel 1903 è nominato professore di grammatica greca e latina all'Università di Pisa.
Nel Novembre del 1905 è nominato titolare della cattedra di letteratura italiana dell'Università di Bologna, succedendo a Carducci, che aveva chiesto il collocamento a riposo, e che aveva espresso parere favorevole riguardo a tale successione
Nel del 1905 vince per l'ultima volta la XII Medaglia d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam. Il 6 aprile del 1912 Pascoli muore a Bologna, per volontà della sorella Maria viene sepolto nel cimitero della loro casa a Castelvecchio di Barga. La sorella Maria continuò ad abitare nella casa comune e custodì gelosamente le carte del poeta fino alla sua morte, nel 1953. 13
Il 26 novembre del 1911 pronuncia a Barga un discorso in favore dei feriti nella guerra libica. In questo discorso dal titolo “La grande proletaria si è mossa” Pascoli giustificava la guerra di Libia in nome della povertà economica dell’Italia.
La poetica pascoliana
Alcuni passi […] Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena meraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. [...] Ma è veramente in tutti noi fanciullo musico? [...]. In alcuni non pare che egli sia; alcuni non credono che sia in loro; e forse è apparenza e credenza falsa.
Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. […] Egli scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: rimpicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare
La metafora del fanciullino All’incirca negli stessi anni in cui D’Annunzio elaborava il mito del superuomo, Pascoli veniva teorizzando la sua poetica, intimamente connessa al Decadentismo Natura irrazionale e intuitiva della poesia: si arriva alla verità non attraverso il ragionamento, ma in modo intuitivo ed irrazionale, guardando tutte le cose con stupore, con meraviglia, come se fosse la prima volta (rifiuto della ragione e riconosciuto fallimento del Positivismo) Questi i punti principali
Potere analogico e suggestivo della poesia: se il poeta-fanciullo arriva alla verità in maniera alogica e irrazionale, la poesia allora deve affidarsi al potere analogico e suggestivo dei suoi occhi, non ancora inquinati da alcun schema mentale, culturale e storico. Poesia come scoperta: la poesia non è invenzione, ma scoperta, perché essa sta nelle cose che ci circondano, anzi in un particolare di quelle cose che solo il poeta sa vedere
Le umili cose: per il poeta, come per il fanciullo, sono belle e degne di poesia anche le piccole cose, umili, quotidiane, familiari, le piante più consuete e modeste, gli animali, gli eventi del mondo naturale e campestre Il simbolismo: il fanciullo-poeta non riesce a cogliere i rapporti logici di causa ed effetto tra le cose, a fissarle in un insieme o sistema coerente. Gli oggetti vengono piuttosto percepiti in modo isolato, svincolato dal contesto, scatenando così la sua immaginazione che li carica dei propri ricordi, delle proprie esperienze, del proprio universo immaginario e ne fa un simbolo.
Ecco allora che l’aratro dimenticato in mezzo al campo diventa il corrispettivo di una vita solitaria, di uno stato d’animo pervaso di malinconia e di tristezza. L’albero spoglio e contorto diventa simbolo dell’angoscia dell’uomo, il nido vuoto simbolo della casa vuota delle presenze familiari Uso non strumentale della poesia: la poesia deve essere pura perché il fanciullo non si intende di problemi politici o morali, né di lotte sindacali e di ideologie.
la poesia invita alla fratellanza contro la comune infelicità. Funzione consolatrice della poesia:
LAVANDARE SIMBOLO di abbandono e di tristezza Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un aratro senza buoi che pare dimenticato, tra il vapor leggero. E cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene: Il vento soffia e nevica la frasca, e tu non torni ancora al tuo paese! quando partisti, come son rimasta! come l’aratro in mezzo alla maggese Poesia
Canti di Castelvecchio – 1903 Le raccolte poetiche Myricae I° edizione 1891 – definitiva 1900 è caratterizzata dalla frammentarietà, da testi brevi Canti di Castelvecchio – 1903 cerca una liricità più distesa, con testi più lunghi Poemetti I° edizione 1897 – definitiva 1904 è presente una tendenza narrativa e maggiore è l’impegno ideologico
MYRICAE La prima raccolta poetica di Giovanni Pascoli è "Myricae“ pubblicata nel 1891. Il titolo (che è il nome latino delle tamerici, piccoli arbusti comuni sulle spiagge) riprende un verso di Virgilio (Egloga IV: Arbusta iuvant, humilesque myricae), che Pascoli mette come epigrafe all’inizio della raccolta.
Egli stesso spiega il significato e la scelta di questo titolo: Myricae è la parola che usa Virgilio per indicare i suoi carmi bucolici: poesia humilis. Pascoli ha dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre “A Ruggero Pascoli, mio padre”.
I temi Gli argomenti principali che il poeta tocca in quest'opera sono molto variegati tra loro, e vanno dalla produzione di versi sulla natura e sul rapporto con essa, che porta all'esaltazione delle cose più piccole e semplici attraverso la poetica del fanciullino, alle riflessioni sul mistero in cui è immerso il nostro universo.
Troviamo il tema del nido familiare e della sua disgregazione, argomento che ci ricollega alla sofferenza causata dalla morte e ai lutti che Pascoli ha vissuto, fino ad arrivare al tema del ruolo sociale e storico della figura del poeta.
Impressionismo e simbolismo nella poesia Pascoliana Temporale Il lampo Il tuono Poesie
Per Pascoli il fine della poesia è circoscrivere in maniera chiara una realtà ma sempre nel suo fondo misteriosa e sfuggente (con ciò egli inaugura un filone poetico novecentesco che arriverà sino ai “correlativi oggettivi” di Montale).
Il poeta con un atteggiamento spontaneo, autentico e innocente, può scoprire con l’intuizione le somiglianze e le relazioni più ingegnose, sa cogliere le segrete corrispondenze; inoltre rompendo con la selettività della lirica tradizionale, Pascoli accoglie nella sua poesia tutte le cose dalle più umili alle più alte.
Pone inoltre attenzione nel circoscrivere in maniera chiara, precisa una realtà che invece nel suo fondo è sempre sfuggente. Abbiamo così i fiori, gli uccelli, con i loro versi onomatopeici, gli oggetti legati al lavoro dei campi, indicati in modo preciso ma allo stesso tempo fortemente simbolici. Le campane annunciatrici di morte.
Pascoli ci fa intravedere la sua visione del mondo in accordo con il clima culturale prevalente del Decadentismo, ovvero la perdita di una razionalità riconoscibile nelle cose. Anche la sintassi è rivoluzionata, infatti prevale la paratassi sull’ipotassi con una funzione si direbbe “filosofica”, in quanto specchio dell’impossibilità di reperire un rapporto di causalità fra le cose.
L’insieme di questi oggetti forma un mondo naturale su uno sfondo misterioso e indeterminato; questo rapporto tra determinato ed indeterminato si esprime nella produzione poetica pascoliana attraverso appunto audaci soluzioni sintattiche e linguistiche. Le numerose pause, ad esempio, create dalla punteggiatura, indicano la rottura del rapporto logico tra le parole e creano pause, tensioni, aspettative tra un verso e l’altro.
Si parla di plurilinguismo in quanto Pascoli usa una lingua grammaticale propria della comunicazione quotidiana, insieme a una lingua pre - grammaticale come le onomatopee, efficaci per il loro suono e non per il loro significato, infine una lingua post-grammaticale che è quella dei dialetti, gerghi, parole straniere, terminologie tecniche.
La frase si fa nominale, tra sostantivo e aggettivo il primo termine risulta subordinato al secondo, come se la qualità delle cose fosse più rilevante della loro identità, abbondano le sinestesie, analogie, onomatopee, vocaboli fonosimbolici, allitterazioni, paronomasie, enjambements
Novembre pubblicata nel 1891 Gèmmea l'aria, il sole così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, e del prunalbo l'odorino amaro senti nel cuore... Ma secco è il pruno, e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno, e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno. Silenzio, intorno: solo, alle ventate, odi lontano, da giardini ed orti, di foglie un cader fragile. E' l'estate, fredda, dei morti. L'aspetto più caratteristico di questi versi è rappresentato dalla luminosità, tutte le parole chiave si richiamano a questo elemento visivo. "Gemmea" introduce anche una sensazione di freddo soprattutto sonoro con connotazioni e suoni molto cupi per il predominio della vocale "o". è una descrizione caratterizzata da asprezza e da aridità: stecchite e nere trame Nel testo di Pascoli la sensazione è di aridità intesa come assenza di vita, intervengono sensazioni tattili che suscitano percezioni di freddo in un contesto di calore (estate) solo apparente. L'aggettivo "fredda" si ricollega sia a livello semantico con Gemmea in apertura di testo
X AGOSTO Pubblicata per la prima volta su «Il Marzocco» del 9 agosto 1897, alla vigilia dell’anniversario della mai chiarita uccisione del padre, la poesia è stata inserita nella quarta edizione della raccolta Myricae, dove compare nella sezione intitolata Elegie. Attraverso questi versi, dunque, il poeta ricorda l'assassinio, avvenuto in una sera d'estate (il 10 Agosto, giorno del martire San Lorenzo).
A ciò forse s'aggiunge l'altro evento drammatico di rottura dell'idillio familiare, ovvero il matrimonio (fortemente osteggiato dal poeta) della sorella Ida, nel 1895. La morte è dunque la protagonista di questa poesia, in cui anche il cielo piange stelle cadenti. L'autore sceglie infatti di esprimere tutto il proprio dolore attraverso un paragone col mondo naturale, di gusto simbolista Questo evento drammatico apre una serie di lutti famigliari, e dà inizio alla disgregazione del nido, che Pascoli aspirerà a ricostituire per tutta la vita.
Commento Nel componimento il piano biografico viene trasposto su un piano cosmico: la compresenza di elementi cosmici in uno scenario familiare. Leopardi ed eco manzoniano (con la parola "attonito", che rievoca il Cinque Maggio). Dal punto di vista metrico, le quartine sono composte da decasillabi e novenari alternati.
X Agosto Poesia San Lorenzo, io lo so perchè tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perchè si gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena de’ suoi rondinini. Ora è là come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido portava due bambole in dono... Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male! Poesia
L’assiuolo Impressionismo simbolistico
In una prima stesura manoscritta del componimento, troviamo espressi alcuni passaggi oscuri in modo più narrativo e lineare; in una nota a fianco, lo scrittore scrive a penna: "Sì, ma allora non è più la poesia, ma la spiegazione della poesia". In questa frase c'è tutta la "rivoluzione di Pascoli, ovvero l'idea che la poesia possa evocare un mondo di immagini e suoni, inconoscibile in modo compiuto con gli strumenti razionali
Nel componimento domina inizialmente l'elemento naturale nella sua spontaneità (il mandorlo, il melo, i lampi, le nubi, i campi) a cui si affianca una presenza oscura, in questo caso rappresentata dall'onomatopea chiù (che riproduce il verso dell'assiuolo).
L'assiuolo fa parte della raccolta Myricae e compare nella sezione In campagna. La poesia si svolge infatti in una campagna addormentata, notturna, in cui il poeta fatica a scorgere la luna. Dal buio gli arriva appunto alle orecchie un pianto triste e lontano, il verso dell'assiuolo Metro: tre coppie di quartine di novenari a rima alterna ABABCDCd (dove l'ultimo verso è sempre l'onomatopeico chiù, monosillabico).
Pascoli si interroga quindi sul mistero che incombe sul nostro universo e sul destino dell'uomo, votato alla morte senza rimedio. La figura retorica più caratterizzante di questo componimento è l'onomatopea, utilizzata dal poeta per rendere il verso dell'assiuolo, chiù, che chiude ogni strofe con un sinistro presagio di sventura. Questo è un tratto caratteristico del fonosimbolismo pascoliano, ovvero della sensibilità del poeta per quegli elementi della natura che combinano al tempo stesso fascino e paura.
Dov'era la luna? Ché il cielo notava in un'alba di perla, ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla. Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù: veniva una voce dai campi: chiù... Le stelle lucevano rare tra mezzo alla nebbia di latte: sentivo il cullare del mare, sentivo un fru fru tra le fratte; sentivo nel cuore un sussulto, com'eco d'un grido che fu. Sonava lontano il singulto: Dov'era la luna: nonostante il colore perlaceo diffuso nell’aria la luna probabilmente è ancora sotto la linea dell’orizzonte, e quindi non visibile. Spicca, come spesso nella poesia pascoliana, il dato coloristico, lieve e sfumato. un'alba di perla: analogia pascoliana, tipica della poetica del fanciullino e, più in generale, dello stile simbolista. soffi di lampi: sinestesia, serve ad esprimere tutte le sfumature e le impressioni delle tempesta notturna in arrivo. nero di nubi: l'espressione, anziché concen- trare l'attenzione sulle nubi, la sposta sul loro colore cupo e minaccioso. Impatto visivo chiù: monosillabico, viene percepito come tristo presagio di morte. nebbia di latte: focalizzano l'attenzione sulla luce notturna e lunare, che filtra per una nebbia che impedisce la vista delle stelle,
Su tutte le lucide vette tremava un sospiro di vento; squassavano le cavallette finissimi sistri d'argento (tintinni a invisibili porte che forse non s'aprono più?... ); e c'era quel pianto di morte... chiù... Lucide: il dato coloristico è ulterior- mente arricchito e al tempo stesso sfumato: le "vette" degli alberi sono rese luminose dal riflesso della luce lunare. squassavano: onomatopeico, che contribuisce all'allitterazione della sibilante "s". sistri d'argento: strumenti metallici a scotimento che emettono un sibilo acuto; erano utilizzati nell'antico Egitto per il culto misterico della dea Iside, che prometteva la resurrezione dopo la morte. Le invisibili porte della morte. il culto di Iside, evocato dal suono dei sistri, non ha effetto Il tema dei “cari” defunti è molto presente Poesia
La mia sera Canti di Castelvecchio (1903) Questa poesia é suddivisa in 5 strofe da 8 versi ciascuna. I versi sono tutti novenari tranne gli ultimi di ogni strofa che cono senari (chiuso sempre dalla parola sera). La rima é alternata e segue lo schema ABCBDEDE; però non tutte le strofe (es: 3°strofa) seguono questo schema. Le figure retoriche presenti nella poesia sono: metafore (“... tacite stelle...”), onomatopee (“..gre gre di ranelle...”), la sineddoche (“...i nidi...”), ossimori (“..fulmini fragili...”) e la metonimia (“..stanco dolore...”). Con questa poesia l’autore vuole fare un paragone tra il temporale e la pace della sera, cioè paragona il temporale alla vita travagliata (perdita del padre e della madre) e la sera ad un momento di pace della sua vita.
La mia sera Che voli di rondini intorno! che gridi nell’aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l’ebbero intera. Né io... e che voli, che gridi, mia limpida sera! Don... Don... E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra... Mi sembrano canti di culla, che fanno ch’io torni com’era... sentivo mia madre... poi nulla... sul far della sera. ll giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c’è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell’aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell’umida sera. È, quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d’oro. O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell’ultima sera. Poesia
Il gelsomino notturno
I fiori del gelsomino si schiudono di notte, nell'ora in cui penso ai miei cari, morti. Sono apparse tra gli arbusti le farfalle che volano nelle ore notturne. Già da tempo le voci rumorose del giorno tacciono: solo in una casa, là, qualcuno parla sottovoce. Gli uccellini dormono sotto le ali (della madre); come gli occhi al riparo delle ciglia Dalle corolle dei fiori (di gelsomino si diffonde un profumo come di fragole rosse. Splende una luce, là, nella sala (della casa) L'erba nasce sopra le tombe. E s'àprono i fiori notturni nell'ora che penso a' miei cari. Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari. Da un pezzo si tacquero i gridi: là sola una casa bisbiglia. Sotto l'ali dormono i nidi; come gli occhi sotto le ciglia. Dai calici aperti si esala l'odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala. Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape ritardataria sussurra trovando le celle già tutte occupate (dalle altre api) La costellazione delle Pleiadi procede per il cielo con il suo seguito di stelle. Per tutta la notte si diffonde il profumo trasportato dal vento. La luce si muove verso l'alto sulla scala; brilla al primo piano: si è spento.. E' l'alba: i petali del fiore un po' stropicciati si chiudono; dentro la corolla molle e nascosta, cova non so quale (indescrivibile) nuova felicità. Un'ape tardiva sussurra trovando già prese le celle. La chioccetta per l'aia azzurra va col suo pigolìo di stelle. Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala; brilla al primo piano: s'è spento... E' l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l'urna molle e segreta, non so che felicità nuova. Poesia
IL GELSOMINO NOTTURNO da "Canti di Castelvecchio", 1903 Appare subito evidente che la descrizione della vita del gelsomino, che solo di notte apre la sua corolla per richiuderla ai primi raggi del sole, è solo un tenue pretesto. La lirica, infatti, più che descrivere cose e fenomeni, è tutta una trama di impressioni e di sensazioni apparentemente disordinate e casuali, ma in realtà legate da profonde analogie che creano una magica suggestione. Rotto ogni legame di tipo logico e razionale con la realtà che lo circonda, Pascoli scopre segrete corrispondenze e coglie il misterioso alternarsi e compenetrarsi di vita e di morte.
La poesia è soprattutto parabola della solitudine, di chi non ha mai partecipato attivamente allo svolgersi della vita: come "l'ape tardiva" è rimasta senza posto nelle celle, così il poeta è estraneo alla notte d'amore che due sposi stanno consumando in una casa lontana. Sotto il profilo stilistico-espressivo, oltre al ricorso all'analogia e alla paratassi, il poeta privilegia l'uso di sostantivi e di aggettivi al posto dei verbi, in armonia con il suo interesse per le sensazioni più che per gli avvenimenti.
Il crollo delle certezze Il poeta immagina che Ulisse, già vecchio, insofferente della riacquistata serenità a Itaca, riprenda la navigazione, ripercorrendo le tappe delle sue straordinarie avventure. Ma il viaggio segna la fine delle sue illusioni, poiché la molla del suo andare per mare, la sete di sapere, si trasforma nella consapevolezza che nessuna conoscenza certa è possibile. Così Pascoli proietta sul mondo antico la sensibilità inquieta della modernità e trasforma l’Ulisse omerico nell’eroe della sconfitta, dello scacco dell’uomo di fronte al mistero e alla morte. Poemi conviviali/L'ultimo viaggio/XXIII Il vero
Poemi conviviali/L'ultimo viaggio/XXIII Il vero E la corrente tacita e soave più sempre avanti sospingea la nave. E il vecchio vide che le due Sirene, le ciglia alzate su le due pupille, avanti sé miravano, nel sole fisse, od in lui, nella sua nave nera. E su la calma immobile del mare, alta e sicura egli innalzò la voce. Son io! Son io, che torno per sapere! Ché molto io vidi, come voi vedete me. Sì; ma tutto ch’io guardai nel mondo, mi riguardò; mi domandò: Chi sono?
E la corrente rapida e soave più sempre avanti sospingea la nave E la corrente rapida e soave più sempre avanti sospingea la nave. E il Vecchio vide un grande mucchio d’ossa d’uomini, e pelli raggrinzate intorno, presso le due Sirene, immobilmente stese sul lido, simili a due scogli. Vedo. Sia pure. Questo duro ossame cresca quel mucchio. Ma, voi due, parlate! Ma dite un vero, un solo a me, tra il tutto, prima ch’io muoia, a ciò ch’io sia vissuto! E la corrente rapida e soave più sempre avanti sospingea la nave. E s’ergean su la nave alte le fronti, con gli occhi fissi, delle due Sirene. Solo mi resta un attimo. Vi prego! Ditemi almeno chi sono io! chi ero! E tra i due scogli si spezzò la nave.
Grazie