LA PANIFICAZIONE in corte VITOLO ‘o pane tuost
Preparazione Impasto Lievitazione con lievito madre Lavorazione pagnotte Pizze caserecce
Per le donne impastare il pane è la consumazione di un vecchio rito con i capelli coperti dal “maccaturo”, un fazzoletto bianco, e le vesti coperte dal “mantesino”, il grembiule, a cui non possono partecipare se indisposte. Il lievito madre prima di usarlo va segnato con la croce. Sull’impasto prima di coprirlo e chiuderlo nella madia “a’ matra”, la padrona di casa incide con la mano il segno della croce. Sotto la madia, nei mesi invernali, va posto “a vrasera”, il braciere, per assicurare una buona lievitazione. Le pagnotte ricavate dall’impasto lievitato vengono riposte a “crescere” in tavole di castagno (“e tavote”), avvolte da coperte.
Preparate le pagnotte ed in attesa della loro “crescita” si va a preparare il forno e saggiare la giusta temperatura per infornare.
L’originario forno, rigorosamente a legna, è situato nel cortile dell’antico palazzo gentilizio risalente ai primi dell’800. Ha ancora la sua forma natia ed i suoi mattoni di argilla cotti nelle locali fornaci. In quasi 200 anni di vita ne ha sfornato pane. Dapprima la “cotta di pane” si faceva una volta a settimana, poi un paio di volte al mese. Da un paio di decenni, si panifica solo tre o quattro volte all’anno. Ed ogni volta è una festa di sapori e saperi dimenticati.
Il forno viene accesso un paio d’ore prima di infornare le pagnotte con fascine di ramoscelli secchi che subito lo portano a temperatura. Poi la brace vien sparsa su tutto il piano interno del forno per riscaldarne ogni mattone di terracotta.
Quando le pareti incominciano ad imbiancarsi, la brace viene ammucchiata sul lato destro e tutto il piano del forno viene ripulito da cenere ed altri residui di combustione con il “munnolo”, un lungo bastone alla cui estremità viene attaccato un fascio di “fetient” bagnati, tipica erba locale molto resistente al calore e che sprigiona un buon odore
In attesa che il forno giunga alla temperatura giusta, “e’ tavote pe’ pagnotte” vengono portate vicino al forno e coperte.
Non appena le pareti interne del forno diventano bianche di fuoco, “o’ mast furnar” ripiglia a “munnulià”, con il munnolo ricoperto da uno straccio bagnato, per pulire il fondo del forno.
Forza si inforna … dai … nu ffà ammuscià ‘o furn!
Controllo della cottura delle pagnotte all’interno del forno.
Nun rir …, f’’ambress.. O’ pane s’abbrucia…. Ohhhhh, e che profumo, e che sapore…. Nun rir …, f’’ambress.. O’ pane s’abbrucia….
Le pagnotte caserecce ben cotte vengono sfornate calde calde.
Le pagnotte sfornate sono rimesse nelle tavole “e tavote” a raffreddare.
Messo il “tambolo” davanti alla bocca del forno per non fare uscire il calore dall’interno, ci si gode un momento di pausa in attesa che le pagnotte si raffredano.
Quando le pagnotte si sono raffreddate, si procede alla divisione delle stesse in biscotti dividendole a mano secondo il segno trasversale evidenziato dalla cottura.
I biscotti ottenuti vengono rimesi al forno
I biscotti rimarranno nel forno caldo per due giorni a biscottarsi I biscotti rimarranno nel forno caldo per due giorni a biscottarsi. Dopodichè toccherà ad un bambino abbastanza agile entrare nel forno e raccogliere nei cesti i “mascuotti”.
Nel passato rurale di San Mango ogni famiglia produceva il pane per il suo fabbisogno giornaliero. I forni ("e’ furn "), fino a 50 anni fa, erano presenti in ogni palazzo, corte, masseria o casolare. Il tipo e le miscele di farina, il metodo di lavorazione e preparazione, che aveva inizio la sera del giorno precedente, rendono “o’ pane tuost” particolarmente apprezzato, soprattutto se gustato con formaggi e piatti della tradizione contadina. Una volta il lievito ("o’ lievt") usato era solo quello madre (“o’ criscito”), cioè quello ottenuto con un piatto di impasto lasciato al caldo, anche avvolto in una coperta, per giorni e giorni. Il “piatto di criscito” passava di famiglia in famiglia per panificare e veniva di volta in volta alimentato. In genere l’impasto si faceva la sera prima. In una madia (“a’ matra”), si impastava farina con acqua calda, amalgamandola con un ritmato ed energico movimento delle mani a pugno chiuso. Erano soprattutto i giovani ad effettuare questa lavorazione che richiedeva tanta energia. La prima lievitazione avveniva verso le prime ore del giorno. Alle ore 4 le donne di case erano già sveglie per lavorare l’impasto da cui cavare le pagnotte per la seconda lievitazione. Mansione degli uomini di casa era l’approvvigionamento di fascine e legna, di accendere il forno e di trasportare “e’ tavote” davanti al forno.
Mentre i bambini dormivano, genitori e nonni erano occupati nella panificazione, parlando a bassa voce e lavorando alacremente alla fioca luce di impolverate lampadine e danzanti fiammelle di cera. Verso le 7 se d’inverno, ed intorno alle 5 se d’estate, la prima infornata era stata fatta. Con essa erano pronte anche pizze caserecce su cui si spalmava un po’ di salsa ed una spolverata di formaggio grattugiato. Una delizia per i bambini. Gli adulti preferivano gustare il pane caldo appena sfornato ripieno con un cucchiaio di sugna (“nzogna”) spolverato con pepe, accompagnato da un bel bicchiere di vino, fresco di cantina. Era usanza, una volta, donare la pagnotta al sindaco, al prete, al medico condotto, ed a tutti quelli che ti facevano assaggiare il loro pane. In genere una famiglia media impastava una sessantina di chili di pane. Per tre giorni circa dopo la panificazione si consumava solo pane a pagnotte. Il pane biscottato (“o pan tuost”), sfornato dopo tre giorni, circa, dai bambini o da adulti più esili, veniva riposto con cura nella madia (“a’ matra”) di famiglia, che il più delle volte era ubicata accanto al letto del capofamiglia. La scorta di pane durava circa un mese. Alla donna di casa spettava conservare il lievito madre (“o’ criscito”) e di controllarne il giro nelle famiglie per stabiliere la propria panificazione. by nikvit
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