Testimonianza prodotta dalla classe 5^b Ristorazione In occasione della giornata della memoria. Referente: Prof. Gianfranco Masia Sassari 27 Gennaio 2010
Introduzione Crollato il regime fascista, dopo l’armistizio dell’ 8 Settembre 1943 e l’occupazione tedesca, la “repubblica di Salò” operò la vergognosa cessione di Trieste, della Venezia Giulia e del Friuli allo stato nazista, che doveva tanto complicare la politica italiana anche dopo la liberazione. Il governo di questa zone chiamato Litorale Adriatico (Adriatisches Kustenland) era stato affidato a Friedrich Rainer un nazista che odiava l’Italia. Secondo le sue valutazione etnico-razziali il Friuli e la Venezia Giulia erano per gran parte estranee alla nazione italiana per cui la loro separazione dallo stato italiano si giustificava anche sotto questo profilo. Egli infatti riduceva la popolazione “etnicamente” italiana del Friuli Venezia Giulia a sole 250mila unità complessivamente che egli così ripartiva: 100mila nel Friuli in quanto altri 400mila erano “furlanern” cioè ladini, differenti di lingua e di razza e 200mila erano sloveni; 150mila nell’Alta Istria e a Trieste. La Venezia Giulia in sostanza era un miscuglio di popoli rovinati dall’incapacità dello stato italiano. Così sotto il tallone hitleriano si estende a questi territori facilmente conquistati la barbara azione dell’apparato nazista, non solo per combattere la sempre più vivace e impegnata lotta partigiana, ma anche per estendere a tali territori la mostruosa macchina stritolante delle uccisioni, delle deportazioni e delle depredazioni che colpiscono in modo particolare gli ebrei. Viene allora requisito un vecchio edificio situato alla periferia di Trieste ed a suo tempo adibito a stabilimento per la raffinazione del riso e trasformato in campo di smistamento per le deportazioni nei campi di sterminio in Germania, Austria e Polonia con in più la efferatezza dei campi di sterminio e delle peggiori carceri sotto il controllo delle SS nell’Italia occupata. Non manca nemmeno il formo crematorio per l’incenerimento dei cadaveri dei fucilati e dei morti sotto le torture e per l’eliminazione fisica degli elementi ritenuti irriducibilmente nemici del nazifascismo, senza nemmeno prendersi la briga di trasferirli nei campi di Auschwitz, di Mauthausen, di Dachau, di Rawensbruch.
Non manca e non poteva mancare nell’azione poliziesca di repressione e di cattura dei partigiani, dei sospetti di antifascismo, degli ebrei, la collaborazione di fascisti italiani (italiani!) che spesso si distinguono nella gara con le SS per la ferocia del comportamento, quasi a confermare che quanto avviene nel nostro tempo per opera degli epigoni del nazifascismo non è che la continuazione di quelle azioni da parte di gruppi, per fortuna oggi senza potere, ancora avvelenati dai miasmi di allora. Con il D.P.R. n. 510 del 15 Aprile 1965, il Presidente Giuseppe Saragat dichiarò la risiera di san Sabba Monumento Nazionale quale “unico esempio di Lager nazista in Italia perché sia conservata ed affidata al rispetto della Nazione per il suo rilevante interesse sotto il profilo storico politico”. Pertanto, il monumento deve essere soprattutto dentro di noi, nelle nostre menti e nei nostri cuori, e i suoi 5mila caduti devono aggiungersi nel nostro reverente ricordo agli 11milioni di caduti in tutti i campi di sterminio, per ammonire che l’uomo dev’essere liberato in una società più giusta e più equa, da tutte le cause di odio che generano inevitabilmente la violenza; perché la violenza condanna chi la esercita e chi la subisce a un grado inferiore: quello irrazionale delle fiere.
Mi chiamo Franc Sicelj, ma potrei chiamarmi come uno di voi Mi chiamo Franc Sicelj, ma potrei chiamarmi come uno di voi. Il nome in questi casi non ha importanza. Sono uno dei cinquemila prigionieri transitati per la risiera di San Sabba tra il 1943 ed il 1944. Già la risiera,un insieme di edifici costruiti nel 1913 e divenuto tristemente famoso per essere stato l’unico campo di sterminio sul suolo italiano. Gli edifici non più adibiti ad uso industriale vennero requisiti ed utilizzati dall’occupatore nazista come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943, con il nome di Stalag 339. Verso la fine di ottobre, sempre del 1943, venne strutturato come Polizeihaftlager (campo di detenzione di polizia), destinato allo smistamento dei deportati in Germania ed in Polonia, sia come deposito e smistamento dei beni razziati, nonché successivamente per la detenzione ed eliminazione di partigiani, detenuti politici ed ebrei.
Appena varcata la soglia della Risiera ci fecero entrare, meglio ci spinsero in una specie di sottopassaggio dove erano sistemate varie camere. Nella prima cella a sinistra (a destra nella foto) detta anche “ cella della morte” venivano ammucchiati i prigionieri, che giungevano dalle carceri o che, come me,erano stati catturati nei rastrellamenti effettuati quotidianamente a Trieste, in Veneto o in Slovenia e destinati ad essere eliminati nel giro di poche ore. Al nostro ingresso , mi colpì l’odore di morte che vi si respirava. La causa fu presto chiara , avevo appena calpestato dei cadaveri che giacevano insieme a noi vivi , ma per quanto ancora?
Sempre sullo stesso piano dell’edificio erano collocati un laboratorio di sartoria ed uno di calzolerie, dove avrei dovuto lavorare fino al momento cruciale o dell’esecuzione o della partenza verso i campi di concentramento in Germania o in Polonia. Terminata la spogliazione dei pochi averi che avevo addosso mi spinsero verso una delle diciassette piccole celle. Un locale angusto dove mi ritrovai con altri cinque prigionieri. Erano soldati e partigiani che aspettavano da giorni il compiersi del loro triste destino.
Dalle prime due cellette, sistemate sempre sullo stesso piano giungevano ininterrottamente i lamenti dei prigionieri sottoposti a tortura. Pochi di quanti ci hanno lasciato sono poi rientrati nelle nostre celle . All’interno di queste celle scorsi ,nella fioca luce , i graffiti di coloro che ci avevano tristemente preceduto.
In un altro edificio a quattro piani venivano rinchiusi in camerate, gli ebrei e i prigionieri civili e militari, anche donne e bambini destinati alla deportazione in Germania nei campi di Dachau, Auschwitz,Mauthausen, verso un tragico destino che solo pochi hanno potuto evitare. Ricordo che dal cortile interno, in prossimità delle celle,potevo vedere l’edificio destinato alle eliminazioni , che avvenivano per strangolamento, gassazione, fucilazione o colpi di mazza. Potevamo sentire le loro urla nonostante il maldestro tentativo di coprirle con i latrati dei cani appositamente aizzati o con musiche ad alto volume.
I morti venivano poi avviati verso il forno crematorio costruito secondo il progetto di un vero “esperto” Erwin Lambert che i tedeschi avevano appositamente fatto arrivare dalla Germania. Tale forno crematorio inizialmente era costituito dal preesistente impianto di essicazione del riso. Il collaudo di questo forno a cui ebbi l’ “onore” di assistere avvenne il 4 Aprile 1944 con la cremazione di 70 ostaggi fucilati il giorno prima nel poligono di tiro di Opicina. Il forno , a cui io miracolosamente scampai, rimase in funzione sino al 30 Aprile 1945 quando i tedeschi lo fecero saltare nel tentativo di cancellare le tracce del loro terribile passaggio. Tra le macerie furono ritrovate oltre alle ossa e alle ceneri, anche i resti della terribile mazza di ferro usata per la soppressione dei prigionieri. Questo forno ingoiò anche delle persone ancora vive.
Funzionamento del forno crematorio All’esterno a sinistra, un piccolo edificio costituiva il corpo di guardia e l’abitazione del comandante. A destra l’edificio a tre piani era occupato invece dagli uffici e dagli alloggi dei sottoufficiali e delle donne ucraine Il fabbricato di sei piani che potevo scorgere dalle anguste finestre fungeva da caserma con gli alloggi per i militari germanici , ucraini e per le milizie italiane. Era anche il luogo in cui stazionavano i neri furgoni delle SS con lo scarico collegato all’interno mediante un tubo rimovibile, usati per la gassazione delle vittime. Funzionamento del forno crematorio
Il processo ai responsabili dei crimini commessi durante l’occupazione tedesca alla risiera di San Sabba, si concluse nel 1976, a distanza di trent’anni. Fra gli accusati due nazisti : Joseph Oberhauser, un birraio di Monaco e l’avvocato August Dietrich Allers di Amburgo Il primo era il comandante della Risiera, il secondo era il suo diretto superiore fin dal tempo del “Tiergarten 4”, il centro organizzativo “dell’operazione eutanasia” per minorati fisici e mentali della Germania e dell’Austria.Dopo numerose pressioni portate avanti soprattutto da uomini della gerarchia ecclesiastica, tale centro che avrebbe dovuto eliminare tutti i disabili , fece in tempo ad eliminare solo 275.000 “bocche inutili”, come venivano comunemente definiti i disabili. Al processo per i crimini della Risiera di San Sabba il banco degli imputati è rimasto vuoto: parecchi di essi erano stati giustiziati dai partigiani, altri sono deceduti per cause naturali. August Dietrich Allers è morto nel marzo 1975, Joseph Oberhauser è rimasto a vendere birra a Monaco. La giustizia non ne ha chiesto l’estradizione in quanto gli accordi Italo – tedeschi che regolano questo istituto si limitano ai crimini commessi dopo il 1948. Il processo si è concluso con la condanna di Oberhauser all’ergastolo. Il criminale nazista è deceduto all’età di 65 anni, il 22 novembre 1979. Tale processo non deve essere tuttavia considerato inutile, soprattutto alla luce delle affermazioni di Simon Wiesenthal,un ebreo che ha dedicato tutta la vita a far luce sui crimini nazisti ed a ricercarne i responsabili , che afferma:
“ Non è solo un’esigenza di giustizia, ma anche un problema educativo “ Non è solo un’esigenza di giustizia, ma anche un problema educativo. Tutti devono sapere che delitti come questi non cadono sul fondo della memoria, non vengono prescritti. Chiunque pensasse ad un nuovo nazismo o ad un nuovo fascismo deve sapere che , alla fine, sarà sempre la giustizia a vincere. Anche se i mulini della giustizia macinano lentamente”.