La dichiarazione di incostituzionalità La sentenza della Corte Costituzionale n. 320/2011 - Quesito e dichiarazione di incostituzionalità (sintesi) - Il quesito La questione sottoposta, in via principale, al vaglio della Consulta riguarda la presunta illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 2, della L.R. Lombardia n. 26/2003 e s.m.i. (e dunque come riformata dall’art. 1, comma 1, lett. t della L.R. Lombardia n. 21/2010) per il ritenuto contrasto della stessa con l’art. 117 della Costituzione. La dichiarazione di incostituzionalità La richiamata disposizione contenuta nell’art. 49, comma 2, della L.R. Lombardia n. 26/2003 viene dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte poiché la stessa: in quanto avente ad oggetto “materia ascrivibile all’ordinamento civile, riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato” non potrebbe fondarsi sul citato comma 13 dell’art. 113 del D.Lgs. n. 267/2000 e s.m.i. , poiché tale comma deve ritenersi – secondo la Corte – tacitamente abrogato, per incompatibilità, dall’art. 23 bis, c. 5 del D.L. n. 112/2008. Parte prima
La sentenza della Corte Costituzionale n La sentenza della Corte Costituzionale n. 320/2011 - Elementi rilevanti e sintesi dell’iter motivazionale - la proprietà delle reti (intese in senso lato) è ascrivibile alla materia dell’“ordinamento civile” e dunque alla competenza esclusiva dello Stato per effetto dell’art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione; la Regione avrebbe potuto legiferare in materia di proprietà dei beni idrici solo in presenza di una specifica disposizione statale, dando attuazione alla medesima ma tale normativa manca, in quanto il comma 13 dell’art. 113 del TUEL è stato tacitamente abrogato, per incompatibilità, dall’art. 23 bis, c. 5 del D.L. n. 112/2008; la società patrimoniale di cui al comma 13 dell’art. 113 del TUEL costituisce un soggetto di diritto privato; il trasferimento alla società patrimoniale dei beni di proprietà degli enti pubblici territoriali integra, quindi, una cessione ad un soggetto privato; i beni di proprietà della società patrimoniale sono aggredibili dai creditori con possibile - a giudizio della Corte - perdita della destinazione pubblica dei beni medesimi; l’art. 23 bis, c. 5 del D.L. n. 112/2008 stabilisce il “principio secondo cui le reti sono di proprietà pubblica” e può essere affidata a soggetti privati soltanto la loro “gestione”; l’espressione “proprietà pubblica” deve essere intesa come “proprietà degli enti pubblici territoriali”; il principio che le reti sono di proprietà pubblica implica l’applicazione del regime giuridico del demanio accidentale pubblico; il “regime demaniale”, ai sensi della normativa codicistica e della normativa di settore (art. 143 del D.Lgs. n. 152/2006), comporta il divieto di cessione a soggetti di diritto privato e il divieto di mutamento della destinazione pubblica; il conferimento in proprietà previsto dal comma 13 dell’art. 113 del TUEL è pertanto incompatibile con il regime demaniale delle reti idriche stabilito dall’art. 23 bis, c. 5 del D.L. n. 112/2008 (e dal comma 1 dell’art. 143 del D.lgs. n. 152 del 2006); la società patrimoniale di cui al comma 13 dell’art. 113 TUEL non garantisce il mantenimento del “regime demaniale” poiché l’incedibilità del capitale sociale non implica incedibilità del patrimonio, né limita l’espropriabilità dei beni da parte dei creditori della società; Parte prima
La sentenza della Corte Costituzionale n La sentenza della Corte Costituzionale n. 320/2011 - Elementi rilevanti e sintesi dell’iter motivazionale - (segue) non assume alcuna rilevanza l’assenza del comma 13 dell’art. 113 del TUEL fra le norme espressamente abrogate dal regolamento di delegificazione di cui al D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168. il comma 13 dell’art. 113 del TUEL non riprende vigore a seguito dell’abrogazione dell’art. 23-bis; L’art. 4, c. 28 del D.L. n. 138/2011 (ora dichiarato incostituzionale Con sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012) ripristina il principio della “proprietà pubblica delle reti” e della possibilità di affidamento a soggetti privati soltanto della loro “gestione”; al settore idrico non si applica il comma 28 dell’art. 4 e, quindi, tale settore continua ad essere disciplinato dall’art. 143 del D.Lgs. n. 152 del 2006, che tuttavia prevede anch’esso la “proprietà demaniale delle infrastrutture idriche” e, quindi, la “loro inalienabilità se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge”; il conferimento in proprietà previsto dal comma 13 dell’art. 113 del TUEL è, quindi, incompatibile anche con il comma 1 dell’art. 143 del D.Lgs. n. 152/2006; alla Regione è pertanto preclusa la possibilità di legiferare in materia di “regime della proprietà di beni del demanio accidentale degli enti pubblici territoriali”, ivi compresi i beni strumentali al servizio idrico. Parte prima
La sentenza della Corte Costituzionale n La sentenza della Corte Costituzionale n. 320/2011 - Argomenti e rilievi critici - A) la normativa previgente all’art. 23-bis, c. 5, del D.L. n. 112/2008 (e, cioè, la normativa codicistica sui beni demaniali, la normativa generale sui servizi pubblici locali di cui al TUEL e la normativa di settore sul servizio idrico di cui all’art. 143 del d.lgs n. 152 del 2006) già conteneva: l’assoggettamento degli acquedotti (e poi, con il D.lgs. n. 152/2006, di tutti i beni strumentali al servizio idrico) al regime dei beni demaniali, con conseguente divieto di alienazione e di “mutamento della destinazione pubblica”; il conseguente divieto per gli enti locali territoriali di trasferire la proprietà di tali beni, con la deroga al suddetto divieto di alienazione espressamente prevista a favore delle società patrimoniali pubbliche dal combinato disposto dei commi 2 e 13 dell’art. 113 del TUEL; l’attribuzione al gestore del servizio (sia esso pubblico o privato) non del diritto di proprietà sui beni strumentali al servizio pubblico, ma di un non meglio precisato diritto di uso; B) la disciplina giuridica del regime dei beni demaniali contenuta nel codice civile può essere interpretata nel senso di contenere non un divieto assoluto di alienazione, ma soltanto un divieto relativo, “nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge” (comunque, la disciplina di settore relativa al servizio idrico integrato pone senza dubbio un divieto di alienazione relativo ai sensi del comma 1 dell’art. 143 del D.lgs. n. 152/2006); C) in ogni caso: interpretando la normativa nel senso che essa ponga un divieto di alienazione relativo, la previsione della società patrimoniale pubblica di cui al comma 13 dell’art. 113 del TUEL si poneva (e si pone) come disposizione derogatoria ma consentita dal codice civile e dall’art. 143 del D.Lgs. n. 152/2006; anche interpretando la normativa codicistica nel senso che essa ponga un divieto di alienazione assoluto, la previsione della società patrimoniale pubblica di cui al comma 13 dell’art. 113 del TUEL si poneva (e si pone), come disposizione derogatoria o eccezionale rispetto al regime giuridico del demanio pubblico, ma tuttavia legittima in quanto contenuta in una fonte identica a quella del codice civile (cioè la legge); Parte prima
La sentenza della Corte Costituzionale n La sentenza della Corte Costituzionale n. 320/2011 - Argomenti e rilievi critici - (segue) D) di fronte a tale normativa previgente, sarebbe stato necessario un intervento legislativo espresso, cioè una legge che avesse disposto in modo specifico l’abrogazione del comma 13 dell’art. 113 TUEL o, comunque, che avesse introdotto una disciplina che potesse interpretarsi in modo chiaro e univoco come incompatibile con quella previgente; E) non appare, invece, evidente la portata innovativa dell’espressione “Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati”, di cui al comma 5 dell’art. 23-bis, rispetto alla previgente normativa; F) non trovando applicazione il comma 5 dell’art. 23-bis la disciplina dei beni strumentali al servizio idrico è rinvenibile esclusivamente nel citato D.Lgs. n. 152/2006 (oltre che nel codice civile e nel TUEL) con una previsione che: non muta il previgente quadro normativo in tema di disciplina dei beni demaniali contenuto negli articoli del codice civile e nell’art. 113 del TUEL; ma anzi, rispetto alla disciplina del codice civile, pone un divieto di alienazione relativo (e non assoluto), in quanto espressamente “la legge” è facoltizzata (“se non”) a prevedere ipotesi di alienazione dei beni demaniali strumentali al servizio idrico, fissandone “i modi” e “i limiti”; pertanto, con la propria e forse innovativa portata (rispetto all’art. 823 del codice civile), conferma la legittimità del citato comma 13 dell’art. 113 del TUEL e della società patrimoniale pubblica; G) In ogni caso, il comma 13 dell’art. 113 TUEL non può ritenersi incompatibile con il codice civile (né ovviamente abrogato per incompatibilità) perché successivo al codice civile; H) In definitiva il comma 13 dell’art. 113 TUEL non può considerarsi abrogato per incompatibilità con l’art. 143 del D.lgs. n. 152/2006, perché questa disposizione – pur successiva all’art. 35 della legge n. 448 del 2001 che ha introdotto il comma 13 dell’art. 113 TUEL – è meramente riproduttiva del codice civile. Parte prima
I generali effetti delle sentenze della Corte Costituzionale … sugli atti amministrativi In ordine agli effetti sugli atti amministrativi già assunti – e da cui potrebbero derivare atti e rapporti di natura privatistica - la giurisprudenza ha chiarito che legge (anche se dichiarata incostituzionale) e atto amministrativo a questa ricollegabile sono elementi distinti, riconducibili a due diversi poteri dello Stato ed espressione e risultato di differenti procedimenti che, quand’anche influenzati l'uno dall'altro, sono fondamentalmente compiuti e perfetti in sé stessi (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 8/1963; Cass. Civile, sez. III, 11-04-1975, n. 1384; Cass. civile, sez. 28 maggio 1979, n. 311; Cass. civ. sez. III 28 luglio 1997 n. 7057). Proprio per tale ragione: fra legge e atto amministrativo non sussiste un rapporto di consequenzialità analogo a quello ravvisabile tra atto preparatorio e atto finale di un medesimo procedimento amministrativo (in base al quale i vizi invalidanti del primo si riverbererebbero inevitabilmente sull'atto finale). . A tal proposito si parla di autonomia del potere amministrativo, nel senso che i suoi atti sono manifestazione autonoma di un potere distinto da quello legislativo e che - anche se, in ipotesi, illegittimi o invalidi - non perdono la caratteristica efficacia di ogni atto amministrativo. Conseguentemente l’atto amministrativo assunto in costanza della vigenza di una norma anche successivamente dichiarata incostituzionale e per il quale forse si potrebbe dubitare circa la validità – per gli effetti retroattivi delle sentenze medesime – in realtà si configura quale atto del tutto efficace e comunque né inesistente né nullo, ma al più soggetto ad una eventuale azione di annullamento (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1153/2001; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3237/2001; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3458/2006; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2575/2006; Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6691/2002; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 8056/2006) Parte seconda
I generali effetti delle sentenze della Corte Costituzionale … sui rapporti iure privatorum In ordine agli atti iure privatorum (che potrebbero essere sorti in ragione della norma dichiarata incostituzionale ovvero, in ragione degli atti amministrativi applicativi della legge stessa) occorre precisare che detti atti conservano una limitata autonomia dipendendo direttamente dall’atto amministrativo che ne rappresenta il diretto ed immediato presupposto. Tuttavia occorre considerare che ritenere autonomamente impugnabili gli atti iure privatorum conseguenti ad un presupposto atto amministrativo sconfesserebbe quell’ordinario principio di legalità e certezza dei rapporti, proprio in ragione del quale la giurisprudenza ha indicato i limiti di inoppugnabilità delle situazioni esistenti con particolare riferimento a dichiarazioni sopravvenute di incostituzionalità. La giurisprudenza inoltre, non solo ha dedotto la salvezza dei rapporti esauriti – e, quindi, nel nostro caso di quegli atti amministrativi che rappresentano il fondamento della serie procedimentale poi attuata e posta in essere anche mediante atti di natura privatistica - ma di tutti quei rapporti che, in tutto o in parte, hanno prodotto definitivamente i propri effetti. Potremmo dunque ritenere che dovrà essere riconosciuta la salvezza di tutte quelle situazioni per le quali – in virtù dell’atto amministrativo divenuto comunque inoppugnabile – la successiva serie procedimentale, anche di atti di natura privata, si è compiuta ed ha validamente prodotto i propri effetti. Tra l’altro ed in ogni caso gli atti di natura privata potrebbero altresì essere ritenuti efficaci tanto più in tutte quelle fattispecie nelle quali siano spirati anche i termini per le eventuali azioni previste dal Codice Civile, come richiamato dalla L. n. 241/1990 e s.m.i. per tutti quegli atti compiuti dalle pubbliche amministrazioni nell’esercizio di poteri non autoritativi (es. rapporti bancari). In tal senso anche la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di rilevare che “La declaratoria di illegittimità costituzionale è applicabile a tutti i rapporti non ancora "esauriti", operando tale declaratoria in modo diverso dall'abrogazione, dalla quale si differenzia per presupposti, natura ed effetti. La dichiarazione di illegittimità costituzionale, infatti, a differenza dell'abrogazione, ha per presupposto l'invalidità della legge, in quanto viziata dall'essere in contrasto con un precetto costituzionale e rende la norma dichiarata incostituzionale non più applicabile ai rapporti ancora "sub iudice", mentre deve essere applicata per i rapporti esauriti, intendendosi per tali quelli che, sorti precedentemente alla pronuncia di incostituzionalità, abbiano dato luogo a situazioni ormai consolidate ed inderogabili per effetto del passaggio in giudicato di decisioni giurisdizionali, della definitività di provvedimenti amministrativi divenuti inoppugnabili, del completo esaurimento degli effetti degli atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale” (cfr. TAR Campania-Napoli, Sez. II, n. 3879 del 18.7.2011). Parte seconda
I generali effetti delle sentenze della Corte Costituzionale … l’eventuale annullamento in autotutela In ogni caso, allorché le amministrazioni ritenessero - a fronte della invalidità degli atti posti in essere determinata dagli effetti della sentenza della Consulta - di intervenire, mediante un procedimento di secondo grado, sui medesimi atti e/o provvedimenti dovrebbero comunque valutare la sussistenza dei presupposti normativi oggi espressamente disciplinati dagli artt. 21-octies e 21-nonies della citata L. n. 241/1990. La legittimità di un provvedimento di autotutela è, infatti, in ogni caso subordinata, oltre che alla comunicazione di avvio del procedimento, alla valutazione degli effetti di tale procedimento di secondo grado, soprattutto con riguardo all’interesse pubblico ed agli interessi dei destinatari/controinteressati (ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 04/05/2012, n. 2567; sez. IV, 27/01/2012, n. 419). L’assenza o la mancata idonea valutazione, debitamente espressa nella motivazione dell’atto o ancora l’insussistenza dei presupposti normativi stessi renderebbe l’atto di autotutela censurabile nelle ordinarie forme di un ricorso giurisdizionale. Tale valutazione rende pertanto necessaria una approfondita analisi da parte dell’Amministrazione procedente poiché solo al ricorrere degli anzidetti elementi previsti dalla norma potrebbe legittimamente agire in autotutela, ed anzi in difetto, rischierebbe di porre in essere un atto illegittimo. Infatti la declaratoria di incostituzionalità di una norma non pone in alcun modo l’obbligo per la Pubblica Amministrazione di attivare un procedimento di rimozione degli atti amministrativi applicativi della norma poi divenuta illegittima. In tal senso, appare fondamentale porre una specifica valutazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’atto ovvero, al contrario, alla sua conservazione, con l’effettuazione di un procedimento istruttorio realmente comparativo e volto ad un bilanciamento degli opposti interessi in giuoco; attività per la quale non si potrà procedere per il perseguimento di un mero ripristino di una (peraltro solo ipotetica) legalità violata. In definitiva, si dovrebbe comunque valutare da parte delle Amministrazioni coinvolte, preordinatamente ad ogni eventuale assunzione di un atto di annullamento in autotutela, la sussistenza in concreto: dell’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento; del tempo decorso dal momento di efficacia degli atti amministrativi; di una comparazione con l’eventuale interesse pubblico contrapposto. Parte seconda
SPUNTI OPERATIVI - distinzioni operabili - In primo luogo, dovrà distinguersi, a seconda della disposizione normativa posta a fondamento della costituzione della Società patrimoniale, fra: Società patrimoniali costituite in attuazione L.R. Lombardia n. 26/2003 e s.m.i. (e dunque come riformata dall’art. 1, comma 1, lett. t della L.R. Lombardia n. 21/201): per tali Società, dovrà considerarsi che la sentenza della Corte costituzionale ha effetti retroattivi ed investe pertanto anche i rapporti giuridici sorti in epoca precedente alla sentenza, fatti salvi i “rapporti esauriti”. Società patrimoniali non costituite in attuazione L.R. Lombardia n. 26/2003 (bensì in attuazione della normativa statale in tema di società patrimoniali, cioè del comma 13 dell’art. 113 del TUEL o comunque di altre disposizioni della normativa statale che consentivano o presupponevano tale possibilità). Al riguardo si deve premettere che non sono state dichiarate costituzionalmente illegittime le disposizioni diverse dalla richiamata normativa regionale, ma sono state ritenute (rectius esclusivamente il comma 13 dell’art. 113 del TUEL) implicitamente abrogate per effetto dell’entrata in vigore del comma 5 dell’art. 23-bis o, prima ancora, dell’art. 143 del D.Lgs. n. 152/2006. Pertanto per tali Società dovrà quindi considerarsi che la (ritenuta) abrogazione non ha comunque effetti retroattivi, ma soltanto per il futuro, e che, pertanto, si applica esclusivamente ai rapporti giuridici sorti in epoca successiva all’entrata in vigore dell’art. 23-bis o, in ipotesi, al D.Lgs. n. 152/2006, che hanno abrogato (secondo la Consulta) il comma 13 dell’art. 113 del TUEL. Parte terza
SPUNTI OPERATIVI - distinzioni operabili - (segue) In secondo luogo, dovrà distinguersi, sulla base di un criterio temporale e cioè: in relazione alla possibilità/legittimità di costituire in futuro, dopo la sentenza della Corte costituzionale, nuove Società patrimoniali o comunque nuove società proprietarie dei beni strumentali al servizio pubblico; in relazione agli effetti della sentenza della Corte costituzionale sulle Società patrimoniali, o comunque sulle società proprietarie dei beni strumentali al servizio pubblico, già esistenti al momento della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. In terzo luogo, dovrà distinguersi, sulla base della natura e dei caratteri delle società fra: Società patrimoniali, rappresentate dalle società che hanno come denominatore comune quello di avere nel loro oggetto sociale - in modo espresso anche se non prevalente, o comunque di svolgere in via di fatto - la funzione di essere proprietarie di beni strumentali al servizio pubblico; Società di gestione e proprietarie, cioè le società non patrimoniali, ma comunque gestori dei beni e/o del servizio di erogazione all’utenza, e altresì proprietarie di (alcuni) beni, rappresentate dalle società diverse da quelle sopra definite come patrimoniali e che coincidono, in buona sostanza e salvo specifiche ipotesi diverse, con le società di gestione del servizio, che sono anche proprietarie di beni strumentali al servizio medesimo, in quanto tali beni (a) gli sono stati trasferiti da parte degli enti locali o da parte dei precedenti gestori del servizio, oppure (b) sono stati realizzati dal gestore medesimo e iscritti nei propri bilanci come beni di loro proprietà. Parte terza
SPUNTI OPERATIVI - distinzioni operabili - (segue) In quarto luogo, dovrà distinguersi, all’interno delle Società patrimoniali, fra: le Società patrimoniali di ambito, cioè le società rappresentate dalle società patrimoniali costituite dagli enti locali, o da alcuni di essi, in attuazione della legge regionale lombarda, con l’obiettivo di costituire una società patrimoniale per tutto l’ambito territoriale ottimale del servizio idrico integrato; le Società patrimoniali degli enti locali, cioè le società patrimoniali costituite da enti locali, anche associati fra di loro, non in attuazione della legge regionale lombarda, al fine di attribuire alla società la proprietà di beni strumentali al servizio. In quinto luogo, dovrà distinguersi, sempre all’interno delle Società patrimoniali, a seconda del momento di costituzione delle predette Società patrimoniali, fra: le Società patrimoniali costituite prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006; le Società patrimoniali costituite dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006, ma prima dell’entrata in vigore dell’articolo 23-bis del d.l. n. 112 del 2008; le Società patrimoniali costituite dopo l’entrata in vigore dell’articolo 23 bis del D.L. n. 112/2008. Parte terza
SPUNTI OPERATIVI - COSTITUZIONE DI NUOVE SOCIETA’ - Un effetto da ritenersi certo che deriva dalla sentenza della Corte costituzionale è quello di rendere illegittima la costituzione di nuove società patrimoniali di ambito in attuazione dell’art. 49, comma 2, della L.R. Lombardia n. 26/2003. Analogamente, deve ritenersi illegittima l’attribuzione alle medesime società patrimoniali della proprietà di beni strumentali al servizio secondo qualsiasi tipologia di negozio giuridico (cessione in proprietà, conferimento dei beni nel capitale sociale, operazioni sul capitale sociale dalle quali comunque conseguano effetti traslativi della proprietà dei beni). Qualche perplessità potrebbe sorgere nel caso in cui la costituzione di nuove società patrimoniali non avvenga in diretta attuazione della norma regionale dichiarata incostituzionale, ma della disposizione di cui al comma 13 dell’art. 113 del TUEL, sul presupposto di una sua attuale vigenza e nonostante l’espresso avviso contrario da parte della Corte costituzionale (che, come visto, la ritiene ormai abrogata per incompatibilità con il comma 5 dell’art. 23-bis). Si ritiene, in ogni caso, che sia opportuno, se non altro per ragioni di ovvia cautela, astenersi, da parte degli enti pubblici territoriali, dal porre in essere, dal momento della data di pubblicazione della sentenza della Corte, qualsiasi attività i cui effetti potrebbero risultare in contrasto con l’intervenuta declaratoria di incostituzionalità o, più precisamente con la (ritenuta) abrogazione del comma 13 dell’art. 113 del TUEL. In conclusione, appare opportuno evitare per il futuro l’adozione di atti amministrativi e/o di atti negoziali in contrasto con quanto espressamente dichiarato dalla Corte e, dunque, è da ritenersi consigliabile: non procedere alla costituzione di nuove società patrimoniali; non procedere all’attribuzione alle società patrimoniali esistenti della proprietà di beni strumentali al servizio secondo qualsiasi tipologia di negozio giuridico, fatte salve le eventuali ipotesi di beni oggettivamente non aventi natura demaniale. Parte terza
SPUNTI OPERATIVI - SOCIETA’ ESISTENTI - Società patrimoniali costituite in attuazione della L.R. Lombardia n. 26/2003 la questione degli effetti retroattivi della sentenza della Corte si pone non solo per le Società patrimoniali costituite dopo l’entrata in vigore dell’art. 1, comma 1, lett. l), della legge regionale Lombardia n. 21 del 2010, ma anche per quelle comunque attuative della legge regionale della Lombardia n. 26 del 2003, ponendosi la nuova formulazione della disposizione regionale in “continuum” con quella precedente, in quanto entrambe finalizzate a disciplinare l’istituto della “società patrimoniale di ambito” titolare della proprietà dei beni strumentali al servizio idrico. gli atti amministrativi e gli atti negoziali ad esse relativi, posti in essere in attuazione della citata disposizione della legge regionale della Lombardia, possono ritenersi “cristallizzati” dando luogo a “rapporti esauriti” non più ragionevolmente censurabili. non esiste un obbligo specifico di scioglimento e messa in liquidazione delle Società di cui trattasi, così come non sussiste un obbligo di “retrocessione” della proprietà dei beni a favore degli enti pubblici territoriali. rimane astrattamente ammissibile la possibilità dell’annullamento in autotutela dei provvedimenti amministrativi, ferme restando le valutazioni relative all’interesse pubblico Società patrimoniali costituite NON in attuazione della L.R. Lombardia n. 26/2003 Tali Società non sono state costituite in attuazione della predetta legge regionale della Lombardia, bensì in attuazione della normativa statale in tema di società patrimoniali, cioè del comma 13 dell’art. 113 del TUEL, la quale – come visto – non è stata dichiarata costituzionalmente illegittima ma soltanto implicitamente abrogata dal comma 5 dell’art. 23-bis (o, prima ancora, dall’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006). Dovranno pertanto essere svolte ulteriori considerazioni e distinzioni sulla base della data di costituzione della società, con riferimento alla circostanza che l’effetto abrogativo vale esclusivamente per il futuro. In ogni caso anche in dette ipotesi: gli atti amministrativi e gli atti negoziali ad esse relativi possono ritenersi “cristallizzati” dando luogo a “rapporti esauriti” non più ragionevolmente censurabili non esiste un obbligo specifico di scioglimento e messa in liquidazione delle Società di cui trattasi, così come non sussiste un obbligo di “retrocessione” della proprietà dei beni a favore degli enti pubblici territoriali non dovrà procedersi all’attribuzione alle società patrimoniali esistenti della proprietà di beni strumentali al servizio secondo qualsiasi tipologia di negozio giuridico, fatte salve le eventuali ipotesi di beni oggettivamente non aventi natura demaniale. Parte terza
SPUNTI OPERATIVI - SOCIETA’ ESISTENTI (tipologie I)- le Società patrimoniali costituite prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006 queste società debbono ritenersi pienamente ed a tutti gli effetti validamente costituite, in quanto, al momento della loro costituzione, erano pienamente compatibili con tutte le disposizioni all’epoca vigenti (normativa codicistica e comma 13 dell’art. 113 del TUEL). parimenti saranno validi ed efficaci gli atti amministrativi assunti dalle Pubbliche Amministrazioni posti a monte della serie procedimentale nonché gli atti iure privatorum successivamente adottati. rispetto a tali società, ed ai relativi atti provvedimentali e iure privatorum, può configurarsi – al più – una sopravvenuta incompatibilità con il d.lgs. n. 152 del 2006, le cui disposizioni, secondo la Corte costituzionale, non ammetterebbero più la validità di società patrimoniali. tale eventuale (ritenuta) incompatibilità non giustificherebbe, tuttavia, nemmeno l’annullamento in via di autotutela per la mancanza, quanto meno, del requisito del carattere “originario” della (asserita) illegittimità dell’atto da annullare. Infatti, ai sensi della legge n. 241 del 1990, i vizi di legittimità che possono dar luogo all’annullamento in via di autotutela devono essere originari, cioè insiti fin dall’inizio nell’atto da annullare, e non sopravvenuti, come invece risulta nel caso di specie (ove l’eventuale illegittimità deriverebbe dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006). . le Società patrimoniali costituite DOPO l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006 MA PRIMA dell’entrata in vigore dell’articolo 23bis del d.l. n. 112/2008 anche per queste Società possono essere svolte le stesse identiche considerazioni relative alle società patrimoniali costituite prima dell’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 152 del 2006, stante la loro piena compatibilità con tutte le disposizioni all’epoca vigenti (non solo con la normativa codicistica ed il comma 13 dell’art. 113 del TUEL, ma anche con l’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006); se, invece – seguendo la Corte costituzionale – si ritenesse la incompatibilità del comma 13 dell’art. 113 del TUEL con l’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006, e la conseguente (anche se non dichiarata espressamente dalla Corte costituzionale) abrogazione del comma 13 dell’art. 113 del TUEL ad opera del citato art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006, si applicheranno a queste Società patrimoniali le stesse considerazioni che andiamo ora a esporre con riferimento alle Società patrimoniali costituite dopo l’entrata in vigore dell’art. 23-bis. Parte terza
SPUNTI OPERATIVI - SOCIETA’ ESISTENTI (tipologie II)- le Società patrimoniali costituite DOPO l’entrata in vigore dell’articolo 23bis del d.l. n. 112/2008 gli atti di costituzione di tali Società sono stati assunti in virtù di una norma - l’art. 113, comma 13 del TUEL – che non è stata oggetto di declaratoria di incostituzionalità, bensì ritenuta implicitamente abrogata dalla Consulta con la pronuncia in esame; Rilievi critici: in ordine alle argomentazioni della Corte rispetto alle motivazioni addotte circa la tesi di cui sopra dell’abrogazione del comma 13 dell’art. 113 del TUEL ad opera del comma 5 dell’art. 23-bis; all’effetto non vincolante dell’attività ermeneutica della Corte costituzionale e sulla valenza di mero autorevole precedente. non vengono meno i provvedimenti amministrativi e i conseguenti negozi iure privatorum posti in essere o perfezionati, ma sono impugnabili entrambi negli ordinari termini decadenziali. Possibile azione in autotutela. Anche per queste società patrimoniali è da ritenersi pertanto insussistente un obbligo specifico di scioglimento e messa in liquidazione o un obbligo di “retrocessione” della proprietà dei beni a favore degli enti pubblici territoriali. Parte terza