lezione di diritto processuale civile pp.9bis Anno accademico 2013/2014
Fase dinamica
Il processo a cognizione piena di rito ordinario
I modelli
Introduzione Nella regolamentazione dei processi a cognizione piena, quanto alla fase introduttiva e di trattazione, il legislatore può introdurre quattro modelli: - un modello senza preclusioni; - un modello con preclusioni rigide e concentrate; - un modello con preclusioni diluite; - un modello misto
Rito senza preclusioni E’ il modello dovuto alla novella del 1950 che ha modificato l’impianto originario del codice del 1942 prevedendo la facoltà delle parti di poter modulare le difese (eccezioni, allegazioni e prove) lungo tutto il corso del processo, sino alla udienza di precisazione delle conclusioni. Anche le domande se vi fosse stata accettazione del contraddittorio delle parti, avrebbero potuto essere formulate in ogni fase del processo di primo grado. Il problema: la retrocessione del processo alla fase iniziale per esigenze di contraddittorio
Rito con preclusioni rigide Coincide con la riforma del processo del lavoro, Legge n. 533 del 1973 ed è caratterizzato dalla necessità che domande, eccezioni riservate alla parte e prove siano dedotte tutte con gli atti introduttivi, a pena di preclusione. Difetto di tale sistema: la parte è costretta a dedurre prove senza ancora conoscere se la controparte contesterà specificamente al fine di indurre ex art. 115, 2° comma, all’onere della prova. La iniziativa nella prova non è previamente assoggettata al contraddittorio.
Rito a preclusioni diluite E’ il rito ordinario, dovuto alla riforma con legge n. 353/1990, entrata in vigore nel 1995 e novellata con la legge n. 80/2005: caratterizzato da una preclusione in ordine alle domande ed eccezioni riservate con gli atti introduttivi ed una preclusione in ordine alle prove, solo in occasione delle memorie autorizzate alla udienza ex art. 183, 6° comma
Rito misto E’ l’esperienza del rito societario introdotto con d.lgs. n. 5 del 2003 e abrogato con legge n. 69 del 2009 caratterizzato da un duplice sviluppo: - mediante scambio di memorie, con sistema diluito sul modello del rito ordinario; - a seguito di istanza di fissazione di udienza, che una qualunque delle parti può introdurre, con sistema concentrato sul modello del rito del lavoro.
Attuali modelli Rito ordinario (legge n. 353 del 1990 e legge n. 80 del 2005): modello a preclusioni progressive. Rito del lavoro e riti speciali assimilati: modello a preclusioni concentrate (principio di eventualità). Rito abbreviato ex art. 702-bis c.p.c.: modello a preclusioni progressive.
Una spiegazione Dovendo il rito del lavoro e i riti assimilati svolgersi in relazione a fattispecie tipiche, ovvero disciplinate dalla legge, come nelle controversie del lavoro e delle locazioni, con minori oneri a carico delle parti per la facile identificazione della fattispecie, si è adottato un rito concentrato. Dovendo invece il rito ordinario svolgersi per lo più in relazione a fattispecie atipiche ovvero regolate dalla volontà delle parti e dall’autonomia, l’onere difensivo è più complesso perché non è sempre facile identificare la fattispecie, donde l’adozione di un modello a preclusioni progressive.
Una ricostruzione generale valevole per tutti i riti
Affinità dei riti. Lo sviluppo del processo. A prescindere dai riti lo sviluppo del processo a cognizione piena è identico: - fase introduttiva (dominata dalla parte), - fase di trattazione delle difese (dominata dalla parte); - fase istruttoria (dominata dal giudice); - fase della decisione o del giudizio (dominata dal giudice).
Segue. Le domande e le eccezioni riservate alla parte. Le domande e le eccezioni riservate alla parte devono essere tutte necessariamente formulate con gli atti introduttivi, anche se trattasi di domande formulate nei confronti di terzi (art. 106 c.p.c.).
Le prove Al contrario le prove devono essere dedotte negli atti introduttivi nel rito del lavoro e possono essere dedotte invece nelle memorie che vengono autorizzate nell’udienza di trattazione ex art. 183, 6° comma c.p.c. (nn. 2 e 3).
Riaperture In tutti i riti (cfr. artt. 183, 5° e 6° comma e 420, 1° comma c.p.c.) è consentito in prima udienza un adattamento delle difese, sino all’ipotesi della formulazione di nuove difese: - per esigenze di contraddittorio; - per ius poenitendi; - per rimessione in termini.
Esigenze di contraddittorio Quando l’esigenza della riapertura dei termini si pone per dare luogo al contraddittorio, la difesa può essere espressa nella sua massima espressione, purché consequenziale e funzionale alla difesa avversaria o all’iniziativa del giudice, quindi: la parte può formulare una domanda o eccezione nuova in replica ad una domanda; una domanda in replica ad un’eccezione; una eccezione in replica ad un’eccezione; una prova in replica ad una prova.
Segue. L’eventualità si pone quando l’attore deve replicare alle difese del convenuto; quando l’attore e il convenuto devono replicare alle difese del terzo; quando infine il convenuto deve replicare alle difese espresse dall’attore, in replica alle sue.
Il contraddittorio in relazione alla iniziativa del giudice Non si deve dimenticare che la riapertura per esigenze di contraddittorio può essere postulata da iniziative del giudice, laddove rilevi una questione d’ufficio (eccezione di merito o di rito) oppure disponga una prova. In proposito, si cfr l’art. 101, 2° comma c.p.c.
Modalità di esercizio, prima difesa successiva Le modalità di esercizio del contraddittorio possono avvenire mediante due tecniche: mediante concessione di un termine per il deposito di una memoria (art. 183, 6° comma, n. 2 c.p.c. e art. 101, 2° comma c.p.c.); mediante il differimento dell’udienza (art. 269 e art. 418 e 419 c.p.c.), in ogni caso quando interviene un terzo o viene chiamato; nel rito del lavoro anche quando è formulata una domanda riconvenzionale: in tal caso il contraddittorio si esercita con una memoria depositata anticipatamente; all’udienza successiva nel primo atto difensivo (art. 183, 5° comma; art. 420, 1° comma c.p.c.).
Ius poenitendi E’ possibile un adattamento delle difese che non sia imposto dal contraddittorio ma in tal caso non è possibile formulare una nuova difesa ma solo modificare le difese già formulate, restando sempre nell’ambito della difesa già dedotta (la formula è: “modificare e precisare le domande, eccezioni e conclusioni” es. art. 183, 5° e 6° comma; art. 420, 1 comma, c.p.c.).
rispetto alla domanda In relazione alla domanda lo ius poenitendi si può postulare: come modifica qualitativa del petitum (da condanna a accertamento mero) o quantitativa (da un credito di 100 a 50) - come modifica della causa petendi (nei d. autoindividuati, l’allegazione di un nuovo fatto costitutivo; nei diritti etero solo l’allegazione di un fatto secondario)
Segue. Rispetto all’eccezione: - allegazione di fatti secondari; - riduzione della portata dell’eccezione (da prescrizione decennale a prescrizione quinquennale).
Per errore scusabile La rimessione in termini per incolpevole decadenza dovuta a fortuito o a fatto dell’avversario era originariamente concepita per i soli termini endoprocessuali della trattazione (art. 184-bis c.p.c.). Oggi la norma è trasmigrata nell’art. 153 c.p.c. (legge n. 69 del 2009) e quindi applicabile non solo per tutti i termini endoprocessuali, ma anche per i termini extraprocessuali (es: termine per impugnare).
Ambito dell’errore scusabile Con la rimessione in termini per errore scusabile la parte, similmente all’esercizio della riapertura per contraddittorio, consente la formulazione di nuove domande, nuove eccezioni e nuove prove.
Dalla trattazione all’istruzione o alla decisione Esaurita la fase introduttiva e della trattazione delle difese di parte, in tutti i riti il processo vive uno snodo fondamentale, in cui il giudice si riappropria del processo rispetto a fasi in cui erano state prevalenti le iniziative delle parti ed in particolare con ordinanza (artt. 187 e 420, 4° comma c.p.c.) decide se procedere all’istruttoria oppure immediatamente concludere il procedimento con la decisione.
Questioni pregiudiziali e preliminari Questo avviene quando il giudice rilevi l’esistenza di una questione pregiudiziale di rito (ovvero di un presupposto processuale mancante che impedisce la decisione nel merito del processo) o una causa di estinzione oppure rilevi questioni preliminari di merito: 1. l’inesistenza di un fatto costitutivo 2. o l’esistenza di un fatto che costituisce eccezione.
Questioni preliminari di merito Infatti l’inesistenza di un fatto costitutivo priva di senso una prosecuzione del processo per l’istruttoria sugli altri fatti rilevanti poiché essa è fonte di immediato rigetto della domanda. Ugualmente l’esistenza di un fatto che costituisce eccezione. In entrambi i casi indagare sugli altri fatti costitutivi o sugli altri fatti che costituiscono eccezione, non ha senso perché il processo può essere subito definito.
Provvedimenti anticipatori Un altro elemento comune nei riti è la previsione di giudizi interinali in forma di ordinanza con finalità anticipatorie dell’effetto esecutivo: l’ordinanza delle somme non contestate (artt. 186 bis e 423/1 c.p.c.); l’ordinanza ingiuntiva (art. 186 ter); la provvisionale (art. 423, 2° comma e 278, 2° comma c.p.c., in quest’ultimo caso, solo per il rito ordinario in forma di sentenza).
Ordinanze di pagamento delle somme non contestate Nel processo in cui le parti sono costituite (la norma non è applicabile nel processo contumaciale), se la difesa della parte destinataria della domanda contesta solo una parte del credito fatto valere in domanda, la parte non contestata viene fatta oggetto di un provvedimento di condanna in forma di ordinanza (art. 186 – bis e 423, 1° comma c.p.c)..
Ordinanze ingiuntive Sugli stessi presupposti del decreto ingiuntivo (prova scritta del fatto costitutivo) nella condanna al pagamento di somme e nella condanna alla consegna di beni mobili, è possibile ottenere un’ordinanza ingiuntiva (art. 186 –ter c.p.c.), esecutiva negli stessi casi in cui può essere un decreto (artt. 642 e 648 c.p.c.)
Condanna ad una provvisionale Per la parte in cui il giudice ritiene già raggiunta la prova, può emettere in forma di ordinanza la condanna al pagamento di una somma a titolo provvisorio; ciò avviene nel rito del lavoro (art. 423, 2° comma, c.p.c.) ma nel rito ordinario è previsto lo stesso istituto, salvo rendere necessaria la forma della sentenza (art. 278, 2° comma c.p.c.). In quest’ultimo rito è prevista anche la condanna generica (1° comma), in forma di sentenza, quando il giudice ritiene raggiunta la prova sull’an del diritto, ma deve ancora istruire sul quantum. L’utilità della condanna generica è quello di un titolo per iscrizione ipotecaria.
Il regime delle ordinanze anticipatorie Salvo il caso che l’anticipazione abbia luogo con sentenza (art. 278 c.p.c.), poiché in tal caso vale il regime relativo, le ordinanze anticipatorie hanno un regime particolare: non passano in giudicato ma sopravvivono alla estinzione del processo, pur potendo essere revocate e modificate in ogni tempo.
La conversione dei riti Un ulteriore elemento comune è costituito dalla regolamentazione della conversione del rito, quando la parte ha introdotto la domanda con un rito sbagliato. In tal caso l’ordinamento sdrammatizza il vizio, non qualificandolo come presupposto processuale e prevedendo sempre e in ogni caso una sanatoria, mediante ordinanza con la quale il rito viene convertito (artt. 426, 427, 439 c.p.c. e art. 4 d. lgs. n. 150 del 2011).
Il passaggio da rito ordinario a rito speciale (art. 426 c.p.c.) Il giudice fissa un termine perentorio entro il quale le parti devono esaurire tutte le loro difese (per il passaggio da un rito progressivo ad un rito concentrato) e fissa l’udienza ex art. 420 c.p.c. Le preclusioni già maturate nel rito ordinario si conservano nel nuovo rito dopo la conversione.
Passaggio da rito del lavoro a rito ordinario (art. 427 c.p.c.) In tal caso, oltre alla regolarizzazione fiscale degli atti processuali (nel rito del lavoro vi è un minore carico fiscale rispetto al rito ordinario), il giudice fissa l’udienza dell’art. 183 c.p.c. Le prove raccolte nel rito del lavoro, per le regole che contraddistinguono il rito e non sono applicabili al rito ordinario, conservano la loro efficacia solo se coerenti con quest’ultimo rito.
Il passaggio tra riti nella legge sulla semplificazione dei riti Quando l’errore riguarda uno dei riti speciali regolati nel d. lgs. n. 150 del 2011, la disciplina è leggermente differente, poiché sono considerate ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento (ciò che non è previsto nel passaggio dal rito lavoro al rito ordinario nell’art. 427 c.p.c.). Inoltre il legislatore evidenzia un profilo che è implicito, ovvero la conservazione degli effetti della domanda in caso di conversione.
Profili di rito e competenza Quando oltre al rito si pone un problema di competenza, l’ordinanza di conversione fissa il termine per la riassunzione davanti al giudice competente e risolvendo anche un profilo di competenza è impugnabile con regolamento di competenza.
Le specificità del rito ordinario
L’ambito applicativo del rito ordinario Si ricava per esclusione, ovvero è il rito di chiusura, quando la controversia non sia devoluta a qualche altro diverso rito speciale a cognizione piena o rito speciale a cognizione sommaria, come il rito camerale.
Introduzione. La citazione. La tecnica introduttiva è quella della citazione ad udienza fissa, art. 163, 1°comma, c.p.c., notificata al convenuto (artt. 163, 3° comma e 291 c.p.c.) e all’esito depositata in cancelleria, con il fascicolo dei documenti, la procura e la nota di iscrizione a ruolo, entro dieci giorni dalla notifica (art. 165 c.p.c.)
Contenuto La citazione, nei suoi elementi di forma contenuto è stata esaminata nella trattazione del presupposto processuale del contraddittorio e della domanda; nei suoi contenuti preclusivi nella disamina dei modelli di introduzione e trattazione: a pena di decadenze devono essere formulate in tutti i loro elementi le domande con le relative allegazione dei fatti costitutivi.
La costituzione del convenuto Il convenuto si costituisce mediante deposito entro venti giorni anteriori alla udienza della comparsa di costituzione, ove a pena di decadenza deve introdurre le eventuali domande verso l’attore (riconvenzionali) o verso un terzo (chiamate) e le eccezioni riservate dalla parte (quelle d’ufficio possono essere formulate in ogni stato e grado), artt. 166 e 167 c.p.c.
La contumacia La parte che non si costituisce nei termini, sia l’attore che il convenuto, e non si costituisca neppure alla prima udienza è dichiarata contumace, con l’applicazione del regime speciale di cui all’art. 292 c.p.c. (già esaminato nella trattazione del contraddittorio). Il contumace può costituirsi sino alla udienza di precisazione delle conclusioni (subendo le preclusioni maturate, salva la facoltà di disconoscere la sottoscrizione della scrittura contro di lui prodotta), art. 293 c.p.c. e può essere rimesso in termini, art. 294 c.p.c. (sulla falsariga dell’art. 153 c.p.c.)
La chiamata del terzo per iniziativa di parte Il terzo può essere chiamato dalle parti originarie, la richiesta va inserita in comparsa (o l’attore in udienza se dovuta alle difese del convenuto) e deve contenere, a pena di inammissibilità, l’istanza di differimento della udienza, per consentire la chiamata e costituzione del terzo (chiamata con citazione nel rispetto dei termini a difesa ex art 163-bis c.p.c.; costituzione entro venti gg anteriori alla nuova udienza, con le formalità del convenuto), art. 269 c.p.c.
La chiamata del terzo iussu iudicis Se invece la chiamata è indotta dal giudice, questa - nel rito ordinario - è provocata dalla parte mediante citazione ad udienza fissa, in difetto è sanzionata con la cancellazione della causa dal ruolo, art. 270 c.p.c. Il terzo si costituisce con le formalità del convenuto, art. 271 c.p.c.
L’intervento del terzo Mediante comparsa (267 c.p.c.), sino alla udienza di precisazione delle conclusioni, ma subendo le preclusioni già maturate. non comprensiva regola, per il caso di chiamata innovativa, ovvero che implica la formulazione di una nuova domanda: interpretazione correttiva. Art. 268 c.p.c.
Iscrizione a ruolo, fascicolo d’ufficio Costituito l’attore oppure, in difetto, costituito il convenuto, su presentazione della nota di iscrizione a ruolo, il Cancelliere iscrive la causa a ruolo, attribuendo un numero barra anno (anche per la identificazione del fascicolo elettronico) e forma il fascicolo d’ufficio, che contiene copia degli atti, i verbali, i provvedimenti del giudice e il dispositivo delle sentenze (art. 168 c.p.c.): gli originali degli atti con i documenti sono contenuti nei fascicoli di parte.
estinzione Se nessuna delle parti si costituisce, matura una fattispecie estintiva del processo (art. 290 c.p.c.)
nomina del giudice, art.168- bis c.p.c. Formato il fascicolo d’ufficio, il Cancelliere lo presenta al Presidente che nomina il giudice monocratico o il giudice istruttore (se la causa è affidata al collegio: art. 50 – bis c.p.c.): - se il giudice tiene udienza nel giorno indicato in citazione, questa è l’udienza di trattazione; se il giudice non tiene udienza nel giorno indicato in citazione, la causa è immediatamente differita al primo giorno utile in cui tiene udienza; il giudice può tuttavia differire d’ufficio la udienza (in quest’ultimo caso la nuova udienza è il riferimento per il termine di costituzione del convenuto, art. 166 c.p.c.)
Udienza unica di trattazione Con gli atti introduttivi (citazione, comparsa del convenuto e dei terzi) si chiudono i termini per la formulazione di domande ed eccezioni. Alla udienza fissata (art. 183 c.p.c.), che è unica udienza di trattazione (dopo la riforma con legge n. 80 del 2005), maturano le preclusioni per le prove e si esercitano le riaperture ai termini consentite. La giurisprudenza ha tuttavia “inventato” un ulteriore udienza che viene fissata dopo la prima e a seguito dei termini per memorie, fissati su richiesta di parte e nella quale il giudice decide/si riserva sulle istanze istruttorie delle parti.
prove e contraddittorio rispetto alle prove Su istanza di parte, art. 183, 6° comma, c.p.c. il giudice fissa tre termini per lo scambio di memorie ( 30 + 30 + 20), il secondo termine fa maturare la decadenza in ordine alla formulazione dei mezzi istruttori riservati alla parte e alla produzione di documenti; il terzo la formulazione di tali mezzi in replica, quindi come esercizio del contraddittorio. Non avendo il giudice limiti temporali all’esercizio delle sue iniziative istruttorie, le parti possono nel termine perentorio fissato dal giudice formulare controprove (art. 183, 8° comma, c.p.c.).
contraddittorio rispetto a domande ed eccezioni L’attore esercita il contraddittorio rispetto a domande ed eccezioni del convenuto all’udienza (art. 183, 5° comma, c.p.c.) nonché lo ius poenitendi. Il convenuto, ed entrambi rispetto allo ius poenitendi esercitato nella prima memoria, in occasione della seconda memoria (art. 183, 6° comma, n. 2 c.p.c.). Attore e convenuto in caso di intervento del terzo alla udienza. Attore e convenuto in relazione alla chiamata del terzo, sempre in udienza, ma alla udienza differita (art. 269 c.p.c.)
contraddittorio rispetto alle eccezioni rilevate dal giudice Con memoria, nel termine fissato dal giudice ex art. 101, 2° comma, c.p.c., formalismo la cui violazione integra nullità. Il lento cammino verso la consacrazione del contraddittorio: dall’art. 183, 4° comma, all’art. 384, 3° comma, c.p.c.
ius poenitendi Si può esercitare esclusivamente: alla udienza ex art. 183, 5° comma, c.p.c.; nella prima memoria ex art. 183, 6° comma, c.p.c. - non si può esercitare dopo queste fasi, neppure alla udienza di precisazione della conclusione all’esito dell’istruttoria, come sarebbe stato auspicabile.
remissione in termini Dopo la trasmigrazione dall’art. 184 – bis c.p.c. all’art. 153 c.p.c., non vi è limite temporale o fase che escluda la remissione, che può essere richiesta sempre, sino alla udienza di precisazione delle conclusioni.
lo snodo istruzione-decisione Dopo che il giudice ha mantenuto il ruolo di comprimario nella fase introduttiva e di trattazione (tanto che nell’abrogato rito societario era del tutto escluso da quella fase), limitandosi ad avviare la sanatoria di vizi processuali (art. 183, 1° comma), a richiedere la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione (artt. 185 e 185 - bis c.p.c.) ed ad emettere le ordinanze anticipatorie se richiesto (artt. 186- bis e ter c.p.c.), si riappropria della centralità del suo ruolo nel passaggio successivo.
segue Ai sensi dell’art. 187, 188 c.p.c. stabilisce se la causa deve subito essere rimessa in decisione dopo la trattazione oppure se debba essere previa ammissione delle prove avviata la fase istruttoria.
rimessione in decisione “senza assunzione di prove”: controversia in diritto; controversia su prove precostituite (documentali); questioni pregiudiziali di rito (presupposti processuali). questioni preliminari (inesistenza del fatto costitutivo o esistenza del fatto che costituisce eccezione)
rimessione in istruttoria Ai sensi dell’art. 183, 7° comma, c.p.c. il giudice compie un giudizio di ammissibilità (di legalità in relazione al principio di tipicità e dei limiti previsti per ogni tipo) e di rilevanza (in relazione all’oggetto, che deve riguardare un fatto costitutivo, o estintivo, modificativo e impeditivo o un fatto secondario da cui muovere per un prova presuntiva) e fissa l’udienza dell’art. 184 c.p.c., per l’assunzione.
Rimessione in decisione Sino alla fase istruttoria (salvo l’accentuazione dei poteri istruttori del giudice ex art. 281- ter), le regole che presiedono alla fase introduttiva, alla trattazione e alla istruzione non mutano se il rito è monocratico o collegiale. Mutano invece le regole della decisione.
Remissione in caso di rito collegiale Il giudice istruttore, chiusa l’istruttoria o in caso di rimessione immediata, invita le parti a precisare le conclusioni ad un udienza fissata e fissa il termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche, artt. 189 e 190 c.p.c. Previa camera di consiglio, il collegio decide con sentenza da depositare entro sessanta giorni (art. 275 c.p.c.), Le parti possono chiedere la discussione orale innanzi al collegio, in sede di conclusioni e al momento del deposito della comparsa conclusionale, in tal caso le repliche sono sostituite dalla discussione orale ad un udienza fissata.
Rimessione in caso di rito monocratico Il giudice monocratico, sugli stessi presupposti, invita le parti alla precisazione delle conclusioni e fissa i termini per gli atti difensivi finali (art. 281 – quinquies c.p.c.) e la sentenza viene depositata nei trenta gg successivi all’ultimo dei termini; è prevista su istanza di parte una discussione orale. Ma secondo questo rito il giudice può invitare direttamente le parti alla discussione orale o su richiesta in un’udienza successiva, e all’esito pronunciare sentenza “a verbale” ovvero trascritta sul verbale come fosse un ordinanza (art. 281 . sexies)
Esiti Art. 279. Con sentenza il giudizio viene definito: se decide per la sua carenza di giurisdizione; se decide la mancanza di un presupposto processuale; se decide sulla esistenza di una questione preliminare di merito; se decide integralmente il merito
segue. rimessione sul ruolo Art. 279 c.p.c. Rimette sul ruolo con ordinanza: se ritiene insussistente la carenza del presupposto processuale; o la questione preliminare di merito. Ma in questi casi emette sentenza non definitiva, con la quale giudicato sulla questione di rito o di merito.
segue Rimette altresì sul ruolo (279 n. 5 c.p.c.): - se separa due cause cumulate per ragioni di economia o perché richiesto da tutte le parti, decide alcune con sentenza parzialmente definitiva (perché definitiva per quella particolare cause in cui è dettata) e rimette in istruttoria le altre.
L’ordinanza a chiusura dell’istruttoria Ai sensi dell’art. 186-quater c.p.c., a seguito della chiusura dell’istruttoria, in caso di condanna al pagamento o alla consegna o al rilascio, su istanza di parte, il giudice può dare il giudizio finale in forma di ordinanza esecutiva e, solo su istanza dell’altra parte che subisce la condanna, da esprimere entro trenta giorni dalla comunicazione della ordinanza, è tenuto a pronunciarsi nelle forme della sentenza (l’ordinanza diventa una sentenza anche se il processo si estingue)
il giudizio di fatto Il giudice conduce, liberamente apprezzando le prove libere e vincolandosi alle risultanze di quelle legali, il giudizio di fatto sulla regola dell’onere della prova ex art 2697 c.c.: l’attore deve provare i fatti costitutivi; il convenuto i fatti che costituiscono eccezione.
il giudizio di diritto Il giudice giudicato traendo la regola dalle fonti primarie e secondarie del diritto positivo (art. 113, 1° comma, c.p.c.). Eccezionalmente facendo uso della regola equitativa (artt. 113, 2°comma e 114, c.p.c.): per legge: giudice di pace sotto la soglia di un certo valore; per volontà delle parti in materia disponibile
equità L’equità non deve intendersi come richiamo ad una regola soggettiva ed arbitraria, ma ad una regola oggettiva che il giudice trae dalla società civile come migliore regolamentazione rispetto al caso concreto (obbligo di motivazione delle ragioni di equità, art. 118, 2° comma, disp. att. c.p.c.). Trattasi di equità che sostituisce la regola di diritto positivo, non che la integra (l’uso dell’equità nella determinazione del danno ex art 1226 c.c.), ché quest’ultima perché richiamata dal diritto positivo.