LETTERATURA ITALIANA: IL SEICENTO Classe: 4°F AIM Anno: 2013/14 Prof: Sandra Del Prato Alunni: Luca Di Lorenzo Pasquale Orlando Dmytro Sydor
Il seicento in generale Il '600 rappresenta, sul piano letterario, una degenerazione rispetto al '500, cioè il trionfo dell'effetto più che del gusto, della forma più che del contenuto. Esso riflette la più generale decadenza sociale, politica ed economica della società italiana, soggetta da un lato all'egemonia spagnola (dalla pace di Cateau-Cambresis del 1559 con la Francia, alla pace di Utrecht del 1713, che segna il passaggio dal dominio spagnolo a quello austriaco), e dall'altro soggetta all'affermazione della Controriforma cattolica: cosa questa che determinerà il rigido controllo della chiesa su tutta la vita intellettuale e letteraria italiana. La crisi del '600 sarà molto visibile nella seconda metà del secolo, dopo la morte di Bruno, Campanella, Galilei, Tassoni, Marino, Sarpi...
Il '600 è un secolo caratterizzato da profonde contraddizioni Alla corte signorile isolata si sostituisce un'area culturale più estesa, caratterizzata da una precisa attività intellettuale (si pensi ad es. alla nascita delle Accademie: Roma, Napoli, Venezia; quella della Crusca di Firenze cura nel 1612 l'ediz. del Vocabolario), o da un preciso genere letterario (p.es. romanzo a Genova-Venezia, ricerca scientifica in Toscana-Veneto, discipline giuridico-civili a Napoli, letteratura dialettale nel Sud). Tuttavia, la letteratura e la poesia non conosceranno alcun vero nome di spicco; In questo secolo, con Galilei, si pongono le basi della scienza moderna sperimentale, ma nel contempo si diffonde enormemente la superstizione e il culto semplicemente esteriore-formale della religione, nonché l'uso massiccio del tribunale dell'Inquisizione; Si pone agli intellettuali il problema di un pubblico nuovo, assai più vasto e meno raffinato di quello delle corti rinascimentali (ora in profonda decadenza), ma la letteratura che gli intellettuali offrono è spesso di evasione, per un pubblico spesso assai arretrato culturalmente; Gli intellettuali tendono a considerarsi superiori agli antichi scrittori greci e latini, per cui rifiutano il culto dell'autorità dei modelli classici (come invece nel '400-'500), e tuttavia questa rivendicazione di libertà-autonomia spesso si traduce in una mera preoccupazione a stupire e meravigliare il pubblico (concezione edonistica dell'arte, Marinismo);
Nella trattatistica politica si discute molto sulla "ragion di Stato", sui rapporti tra politica e morale, tra Stato e Chiesa, tra individuo e potere (come forse nel '500 non si era mai fatto), eppure le conclusioni che se ne traggono sono quanto mai negative: si proclama la necessaria subordinazione dello Stato alla Chiesa, del singolo allo Stato; la politica diventa calcolo della convenienza; forte è la tendenza alla finzione-simulazione (sopravvivere dietro una "maschera"). In Campanella l'indirizzo politico diventa utopistico (vedi La città del sole, con cui si anticipano alcune tesi socialiste). L'insieme di forme e realizzazioni artistiche (architettura, pittura, musica, letteratura) prende il nome di Barocco (altro nome è Concettismo). In questo fenomeno la forma vuole essere così raffinata da apparire strana e stupefacente, mentre il contenuto vuole essere esteriormente grandioso. Gli intellettuali avvertono che il Rinascimento è giunto a un tale grado di perfezione oltre il quale non è più possibile andare se non appunto perfezionando le forme. Di qui i tentativi di rinnovare le parole, rendendole più retoriche e artificiali. Si inizia così ad abusare dell'immagine o Metafora, dietro la quale non esiste alcun vero sentimento (la metafora -la più importante delle figure retoriche- è una similitudine nella quale non appaiono i due termini di paragone -uno astratto, l'altro concreto-, ma la fusione d'entrambi in una sola immagine, generalmente concreta: p.es. "è un pozzo di scienza", "il filo del discorso"). L'arte non è più imitazione ma finzione, la quale si sostituisce alla realtà. La realtà risulta troppo complessa per essere fedelmente riprodotta. Le contraddizioni sociali dell'epoca vengono considerate irrisolvibili: di qui il tentativo degli intellettuali di puntare su una novità formale fine a se stessa. Fanno eccezione, in questo senso, poche persone: Galilei sul piano scientifico, Sarpi nell'ambito giuridico-politico, Bruno e Campanella in quello filosofico.
Il Marinismo Gli antimarinisti Questa ricerca forzata della novità nelle forme esteriori ed estetiche viene chiamata Marinismo (dal nome del poeta Giambattista Marino, napoletano), per il quale fine della poesia è la meraviglia delle cose eccellenti. Le sue poesie (come tutte le liriche del '600) non inventano nulla di nuovo, ma si limitano a utilizzare in maniera stravagante (combinando motivi e immagini fino all'assurdo) i moduli stilistici e le situazioni della tradizione poetica che va dal Petrarca al Tasso. Poema principale del Marino: ADONE (mitologico in 5.000 ottave. Il pastore Adone, eletto re di Cipro, ottiene l'amore di Venere, ma la gelosia di Marte lo fa uccidere da un cinghiale in una battuta di caccia). Si rifanno a due poeti classici greci: Pindaro e Anacreonte. Accettano la poetica della meraviglia, ma provocandola con i toni eroici e sublimi e con meno musicalità. La differenza è solo di forma. Gli antimarinisti
L’ Arcadia nella letteratura italiana Nel 1690 venne fondata a Roma l'Accademia dell'Arcadia: questo riassunto è motivato non tanto dall'importanza che i testi prodotti hanno per lo studio della letteratura italiana, quanto per il cambio della sensibilità che comportò. Il nome recupera quello dell'opera più famosa di un autore del '500, Jacopo Sannazzaro: L'Arcadia, appunto, mitica terra greca caratterizzata dall'armonia dell'uomo con una natura rigogliosa e perfetta. Gli accademici dell'Arcadia si occupavano di poesia pastorale e bucolica, esaltando il carattere di evasione del genere. I temi sono dunque legati all'esaltazione di una vita pastorale ideale e astorica, cioè fuori da una precisa collocazione temporale. Grande spazio era riservata all'elegia e all'espressione del sentimento (anche se quest'ultimo, come si vedrà meglio in seguito, è stereotipato e non analizzato nella sua profondità, pur essendo presenti tentativi di esplorazione dei contrasti dell'animo). Non si deve pensare, però, che si tratti di intellettuali sganciati dal tessuto sociale, poiché spesso nei loro testi sono espresse posizioni filoclericali. Ciascun arcade assumeva il nome di un pastore greco-latino (cioè spesso mescolando le due tradizioni linguistiche); nelle riunioni si ricorreva anche al travestimento, secondo una moda che è tipica del '600 e che ci rimanda senza indugio al Barocco e al suo amore per la finzione e la stravaganza. Tra i fondatori dell'Arcadia va ricordato Giovan Mario Crescimbeni, un petrarchista che considerava l'opera del poeta dei Rerum Vulgarium Framenta esempio insuperabile di buon gusto e chiarezza. La poesia deve quindi esprimere sentimenti sani e non concentrasi sull'artificio. Ne consegue, quindi, che i suoi testi sono fortemente controllati dal punto di vista razionale, e lasciano scarso spazio per l'espressione e l'analisi dei sentimenti. Possono essere compresi in questa corrente, con i dovuti accorgimenti, anche Pietro Metastasio e Carlo Innocenzo Frugoni.
L'Arcadia aveva un programma vago ma di successo: la restaurazione del buon gusto e la critica al disordine del '600. Si tratta appunto di due obiettivi piuttosto generici, ma che si possono inserire nella tendenza classicista della nostra tradizione letteraria; una risposta non ancora del tutto formata, ma comunque abbastanza chiara, al Barocco, che rimane però allo stesso tempo il punto di riferimento per comprendere la natura dell'accademia. In seguito si poté assistere a una generale chiusura verso ogni tipo di innovazione e quindi all'assunzione di posizioni sempre conservatrici. La produzione di testi fu sempre abbondante e legata all'occasione; tutto veniva pubblicato, così da permettere una vasta circolazione, che spiega anche, tra l'altro, la diffusione di un sentimento e di una sensibilità arcadica pur senza la presenza di personalità di straordinario rilievo, quasi a dire che è più importante la tendenza espressa rispetto all'opera singola. I testi si basano del resto sulla continua ripetizione di moduli, temi e stilemi, e sull'esaltazione e l'abuso dello stereotipo come forma base per l'indagine dei sentimenti. L'importanza dell'Arcadia va anche legata alla storia della lingua; pur non intervenendo direttamente sulla questione linguistica, l'Arcadia operò un processo di purificazione degli sperimentalismi seicenteschi che prepara quindi il terreno alla nuova riflessione sette-ottocentesca sull'unità della lingua.
Galileo Galilei Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564. Si dedicò dapprima agli studi umanistici e poi a quelli di medicina e filosofia, ma, insofferente della tradizione aristotelica imperante in queste due materie, passò agli studi di matematica e fisica, nei quali eccelse ben presto in modo sorprendente: già da giovane scoprì l'isocrosnismo del pendolo ed inventò la bilancia idrostatica. La fama conseguita gli procurò la protezIone dei Medici e la nomina di docente di matematica nell'università di Pisa. Qui elaborò il suo metodo sperimentale che fu poi perfezionato dall'inglese Francesco Bacone e dal francese Renato Descartes (=Cartesio) e che sostanzialmente è tuttora valido: esso consiste nell'intuire la probabile causa di un fenomeno della natura; tale causa deve essere riprodotta artificialmente per osservare se produce come effetto il fenomeno studiato; in caso negativo l'esperimento deve considerarsi comunque un fatto positivo perché consente di escludere una falsa ipotesi; si passa quindi a formulare un'altra ipotesi di causa che viene a sua volta riprodotta artificialmente, e così di seguito fino a quando non si è trovata quella giusta, cioè quella che, riprodotta artificialmente, dia per effetto il fenomeno che si sta studiando, a questo punto bisogna appurare se è stato un caso fortuito a produrre l'effetto desiderato e perciò bisogna ripetere più volte l'esperimento: se il risultato è sempre lo stesso, allora si procede mettendo in rapporto la causa ricercata e l'effetto prodotto (cioè quello che si voleva studiare) e da questo rapporto scaturisce la "legge" scientifica che viene espressa in termini matematici. Il Galilei fu perciò contrario ad ogni dogmatismo nel campo delle scienze e fu un deciso avversario dell'aristotelismo allora imperante (secondo il quale Aristotele avrebbe detto ogni possibile verità nel campo delle scienze). Anche la Chiesa cattolica affermava il pregiudizio che tutto quanto fosse affermato nei testi sacri ad opera dei profeti non potesse che essere vero e applicando questo criterio si affermava che il Sole girasse intorno alla Terra, mentre Galilei, che aveva la certezza che fosse la terra a girare intorno al Sole, non poteva accettare quell'assurda posizione. Perciò venne in contrasto con la Chiesa e fu anche ammonito dal Tribunale di inquisizione di ritirare le sue tesi: egli accettò formalmente l'ingiunzione per salvarsi dal rogo e fu per questo condannato solo agli "arresti domiciliari" (come si direbbe oggi), conservando la possibilità di proseguire i suoi studi.
In questo campo è importante il rapporto da lui fissato fra la funzione del teologo e quella dello scienziato: il primo deve interpretare i testi sacri per definire quelle verità di fede che la ragione umana non potrebbe mai scoprire da sola; lo scienziato deve interpretare la Natura con metodo scientifico per scoprire quelle verità possibili alla intelligenza dell'uomo: entrambi si sforzano di scoprire delle verità che avvicinano l'uomo a Dio. Inoltre i testi sacri non riportano tutte verità, ma solo quelle inerenti i doni della Fede: circa queste verità da rivelare agli uomini, i profeti avevano l'ispirazione di Dio ed erano perciò giustamente da considerare infallibili, ma per tutto il resto essi usavano la loro personale cultura che, ovviamente, era quella del loro tempo e perciò possibile da rivedere e da correggere. Galileo scrisse numerosissime opere, ma le più importanti sono il "Nuncius sidereus", il "Saggiatore" e soprattutto il "DIALOGO SUI DUE MASSIMI SISTEMI" e i "DIALOGHI DELLE SCIENZE NUOVE". I dialoghi hanno un valore notevole dal punto di vista poetico perché riproducono, attraverso l'esposizione di tesi contrarie e fino all'affermazione della verità, l'intimo travaglio dello studioso, i dubbi, le incertezze che lo assillarono nel suo lavoro, i momenti di scoramento, i momenti di fiducia e quelli di esaltazione per la scoperta effettuata. Egli si dimostra ancora un poeta, quando infonde ai suoi scritti - che pure trattano argomenti scientifici - i sentimenti di vivo stupore e di commossa ammirazione da lui provati dinanzi ai misteri della Natura che via via egli scopriva. la sua prosa si avvicina più al modello classico del Cinquecento che a quello del Seicento barocco: allo scienziato occorreva infatti una espressione limpida e netta, che non consentisse alcun dubbio di interpretazione. Ciò non toglie, però, che, quando doveva esprimere il suo entusiasmo e il suo stupore di fronte alla scoperta di un nuovo segreto della Natura, di una nuova bellezza, egli ricorresse ad uno stile più scintillante, più colorito, più emozionante, di tipo barocco. La sua prosa diede origine alla cosiddetta "prosa scientifica". Dopo la sentenza del 22 giugno 1633 che lo condannava al carcere a vita tramutato in domicilio coatto, egli si ritirò nella sua villa di Arcetri, dove, colpito da molti acciacchi e dalla cecità, visse fino al 1642, confortato dall'assistenza dei suoi fedelissimi discepoli Vincenzo Viviani, padre Benedetto Castelli ed Evangelista Torricelli.