Stabilire e gestire gli obiettivi del trattamento 26/04/11 Stabilire e gestire gli obiettivi del trattamento
La posizione dell’OMS/UN-ODC1 26/04/11 La posizione dell’OMS/UN-ODC1 La tossicodipendenza è una patologia multifattoriale Spesso segue il decorso di patologie croniche recidivanti È una condizione curabile I risultati migliori sono ottenuti con un approccio multidisciplinare che combina interventi farmacologici e interventi psicosociali La dipendenza da oppioidi, insieme ad altri disturbi correlati all’abuso di sostanze, continua ad essere stigmatizzata in molti Paesi. Infatti, spesso viene considerata un fallimento sociale, comportamentale o morale che deve essere punito e non una condizione medica che richiede un trattamento. Tale atteggiamento può portare ad un scarso accesso al trattamento con conseguenze negative non solo per le persone che fanno uso di sostanze ma anche per l’intera società. Per esempio, i Paesi che considerano in questi termini la dipendenza da oppioidi tendono ad avere tassi superiori di infezioni da HIV tra i consumatori di droga per via endovenosa (per esempio, Malesia; 75%) rispetto a quelli che la valutano una condizione medica (per esempio, UK; 6–7%). Documento di discussione 2008 dell’OMS/UNODC: Principi di trattamento della tossicodipendenza. Introduzione: Questo documento di discussione vuole incoraggiare i governi e altri partner ad agire in modo concertato per attuare servizi per la tossicodipendenza con trattamenti basati sulle evidenze, che rispondano alle esigenze delle loro popolazioni. Data la dimensione del problema nella maggior parte delle società e le limitate risorse disponibili, nella programmazione dei servizi occorre avere un approccio chiaro e coerente. È necessario creare servizi che possano raggiungere il massimo numero di soggetti e avere il maggiore impatto con i minori costi. È più probabile che questo risultato possa essere raggiunto con servizio sanitari territoriali diffusi che possono lavorare con i pazienti all’interno delle loro comunità per periodi di tempo prolungati. Nel presente documento sono contenute raccomandazioni per promuovere nove principi, che dovranno essere ordinati per priorità in modo da rispondere alle diverse situazioni e circostanze locali e attuati gradualmente secondo la disponibilità delle risorse e lo stadio di sviluppo del sistema di trattamento. Si stima che 205 milioni di persone nel mondo facciano uso di droghe illegali e che, tra queste, 25 milioni soffrano di tossicodipendenza. Ciò costituisce un problema di salute pubblica, di sviluppo socio-economico e di sicurezza sia per i Paesi industrializzati, che per quelli in via di sviluppo. Negli accordi internazionali si sottolinea spesso il ruolo importante della prevenzione e del trattamento della tossicodipendenza per ridurre la domanda e per salvaguardare la salute pubblica. L’importanza di mantenere un opportuno equilibrio tra l’applicazione della legge e gli approcci di riduzione della domanda e di salute pubblica è stata evidenziata più di recente nel 1998 dalla Dichiarazione politica e dalla Dichiarazione sui principi guida per la riduzione della domanda di droga dell’UNGASS, che ha portato alla ribalta un approccio globale in materia di politica sulla droga. Inoltre, negli ultimi decenni sono stati compiuti progressi importanti nella comprensione della tossicodipendenza negli approcci per la prevenzione e il trattamento. Questo documento congiunto OMS-UNODC si prefigge di articolare i principi chiave sottesi al trattamento efficace della tossicodipendenza. La tossicodipendenza è considerata come un disturbo clinico multifattoriale che spesso segue il decorso di una patologia cronica remissiva e recidivante. Sfortunatamente, in molte società la tossicodipendenza non viene ancora riconosciuta come un problema sanitario e molte persone che ne soffrono sono stigmatizzate senza avere accesso al trattamento e alla riabilitazione. Negli ultimi anni, il modello biopsicosociale ha individuato la tossicodipendenza come un problema sfaccettato che richiede la collaborazione di esperti di varie discipline. Un approccio scientifico sanitario multidisciplinare può essere applicato a ricerca, prevenzione e trattamento. Nei decenni scorsi, la tossicodipendenza è stata considerata, secondo le diverse convinzioni o i diversi punti di vista dettati dall’ideologia, un problema unicamente sociale, o di istruzione e spiritualità, o solo un comportamento colpevole da punire, o solo un problema farmacologico.La convinzione che la tossicodipendenza potesse essere considerata come una “patologia auto-acquisita”, basata sul libero arbitrio individuale, che porta alle prime sperimentazioni con le droghe illegali, ha contribuito al giudizio negativo e alla discriminazione associati alla tossicodipendenza. Tuttavia, le evidenze scientifiche indicano che lo sviluppo della malattia è il risultato di una complessa interazione multifattoriale tra esposizione ripetuta alle droghe e fattori biologici e ambientali. I tentativi di trattare e prevenire l’uso di droga attraverso sanzioni penali severe per i consumatori di droga falliscono perché non considerano i cambiamenti neurologici che la tossicodipendenza opera nei canali della motivazione a livello cerebrale. Per il trattamento della tossicodipendenza non deve essere fornito niente di meno che un approccio qualificato, sistematico, basato sulle evidenze scientifiche al pari di quello sviluppato per trattare altre patologie croniche considerate incurabili fino ad alcune decine di anni or sono. Molte di queste patologie sono oggi prevenibili o curabili grazie a una buona prassi di intervento clinico, a strategie terapeutiche rigorose e a una ricerca scientifica globale. La tossicodipendenza e l’uso di droghe illegali sono associati a problemi sanitari, povertà, violenza, comportamenti criminali ed emarginazione sociale. È difficile stimare i costi complessivi per la società. Oltre ai costi strettamente sanitari e agli altri costi associati alle conseguenze dell’uso di droghe, la tossicodipendenza comporta anche costi sociali in termini di perdita di produttività e reddito familiare, violenza, problemi di sicurezza, incidenti stradali e sul posto di lavoro e di legami con la malavita, con conseguenti costi economici ingenti e inaccettabile spreco di risorse umane. L’uso di droga, specialmente per via endovenosa, è strettamente correlato alla trasmissione di HIV e di epatite B e C dovuta allo scambio di siringhe. A causa dell’aumento dei comportamenti sessuali ad alto rischio, anche l’uso di droghe per altre vie è legato alla trasmissione dell’HIV. I dati sulla dimensione della popolazione di consumatori di droghe per via endovenosa di 130 Paesi indicano che, nel mondo, essi sono circa 10 milioni. Fino al 10% delle infezioni da HIV nel mondo è dovuto all’uso di droghe iniettate in modo non sicuro ma, se si esclude l’Africa subsahariana, l’incidenza delle infezioni da HIV dovute all’uso di droghe iniettate in modo non sicuro sale fino al 30%. L’uso promiscuo di strumenti contaminati per iniettarsi la droga resta una delle vie principali di trasmissione dell’HIV in molte regioni, inclusa l’Europa dell’est, regioni dell’Asia centrale, meridionale e sud-orientale, oltre ad alcuni Paesi dell’America Latina. La tossicodipendenza è una patologia che può essere prevenuta e curata; attualmente sono disponibili misure efficaci di prevenzione e trattamento. I risultati migliori possono essere raggiunti quando è disponibile un approccio multidisciplinare integrato che include interventi farmacologici e psicosociali diversificati per rispondere alle diverse necessità. Anche considerando i requisiti da soddisfare per poter offrire trattamenti basati sulle evidenze, i costi sono nettamente inferiori rispetto ai costi indiretti dovuti alla tossicodipendenza non trattata (carceri, disoccupazione, interventi delle forze dell’ordine e della giustizia, conseguenze sulla sanità). Le ricerche indicano che spendere in trattamenti produce risparmi in termini di riduzione delle vittime di reati e riduce i costi per la giustizia penale. Come minimo si ottiene un risparmio in rapporto 3:1 ma calcolando anche i costi associati alla criminalità, alla salute e alla produttività sociale, il risparmio sale fino a un rapporto di 13:1. Questi risparmi possono migliorare le situazioni di indigenza laddove ci sono limitate opportunità di istruzione, impiego e benessere sociale e aumentare le possibilità per le famiglie di sanare situazioni economiche disastrose, facilitando in tal modo lo sviluppo sociale ed economico. Nei soggetti con precedenti penali, i rischi di conseguenze sanitarie e sociali dovute a tossicodipendenza sono maggiori. L’uso di droga in carcere implica comportamenti più pericolosi, ad alto rischio di contaminazione per malattie infettive come HIV ed epatite. Il potenziale lesivo della carcerazione non dovrebbe essere sottovalutato. Un documento orientativo di OMS/UNODC/UNAIDS sulla riduzione della trasmissione di HIV tramite i trattamenti raccomanda di includere il trattamento della tossicodipendenza nei programmi di prevenzione di HIV/AIDS rivolti ai consumatori di droga per via endovenosa, considerata la capacità del trattamento stesso di ridurre l’uso di droga in generale, la frequenza dell’uso per iniezione e il livello di comportamenti sociali a rischio. La ricerca ha mostrato, inoltre, che l’accesso al trattamento nelle prigioni o misure di pena alternative possono ridurre l’uso di droga dopo la scarcerazione e la recidiva. Questo documento delinea nove principi chiave finalizzati alla creazione di servizi per il trattamento dei disturbi derivanti da abuso di droga. Si riconosce che, in alcune circostanze, le risorse sono piuttosto limitate ed è perciò necessario stabilire delle priorità nella loro distribuzione. È importante che, in tali situazioni, si preveda una risposta “a blocchi modulari” per i disturbi derivanti dall’uso di droga, nella quale gli interventi più diversi e sofisticati possono essere messi a punto e incorporati nel sistema di trattamento via via che ulteriori risorse si rendono disponibili. A seconda delle risorse umane e finanziarie disponibili e del livello di qualità del sistema sanitario presente in ogni Paese, gli interventi suggeriti in questo documento potrebbero essere attuati progressivamente e gradualmente, tenendo conto delle componenti delineate per ciascun principio come quadro generale. 1. WHO/UN-ODC. Principles of drug dependence treatment. Discussion paper. March 2008. 2
Una patologia recidivante: le evidenze 26/04/11 Una patologia recidivante: le evidenze L’incidenza delle recidive é simile nella tossicodipendenza ad altre patologie comuni1 La tossicodipendenza condivide numerose proprietà con altre condizioni croniche che sono, almeno parzialmente, indotte dallo stile di vita, come il diabete di tipo II e l’ipertensione. Come si vede in questa diapositiva, oltre a un tasso di recidive comparabile, gli studi di imaging sul cervello hanno mostrato cambiamenti a lungo termine nei circuiti cerebrali premianti come risultato della dipendenza da oppioidi. Tali cambiamenti possono persistere e scatenare episodi di craving anche a distanza di anni dall’ultima assunzione di oppioidi. Come avviene per le patologie cardiovascolari, anche la dipendenza da sostanze ha una componente ereditaria significativa, rivelata da studi nei gemelli. I polimorfismi in alcuni geni (come quello dello stesso recettore μ degli oppioidi) possono predisporre allo sviluppo di dipendenza in maniera analoga a quanto osservato per alcune varianti del gene della apolipoproteina-E associate a cardiopatie. McLellan AT et al. Drug dependence, a chronic medical illness: implications for treatment, insurance, and outcomes evaluation. JAMA. 2000; 284(13):1689–95 Abstract Gli effetti della tossicodipendenza sui sistemi sociali hanno contribuito a determinare la visione, generalmente condivisa, secondo la quale la tossicodipendenza sarebbe principalmente un problema sociale e non un problema sanitario. Sono però carenti approcci medici alla prevenzione e al trattamento. Sono state esaminate le evidenze secondo le quali la tossicodipendenza (inclusa la dipendenza da alcool) sarebbe una patologia medica cronica. Una revisione della letteratura ha confrontato diagnosi, ereditarietà, eziologia (genetica e fattori ambientali), fisiopatologia e risposta ai trattamenti (aderenza e ricadute) della tossicodipendenza vs diabete mellito di tipo 2, ipertensione e asma. L’ereditarietà genetica, la scelta personale e i fattori ambientali sono coinvolti in maniera simile nell’eziologia e nel decorso di tutti questi disturbi. La tossicodipendenza produce cambiamenti significativi e duraturi nella chimica e nella funzione cerebrale. Farmaci efficaci sono disponibili per trattare la dipendenza da nicotina, alcool e oppiacei ma non per trattare la dipendenza da stimolanti o marijuana. L’aderenza al trattamento e l’incidenza di ricadute sono simili in queste malattie. Generalmente, la tossicodipendenza è stata trattata come se fosse una malattia acuta. I risultati della revisione indicano che strategie di trattamento farmacoterapeutico a lungo termine e un monitoraggio continuo producono benefici durevoli. La tossicodipendenza dovrebbe essere coperta da assicurazione, trattata e valutata al pari delle altre patologie croniche. 1. McLellan AT et al. JAMA. 2000; 284(13):1689–1695. Maggiori informazioni! 3
La tossicodipendenza confrontata con altre condizioni croniche 26/04/11 La tossicodipendenza confrontata con altre condizioni croniche Caratteristica Diabete Ipertensione Tossico-dipendenza Guaribile NO Decorso prevedibile Trattamenti efficaci Può essere autoindotto Necessita di cure protratte Necessità di compliance Peggiora se non trattato Influenzato dal comportamento Necessita di monitoraggio continuo Patologia cronica Malgrado il forte parallelismo tra diabete/ipertensione e tossicodipendenza, quest’ultima condizione continua a soffrire del giudizio negativo e del sospetto da parte di chi definisce le politiche sanitarie e vuole essere considerato ‘inflessibile in materia di droga’; sarebbe invece difficile trovare dei politici o degli esponenti dell’opinione pubblica che si assumano la responsabilità di non trattare ipertensione o diabete perché sono malattie parzialmente auto-indotte. Indietro 4
26/04/11 Implicazioni di un modello di cura di una patologia cronica recidivante Un programma terapeutico integrato e duraturo aiuta i pazienti a mantenere l’aderenza e a concentrarsi sul successo (la permanenza in terapia è fondamentale per ottenere questo beneficio) Il modello di condizione cronica recidivante implica che il trattamento deve essere un impegno a lungo termine e che i pazienti non dovrebbero essere forzati all’astinenza prima di essere pronti. Alcuni possono essere capaci di ridurre o interrompere il trattamento in un breve periodo, altri possono restare in terapia di mantenimento per anni. Il trattamento prolungato permette di migliorare gli outcomes clinici; per esempio, la prevalenza di HIV e di infezioni è correlata alla durata del trattamento sostitutivo (Moss et al, 1994). Anche la mancanza di continuità nella cura, come la perdita del trattamento durante la carcerazione, può essere rischiosa. I detenuti con dipendenza da oppioidi hanno una probabilità di 6,5 volte superiore di morire nella prima settimana dopo la scarcerazione rispetto a 2 mesi più tardi; ciò si verifica perché molti tornano a usare oppioidi alla dose precedente avendo però perso la tolleranza durante il periodo di astinenza. Note supplementari: McLellan AT, et al. Is addiction an illness and can it be treated? Substance Abuse. 2002; 23(S1):67–94. Paragrafo introduttivo: I problemi di alcool e tossicodipendenza hanno costi elevatissimi per la società in termini di perdita di produttività, disordine sociale e utilizzazione delle risorse sanitarie. Uno studio recente ha stimato che abuso e dipendenza da alcool costano alla società circa 90 miliardi di dollari e che l’abuso di altre droghe costa circa 67 miliardi di dollari l’anno. Uno studio recente finanziato dalla Robert Wood Johnson Foundation ha riportato che oltre 1/4 delle morti in questo Paese (NdT: USA) erano in qualche modo associati all’uso di alcool, droga o tabacco. Forse più sottile ma non meno significativo è il fatto che oltre tre quarti dei bambini in affido in questo Paese hanno genitori con dipendenza da alcool e/o droga. In risposta a questo pericolo per il benessere generale, c’è stato un rinnovato interesse nella creazione e espansione di programmi di trattamento come metodo per affrontare i problemi di abuso di sostanze. Tuttavia, mentre parte dell’opinione pubblica chiede una maggiore disponibilità e maggiori finanziamenti a favore dei trattamenti per la dipendenza da sostanze, c’è chi nel governo, nelle compagnie di assicurazione, nella gestione sanitaria e nell’opinione pubblica mette in dubbio l’efficacia di questi trattamenti e si chiede se "ne valga la pena ". Solo nel 1997, il Wall Street Journal metteva in dubbio l’efficacia e il valore del trattamento per l’abuso di sostanze, scrivendo: “... il tasso di successi dei programmi di trattamento è molto incerto". van den Brink W, et al. Management of Opioid Dependence. Curr Opin Psychiatry. 2003; 16(3): 297–304. Abstract Scopo della review: Questa review fornisce una sintesi degli sviluppi più recenti del trattamento per i pazienti con dipendenza da oppioidi, partendo da un modello di malattia cronica e ponendo come obiettivi principali del trattamento gli interventi in caso di crisi, le cure (disintossicazione, prevenzione delle ricadute), l’assistenza (stabilizzazione e riduzione del danno) e palliativi. Dati recenti: Vari studi di alta qualità, revisioni sistematiche della letteratura e metanalisi formali hanno dimostrato in modo chiaro che, attualmente, sono disponibili molti interventi di provata efficacia in caso di crisi, disintossicazione, stabilizzazione e riduzione del danno. Gli interventi mirati alla prevenzione delle ricadute rimangono problematici e si rivelano efficaci solo in pazienti motivati che vivono in contesti stabili e dispongono di adeguati supporti sociali. Le innovazioni del trattamento sono basate principalmente sugli studi sperimentali su animali. Sembrano estremamente promettenti gli antagonisti del recettore cannabinoide di recente sviluppo e gli inibitori della sintesi del cortisolo. Sintesi: La dipendenza da oppioidi è una patologia cronica recidivante difficile da guarire, ma la stabilizzazione e la riduzione del danno possono aumentare notevolmente la speranza di vita e la qualità di vita dei pazienti, migliorando il loro ambiente e l’intera società. 5
Standard diagnostici per la dipendenza da oppioidi 26/04/11 Standard diagnostici per la dipendenza da oppioidi Il DSM-IV-TR e l’ICD-10 sono le guide standard per la diagnosi della dipendenza da oppioidi La diagnosi dipende da cluster di comportamenti ed effetti fisiologici che si verificano nell’arco di 1 anno: Una diagnosi di dipendenza ha sempre la precedenza su una diagnosi di abuso Va specificato se il paziente ha sviluppato tolleranza o se mostra sintomi di astinenza (dipendenza fisica) Va specificato se il paziente è in una fase di dipendenza da oppioidi o in remissione L’ICD-10 è la decima revisione del sistema di codifica dell’International Classification of Diseases pubblicato dall’OMS. Si tratta dello standard internazionale concordato per classificare segni e sintomi di malattia e include oltre 14.400 codici. Il DSM-IV-TR è la quarta revisione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders pubblicato dall’American Psychiatric Association nel 2000. Questo sistema è stato pensato per seguire i codici usati dall’ICD-10 per classificare i disturbi di salute mentale, anche se i due sistemi non sono identici. Utilizzare queste guide consente di fare diagnosi più obiettive rispetto a quelle basate sull’uso di droga riferito dal paziente. È importante ricordare che non tutte le persone che fanno uso di droga sono necessariamente tossicodipendenti; l’uso di strumenti diagnostici come questi aiuta a identificare i soggetti con dipendenza e i consumatori occasionali. 6
26/04/11 Diagnosi della dipendenza da oppioidi: valutazione iniziale del paziente Include: Anamnesi Informazioni da altre fonti ( MMG, ecc. ) Analisi delle urine per determinare la presenza di droga Esame obiettivo fisico ( segni tipici, altre evidenze fisiche) Valutazione dello stato di salute mentale Storia psicosociale L’uso di droga riferito dal paziente in sede anamnestica deve essere verificato attraverso altre fonti o con l’osservazione di segni fisici. Mentre molti pazienti possono presentare segni visibili e ascessi che indicano l’uso ripetuto, altri possono cercare di nascondere tali evidenze di somministrazione endovenosa utilizzando siti di iniezione inusuali. Fino al 75% degli utenti dei servizi soffrono di comorbidilità psichiatriche (Weaver et al), di conseguenza, una valutazione della salute mentale può essere cruciale per identificarli e adeguare le modalità di trattamento. Anche la valutazione del rischio può essere importante per identificare le aree della vita del paziente in cui potrebbe essere necessario apportare cambiamenti per ridurre al minimo l’impatto dell’uso di droga (per esempio, guidare o utilizzare macchinari). Weaver T et al. Comorbidity of substance misuse and mental illness in community mental health and substance misuse services. Br J Psychiatry. 2003; 183:304−13. Abstract Premessa: Una gestione migliore della comorbilità di malattia mentale e abuso di sostanze è una priorità per il Servizio sanitario nazionale ma si hanno poche informazioni sulla sua prevalenza e sulla gestione attuale. Scopi: Misurare la prevalenza della comorbilità tra pazienti inseriti in gruppi di salute mentale (CMHT) e servizi per la dipendenza e valutare il potenziale per una gestione congiunta. Metodi: Indagine trasversale di prevalenza in quattro centri urbani nel Regno Unito. Risultati: Il 44% (IC 95% 38,1-49,9) dei pazienti CMHT ha riportato precedenti problemi di uso di droga e/o uso pericoloso di alcool; il 75% (IC 95% 68,2-80,2) dei pazienti dei servizi per la dipendenza da droghe e l’85% (IC 95% 74,2-93,1) dei pazienti dei servizi per l’alcolismo hanno avuto disturbi psichiatrici nell’anno precedente all’indagine. La maggior parte dei pazienti con comorbilità appariva non idoneo per uno scambio tra servizi di riferimento. Un’ampia percentuale di questi pazienti non viene identificata dai servizi e non fruisce di alcun intervento specialistico. Conclusioni: La comorbilità ha una prevalenza elevata nelle popolazioni dei CMHT e nei pazienti trattati per droga e alcool; gestire questi pazienti con uno scambio tra servizi di riferimento psichiatrici e per la tossicodipendenza nella maniera attualmente configurata e finanziata può essere difficile. Maggiori informazioni! 7
Un piano terapeutico integrato è la scelta migliore 26/04/11 Un piano terapeutico integrato è la scelta migliore La sola farmacoterapia non è un trattamento completo e presenta un rischio più elevato di recidiva se offerta come terapia isolata Il trattamento psicosociale può aiutare a modificare i comportamenti e le risposte ai fattori ambientali e sociali che incidono notevolmente sulle ricadute E’ quindi consigliabile combinare l’approccio psicosociale con quello farmacoterapeutico Quando è iniziato l’impiego di metadone come trattamento per la tossicodipendenza si è diffusa la convinzione che tutto ciò che occorreva fosse prescrivere il farmaco senza considerare la complessità della dipendenza da oppioidi, condizione cronica con significative complicanze psico-sociali. In realtà, un programma di trattamento integrato che combini il sostegno psico-sociale alla farmacoterapia riesce a garantire outcomes significativamente migliori. Una review Cochrane ha mostrato che il trattamento integrato aumenta la probabilità che un paziente rimanga in astinenza dalla droga di strada (Amato et al, 2008). 8
Programma Terapeutico Integrato 26/04/11 Programma Terapeutico Integrato Un efficace modello di cura comprende: Il paziente Il medico: fornisce la farmacoterapia, collabora con gli operatori psico-sociali ed è un riferimento per il counselling L’operatore psicosociale: con specifiche competenze per assistere i pazienti negli aspetti psicosociali del processo di guarigione Il coinvolgimento di consulenti accanto al medico prescrittore migliora significativamente i tassi di astinenza in trattamento a 6 mesi (McLellan et al, 1993). Tuttavia, la ‘dose’ di tali servizi non è necessariamente correlata al grado di miglioramento. Astinenza, permanenza in trattamento e soddisfazione del paziente sono risultati simili in pazienti che hanno ricevuto servizi di counseling standard o avanzati in uno studio su 166 pazienti (Fiellin et al, 2006). 9
Algoritmo di trattamento per la dipendenza da oppioidi 26/04/11 Algoritmo di trattamento per la dipendenza da oppioidi Anche se, quando entrano in terapia, i pazienti seguono un trattamento di mantenimento o uno di astinenza, non sono necessariamente obbligati a proseguire sempre secondo lo stesso sistema. Se le circostanze o gli obiettivi cambiano, è possibile passare da un programma di sola astinenza a un programma di mantenimento o interrompere il mantenimento (con o senza assistenza farmacologica). Inoltre sono possibili variazioni multiple al trattamento. 1. Lintzeris N, Clark N, Winstock A, Dunlop A, Muhleisen P, Gowing L, Ali R, Ritter A, Bell J, Quigley A, Mattick RP, Monheit B, White J. Australian National Clinical Guidelines and Procedures for the Use of Buprenorphine in the Treatment of Opioid Dependence. 2006. 10
Terapia di mantenimento a lungo termine vs astinenza 26/04/11 Terapia di mantenimento a lungo termine vs astinenza Kakko et al hanno stabilito che la terapia di mantenimento è associata ad un rischio inferiore di ricaduta e morte rispetto all’astinenza con supervisione medica Il 75% dei pazienti in terapia di mantenimento rimane in trattamento dopo 1 anno vs lo 0% di quelli in astinenza Il 75% circa dei campioni di urina sono risultati negativi nei pazienti in terapia di mantenimento Quattro pazienti (20%) sono morti nel gruppo placebo vs nessuno nel gruppo con terapia di mantenimento Nello studio di Kakko et al, due gruppi di 20 pazienti con dipendenza da oppioidi sono stati randomizzati a ricevere il mantenimento con buprenorfina o placebo e seguiti per 1 anno. La somministrazione è avvenuta per 6 mesi sotto supervisione con la successiva opzione dell’affido. I pazienti si sottoponevano anche a una seduta settimanale di counseling e di terapia cognitivo-comportamentale. Kakko J, et al. 1-year retention and social function after buprenorphine-assisted relapse prevention treatment for heroin dependence in Sweden: a randomised, placebo-controlled trial. Lancet. 2003; 361:662–8. Abstract Premessa: Buprenorfina, agonista parziale del recettore degli oppiacei, è stata proposta come trattamento della dipendenza da eroina, ma ci sono pochi studi a lungo termine, controllati con placebo, che hanno dimostrato la sua efficacia. Scopo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia a 1 anno di buprenorfina in combinazione con una terapia psico-sociale intensiva per il trattamento della dipendenza da eroina. Metodi: 40 soggetti di età superiore a 20 anni, che soddisfacevano i criteri DSM-IV per la dipendenza da oppiacei da almeno 1 anno ma che non soddisfacevano i criteri legali svedesi per il trattamento di mantenimento con metadone, sono stati randomizzati a ricevere quotidianamente buprenorfina (dose fissa 16 mg per via sublinguale per 12 mesi; la somministrazione quotidiana è avvenuta sotto supervisione per almeno 6 mesi, con possibilità del successivo affido terapeutico) o un regime di 6 giorni con dosi a riduzione scalare di buprenorfina, seguito da placebo. Tutti i pazienti hanno partecipato a gruppi di terapia cognitivo-comportamentale per prevenire le ricadute e a sedute settimanali di counselling individuale; campioni delle urine raccolti tre volte a settimana sotto supervisione sono stati analizzati per evidenziare l’eventuale uso di droghe illegali. L’endpoint primario dello studio è stata la permanenza in trattamento a 1 anno analizzata sulla popolazione intention-to-treat. Risultati: La permanenza in trattamento a un anno è stata del 75% e dello 0%, rispettivamente, nei gruppi buprenorfina e placebo (p=0,0001; risk ratio 58,7 [IC 95% 7,4-467,4]). Nei pazienti rimasti in trattamento, i test delle urine sono risultati negativi al 75% circa per oppiacei illegali, stimolanti centrali, cannabinoidi e benzodiazepine. Interpretazione: La combinazione di buprenorfina e trattamento psico-sociale intensivo è sicura e altamente efficace e dovrebbe entrare tra le opzioni di trattamento disponibili per i soggetti con dipendenza da eroina. Kakko J, et al. Lancet. 2003; 361:662–668. 11
La terapia di mantenimento garantisce la permanenza in trattamento 26/04/11 La terapia di mantenimento garantisce la permanenza in trattamento Nel gruppo di controllo, tutti i 20 pazienti che non hanno completato il trattamento hanno deciso di abbandonare il trattamento dopo il test delle urine positivo per droghe illegali. Nel gruppo buprenorfina, solo un paziente è uscito volontariamente dallo studio mentre quattro sono stati esclusi, sempre per positività nel test delle urine. Ci sono stati quattro morti nel gruppo controllo e nessuno nel gruppo buprenorfina. Kakko J, et al. 1-year retention and social function after buprenorphine-assisted relapse prevention treatment for heroin dependence in Sweden: a randomised, placebo-controlled trial. Lancet. 2003; 361:662–8. Abstract Premessa: Buprenorfina, agonista parziale del recettore degli oppiacei, è stata proposta come trattamento della dipendenza da eroina, ma ci sono pochi studi a lungo termine, controllati con placebo, che hanno dimostrato la sua efficacia. Scopo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia a 1 anno di buprenorfina in combinazione con una terapia psico-sociale intensiva per il trattamento della dipendenza da eroina. Metodi: 40 soggetti di età superiore a 20 anni, che soddisfacevano i criteri DSM-IV per la dipendenza da oppiacei da almeno 1 anno ma che non soddisfacevano i criteri legali svedesi per il trattamento di mantenimento con metadone, sono stati randomizzati a ricevere quotidianamente buprenorfina (dose fissa 16 mg per via sublinguale per 12 mesi; la somministrazione quotidiana è avvenuta sotto supervisione per almeno 6 mesi, con possibilità del successivo affido terapeutico) o un regime di 6 giorni con dosi a riduzione scalare di buprenorfina, seguito da placebo. Tutti i pazienti hanno partecipato a gruppi di terapia cognitivo-comportamentale per prevenire le ricadute e a sedute settimanali di counseling individuale; campioni delle urine raccolti tre volte a settimana sotto supervisione sono stati analizzati per evidenziare l’eventuale uso di droghe illegali. L’endpoint primario dello studio è stata la permanenza in trattamento a 1 anno analizzata sulla popolazione intention-to-treat. Risultati: La permanenza in trattamento a un anno è stata del 75% e dello 0%, rispettivamente, nei gruppi buprenorfina e placebo (p=0,0001; risk ratio 58,7 [IC 95% 7,4-467,4]). Nei pazienti rimasti in trattamento, i test delle urine sono risultati negativi al 75% circa per oppiacei illegali, stimolanti centrali, cannabinoidi e benzodiazepine. Interpretazione: La combinazione di buprenorfina e trattamento psico-sociale intensivo è sicura e altamente efficace e dovrebbe entrare tra le opzioni di trattamento disponibili per i soggetti con dipendenza da eroina. Kakko J, et al. Lancet. 2003; 361:662–668 12
Altri benefici a lungo termine Il trattamento di mantenimento riduce gli episodi di craving e l’uso di oppioidi illegali e, di conseguenza, tiene i pazienti al riparo da molti danni associati all’uso di droga per iniezione. Il trattamento di mantenimento ha dimezzato il numero di overdose non- fatali in un gruppo di circa 500 eroinomani. I problemi psichiatrici sono aumentati 9 mesi dopo la disintossicazione in un gruppo di 75 pazienti che avevano l’astinenza come obiettivo (tre sono morti durante la fase di disintossicazione). Darke S, et al. Non-fatal heroin overdose, treatment exposure and client characteristics: findings from the Australian treatment outcome study (ATOS). Drug Alcool Rev. 2005;24(5):425–32. Abstract Le relazioni tra esposizione al trattamento, uso di droga, variabili psico-sociali e overdose non-fatale di eroina sono state valutate in una coorte di 495 eroinomani, re-intervistati a 12 mesi. L’incidenza di overdose a 12 mesi si è ridotta dal 24 al 12% mentre la percentuale di naloxone somministrato si è ridotta dal 15 al 7%. Sono state osservate riduzioni significative nelle overdose tra i pazienti che hanno iniziato terapie di mantenimento (dal 22 al 4%) e programmi di riabilitazione residenziali (33 vs 19%) al basale, ma non tra i pazienti che hanno iniziato la disintossicazione e tra quelli che non sono entrati in trattamento. Il totale di giorni di trattamento ricevuto nel periodo di follow-up è stato associato in maniera indipendente a un rischio ridotto di overdose. Ciascun giorno di trattamento extra è stato associato a una riduzione dell’1% nel rischio di overdose nel periodo di follow-up. Al contrario, più episodi di trattamento sono stati associati con un aumentato rischio di overdose (OR 1,62). Altri predittori indipendenti di overdose durante il follow-up sono stati un impiego maggiore di politerapia (OR 1,40) e un precedente di overdose nell’anno antecedente lo studio (OR 7,87). Kornor H, et al. Abstinence-orientated buprenorphine replacement therapy for young adults in out-patient counselling. Drug Alcool Rev. 2006; 25(2):123–30. Questo studio ha valutato la permanenza in trattamento, la compliance e il completamento di un programma di sostituzione con buprenorfina della durata di 9 mesi. Inoltre, sono state esaminate le variazioni nell’impiego del farmaco e altre variabili rilevanti, come pure sono stati esaminati i predittori del completamento del programma. Settantacinque pazienti ambulatoriali con dipendenza da oppioidi (età media 26 anni; 33% femmine) che volevano raggiungere l’astinenza da oppioidi sono stati arruolati nello studio. Le valutazioni sono state condotte prima dell’induzione a buprenorfina e, successivamente, a 3, 6 e 9 mesi. Quaranta pazienti (53%) hanno completato il programma con buprenorfina. A 9 mesi, 67 pazienti (87%) continuavano a seguire il programma di counselling. Il tasso medio di partecipazione per la somministrazione di buprenorfina e le sessioni di counselling è stato, rispettivamente, pari a 0,91 e 0,74. Ci sono state significative e persistenti riduzioni dell’uso di droga durante il trattamento, tuttavia, una tendenza contraria è stata osservata nel nono mese. I problemi psichiatrici sono aumentati a 9 mesi e tre pazienti sono morti durante la fase di disintossicazione. Un numero minore di precedenti episodi di trattamento è stato predittore del completamento. La disintossicazione da buprenorfina è associata a un notevole stato d’ansia e a un rischio aumentato di morte. La terapia sostitutiva con buprenorfina dovrebbe essere continuata fino a quando il paziente sceglie di lasciarla ed è essenziale uno stretto monitoraggio durante la fase di disintossicazione. Liu H, et al. Do drug users in China who frequently receive detoxification treatment change their risky drug use practices and sexual behavior? Drug Alcohol Depend. 2006; 84(1):114–21. Premessa: In Cina, il tasso di ricadute tra i soggetti trattati per l’uso di droga è elevato. Sono state esaminate le associazioni tra frequenza di trattamento di disintossicazione e comportamenti a rischio di contrarre HIV per pratiche legate all’uso di droga e per comportamento sessuale. Metodi: Studio trasversale condotto in soggetti che fanno uso di droga in due centri di disintossicazione nella provincia di Anhui nel 2003. Risultati: Sono stati reclutati in totale 312 utilizzatori di droga; il 77% di loro aveva già ricevuto due o più trattamenti di disintossicazione. Il numero mediano di trattamenti di disintossicazione ricevuti è stato pari a tre, con uno scarto interquartile da due a cinque trattamenti. Oltre 7 su 10 (72%) non si erano mai iniettati droga; il 19% aveva condiviso aghi e siringhe nei 30 giorni precedenti; il 40% degli utilizzatori di droga ha riportato di avere avuto nell’anno precedente partner sessuali regolari e a pagamento mentre il 48% ha riportato di aver avuto solo partner sessuali regolari. L’analisi di regressione multipla secondo Poisson ha documentato che la frequenza del trattamento di disintossicazione non risultava associata a una riduzione nell’uso di droga (iniezione o scambi di aghi) e nel sesso non protetto. Conclusione: Gli utilizzatori di droga che frequentemente ricevono un trattamento di disintossicazione non modificano le loro pratiche a rischio e il comportamento sessuale. Interventi comportamentali efficaci e un trattamento sostitutivo di mantenimento dovrebbero diventare parte integrante dei programmi di disintossicazione in Cina. Moss AR, et al. HIV seroconversion in intravenous drug users in San Francisco, 1985-90. AIDS. 1994; 8(2):223–31. Obiettivo: Esaminare la frequenza di sieroconversione HIV, i fattori di rischio per sieroconversione e i cambiamenti nel tempo dei comportamenti a rischio in consumatori di droga per via endovenosa (IVDU) a San Francisco, tra il 1985 e il 1990. Disegno: Studio osservazionale. Setting: Tutti in terapia di mantenimento con metadone e programmi di 21 giorni di disintossicazione con metadone a San Francisco. Partecipanti: Un totale di 2351 IVDU eterosessuali, 681 dei quali sieronegativi alla prima visita e visti almeno due volte ('repeaters'). Misure di valutazione principali: Tassi di sieroconversione per HIV, fattori di rischio per sieroconversione e cambiamenti nel comportamento. Il tasso di sieroconversione per HIV nei repeaters è stato dell’1,9% per anno-persona (ppy) di follow-up [2,1% nelle donne versus 1,7% negli uomini (differenza non significativa); 4% negli afroamericani versus 1% nei bianchi (p = 0,006); 3,9% ppy nel primo terzo dello studio, 1,2% nel secondo (p = 0,007) e 1,9% nell’ultimo (differenza non significativa)]. I fattori di rischio per sieroconversione sono stati: cinque o più partner sessuali per anno [hazard ratio (HR) = 2,6; p = 0,02], uso costante di “shooting gallery” (HR = 2,9; p = 0,02) e meno di 1 anno (nel corso della vita) in mantenimento con metadone (HR = 2,7; p = 0,02). L’uso di cocaina per via endovenosa spontaneamente riportato è sceso dal 33 al 15% in 5 anni, l’uso di “shooting gallery” dal 19 al 6% e la percentuale di soggetti con cinque o più partner sessuali dal 25 al 10%. L’uso di disinfettante è aumentato al 75% di soggetti che fanno uso promiscuo di aghi. Conclusioni: L’incidenza di sieroconversione per HIV tra il 1985 e il 1990 negli IVDU (1,9% ppy) è risultata comparabile a quella di una coorte di uomini omosessuali di San Francisco (1,4% ppy). Una riduzione nella sieroconversione per HIV ha coinciso con la modificazione dei comportamenti a rischio. Un trattamento di mantenimento stabile con metadone è risultato altamente protettivo: il tasso di sieroconversione in soggetti con 1 anno o più di trattamento con metadone è stato del 12% ppy. 26/04/11 Altri benefici a lungo termine I casi di sovradosaggio non fatale sono ridotti dalla terapia di mantenimento ma non dall’astinenza controllata1 L’interruzione forzata della terapia di mantenimento a breve termine è collegata all’aumento di disturbi psichiatrici e decessi2 Dopo singoli trattamenti dell’astinenza, i pazienti non modificano il loro consumo di droga, né i comportamenti a rischio HIV3 La prevalenza di HIV e l’incidenza di infezioni sono inversamente associate alla durata della terapia sostitutiva di mantenimento4 Maggiori informazioni! 1. Darke S, et al. Drug Alcohol Rev. 2005; 24(5):425–432. 2. Kornor H, et al. Drug Alcohol Rev. 2006; 25(2):123–130. 3. Liu H, et al. Drug Alcohol Depend. 2006; 84(1):114–121. 4. Moss AR, et al. AIDS. 1994; 8(2):223–231. 13
Trattare la tossicodipendenza significa prevenire l’AIDS 26/04/11 Trattare la tossicodipendenza significa prevenire l’AIDS L’assenza di terapia sostitutiva con oppioidi (ORT) aumenta di oltre sei volte il rischio di contrarre l’infezione da HIV 1 Si stima che comportamenti ad alto rischio associati all’uso di droga per via iniettiva, come lo scambio di aghi, sia la causa di circa il 30% delle infezioni da HIV nel mondo. In alcuni contesti nei quali lo scambio di aghi è particolarmente comune, come nelle carceri, la percentuale può essere molto più elevata (per esempio, in Grecia, il 92% dei detenuti che si iniettano droga si scambiano gli aghi). Eliminare il bisogno di iniettarsi droghe attraverso la farmacoterapia con oppioidi dovrebbe portare a una notevole riduzione della diffusione di HIV tra i consumatori di droga, come viene dimostrato in questo studio su 255 soggetti che fanno uso di oppioidi con o senza trattamento. Metzger DS, et al. Human immunodeficiency virus seroconversion among intravenous drug users in- and out-of-treatment: an 18-month prospective follow-up. J Acquir Immune Defic Syndr. 1993; 6(9):1049–56. Abstract Il nostro obiettivo era quello di determinare la prevalenza e l’incidenza dell’infezione da virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV) e i comportamenti a rischio ad essa connessi tra i consumatori di droga per via endovenosa (IVDU) con o senza trattamento con metadone. I soggetti, consumatori di oppiacei per via endovenosa, 152 in trattamento e 103 senza trattamento, sono stati seguiti in maniera prospettica per 18 mesi. Le valutazioni comportamentali e sierologiche sono state condotte a intervalli di 6 mesi, con informazioni complete disponibili sull’89% del campione. I soggetti sono stati reclutati in un singolo programma di mantenimento con metadone nei sobborghi centro- settentrionali di Filadelfia. Al basale, la sieroprevalenza di HIV per il campione totale era del 12%: 10% per il gruppo in terapia di mantenimento con metadone e 16% per il gruppo senza trattamento. I soggetti senza trattamento si iniettavano droga, si scambiavano aghi, frequentavano “shooting galleries” e praticavano sesso non sicuro con una frequenza significativamente maggiore rispetto ai soggetti in trattamento. Il follow-up dei soggetti HIV-negativi nei 18 mesi successivi ha mostrato una sieroconversione del 3,5% per quelli rimasti in trattamento di mantenimento con metadone versus 22% per quelli rimasti senza trattamento. La differenza di sei volte nel tasso di sieroconversione tra i due gruppi suggerisce che, seppure persista una rapida trasmissione di HIV, gli IVDU che iniziano un trattamento con metadone hanno una probabilità significativamente inferiore di contrarre l’infezione. Al contrario, i tossicodipendenti che non entrano in trattamento hanno rischi significativamente maggiori di contrarre la malattia e di diffonderla. Si discute ancora delle implicazioni per approntare ulteriori interventi che consentano di contenere i rischi nei consumatori di droga per via endovenosa che non sono in trattamento. Indietro 1. Riproduzione autorizzata da Metzger DS, et al. J Acquir Immune Defic Syndr. 1993; 6(9):1049–1056. 14
Approcci Farmacologici (1) 26/04/11 Approcci Farmacologici (1) Terapia con antagonisti oppioidi (blocco) − naltrexone Al contrario di quanto avviene con gli agonisti, gli antagonisti degli oppioidi non hanno alcun effetto gratificante o di rinforzo e possono precipitare sintomi di astinenza severi Gli antagonisti oppioidi vengono usati solo quando i pazienti hanno interrotto completamente l’assunzione di oppioidi, come prevenzione delle ricadute La terapia antagonista è associata ad un’elevata incidenza di bassa compliance Un Health Technology Assessment nel Regno Unito (Adi et al, 2007) ha analizzato gli studi disponibili sulla farmacoterapia antagonista con naltrexone e ha rilevato che la permanenza in trattamento non è stata migliore rispetto a quella con il placebo. Questa terapia riduce l’uso di droga illegale rispetto al placebo ma tende a essere usata per pazienti altamente motivati che sono determinati a rimanere liberi da droga, e non come opzione di prima o seconda linea per nuovi pazienti. 15
Naltrexone orale: selezionare i pazienti 26/04/11 Naltrexone orale: selezionare i pazienti Motivati all’astinenza Disintossicati e liberi da oppiacei Con un impiego e un buon funzionamento sociale Desiderosi di sottoporsi regolarmente a trattamento psicosociale Sostenuti da famiglia, amici e comunità In grado di assumere regolarmente il farmaco Il trattamento orientato all’astinenza, anche se assistito dall’impiego di antagonisti oppioidi a lungo termine, è associato a un alto tasso di ricadute. Per ridurre al minimo i rischi di ritornare all’uso di droghe per via iniettiva, è importante ridurre quanto più possibile i fattori di rischio per le ricadute. È stato rilevato che l’occupazione, il sostegno psicosociale, una rete sociale di sostegno e l’aderenza alla farmacoterapia riducono il tasso di ricadute e si ritiene che i pazienti che godono degli effetti protettivi di questi fattori ottengono risultati migliori con il naltrexone rispetto a quelli che sono esposti ad eventi destabilizzanti nelle loro vite o che fanno difficoltà ad aderire al trattamento. Indietro 16
Approcci Farmacologici (2) 26/04/11 Approcci Farmacologici (2) Terapia sostitutiva con oppioidi Agonisti totali dei recettori mu degli oppioidi Eroina, morfina Metadone (antagonista del recettore NMDA) Agonisti parziali dei recettori mu degli oppioidi Buprenorfina (antagonista del recettore kappa ) Gli agonisti pieni del recettore μ-oppioide esercitano sul recettore gli stessi effetti di oppiacei quali eroina e morfina. Metadone è l’esempio più noto di agonista usato nella terapia per la dipendenza da oppioidi. Tuttavia, gli agonisti di tipo μ possono avere effetti anche su altri recettori. Per esempio, il metadone è anche un antagonista del recettore NMDA e ciò gli conferisce alcune proprietà analgesiche addizionali. Gli agonisti parziali del recettore μ-oppioide si legano al recettore, ma non esercitano tutti gli effetti di un agonista pieno. Tuttavia, non tutti gli effetti di un agonista parziale sono ugualmente ridotti. Per esempio, la buprenorfina induce una depressione respiratoria inferiore rispetto a un agonista pieno con un tetto oltre al quale ulteriori aumenti di dose non hanno effetto. Al contrario, gli effetti di blocco di questa molecola sono considerevolmente più forti. 17
Approcci Farmacologici (3) 26/04/11 Approcci Farmacologici (3) Agonisti oppioidi in combinazione con antagonisti I pazienti possono essere curati anche con una combinazione di agonisti e antagonisti, somministrati come compresse sublinguali, buprenorfina/naloxone: Buprenorfina, un agonista oppioide parziale, è il principio attivo principale Naloxone, un oppioide antagonista, è quasi totalmente inattivo quando viene assunto per via orale ma è attivo quando viene iniettato, scoraggiando così diversione e uso improprio È stato osservato che i soggetti con dipendenza da oppioidi, inclusi quelli con dipendenza da buprenorfina, gradiscono meno l’iniezione di buprenorfina/naloxone rispetto a quella del solo agonista oppioide (Comer et al). Nel mondo reale, ciò si traduce in una riduzione, rispetto alla buprenorfina, della quantità di buprenorfina/naloxone usata in modo improprio da parte di pazienti e utenti di programmi per lo scambio di siringhe (Degenhardt et al, 2009). Tuttavia, la presenza di un agonista può indurre ansia nei pazienti in quanto temono di assumere un farmaco che, potenzialmente, può farli sentire male; si ritiene che questa sia la fonte di alcune delle difficoltà segnalate dai medici durante il trasferimento dei pazienti trattati con buprenorfina a buprenorfina/naloxone (NAS Survey, Switch study). Fornire rassicurazioni e una buona istruzione ai pazienti aiuta a ridurre l’ansia. 18
Fasi della farmacoterapia di mantenimento 26/04/11 Fasi della farmacoterapia di mantenimento La farmacoterapia può essere suddivisa in quattro fasi, che costituiscono gli elementi fondamentali di un modello standard di trattamento: Induzione Stabilizzazione Mantenimento Interruzione della terapia farmacologica Induzione e stabilizzazione sono le fasi a maggiore rischio per i pazienti; essi corrono infatti un pericolo elevato di overdose derivante o dalla farmacoterapia oppioide in sé (specialmente nel caso di metadone) o dalla prescrizione di una dose insufficiente alla quale il paziente aggiunge droghe illegali. La stabilizzazione è la fase intermedia tra le somministrazioni iniziali e la dose finale di mantenimento. Prima di arrivare alla dose di mantenimento ideale, può essere necessario ridurre o aumentare la dose in quanto i livelli di farmaco possono essere influenzati da fattori come il metabolismo del singolo paziente o la somministrazione concomitante di altri farmaci o l’uso di droghe illegali. Nella fase di mantenimento, la terapia dovrebbe essere relativamente stabile ad eccezione di variazioni previste in risposta a fatti acuti che mettono a rischio la stabilità (per esempio, chirurgia d’urgenza o eventi traumatici nella vita del paziente). L’interruzione della farmacoterapia, sia come preludio al trattamento orientato all’astinenza sia come conclusione vera e propria del trattamento, dovrebbe essere discussa in anticipo con il paziente. Il raggiungimento in tempi brevi di uno stato libero da droga potrebbe essere oggetto di pressioni sia da parte del paziente, che da parte delle autorità sanitarie, nell’ambito di una strategia nazionale. Tuttavia, la mancanza di trattamento senza un adeguato piano post-trattamento pone il paziente a rischio elevato di ricaduta con tutti i pericoli associati. 19
Obiettivi dell’induzione 26/04/11 Obiettivi dell’induzione Inserire il paziente in un trattamento appropriato Ridurre al minimo gli eventi avversi Effetti collaterali degli oppioidi Sindrome da astinenza precipitata (buprenorfina o bup/nx) Tossicità precipitata (metadone) Mantenere il paziente in trattamento 20
26/04/11 Dopo l’induzione: obiettivi della dose di stabilizzazione e mantenimento La dose corretta è quella necessaria per sostenere il raggiungimento degli obiettivi terapeutici Per la maggior parte dei pazienti, ciò include: Eliminare i sintomi di astinenza Sopprimere o eliminare gli episodi di craving Ridurre o eliminare l’uso di eroina Evitare effetti collaterali (per eccesso o difetto di farmaco) La maggior parte dei pazienti lo raggiunge con : 12–24 mg/die di buprenorfina 60–120 mg/die di metadone La somministrazione terapeutica è un concetto importantissimo, che influisce notevolmente sull’esito positivo del trattamento, dalla stabilizzazione dell’uso di droghe illegali alla prevenzione dell’uso improprio del farmaco prescritto e, naturalmente, all’effettiva permanenza dei pazienti in trattamento. I dati raccolti in Europa durante un recente sondaggio indicano che vi è una percentuale elevata, nonché sorprendente e preoccupante, di medici prescrittori che prescrivono d’abitudine dosi di mantenimento molto basse e, per la buprenorfina, dosi eccessivamente basse anche all’induzione, con protocolli di titolazione lenta che difficilmente producono i migliori risultati del trattamento (Needs Assessment Survey, 2010). Nonostante siano stati stabiliti livelli di dosi ottimali e pratiche di induzione adatte per ogni farmacoterapia, ciascun paziente è differente e la titolazione dovrebbe sempre essere adattata ai segni clinici. In passato, la semplice soppressione dei sintomi di astinenza era considerata il raggiungimento della dose appropriata ma, con il crescere delle evidenze cliniche, questo punto di vista ha perso credito. Alcuni esperti utilizzano l’eliminazione degli episodi di craving come marcatore chiave del raggiungimento della dose terapeutica per un determinato paziente e hanno veramente ottenuto risultati eccellenti in studi con protocolli di titolazione di questo tipo (per esempio, Kakko et al, 2007); tuttavia, non si può dimenticare il ruolo dei fattori psicosociali che inducono craving. Aumenti continui delle dosi potrebbero essere inappropriati se i pazienti non cercano contemporaneamente di operare dei cambiamenti psicosociali che li allontanino dai fattori potenzialmente scatenanti, come persone, luoghi e cose associate all’uso di droga. 21
26/04/11 Induzione a metadone 22
Principi dell’induzione a metadone: sicurezza 26/04/11 Principi dell’induzione a metadone: sicurezza Agonista oppioide con effetto massimo ~ 2–6 ore dopo la somministrazione Lunga durata d’azione (t½=20–30 ore): lo stato stazionario viene raggiunto dopo vari giorni di terapia Tossicità oppioide per ‘eccesso’ di metadone Una dose di 20–40 mg può essere letale nel bambino Negli adulti naive agli oppioidi possono essere letali: Dosi ripetute di 30–40 mg Una dose di 70 mg Il rischio massimo di overdose di metadone si verifica nelle prime 2 settimane di trattamento (di solito nei giorni 3–5) 23
Principi dell’induzione a metadone: induzione lenta 26/04/11 Principi dell’induzione a metadone: induzione lenta Principio base: ‘inizia con una dose bassa, prosegui lentamente’ per evitare problemi di tossicità Induzione: dose iniziale, generalmente, 20–30 mg <20 mg: se la tolleranza non è sicura o ci sono possibili fattori di rischio (es:soggetti anziani) 30–40 mg se il paziente è conosciuto, ha avuto precedenti esperienze con metadone, ha un’elevata tolleranza agli oppioidi e non ha fattori di rischio La maggioranza delle morti durante il trattamento con metadone si verifica nelle prime 2 settimane. Le dosi iniziali e gli aumenti successivi devono essere definiti con cautela per salvaguardare la sicurezza del paziente. Secondo le Australian National Clinical Guidelines, le morti da overdose nell’induzione con metadone si registrano più frequentemente nel range tra 40 e 60 mg di dose. 24
Dalla prima dose alla dose stabile 26/04/11 Dalla prima dose alla dose stabile Aumentare la dose solo dopo aver rivisto il paziente In generale: Ogni volta aumenti limitati della dose (es: 5–10 mg) Attenzione agli effetti cumulativi: aumentare ogni 2–4 giorni secondo le necessità Non aumentare la dose se il paziente è molto sedato o sonnolento Generalmente sono necessarie alcune settimane per raggiungere la dose di mantenimento 25
Induzione a buprenorfina e buprenorfina/naloxone 26/04/11 Induzione a buprenorfina e buprenorfina/naloxone Gli stessi principi si applicano sia alla buprenorfina, che alla combinazione bup/nx: le due formulazioni sono intercambiabili nella somministrazione 26
Principi dell’induzione a buprenorfina : induzione rapida 26/04/11 Principi dell’induzione a buprenorfina : induzione rapida Obiettivo : rapido controllo dei sintomi Pochi rischi di tossicità oppioide con la buprenorfina La prima dose di buprenorfina può essere somministrata quando il paziente è in una fase precoce di astinenza Prima dose 8 mg (o 4 mg per bassa tolleranza agli oppioidi) Successivi incrementi rapidi della dose Giorno 2–3: raggiungimento della dose target Per la maggior parte dei pazienti 12–16 mg Poche difficoltà nell’induzione per utilizzatori di eroina o altri oppioidi a breve durata (es: morfina) Purchè in astinenza all’induzione L’effetto tetto di buprenorfina sulla respirazione implica che, in assenza di altri depressori del SNC, un’eccessiva soppressione della respirazione con questo farmaco è estremamente improbabile. Questi due fattori necessitano un protocollo di induzione rapida, finalizzato al raggiungimento della dose di mantenimento nei primissimi giorni. Per tale ragione, la maggior parte dei pazienti che vengono trasferiti da un oppioide a breve durata d’azione richiedono 8 mg al giorno 1 e 12-16 mg al giorno 2. Talvolta, ai pazienti potrebbe andar bene una dose minore, per esempio, 4 mg. Andrebbe bene, se possibile, prescrivere 4 mg e chiedere al paziente di ritornare, somministrando altri 4 mg se ci sono ancora sintomi,. Se però il paziente non può essere rivisto fino al giorno successivo, è probabilmente più sicuro prescrivere 8 mg. Attualmente, i dati provenienti da un’indagine indicano che il 57% dei prescrittori europei somministra meno di 8 mg il primo giorno. (Needs Assessment Survey, 2010). Per essere certi che la dose sarà ben tollerata, i medici devono ricordare che, prima di somministrare la prima dose di buprenorfina, i pazienti devono mostrare chiari sintomi di astinenza. Le affermazioni spontanee del paziente sull’assenza di un uso recente di oppioidi possono non essere affidabili. Controllate la presenza di segni di astinenza; se sono presenti, l’induzione dovrebbe procedere senza problemi. Controllate anche i segni di intossicazione, come la dilatazione delle pupille rispetto ai sintomi di astinenza, quali pupille puntiformi, sudorazione, mani umidicce ecc. Non somministrate buprenorfina in presenza di intossicazione. Di nuovo, l’informazione al paziente è fondamentale ed è una parte molto importante di una relazione terapeutica positiva. Spiegate ai pazienti che l’onesta è essenziale in questa fase affinchè l’induzione non presenti problemi. I pazienti dovrebbero comprendere che se hanno assunto droga recentemente e non lo ammettono, la prima dose di buprenorfina potrebbe causare una sgradevole risposta di astinenza. L’astinenza precipitata è comunque relativamente rara durante l’induzione da eroina se il paziente è in astinenza; rassicurate quindi i pazienti sul fatto che, se hanno sintomi di astinenza, possono aspettarsi un sollievo fin dalla prima dose di buprenorfina. 27
Raccomandazioni per un’induzione sicura: sintesi 26/04/11 Raccomandazioni per un’induzione sicura: sintesi Caratteristica Metadone Buprenorfina & Buprenorfina/naloxone Evitare Tossicità metadone Sindrome di astinenza precipitata Quando somministrare la prima dose Non intossicato In astinenza da oppioidi Prima dose Iniziare con dosi basse (es: 20−30 mg) 8 mg Dose di titolazione Aumenti lenti; raggiungimento della dose target entro la settimana 2−4 Aumenti rapidi dopo la dose iniziale di prova; raggiungimento della dose target entro 2−3 giorni Dose target di mantenimento 60−120 mg 12−24 mg 28
Qual è la dose target di buprenorfina 26/04/11 Qual è la dose target di buprenorfina Titolare la dose per: Eliminare i sintomi di astinenza Sopprimere o eliminare gli episodi di craving Ridurre o eliminare l’uso di eroina Bloccare i recettori degli oppioidi Evitare gli effetti collaterali (per eccesso o difetto di farmaco) Il raggiungimento degli obiettivi terapeutici richiede la combinazione della dose terapeutica e dei cambiamenti in ambito psicosociale La maggior parte dei pazienti lo raggiunge con : 12–24 mg/die di buprenorfina Maggiori informazioni La somministrazione terapeutica è un concetto importantissimo, che influisce notevolmente sull’esito positivo del trattamento, dalla stabilizzazione dell’uso di droghe illegali alla prevenzione dell’uso improprio del farmaco prescritto e, naturalmente, all’effettiva permanenza dei pazienti in trattamento. I dati raccolti in Europa durante un recente sondaggio indicano che vi è una percentuale elevata, nonché sorprendente e preoccupante, di medici prescrittori che prescrivono d’abitudine dosi di mantenimento molto basse e, per la buprenorfina, dosi eccessivamente basse anche per l’ induzione, con protocolli di titolazione lenta che difficilmente producono i migliori risultati del trattamento (Needs Assessment Survey, 2010). Nonostante siano stati stabiliti livelli di dosi ottimali e pratiche di induzione adatte per ogni farmacoterapia, ciascun paziente è differente e la titolazione dovrebbe sempre essere adattata ai segni clinici. In passato, la semplice soppressione dei sintomi di astinenza era considerata il raggiungimento della dose appropriata ma, con il crescere delle evidenze cliniche, questo punto di vista ha perso credito. Una dose terapeutica dovrebbe bloccare anche gli effetti dati dagli oppioidi illegali; di conseguenza, se il vostro paziente ha avuto una ricaduta, chiedetegli se ha provato effetti piacevoli o di “sballo” con l’oppioide illegale. In caso di risposta affermativa, e se il paziente assumeva il farmaco di mantenimento secondo le prescrizioni, allora la dose dovrebbe essere aumentata per garantire un blocco maggiore degli effetti degli oppioidi illegali. Alcuni esperti utilizzano l’eliminazione degli episodi di craving come marcatore chiave del raggiungimento della dose terapeutica per un determinato paziente e hanno veramente ottenuto risultati eccellenti in studi con protocolli di titolazione di questo tipo (per esempio, Kakko et al, 2007); tuttavia, non si può dimenticare il ruolo dei fattori psicosociali che inducono craving. Aumenti continui delle dosi potrebbero essere inappropriati se i pazienti non cercano contemporaneamente di operare dei cambiamenti che li allontanino dai fattori potenzialmente scatenanti, come persone, luoghi e cose associate all’uso di droga. Maggiori informazioni 29
Educazione del paziente 26/04/11 Educazione del paziente Assicurarsi che il paziente sappia cosa lo aspetta Identificare e affrontare le preoccupazioni prima della prima somministrazione Revisioni regolari durante il periodo di induzione Se il paziente inizia con la combinazione buprenorfina/naloxone, chiarire il ruolo del naloxone Responsabilità del paziente Informare il paziente sugli obiettivi dell’induzione È importante avere un feedback su come si sente Nella risposta precoce del paziente alla variazione della terapia ci può essere una significativa componente psicologica. Infatti, un cambiamento del farmaco è spesso accompagnato da ansia e aspettative che possono influenzare la risposta del paziente alla terapia stessa. Dare informazioni chiare e coerenti nonché rassicurazioni ai pazienti può avere un ruolo rilevante per il buon esito della terapia. Inoltre, è molto importante che la comunicazione sia bidirezionale – ascoltare le preoccupazioni dei pazienti può aiutare a prevenire i problemi prima che insorgano. Spiegare ai pazienti come potranno sentirsi dopo le prime dosi può prevenire la tentazione di ricorrere all’auto-medicazione come reazione ai sintomi indesiderati. Nel contempo, chiarire loro che è necessario collaborare col medico per trovare la giusta dose li incoraggerà a descrivere apertamente come si sentono per assicurarsi che la dose terapeutica venga trovata. Tutto ciò concorre anche a creare le basi di una relazione terapeutica aperta e basata sulla fiducia. 30
Educazione del paziente 26/04/11 Educazione del paziente Effetti cumulativi del metadone. La maggior parte dei casi di overdose con metadone si verifica durante la fase di induzione (Degenhardt et al, 2009; Tait et al, 2008; Gibson and Degenhardt, 2007; Srivastava and Kahan, 2006; Zador and Sunjic, 2002; Zador and Sunjic, 2000). I pazienti devono capire che un periodo di stabilizzazione per ogni nuova dose è importante per evitare l’overdose e che l’auto-medicazione tra dosi aumenta i rischi. In qualsiasi farmacoterapia, l’uso improprio e concomitante di farmaci che deprimono l’SNC può essere fatale e quasi tutte le morti per overdose associate alla buprenorfina hanno visto coinvolti altri depressori del SNC. Questo non significa che la buprenorfina sia più pericolosa del metadone in combinazione con questi farmaci, anzi, ciò indica, per ironia della sorte, i benefici di sicurezza della buprenorfina. In altre parole, l’effetto tetto della buprenorfina sulla depressione respiratoria rende l’overdose meno probabile di quanto non avvenga con un agonista pieno, in assenza di altri farmaci che deprimono il SNC. In effetti, i dati disponibili indicano che, probabilmente, sia il metadone, che la buprenorfina hanno un profilo di rischio simile quando vengono assunti con altri farmaci che deprimono il SNC, anche se alcuni studi suggeriscono che i rischi sono decisamente maggiori quando il metadone viene assunto con i depressori del SNC rispetto alla buprenorfina (Nielsen et al, 2007; Lintzeris et al, 2007). Gli eventi avversi più comuni associati alle farmacoterapie sono simili nella stessa classe di farmaci: cefalea, stipsi, sedazione, depressione respiratoria, sintomi di astinenza, intossicazione, debolezza e capogiri, ipotensione ortostatica, allucinazioni, astenia, sonnolenza, nausea e vomito. È consigliabile avere una discussione preliminare con il paziente sulla diversione e l’uso improprio. Poiché l’uso improprio è molto spesso associato al sottodosaggio (Vidal-Trecans et al 2001, Roux et al 2002; Courty et al, 2003), dovete incoraggiare i pazienti a essere onesti con voi sull’intenzione di fare uso improprio o sull’effettivo uso improprio del farmaco, perché saperlo vi sarà molto utile per ottimizzare il programma terapeutico e titolare la dose. Cogliete questa opportunità per spiegare ai vostri pazienti le possibili conseguenze negative derivanti dall’assunzione di farmaci per vie diverse da quelle previste – soprattutto per via endovenosa o per inalazione – per aiutarli a prendere delle decisioni informate. In questo tipo di conversazioni dovete avere un atteggiamento libero da pregiudizi morali; aiutate i pazienti a sentire che possono aprirsi e che voi capite le ragioni che possono talvolta indurli ad avere voglia di fare un uso improprio del farmaco. Inoltre, i pazienti devono comprendere che, nella maggior parte dei casi, le morti legate all’uso di metadone e buprenorfina si verificano in soggetti che non sono i destinatari della terapia (cioè ricevono il trattamento per diversione); i pazienti pertanto devono assumersi la responsabilità di proteggere altri che potrebbero non essere tolleranti al farmaco, come i soggetti che usano oppioidi ma hanno un grado di dipendenza inferiore o quelli naïve agli oppioidi, inclusi i bambini. Sarà quindi necessario discutere le modalità di custodia del farmaco nel caso debba essere tenuto in casa. Informare il paziente sulle modalità di assunzione Somministrazione sublinguale delle formulazioni di buprenorfina Assorbimento subottimale in caso di assunzione impropria Informazioni importanti di sicurezza Effetti cumulativi di metadone Evitare l’impiego di altri sedativi (benzodiazepine, sedativi, antidepressivi, ecc) Uso improprio e diversione: distribuzione e conservazione corretta Rischi di ‘condividere’ il farmaco con altri (soprattutto metadone) 31
26/04/11 L’assunzione di droga per via endovenosa e l’uso promiscuo di aghi si riducono notevolmente dopo 6 mesi di terapia di mantenimento1 L’uso di eroina e cocaina si è ridotto di poco più dell’80% dopo 6 mesi. L’uso di eroina si è ridotto di tre quarti e quello di benzodiazepine si è dimezzato. Nella figura non sono descritti i consumi moderati e forti di alcool che si sono ridotti, rispettivamente, dell’8 e del 14%. Questi dati derivano da questionari anonimi somministrati a 1083 pazienti trattati ambulatorialmente; dopo 6 mesi, 779 sono rimasti in trattamento ed è stato somministrato loro un secondo questionario. Lavignasse P, et al. Economic and social effects of high-dose buprenorphine substitution therapy. Six-month results. Ann Med Interne. 2002; 153(3 Suppl):1S20– 26. Abstract Lo scopo di questo studio in pazienti dipendenti da oppioidi è stato quello di analizzare l’impatto della terapia sostitutiva con buprenorfina ad alte dosi in termini di uso di sostanze psicoattive e rischi associati, oltre che di integrazione sociale e di costo sociale generati dall’uso di queste sostanze. Si è trattato di un’indagine longitudinale quantitativa, condotta in 1083 pazienti valutati tre volte: all’inizio della terapia sostitutiva (D0) e poi a 6 e 12 mesi di follow-up (M6, M12). I dati sono stati raccolti con un questionario anonimo autosomministrato, completato in presenza di un medico coinvolto nello studio. I risultati hanno dimostrato che i pazienti trattati con alte dosi di buprenorfina per 6 mesi hanno consumato meno droghe psicoattive (eroina, cocaina, benzodiazepine) e hanno avuto meno rischi associati. Anche alcuni parametri che misurano l’integrazione sociale hanno mostrato un miglioramento; morbilità e mortalità si sono ridotte dopo i primi 6 mesi di terapia sostitutiva. Nel gruppo di pazienti considerato, questi miglioramenti sono stati accompagnati da una riduzione del costo sociale dell’uso di droga. Questi risultati preliminari richiedono la conferma dell’analisi finale dello studio, relativa a un follow-up di 12 mesi. 1. Riproduzione autorizzata da Lavignasse P, et al. Ann Med Interne. 2002; 153(3 Suppl.):1S20–S26. Indietro 32
Trattare la tossicodipendenza significa prevenire l’AIDS 26/04/11 Trattare la tossicodipendenza significa prevenire l’AIDS L’assenza di terapia sostitutiva con oppioidi (ORT) aumenta di oltre sei volte il rischio di contrarre l’infezione da HIV 1 Si stima che comportamenti ad alto rischio associati all’uso di droga per via iniettiva, come lo scambio di aghi, sia la causa di circa il 30% delle infezioni da HIV nel mondo. In alcuni contesti nei quali lo scambio di aghi è particolarmente comune, come nelle carceri, la percentuale può essere molto più elevata (per esempio, in Grecia, il 92% dei detenuti che si iniettano droga si scambiano gli aghi). Eliminare il bisogno di iniettarsi droghe attraverso la farmacoterapia con oppioidi dovrebbe portare a una notevole riduzione della diffusione di HIV tra i consumatori di droga, come viene dimostrato in questo studio su 255 soggetti che fanno uso di oppioidi con o senza trattamento. Metzger DS, et al. Human immunodeficiency virus seroconversion among intravenous drug users in- and out-of-treatment: an 18-month prospective follow-up. J Acquir Immune Defic Syndr. 1993; 6(9):1049–56. Abstract Il nostro obiettivo era quello di determinare la prevalenza e l’incidenza dell’infezione da virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV) e i comportamenti a rischio ad essa connessi tra i consumatori di droga per via endovenosa (IVDU) con o senza trattamento con metadone. I soggetti, consumatori di oppiacei per via endovenosa, 152 in trattamento e 103 senza trattamento, sono stati seguiti in maniera prospettica per 18 mesi. Le valutazioni comportamentali e sierologiche sono state condotte a intervalli di 6 mesi, con informazioni complete disponibili sull’89% del campione. I soggetti sono stati reclutati in un singolo programma di mantenimento con metadone nei sobborghi centro- settentrionali di Filadelfia. Al basale, la sieroprevalenza di HIV per il campione totale era del 12%: 10% per il gruppo in terapia di mantenimento con metadone e 16% per il gruppo senza trattamento. I soggetti senza trattamento si iniettavano droga, si scambiavano aghi, frequentavano “shooting galleries” e praticavano sesso non sicuro con una frequenza significativamente maggiore rispetto ai soggetti in trattamento. Il follow-up dei soggetti HIV-negativi nei 18 mesi successivi ha mostrato una sieroconversione del 3,5% per quelli rimasti in trattamento di mantenimento con metadone versus 22% per quelli rimasti senza trattamento. La differenza di sei volte nel tasso di sieroconversione tra i due gruppi suggerisce che, seppure persista una rapida trasmissione di HIV, gli IVDU che iniziano un trattamento con metadone hanno una probabilità significativamente inferiore di contrarre l’infezione. Al contrario, i tossicodipendenti che non entrano in trattamento hanno rischi significativamente maggiori di contrarre la malattia e di diffonderla. Si discute ancora delle implicazioni per approntare ulteriori interventi che consentano di contenere i rischi nei consumatori di droga per via endovenosa che non sono in trattamento. Indietro 1. Riproduzione autorizzata da Metzger DS, et al. J Acquir Immune Defic Syndr. 1993; 6(9):1049–1056. 33
26/04/11 Il compimento di reati viene significativamente ridotto dalla terapia di mantenimento1 Questi dati derivano da questionari anonimi somministrati a 1083 pazienti trattati ambulatorialmente; dopo 6 mesi, 779 sono rimasti in trattamento ed è stato somministrato loro un secondo questionario. Sia il numero degli arresti, che quello delle comparizioni in tribunale per reati collegati alla droga si sono all’incirca dimezzati e gli autori hanno stimato che la diminuzione dei costi attribuibile alla riduzione delle attività criminose potrebbe arrivare a 3,6 milioni di Euro l’anno. La tossicodipendenza è una tra le cause maggiori di reati e di disordine sociale e, negli USA, il National Institute for Drug Addiction ha stimato un costo di 43.200 dollari/anno per ogni un soggetto che fa uso di droga e non riceve alcuna terapia. Lavignasse P, et al. Economic and social effects of high-dose buprenorphine substitution therapy. Six-month results. Ann Med Interne. 2002; 153(3 Suppl):1S20– 26. Abstract Lo scopo di questo studio in pazienti dipendenti da oppioidi è stato quello di analizzare l’impatto della terapia di sostituzione con buprenorfina ad alte dosi relativamente all’uso di sostanze psicoattive, rischi associati, integrazione sociale e anche costo sociale derivante dall’uso di queste sostanze. Si è trattato di un’indagine longitudinale quantitativa, condotta in 1083 pazienti valutati tre volte: all’inizio della terapia di sostituzione (D0) e poi a 6 e 12 mesi di follow-up (M6, M12). I dati sono stati raccolti con un questionario anonimo autosomministrato, completato in presenza di un medico coinvolto nello studio. I risultati hanno dimostrato che i pazienti trattati con alte dosi di buprenorfina per 6 mesi hanno consumato meno droghe psicoattive (eroina, cocaina, benzodiazepine) e hanno avuto meno rischi associati. Inoltre, numerosi parametri che misurano l’integrazione sociale hanno mostrato un miglioramento; morbilità e mortalità si sono ridotte dopo i primi 6 mesi di terapia sostitutiva. Nel gruppo di pazienti considerato, questi miglioramenti sono stati accompagnati da una riduzione del costo sociale dell’uso di droga. Questi risultati preliminari richiedono la conferma dell’analisi finale dello studio, che dovrà considerare il follow-up a 12 mesi. 1. Riproduzione autorizzata da Lavignasse P, et al. Ann Med Interne. 2002; 153(3 Suppl.):1S20–S26. 34
26/04/11 Il trattamento in carcere e dopo la scarcerazione riduce il tasso di recidiva Continuum terapeutico in comunità del Dipartimento Penitenziario del Delaware: % di persone senza nuovi arresti dalla scarcerazione a 42 mesi di follow-up1 In questo studio di 895 ex-detenuti, quelli che sono stati sottoposti a un trattamento durante la carcerazione hanno fatto registrare una probabilità maggiore di essere liberi dalle droghe 1 anno dopo la scarcerazione (71,0% vs 54,8%; p <0,001). A 3 anni, la differenza tra i due gruppi è risultata inferiore ma ancora significativa. Il completamento di un programma post-scarcerazione con interventi psicosociali e test delle urine per oppioidi illegali ha migliorato ulteriormente gli outcome e anche un completamento parziale del programma seguito dall’abbandono dello stesso (di solito considerato un fallimento) ha dato maggiori benefici rispetto alla non partecipazione. Butzin CA, et al. Evaluating component effects of a prison-based treatment continuum. J Subst Abuse Treat. 2002; 22(2):63–9. Abstract Da diversi anni, nel Delaware, è attivo un continuum di programmi di trattamento in comunità terapeutiche del Dipartimento Penitenziario per i rei tossicodipendenti. Valutazioni precedenti hanno mostrato l’efficacia del programma completo fino a tre anni post-trattamento, anche se ci sono state delle riserve sui benefici del trattamento in carcere. In questo articolo, l’interesse è focalizzato sull’impatto relativo delle componenti del trattamento sulle recidive di reati e sulle ricadute di uso di droga illegale, all’interno del carcere, nel trasferimento e nel periodo successivo alla terapia. Si conferma il beneficio relativo della partecipazione su ciascuna componente, al di là degli effetti delle differenze nelle caratteristiche demografiche, storie penali e abuso di sostanze illegali. Tuttavia, gli effetti del programma residenziale di transizione sono generalmente più ampi e di maggiore durata. Inoltre, i due outcomes sembrano essere influenzati dal grado di completamento del programma in modo differenziale. Indietro 1. Butzin CA, et al. J Subst Abuse Treat. 2002; 22(2):63–69. 35
Il counselling migliora gli outcomes: le evidenze Anche se McLellan et al. hanno dimostrato che il counselling migliora gli outcome rispetto alla semplice farmacoterapia su prescrizione, l’aggiunta di una terapia medico/psichiatrica, occupazionale e familiare sul posto ha migliorato ulteriormente la compliance. L’impatto del trattamento psicosociale è particolarmente visibile in termini di aumento della permanenza in trattamento dei pazienti e di riduzione dell’uso di oppioidi illegali. McLellan AT, et al. The effects of psychosocial services in substance abuse treatment. JAMA. 1993; 269(15):1953–9 Abstract Obiettivo: Esaminare se l’aggiunta di counselling, cure mediche e servizi psicosociali migliorano l’efficacia della terapia con metadone idrocloride nella riabilitazione di pazienti dipendenti da oppioidi. Disegno: Assegnazione random a uno dei tre gruppi di trattamento per uno studio clinico di 6 mesi: (1) servizi minimi con metadone (MMS), metadone da solo (minimo 60 mg/die) senza altri servizi; (2) servizi standard con metadone (SMS), stessa dose di metadone più counselling; (3) servizi avanzati con metadone (EMS), stessa dose di metadone più counselling e terapia medico psichiatrica, occupazionale e familiare sul posto. Setting: Programma di mantenimento con metadone del centro medico di Filadelfia Philadelphia (Pa) Veterans Affairs Medical Center. Soggetti: Novantadue maschi con dipendenza da oppioidi per via endovenosa in trattamento di mantenimento con metadone. Risultati: Anche se il trattamento con metadone (MMS) da solo è risultato associato alla riduzione nell’uso di oppiacei, si è reso necessario trasferire il 69% di questi soggetti dallo studio in via "protettiva" a causa dell’uso continuativo di oppiacei o cocaina, o per emergenze medico/psichiatriche. Questo dato è risultato significativamente diverso rispetto al 41% dei soggetti SMS e al 19% dei soggetti EMS che soddisfacevano i criteri. I dati a fine trattamento (a 24 settimane) hanno mostrato miglioramenti minimi tra i 10 pazienti MMS che hanno completato lo studio. Il gruppo SMS ha mostrato miglioramenti significativamente maggiori e più ampi rispetto al gruppo MMS; il gruppo EMS ha mostrato outcome significativamente migliori rispetto al gruppo SMS. I soggetti randomizzati ai servizi minimi con metadone che sono stati trasferiti in via "protettiva" alla terapia standard hanno mostrato riduzioni significative nell’uso di oppiacei e cocaina nel giro di 4 settimane. Conclusioni: La sola somministrazione di metadone (anche a dosi elevate) può essere efficace solo per una minoranza di pazienti idonei. L’aggiunta di counselling standard è stata associata a notevoli aumenti di efficacia e l’ulteriore ampliamento di servizi professionali a latere si è rivelato ancora più efficace. McLellan AT, et al. Supplemental social services improve outcomes in public addiction treatment. Addiction. 1998; 93(10):1489–99. Obiettivi: Valutare l’efficacia e il valore dei servizi sociali aggiunti riabilitazione standard per la dipendenza. Uno studio di campo controllato, quasi sperimentale, con misure ripetute. Due gruppi di pazienti ambulatoriali con dipendenze che seguivano programmi di trattamento a finanziamento pubblico. I programmi di controllo standard fornivano un counselling di gruppo bisettimanale. I programmi "avanzati" fornivano counselling standard ma anche dei case-manager (il referente del caso) per coordinare e accelerare l’uso di interventi prescelti come screening medici, assistenza per l’alloggio, progetti di sostegno per la genitorialità e servizi per la ricerca di impiego. Misure: L’Addiction Severity Index è stato usato per registrare la natura e la gravità dei problemi dei pazienti in sette aree, all’ammissione al trattamento e dopo un follow-up a 6 mesi. I servizi forniti durante il trattamento sono stati misurati con il Treatment Services Review. Le misure sono state effettuate su campioni consecutivi di pazienti ammessi a tutti i programmi, prima dell’avanzamento (fase 1, n = 431), a 12 mesi (fase 2, n = 710) e 26 mesi dopo l’avanzamento (fase 3, n = 187). Non sono state osservate differenze significative nelle caratteristiche dei pazienti, nei servizi di trattamento né negli outcome a 6 mesi dei due set di programmi nella fase 1. I programmi avanzati di fase 2 e, soprattutto, di fase 3 hanno fornito in misura considerevole più servizi sociali e medici rispetto ai programmi di controllo. A 6 mesi, i pazienti trattati nei programmi avanzati hanno fatto registrare un uso decisamente inferiore di sostanze, meno problemi fisici e mentali e una funzione sociale migliore rispetto ai controlli. L’aggiunta di servizi sociali ai programmi del settore pubblico ha notevolmente migliorato gli outcome del trattamento per la dipendenza. I cambiamenti nei sistemi del "mondo reale" richiedono tempo per essere attuati; valutazioni precoci potrebbero non cogliere appieno l’impatto di tali cambiamenti. Amato L, et al. Psychosocial combined with agonist maintenance treatments versus agonist maintenance treatments alone for treatment of opioid dependence. Cochrane Database Syst Rev. 2008; (4):CD004147. Premessa: I trattamenti di mantenimento sono efficaci nel mantenere i pazienti in trattamento ed eliminare l’uso di eroina. Rimane aperta la questione dell’efficacia dei servizi psicosociali aggiuntivi offerti dalla maggior parte dei programmi di mantenimento. Valutare l’efficacia di un’intervento psicosociale unito a un trattamento di mantenimento con agonisti versus un trattamento standard con agonisti per la dipendenza da oppioidi relativamente alla permanenza in trattamento, uso di sostanze, condizione sanitaria e sociale. Strategia di ricerca: Le ricerce sono state condotte su: Cochrane Drugs and Alcohol Group's Register of Trials (febbraio 2008), Cochrane Central Register of Controlled Trials (CENTRAL - The Cochrane Library issue 1, 2008), MEDLINE (gennaio 1966 - febbraio 2008), EMBASE (gennaio 1980 - febbraio 2008), CINAHL (gennaio 2003 - febbraio 2008), PsycINFO (gennaio 1985 - aprile 2003), bibliografie degli articoli. Criteri di selezione: Studi randomizzati che hanno confrontato l’impiego di un trattamento psicosociale unito ad un agonista versus l’intervento con solo agonista nella dipendenza da oppioidi. Raccolta dei dati e analisi: Tre reviewers hanno valutato in maniera indipendente la qualità degli studi e hanno estrapolato i dati. Risultati principali: Sono stati inclusi 28 studi, per un totale di 2945 partecipanti. Tali studi hanno considerato 12 diversi interventi psicosociali e tre farmacoterapie di mantenimento. Il confronto tra gli interventi psicosociali uniti al trattamento farmacologico di mantenimento e il solo trattamento di mantenimento standard non ha mostrato benefici per la permanenza in trattamento [23 studi, 2193 partecipanti, rischio relativo (RR) 1,02 (IC 95% 0,97 – 1,07)], per l’uso di oppiacei durante il trattamento [8 studi, 681 partecipanti, RR 0,86 (IC 95% 0,65 - 1,13)], la compliance [3 studi, MD 0,43 (IC 95% -0,05 - 0,92)], i sintomi psichiatrici [4 studi, MD 0,02 (-0,19 - 0,23)], depressione [4 studi, MD -1,30 (IC 95% -3,31 - 0,72)] e per i risultati al follow-up, in termini di numero di partecipanti ancora in trattamento alla fine di tale periodo [289 partecipanti, RR 0,91 (IC 95% 0,77 - 1,06). Tuttavia, per quanto riguarda il numero di partecipanti in astinenza alla fine del follow-up, cinque studi, 232 partecipanti, hanno mostrato un beneficio a favore del trattamento associato RR1,15 (IC 95% 1,01 -1,32). I restanti outcome sono stati analizzati solo in singoli studi considerando un numero di partecipanti limitato. Confrontando i diversi approcci psicosociali, i risultati non raggiungono mai la significatività statistica per tutti i confronti e gli outcome. Conclusioni degli autori: I risultati indicano che l’aggiunta di un supporto psicosociale ai trattamenti di mantenimento migliora il numero di partecipanti in astinenza al follow up; non sono state osservate ulteriori differenze per gli altri parametri considerati. Contrariamente alle attese, i dati non mostrano differenze tra i vari interventi psicosociali, inclusi gli approcci di contingency management. La durata degli studi è stata troppo breve per analizzare parametri importanti come la mortalità. Amato L, et al. Psychosocial and pharmacological treatments versus pharmacological treatments for opioid detoxification. Cochrane Database Syst Rev. 2008; (4):CD005031. Per la disintossicazione da oppioidi sono disponibili vari approcci farmacologici efficaci. Malgrado ciò, la maggior parte dei pazienti ricade nell’uso di eroina tanto che le ricadute rappresentano un problema importante nella riabilitazione degli eroinomani. Alcuni studi hanno indicato che i sintomi che disturbano maggiormente i tossicodipendenti durante la disintossicazione non sono i sintomi fisiologici associati alla sindrome di astinenza bensì quelli di tipo psicologico. Valutare l’efficacia di un intervento psicosociale unito a un trattamento di mantenimento versus il solo trattamento famacologico per la disintossicazione da oppioidi al fine di aiutare i pazienti a completare il trattamento, ridurre l’uso di sostanze e migliorare la condizione sanitaria e sociale. Le ricerce sono state condotte su: Cochrane Drugs and Alcohol Group's Register of Trials (27 febbraio 2008), Cochrane Central Register of Controlled Trials (CENTRAL - The Cochrane Library issue 1, 2008), PUBMED (1996 - febbraio 2008), EMBASE (gennaio 1980 - febbraio 2008), CINAHL (gennaio 2003 - febbraio 2008), PsycINFO (gennaio 1985 - aprile 2003), bibliografie degli articoli. Studi randomizzati controllati che hanno confrontato l’impiego di trattamenti psico-sociali uniti ad uno farmacologico finalizzati alla disintossicazione da oppioidi. Sono stati esclusi pazienti di età<18 anni e donne in gravidanza. Sono stati inclusi nove studi che consideravano cinque differenti interventi psico-sociali e due trattamenti sostitutivi di disintossicazione: metadone e buprenorfina. I risultati mostrano benefici promettenti derivanti dall’aggiunta di uno degli interventi psicosociali al trattamento sostitutivo di disintossicazione in termini di: completamento del trattamento, rischio relativo (RR) 1,68 (IC 95% 1,11 - 2,55); uso di oppioidi RR 0,82 (IC 95% 0,71 - 0,93), risultati al follow-up, RR 2,43 (IC 95% 1,61 - 3,66) e compliance RR 0,48 (IC 95% 0,38 - 0,59). Conclusione degli autori: Gli interventi psicosociali proposti in aggiunta ai trattamenti farmacologici di disintossicazione sono efficaci in termini di completamento del trattamento, uso di oppiacei, risultati al follow-up e compliance. Anche se un trattamento come la disintossicazione, che si limita ad attenuare la gravità dei sintomi da astinenza di oppioidi, può essere, al massimo, parzialmente efficace per una patologia cronica recidivante come la dipendenza da oppioidi, questo tipo di trattamento rappresenta un passo essenziale prima di passare ad un trattamento a più lungo termine finalizzato alla libertà dalla droga. È inoltre auspicabile approntare approcci psicosociali che possano essere affiancati alla farmacoterapia rendendo la disintossicazione più efficace. Le limitazioni di questa review sono date dall’eterogeneità dei parametri misurati. Per la carenza di informazioni dettagliate non è stato possibile condurre una metanalisi per analizzare i risultati correlati a vari parametri. Montoya ID, et al. Influence of psychotherapy attendance on buprenorphine treatment outcome. J Subst Abuse Treat. 2005; 28(3):247–54. È stata valutata l’influenza della partecipazione alla psicoterapia sul risultato del trattamento in 90 pazienti ambulatoriali con duplice dipendenza (da cocaina ed eroina) che hanno completato uno studio clinico controllato di 70 giorni con buprenorfina sublinguale (16 mg, 8 mg, o 2 mg/die, o 16 mg a giorni alterni) più una seduta settimanale individuale standardizzata di psicoterapia interpersonale cognitiva. Il risultato del trattamento è stato valutato dai livelli urinari di benzoilecgonine (BZE) e di morfina (trasformazione logaritmica), determinati tre volte a settimana. La regressione lineare per misure ripetute è stata usata per valutare gli effetti della frequenza alla psicoterapia (percentuale di visite fatte), del gruppo farmacologico e della settimana di studio sui livelli urinari dei metaboliti delle droghe. La partecipazione media alla psicoterapia è stata del 71% delle visite previste. Una partecipazione maggiore alla psicoterapia è risultata associata a minori livelli urinari di BZE e questa associazione è diventata sempre più marcata con il proseguimento dello studio (p=0,04). La relazione inversa tra partecipazione alla psicoterapia e livelli urinari di morfina variava secondo la terapia farmacologica somministrata, essendo più pronunciata nei soggetti che ricevevano 16 mg a giorni alterni (p=0,02). Questi risultati suggeriscono che la psicoterapia può migliorare l’outcome del trattamento di mantenimento con buprenorfina per i pazienti con duplice dipendenza (cocaina e oppioidi). 26/04/11 Il counselling migliora gli outcomes: le evidenze McLellan et al (1993 e 1998) hanno dimostrato la relazione ‘dose risposta’ per i servizi di counselling nel trattamento della tossicodipendenza1,2 Gli aggiornamenti più recenti delle revisioni del Cochrane Database sugli interventi farmacologici per la dipendenza da oppioidi e l’astinenza controllata mostrano che: Dipendenza da oppioidi: aggiungere il sostegno psicosociale al trattamento di mantenimento aumenta il numero di partecipanti in astinenza al follow-up3 Astinenza controllata: aggiungere il counselling migliora il completamento del trattamento e riduce il consumo di oppioidi4,5 1. McLellan AT, et al. JAMA. 1993; 269(15):1953–1959. 2. McLellan AT, et al. Addiction. 1998; 93(10):1489–1499. 3. Amato L, et al. Cochrane Database Syst Rev. 2008; (4):CD004147. 4. Amato L, et al. Cochrane Database Syst Rev. 2008; (4):CD005031. 5. Montoya ID, et al. J Subst Abuse Treat. 2005; 28(3):247–254. 36
Ricaduta e il ciclo di trattamento 26/04/11 Ricaduta e il ciclo di trattamento Stabilire un piano per prevenire le recidive è fondamentale per ottenere successo Le recidive non devono essere necessariamente considerate come dei fallimenti del trattamento o come un segno di ‘debolezza’ Sono una conseguenza della natura cronica e recidivante della dipendenza da oppioidi La terapia di mantenimento a lungo termine riduce il rischio di ricaduta I soggetti con dipendenza da oppioidi soffrono di una patologia cronica che, per sua natura, li lascia inclini alle ricadute. Spesso le ricadute sono determinate da traumi emotivi o da avvenimenti improvvisi che si verificano nella vita dei pazienti o sono scatenate da fattori associati alla loro vita di tossicodipendenza. Tra i fattori scatenanti vi sono: passare per un posto dove ci si procurava la droga o frequentare amici che ne fanno uso. Alcune occasioni possono essere molto banali; per esempio, in un soggetto che ha fatto uso di eroina, trovare in casa dei foglietti di alluminio potrebbe scatenare episodi di craving. Poiché l’uso prolungato di oppioidi porta a cambiamenti neurologici persistenti, questi episodi di craving possono manifestarsi anche a distanza di decenni dall’ultimo uso di oppioidi. Indietro 37