Secondo l’attuale modello di didattica nel museo (la terza fase di cui abbiamo parlato), l’attività didattica interagisce direttamente con i bambini e.

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Secondo l’attuale modello di didattica nel museo (la terza fase di cui abbiamo parlato), l’attività didattica interagisce direttamente con i bambini e i ragazzi e viene offerta alle scuole (dunque agli insegnanti) sotto forma di proposte didattiche modulari. Abbiamo visto che questo ‘modello’ per funzionare richiede che siano verificati i seguenti requisiti: - la non occasionalità dell’offerta e delle relative proposte; - al contrario, l’esistenza di una vera e propria progettazione di attività da parte di una sezione educativa/didattica permanente; - l’intervento di figure di operatori museali specializzati nella didattica (esperti delle materie ma anche di come rapportarsi con gli scolari delle diverse fasce di età, dalle materne alle superiori); - l’esistenza e la fruibilità di spazi dedicati (come aule didattiche e laboratori) all’interno del museo.

Mentre è importante che ogni museo individui almeno una figura interna qualificata cui affidare le mansioni di responsabile o referente per le attività educative / didattiche, solo pochi grandi musei possono permettersi di avere in organico un numero di operatori museali specializzati nella didattica tale da poter soddisfare la domanda di tali servizi da parte della scuola. È fondamentale, dunque, per la maggior parte dei musei, il poter ricorrere ad una esternalizzazione dei servizi educativi/didattici e della loro gestione.

Il presupposto perché questa esternalizzazione sia possibile è che esista un meccanismo di autofinanziamento dei servizi educativi/didattici in questione - quelli che in gergo burocratico sono definiti servizi didattici aggiuntivi. Per questo motivo si è passati da un’offerta gratuita - ma limitata - di servizi educativi/didattici ad una offerta di attività modulari (i cosiddetti ‘pacchetti’) a pagamento. Oltre alla sostenibilità economica, questo modello ha il pregio di essere incentivante (più cresce la domanda più cresce l’offerta) e di creare un indotto occupazionale intorno ai musei.

Indubbiamente questo modello riflette una visione di tipo ‘aziendale’ o se vogliamo manageriale del museo. Questo tipo di approccio gestionale ha sollevato nel tempo molte perplessità, che in molti casi erano e sono giustificate. Il museo non è un’impresa ma una istituzione culturale che opera in un’ottica di servizio e non di profitto. Il punto dunque è assicurarne la sostenibilità in tempi di risorse limitate senza rincorrere risultati di performance che gli sono estranei. Fondamentale è curare sempre la qualità dell’offerta nel pieno rispetto della deontologia professionale (il codice etico del museo).

Al di là di questi aspetti, il grande sviluppo che ha avuto l’offerta educativa/didattica dei musei attraverso il modello in esame ha favorito la crescita di una nuova professionalità - quella dell’operatore educativo/didattico museale, appunto - che un tempo era pressoché inesistente. Questo ha significato l’adozione di nuove strategie e di nuovi approcci nella cosiddetta mediazione culturale e anche l’ “invenzione” di nuove tecniche di comunicazione. (È il caso di notare che tutto questo non entrava nel bagaglio di saperi e di abilità di un conservatore di museo).

A titolo di esempio, il fatto di progettare in modo non occasionale le attività didattiche, implementandole ogni volta con l’esperienza, ha fatto sì che si avvertisse come necessario progettare, inventare e realizzare appositamente ex novo materiali, strumenti e accorgimenti idonei a realizzare e a rendere efficaci quelle attività. Tutto questo è molto diverso - e molto di più - di ciò che potrebbe suggerire il termine infelice di ‘pacchetti didattici’ (che dà l’idea di qualcosa di … preconfezionato): è una sperimentazione in divenire, qualcosa di molto lontano dall’idea ‘aziendalista’ di un museo attento soprattutto ai numeri più che alla qualità…