I PRINCIPI GENERALI DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA

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I PRINCIPI GENERALI DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA

4. I PRINCIPI FISSATI DALLA LEGGE ART. 1 legge n. 241/1990 (Principi generali dell'attività amministrativa) “1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell’ordinamento comunitario. 1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. 1-ter. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1. 2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”.

PUBBLICITA’ E TRASPARENZA CAPACITA’ NEGOZIALE DELLA PA SEMPLICITA’

4.1. I PRINCIPI DIPUBBLICITà E TRASPARENZA I PRINCIPI DI PUBBLICITA’ e TRASPARENZA soddisfanol’esigenza di un controllo democratico da parte dei cittadini sull’attività della PA, cui è imposto di pubblicare, comunicare o rendere accessibili notizie, documenti, atti e procedure. In sintesi, si traducono nel dovere della PA di rendere visibile e controllabile all’esterno il proprio operato. Tali principi sono volti a ridefinire in chiave democratica il rapporto tra amministratori e amministrati, trasformando questi ultimi da spettatori a protagonisti dell’operato dei pubblici poteri.

In particolare, il PRINCIPIO DI TRASPARENZA pone una regola generale di condotta alla PA, tesa a favorire la conoscibilità esterna dell’azione amministrativa. Sono espressione del principio tutti gli strumenti pratici per l’esercizio del controllo e per l’accesso da parte dei privati agli atti e ai documenti del procedimento amministrativo. Il diritto di accessoviene considerato il minimum indefettibile per assicurare a tutti sull’intero territorio nazionale il godimento del diritto alla trasparenza dell’azione amministrativa. Nell’ambito della legge n. 241/1990 sono altresì rinvenibili le norme sulla obbligatorietà della motivazionedel provvedimento amministrativo e quelle sulla partecipazione dei privatial procedimento.

Le applicazioni dei canoni di pubblicità e trasparenza sono assai numerose. In generale, le finalità delle garanzie procedimentali imposte dalla legge n. 241 del 1990 e, segnatamente dell’obbligo di motivazione, dell’accesso ai documenti amministrativi, dell’obbligo di provvedere con un provvedimento espresso e della comunicazione di avvio del procedimento, vanno individuate nell’esigenza di assicurare piena visibilità all’azione amministrativa al momento stesso del suo esercizio e di garantire al contempo, per il tramite del principio del contraddittorio, la partecipazione del destinatario dell’atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione.

In particolare, i principi in parola presidiano in maniera pregnante: il settore dei contratti pubblici, soprattutto degli appalti, il cui procedimento ad evidenza pubblica, imposto dal diritto comunitario e nazionale a garanzia delle pari possibilità di accesso al mercato e di regolamentazione del regime concorrenziale, postula la assoluta conoscibilità e intellegibilità della legalità delle procedure. In tale settore, detti principi devono considerarsi prevalenti rispetto a quello della conservazione degli effetti giuridici e della tutela dell’affidamento del terzo circa la regolarità delle operazioni di gara; lo svolgimento delle procedure concorsuali, ove è imposto alle commissioni esaminatrici di rendere percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio se non attraverso diffuse esternazioni verbali relative al contenuto delle prove, quantomeno, mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, esternando le ragioni dell’apprezzamento sinteticamente espresso con l’indicazione numerica.

ART. 2 Codice dei contratti “L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice. Il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell'ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile”.

4.2. IL PRINCIPIO DELLA CAPACITà NEGOZIALE DELLA PA Il PRINCIPIO DELLA CAPACITA’ NEGOZIALE DELLA PA e della soggezione dell’attività paritetica alle normali regole del diritto comune esprime una sorta di preferenza per il diritto privato ove lo strumento paritetico in omaggio al principio di sussidiarietà possa in modo altrettanto efficiente ma meno invasivo soddisfare l’interesse pubblico[es. compravendita rispetto all’esproprio, locazione invece che concessione, ecc.]. Il ricorso al diritto pubblico deve ritenersi equivalente rispetto a quello nei confronti del diritto privato. Il principio è evocativo, quindi, non tanto di una preferenza generale del diritto privato su quello pubblico, come qualcuno ha sostenuto, ma di una logica di consensualità nell’esercizio di quello che rimane un potere pubblico.

Ferma la generale capacità di diritto privato della PA, non occorre alcuna autorizzazione legislativa per attivarla, mentre la legge può intervenire per limitarla. La casistica applicativa è ampia: si va dai casi in cui l’ente pubblico prende forma privatistica esso stesso, a quelli in cui l’ente rimane a tutti gli effetti tale sul piano soggettivo ma sul piano dell’attività fa uso del diritto privato.

4.3. IL PRINCIPIO DISEMPLICITà Il PRINCIPIO DI SEMPLICITA’ è una naturale derivazione dei principi di buon andamento, economicità ed efficacia e risponde a due esigenze: il contenimento della spesa pubblica; il miglioramento della qualità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese, per i quali ogni adempimento amministrativo rappresenta un costo e un ostacolo alla soddisfazione dei propri interessi. La legge n. 241/1990 dedica l’intero Capo IV alla semplificazione amministrativa, disciplinando diversi istituti come: la conferenza di servizi, gli accordi tra amministrazioni, i pareri e le valutazioni tecniche, l’autocertificazione, la denuncia di inizio attività e il silenzio-assenso.

5. I PRINCIPI DI DERIVAZIONE COMUNITARIA I principi di derivazione comunitaria trovano ingresso nel nostro ordinamento attraverso il rinvio specifico operato dall’ART. 1, c. 1, legge n. 241/1990 e il rinvio generale operato dall’ART. 117, c. 1, Cost. Il legislatore ha, in sostanza, stabilito che i principi generali dell’ordinamento comunitario operano con riferimento all’intera gamma di azioni amministrative, indipendentemente dai settori e dalle posizioni soggettive che rilevano in quei settori o dalla circostanza che nel singolo procedimento vi sia o meno applicazione del diritto comunitario.

Alcuni dei più importanti principi che caratterizzano e influenzano l’attività delle amministrazioni comunitarie e degli Stati membri [legalità dell’azione, obbligo di motivazione, trasparenza, diritto di accesso, imparzialità e legittimo affidamento] sono richiamati nella CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA (NIZZA 2001).Talecartainquadra il rapporto giuridico “amministrazione- cittadino” partendo da una prospettiva rovesciata rispetto a quella del nostro sistema, che pone la PA in una posizione di autoreferenzialità. Nella Carta il rapporto giuridico cittadino-amministrazione è costruito sulle pretese del cittadino, secondo una visione tendenzialmente antropocentrica. La PA ha un ruolo strumentale nei confronti del singolo e delle sue pretese. Quando essa eroga servizi o svolge funzioni, il cittadino è al centro dell’azione amministrativa.

La CORTE DI GIUSTIZIA ha avuto un ruolo determinante nell’elaborazione dei principi generali dell’ordinamento comunitario, che si possono suddividere in: a) Principi a carattere generale Sono l’equivalente dei principi costituzionali fondamentali delle esperienze nazionali ed hanno un valore normativo, rappresentando la base di altre disposizioni. All’interno di tale categoria, si distingue poi tra: principi effettivamente comuni agli Stati membri, che manifestano la medesima “utilità costituzionale” anche nell’ordinamento comunitario [es. principio di legalità, diritto alla tutela giurisdizionale, principio di non discriminazione, principio di eguaglianza, principio di certezza del diritto]; principi elaborati con specifico riferimento alle esigenze comunitarie [es. principio di leale cooperazione, principio dell’effetto utile, principio di equilibrio istituzionale].

b) Principi a carattere più definito Presiedono a uno specifico settore. In campo amministrativo tali principi sono numerosi [es. diritto al contraddittorio, principio di legittimo affidamento, principio di proporzionalità, principio di non retroattività degli atti amministrativi]. Solo taluni di essi sono comuni agli Stati membri, altri – come il legittimo affidamento – derivano da particolari esperienze di alcuni Paesi che la Corte ha inteso generalizzare nell’ordinamento comunitario in quanto ritenuti funzionali allo sviluppo dell’Unione.

5.1. IL PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO Il PRINCIPIO DI LEGITTIMO AFFIDAMENTOimpone al soggetto pubblico che voglia esercitare i suoi poteri nei confronti del soggetto privato di tenere nel debito conto l’interesse alla conservazione di un vantaggio (bene/utilità) chiaro, conseguito in buona fede dal privato, grazie ad un previo puntuale atto della PA, al quale sia seguito il decorso di un ragionevole lasso di tempo. Ogniqualvolta la PA, dopo aver attribuito con un dato provvedimento un determinato bene a un privato (es. permesso di costruire), quindi, decida di ritirare detto provvedimento, incontrerà il limite dell’affidamento che il privato in buona fede ha consolidato, alla luce del trascorso di un ragionevole lasso di tempo, in merito alla definitività e alla stabilità dell’attribuzione del bene stesso.

Occorre affinché un affidamento sia legittimo [Corte Giust Occorre affinché un affidamento sia legittimo [Corte Giust. CE 15 dicembre 2005] che ricorrano: un elemento oggettivo: è necessario che il vantaggio conseguito e difeso dal privato sia chiaro, certo (e non meramente possibile) ed univoco.Esso, in particolare, deve trovare origine: in un comportamento attivo [non essendo sufficiente un comportamento omissivo]; in un atto formale (esplicito) [non essendo sufficienti meri factaconcludentia]; in un atto efficace e vincolante [non bastando un atto endoprocedimentale perché privo dell’attitudine a modificare la sfera giuridica altrui e perciò inidoneo ad attribuire un vantaggio]. In sintesi, l’elemento oggettivo sussiste quando l’esercizio del potere incontra un preesistente bene attribuito in modo chiaro e univoco da un provvedimento espresso ed efficace.

un elemento soggettivo: è necessario che il privato difenda un’utilità ottenuta nella plausibile convinzione di averne titolo. È tutelabile solo l’affidamento maturato in buona fede. Non merita protezione l’aspirazione all’intangibilità di un bene che il privato abbia strappato con dolo o comunque versando in una condizione di colpa apprezzabile. La colpevolezza dell’expectation è collegata al carattere palese (e quindi riconoscibile) del vizio che inficia l’atto [v. art. 21quinquies, comma 1bis, legge n. 241 del 1990 che individua la decifrabilità dell’errore come fattore che influisce sulla misura dell’indennizzo da revoca]. un elemento cronologico: è necessario che il vantaggio sia stato conseguito in un arco di tempo tale da persuadere il beneficiario della sua stabilità, se non definitività. Tale elemento collega in modo inscindibile il principio di legittimo affidamento al principio di certezza e stabilità dei rapporti giuridici.

Secondo la giurisprudenza nazionale, il principio della tutela del legittimo affidamento è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e assolve a una funzione di “integrazione” della disciplina legislativa, o comunque costituisce un preciso vincolo ermeneutico per l’interprete. Il legislatore nazionale tutela l’affidamento a fronte del potere di ritiro da parte della PA di provvedimenti vantaggiosi precedentemente resi [v. legge n. 241 del 1990, art.21nonies: che subordina l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio al limite temporale del termine ragionevole oltre che al criterio di comparazione degli interessi, e art. 21quinquies:che stabilisce la tutela indennitaria a vantaggio del destinatario del provvedimento di revocaanticipata].

La giurisdizione in materia di controversie aventi ad oggetto il danno patito per effetto di illegittimi provvedimenti amministrativi ampliativi successivamente annullati in sede giurisdizionale o di autotutela è del giudice ordinario secondo la Cassazione [Sez. Un., 23 marzo 2011, ordd. n. 6594, 6595 e 6956], che riqualifica la condotta amministrativa alla stregua di un comportamento violativo dell’affidamento del privato in merito alla spettanza del bene della vita attribuito con atto poi decaduto.

5.2. IL PRINCIPIO DIPROPORZIONALITà Il PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’ consiste nell’esercizio nella giusta misura del potere da parte della PA, in modo da assicurare un’azione idonea e adeguata alle circostanze di fatto, che non alteri il giusto equilibrio tra i valori, gli interessi e le situazioni giuridiche in gioco. La proporzionalitàpuò essere quindi definita come la misura del potere amministrativo e attiene all’equo rapporto tra mezzo e fine, tra presupposto e conseguenza, tra interessi pubblici e privati compresenti. Detto principio è già presente nel nostro ordinamento come una delle manifestazioni del principio di ragionevolezza. Tale principio richiede che il mezzo utilizzato sia allo stesso tempo idoneo allo scopo perseguito ed efficace in modo proporzionato.

Secondo la giurisprudenza, in forza del principio in esame, si configura a carico della PA procedente l’obbligo di “adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti e si risolve nell’affermazione per cui l’autorità non può imporre, con atti normativi o amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino in misura superiore, cioè proporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato agli obiettivi da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile”.

Ne deriva che proporzionalità e adeguatezza dell’attività amministrativa costituiscono un parametro e una misuradella legittimità dell’operato della PA. Qualora quest’ultima, pur agendo nell’ambito astratto dei poteri conferiti, sacrifichi in concreto un interesse del privato in modo eccessivo rispetto all’interesse pubblico perseguito, può essere sanzionata con l’annullamento dell’atto amministrativo stesso. Il principio di proporzionalità è stato di recente utilizzato dal legislatore quale parametro legale per individuare restrizioni e divieti alle attività economiche non adeguati, non proporzionati e non ragionevoli alle finalità pubbliche perseguite.

L’art. 1, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, per rilanciare la crescita economica del nostro Paese e limitare la spesa e il debito pubblico, dispone l’abrogazione delle norme che: prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso della PA comunque denominati per l’avvio di un’attività economica non giustificata da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario nel rispetto del principio di proporzionalità; pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati e non proporzionati alle finalità pubbliche, nonché le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l’offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalità, ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti.

5.3. I PRINCIPI IN MATERIA AMBIENTALE I principi in materia ambientale sono: il PRINCIPIO DI INTEGRAZIONE, in base al quale la definizione e l’attuazione delle politiche e azioni dell’UE devono tenere in considerazione la tutela dell’ambiente al fine di favorire uno sviluppo ecosostenibile; i PRINCIPI DELLA PRECAUZIONE e DELL’AZIONE PREVENTIVA prevalgono sul “principio della correzione”, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente e sul “principio del chi inquina paga” che trova applicazione nelle cd. tasse ambientali, veri e propri tributi, contributi e tariffe o incentivi fiscali funzionali a promuovere comportamenti ambientalivirtuosi in ottica di risparmio energetico e salvaguardia dell’ambiente. Tali principi mirano a realizzare una difesa ex ante dei beni ambientali, che viene preferita ad una tutela solo residuale ed ex post nelle forme della tutela per equivalente.