Fenomenologia dello Spirito (1807)

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Fenomenologia dello Spirito (1807) HEGEL Fenomenologia dello Spirito (1807)

Non studia in particolare un popolo o determinati uomini, ma la coscienza universale dell’uomo nella storia, coscienza che si è costantemente evoluta. Oggetto di studio: coscienza dell’uomo nella sua evoluzione storica; sia la coscienza del soggetto storico che la coscienza filosofica vivono nel tempo, sono necessariamente storiche; coscienza del soggetto storico ≠ coscienza filosofica: quest’ultima è il grado più elevato di consapevolezza di sé e della realtà; si è impadronita delle conquiste culturali della prima e le ha superate (le ha fatte proprie comprendendone le ragioni, rimaste nascoste alla stessa coscienza che le ha vissute).

► Non studia la storia degli avvenimenti nella loro successione cronologica: il suo interesse è concentrato sulla storia della coscienza. Dell’uomo segue il modo in cui egli ha interpretato se stesso e il mondo, il modo in cui la sua coscienza ha acquisito consapevolezza di se stessa fino a divenire coscienza filosofica, cioè coscienza consapevole di sé (ad es. capace di evitare le forme di illusione come la visione di Dio degli Ebrei).  

Oggetto di studio della Fenomenologia dello Spirito sono le tappe dell’evoluzione dello spirito dell’uomo:   dalla alla   coscienza comune (non si rende conto della vacuità delle proprie certezze)  coscienza filosofica (capace di comprendere se stessa ed il mondo secondo verità)

La Prefazione ► Posteriore all’opera, quasi un’opera a sé stante; spiega il senso complessivo dell’opera e (dialogando con Fichte e con Schelling) descrive la coscienza filosofica, cioè spiega le “chiavi di lettura” che ha utilizzato per interpretare la storia della coscienza dell’uomo; ► vede la sua filosofia inserita nella trama dello sviluppo complessivo della storia del mondo: ha potuto giungere alla scienza perché ha costruito la sua consapevolezza sulla base delle conquiste precedenti.  

a) “Il vero è l’intero”   Affermazione lapidaria e categorica presente nella Prefazione ► applicandola alla verità filosofica, Hegel vuol dire anche che il suo sistema filosofico costituisce un passo successivo, un completamento rispetto ai precedenti la verità della filosofia non emerge semplicemente dal sistema hegeliano, ma da tutto l’insieme della storia della filosofia; il suo stesso pensiero è vero soltanto nell’interezza dello sviluppo del pensiero occidentale e in particolare dell’idealismo. Il criticismo kantiano, superato dall’idealismo, era: debole dal punto di vista teoretico per il fatto di essere un sistema dualistico (scissione fenomeno / noumeno). Aveva soprattutto (per la mentalità idealistico-romantica) il difetto di aspirare semplicemente alla conoscenza del finito, del fenomeno, senza lo slancio a cogliere l’infinito, l’Assoluto.

b) L’Assoluto non è solo sostanza, ma anche soggetto   Assoluto per Hegel ► non è sostanza (qualcosa che semplicemente c’è), bensì soggetto (qualcosa la cui natura è lo stesso movimento che lo porta ad essere), è dinamico. Essendo un processo non può essere colto da un singolo atto di intellezione, ma da tutta una serie di atti, mediante un ragionamento. L’intuizione, che per lo più la filosofia limita al sensibile, è un atto di apprensione unico, fermo nel tempo: afferrando questo bicchiere in mano o vedendolo con un unico sguardo ho un’intuizione di quest’oggetto. Ogni ragionamento implica il partire da una premessa e lo sviluppare le fila del discorso attraverso termini intermedi – di qui la parola “mediazione” – per giungere a sostenere la propria tesi. Il ragionamento si sviluppa nel tempo e passa da un termine all’altro, è una forma di conoscenza mediata. Per Fichte e per Schelling, l’Assoluto è l’inizio; per Hegel l’Assoluto è un risultato, è il risultato di tutto un percorso di mediazioni, è il risultato di quella sorta di enorme ragionamento di cui consiste la realtà.

L’Assoluto è divenire, l’Assoluto è soggetto, l’Assoluto è risultato. È come se la realtà fosse un insieme di termini ben connessi fra loro logicamente. Per cogliere l’Assoluto si deve comprendere l’interezza della realtà in tutte le sue mediazioni, quindi non è possibile una conoscenza immediata, di tipo sentimentale, ma è necessaria una conoscenza, come dice Hegel, scientifica, che abbia la pazienza di passare da un termine all’altro, fino a giungere alla conclusione.   L’Assoluto è divenire, l’Assoluto è soggetto, l’Assoluto è risultato.

L’Assoluto è la totalità del processo: se ci si fermerà a uno dei termini intermedi, si avrà una visione falsata della realtà. Bisogna tenere presente l’intero sviluppo del processo, il che è non è semplice perché il processo è il processo della realtà, è l’insieme di tutto il divenire della storia umana e dello sviluppo della natura. L’intelletto degli illuministi e di Kant coglie i momenti del divenire come isolati, staccati gli uni dagli altri, pretende di cogliere il finito come separato da un altro finito e, procedendo in questo modo, non riesce ad afferrare la totalità. Per Hegel l’intelletto è “astratto”: la pretesa di cogliere il singolo termine, di fermarsi a un termine intermedio senza andare oltre, implica una visione distorta in quanto astrae (trae fuori) un termine dal tutto cui è connesso.

c) ”La serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo”   Hegel riprende la centralità del divenire di Eraclito, ma in una maniera molto più complessa► introduce la logica dialettica nella considerazione della realtà. Prima di Hegel la filosofia ( tranne qualche accenno in Fichte) aveva adoperato la logica dell’identità, la logica astratta dell’intelletto. Il principio di identità implica che ogni cosa è uguale a se stessa (A) ed è diversa da quello che non è A, dall’altro da sé (B). Il principio di identità e il principio di non contraddizione sono alla base del ragionamento logico e alla base della filosofia dello stesso Kant,► nella dialettica della «Critica della ragion pura», ha contrapposto tesi e antitesi: la dialettica kantiana è dicotomica, consta di due termini.

Hegel la accoglie e la estende a tutto il divenire►ogni cosa è identica a se stessa, ma, essendo immessa nell’ordine temporale, tende ad andare oltre se stessa, quindi è soltanto uguale a se stessa se viene vista avulsa dal processo temporale, ma immessa in un processo temporale, tende a negare se stessa e a diventare diversa da quello che è. In termini schematici ogni cosa “A” che mi trovo posta davanti (tesi), tende a trasformarsi in qualche cosa di diverso da sé, in non-A, cioè in B. Ogni realtà è autocontraddittoria, è identica a se stessa e tende a diventare qualche cosa di diverso da sé (antitesi). L’antitesi è la negazione della tesi, ma non è una negazione assoluta, ma una negazione determinata, non è un processo di distruzione della tesi, bensí di superamento (Aufhebung) della tesi stessa. Attraverso il contrasto tra quello che la cosa è e quello che tende ad essere nasce un nuovo equilibrio, una nuova entità (sintesi).

La sintesi a sua volta costituirà un equilibrio che prima o poi è destinato a entrare in squilibrio per autocontraddittorietà. In Hegel non c’è mai un riferimento all’esteriore, tutto ciò che avviene, avviene sempre per un dinamismo interno, per l’autocontraddittorietà delle cose. sintesi►nuova tesi►autocontraddizione e nuova antitesi… Per Hegel tutta la storia e tutto il divenire si sviluppano in questo modo, la filosofia, la religione, la storia dell’arte si sviluppano dialetticamente.

L’Assoluto è se stesso solo come unità degli opposti, è soggetto, ma può esserlo solo comprendendo nella sua soggettività l’oggetto, (ciò che lo nega come soggetto). dialettica ►necessario movimento attraverso cui il soggetto comprende la sua complementarità con l’oggetto nell’unità razionale del Tutto. Tema dell’opposizione, della lacerazione al centro della riflessione hegeliana degli anni giovanili. Ora la dialettica chiude il conflitto senza eliminare il “travaglio del negativo”: lo supera interpretandolo come momento necessario della vita dell’Assoluto.

«Ma non quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiva della distruzione; anzi quella che sopporta la morte e in essa si mantiene è la vita della spirito. Esso guadagna la sua verità solo a patto di ritrovare sé nell’assoluta dilacerazione. Esso è questa potenza, ma non alla maniera stessa del positivo che non si dà cura del negativo […]; anzi lo spirito è questa forza sol perché sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui. Questo soffermarsi è la magica forza che volge il negativo nell’essere».

tutto ciò che è reale è razionale» Riepilogando: Il vero è l’intero, il vero è la totalità, il vero è il divenire, ma il divenire si sviluppa in maniera ordinata, attraverso un meccanismo logico dialettico che la mente umana è perfettamente in grado di cogliere e di riprodurre. Per questo Hegel è stato definito, oltre che l’Eraclito moderno, “l’ultimo dei Greci”. L’affermazione famosa: «Tutto ciò che è razionale è reale; tutto ciò che è reale è razionale» significa che c’è un logos, una profonda razionalità in tutta la realtà, fedelmente rispecchiata dalla razionalità della mente umana.

É la visione più alta che la filosofia abbia prodotto dell’uomo: la ragione umana non ha nessun limite. Per Kant la ragione umana era limitata dalla cosa in sé, continente sconosciuto, in cui non ci si poteva avventurare ≠ per Hegel niente può fermare la ragione umana, che è in grado di comprendere tutto, anzi, capisce anche Dio. Attaccando Schleiermacher e i romantici del sentimento, Hegel sostiene: «Dio non si coglie col sentimento o con la fede: Dio, essendo suprema manifestazione della realtà, è perfettamente razionale, quindi si può cogliere con la ragione». Kant aveva detto che la metafisica non è possibile come scienza. Per Hegel, invece, è possibile conoscere tutto, è possibile conoscere l’infinito, l’Assoluto, è possibile conoscere Dio stesso, in quanto esso è l’Assoluto.

Spirito ► vita che si eleva a coscienza storia del mondo ► vita dello Spirito, movimento attraverso cui esso acquisisce coscienza di se stesso. Il livello di comprensione che lo Spirito ha di se stesso in ciascuna epoca è assai diverso da quello di altre epoche. storia ► storia della coscienza, cioè delle interpretazioni che lo Spirito ha dato delle sue manifestazioni nel tempo, spesso non comprendendo affatto che le realtà studiate erano sue manifestazioni.

Fenomenologia (dal greco phainómenon, ciò che si manifesta, ciò che appare) ► studio delle manifestazioni dello Spirito e loro interpretazione. La coscienza filosofica, giunta con Hegel al sapere assoluto, (cioè alla piena consapevolezza della realtà razionale dello Spirito) con la Fenomenologia si volta indietro a ripercorrere le fasi del proprio sviluppo, come un adulto si volta indietro a ripercorrere la propria storia per comprendere appieno la sua attuale situazione che lì si è formata.

Nella Fenomenologia due punti di vista continuamente si intrecciano: la coscienza del soggetto storico: ha una coscienza assai parziale e cangiante di se stesso e degli avvenimenti. la coscienza filosofica: ha piena consapevolezza della realtà dello Spirito e ripercorre, interpretandole, le fasi della propria formazione. Hegel chiama tappe i fondamentali momenti di questa evoluzione: ciascuna di esse rappresenta una posizione storica limitata e cangiante della coscienza, destinata ad essere superata da una nuova tappa a un livello superiore di consapevolezza. Le tappe trovano quindi una loro articolazione dialettica attraverso le figure. Lo sviluppo della coscienza umana è descritto nello schema seguente: 

1)COSCIENZA condizione del soggetto che pone l’oggetto come altro da sé. 2)AUTOCOSCIENZA condizione della coscienza che nel rapportarsi in maniera conflittuale ad altre coscienze diviene autocoscienza, quando viene riconosciuta da altri esseri pensanti. 3)RAGIONE condizione della coscienza che, avendo compreso la razionalità della realtà, diviene consapevole di essere essa stessa l’intera realtà. L’idealismo è espressione di questa consapevolezza, è l’affermazione che l’intera realtà è l’idea, il pensiero. 4)SPIRITO condizione della coscienza nella società civile, ovvero l’esperienza complessiva della comunità umana. 5)RELIGIONE condizione della coscienza che si ricongiunge con l’infinito e si riconosce come spirito assoluto. Quest’ultimo viene riconosciuto come trascendente e quindi altro dal soggetto. 6)SAPERE ASSOLUTO la filosofia, in cui l’assoluto non è altro ma bensì identico al soggetto. Il soggetto quindi si autoriconosce come l’Assoluto.

Il “romanzo” dello Spirito comincia dal momento della coscienza (in senso restrittivo, non riferito alla coscienza in generale, alla quale è dedicata tutta la «Fenomenologia», ma alla coscienza comune, la più lontana dal sapere filosofico e dalla verità). Il percorso parte dalla coscienza comune perché in essa lo Spirito, sia pur al suo grado più basso, comincia già a conoscere. Da questo momento prende l’avvio il cammino che lo porta alla scienza, cioè alla piena coscienza filosofica. La «Fenomenologia» come ‘romanzo di formazione’ (Bildungsroman), il cui protagonista è sia l’individuo empirico sia (soprattutto) lo Spirito stesso, colto nelle vicissitudini della sua realizzazione.

1) Coscienza Coscienza comune►momento in cui l’uomo comincia a formarsi una prima idea di sé e del mondo come un insieme di soggetti e oggetti, un universo popolato da cose e da persone che sono indipendentemente l’una dalle altre e intrattengono vari generi di rapporti. In questa fase la coscienza non ha nessun sospetto che il mondo costituisca un’unità (lo Spirito), non immagina neppure che la differenza che percepisce fra sé e le cose vada compresa all’interno della relazione dialettica dell’Assoluto.

La coscienza comune è la coscienza di chi non solo non ha risolto, ma ancora neppure posto problemi filosofici. Essa ha una sua storia, un cammino che la porta a una crisi, dalla quale si sviluppa un ulteriore percorso che le permetterà di avvicinarsi alla scienza. Quale crisi? La coscienza è sempre proiettata fuori di se stessa, si dà sempre come rapporto all’altro (oggetto, mondo, natura). Quando entriamo in rapporto con una cosa, che in quanto tale è estranea alla coscienza, desideriamo conoscerla nella sua verità. Per farlo dobbiamo collocarci nella cosa stessa, al di fuori della coscienza►è la relazione soggetto-oggetto La coscienza trascende sempre se stessa: vuol passare dalla certezza (riguarda il sapere del soggetto) alla verità (riguarda non più il soggetto cosciente, ma l’oggettività della cosa). La coscienza non vuol sapere qualcosa di sé, ma dell’oggetto. Kant ha dimostrato che non è possibile una conoscenza esclusivamente oggettiva dell’oggetto.

Punto di vista della coscienza filosofica (Hegel)►sa che la differenza soggetto-oggetto non è l’ultima parola della filosofia, come Kant riteneva. Sa che la coscienza trascende sempre se stessa, cercando la verità dell’oggetto, ma che ciò accade perché entrambi gli elementi della relazione sono manifestazione dello Spirito. Quindi la coscienza comune possiede il massimo di certezza e il minimo di verità. Ritiene di conoscere l’oggetto immediatamente e non ha alcun dubbio che le cose stiano così, ne è certa. Occorre allora quello che Hegel chiama “cammino del dubbio o, più propriamente della disperazione” per rendersi conto che la propria certezza è illusoria e non dà affatto la verità dell’oggetto. Hegel usa il termine disperazione riferito alla crisi della coscienza perché non riguarda solo il sapere ma tutta la sfera emotiva, l’uomo stesso è in crisi, ma la crisi è una tappa verso il sapere.

Queste sono le singole figure della Coscienza:   CERTEZZA SENSIBILE PERCEZIONE - INTELLETTO

La certezza sensibile Ai suoi albori la coscienza sorge come certezza sensibile: il soggetto percepisce l’oggetto nella sua immediatezza, senza riflettere su di esso, senza utilizzare dei concetti per interpretarlo, senza porre problemi di comprensione. Per la certezza sensibile l’oggetto semplicemente c’è (apro gli occhi e vedo immediatamente delle cose). L’uomo che si trova in questa fase distingue già se stesso dall’oggetto, ma la sua certezza e la verità dell’oggetto sono identificate immediatamente senza alcuna riflessione.

La percezione Le cose pongono problemi di comprensione. Che cosa è ciò che vedo? Questo è un albero, questa è una casa. Ma che cosa sono gli alberi e le case? Come faccio a riconoscerli? Per distinguere gli oggetti, per dar loro un nome e identificarli, nell’estrema varietà delle loro forme la coscienza deve utilizzare il pensiero astratto►è il momento della percezione. Devo sapere che cosa è in astratto un albero per poter identificare come albero una cosa determinata che non ha mai visto: devo mettere a confronto un universale (il concetto di albero) e un particolare (l’albero che ho davanti). La percezione è caratterizzata dalla mediazione: la mia certezza sulla verità dell’oggetto è mediata da un elemento astratto, il concetto universale. In questa fase ogni ente della realtà viene identificato rispetto agli altri in modo netto attraverso un meccanismo di affermazione-negazione. La negazione è essenziale per poter dire che cosa è la cosa di cui abbiamo coscienza.

Nella percezione la coscienza vede dunque un mondo diviso in enti a sé stanti: non intravede ancora per nulla il legame tra le cose. La coscienza vive nella certezza dei dati esteriori oggettivi che riceve attraverso le sensazioni. È convinta di trovarsi di fronte a un’infinità di particolari empirici privi di qualsiasi carattere formale o concettuale, una semplice collezione di elementi particolari irrelati. La forza del pensiero smantella questa convinzione: il semplice parlare, indicare, comunicare la realtà sensibile indica il ricorso a nozioni generali. La coscienza scopre esattamente il contrario di ciò che credeva, ossia che nessuna delle sue esperienze particolari è effettivamente tale, ma è già intessuta di caratteri generali: quando dico “questo rosso” individuo un particolare attraverso un’espressione generale. La tesi, la convinzione originaria, si è rovesciata nell’antitesi.

Ad es. l’espressione “questo” anche se viene impiegata per indicare un oggetto particolare in una situazione particolare, può essere compreso solo sulla scorta del fatto che viene usato come un’espressione generale per un’infinità di esperienze particolari (accomunabili dal fatto di essere prossimi al soggetto parlante).

L’intelletto Tuttavia un legame tra le cose esiste. Tutte formano un’unica natura, sono espressione delle stesse leggi, delle stesse forze che muovono l’universo. La percezione entra in crisi perché attraverso la mediazione astratta dei concetti universali finisce per non comprendere il dinamismo che lega tutto: identifica le cose, ma la sua certezza entra in crisi quando si tratta di comprenderne la genesi e il movimento. L’intelletto è quel grado della coscienza che permette di superare l’astratta distinzione imposta dalla percezione e di comprendere la dinamica delle forze che regolano il mondo, attraverso le quali le cose si trasformano l’una nelle altre in un incessante e perenne movimento.

In quanto intelletto la coscienza pensa se stessa come non più del tutto estranea rispetto al mondo. Nella dinamica delle forze del mondo incontra la vita, a cui essa stessa appartiene►acquisisce quindi consapevolezza di sé come parte della natura. La differenza soggetto-oggetto è compresa all’interno dell’unico fenomeno naturale della vita. La coscienza ha acquisito un primo grado di capacità di comprensione di sé in rapporto alle cose: è divenuta autocosciente. L’intelletto è allora il momento kantiano della «Critica della ragion pura», che Hegel legge idealisticamente (eliminando la cosa in sé).

«Quando l’intelletto empirico conosce il suo oggetto, cioè la natura, e scopre attraverso l’esperienza la molteplicità delle leggi particolari della natura, immagina di conoscere un Altro da sé, ma la riflessione costituente appunto la critica della ragion pura dimostra che tale conoscenza di un Altro è possibile solo mediante un’unità originariamente sintetica tale che le condizioni dell’oggetto, vale a dire della natura, siano quelle stesse del sapere la natura. Nel sapere la natura l’intelletto sa dunque se stesso: il suo sapere l’Altro è un sapere sé, un sapere il sapere, e il mondo è il grande specchio in cui la coscienza scopre se stessa». (J. Hyppolite)

2) Autocoscienza Le prime esperienze conoscitive mostrano che l’Io, conoscendo il mondo delle cose, arriva a conoscere se stesso, ma questa conoscenza di sé deve essere messa alla prova e conquistata fino in fondo nel rapporto con altre coscienze, perché l’autocoscienza è propriamente tale quando viene riconosciuta da altri esseri pensanti. E’ il tema della sezione dedicata all’autocoscienza, in cui l’attenzione si concentra sul soggetto, mentre l’oggetto scompare dal campo di osservazione; l’analisi non è più limitata all’ambito gnoseologico, ma si allarga alla società, alla storia, alla cultura.

Le figure dell’autocoscienza sono tra le più celebri della Fenomenologia. In questa fase lo Spirito è caratterizzato dalla coscienza di sé come vita. Attraverso l’esperienza della vita l’uomo comprende il suo legame con l’altro, superando la frattura tra oggetto e soggetto, sebbene su un piano ancora limitato (è un sentire la vita, non ancora vita elevata alla piena coscienza razionale di sé). Nell’autocoscienza l’uomo pone se stesso come oggetto della coscienza. Negli scritti giovanili l’unità della vita costituiva il momento più alto di comprensione filosofica della realtà del mondo, momento destinato a infrangersi di fronte alla necessità tragica della morte. Nella Fenomenologia la vita, ricomprendendo in sé il momento del negativo, la morte, potrà elevarsi a Spirito. Nella prospettiva della coscienza filosofica la vita è essenzialmente inquietudine, tensione che porta il vivente all’azione, a proiettarsi al di fuori di se stesso. Nella terminologia hegeliana: la vita è eguaglianza con se stessa, ma nel suo sé è implicito il momento del divenire. La vita deve divenire ciò che è, deve divenire libera. Per il vivente la libertà è la piena uguaglianza con se stesso, la piena realizzazione di sé nella vita all’interno del mondo.

- STOICISMO - SCETTICISMO - COSCIENZA INFELICE Tutte la figure dell’autocoscienza sono studiate nel loro cammino verso la libertà.   Queste sono le singole figure dell’Autocoscienza: - SIGNORIA E SERVITU’ - STOICISMO - SCETTICISMO - COSCIENZA INFELICE

La dialettica servo-padrone L’uomo vive nell’inquietudine perché vuole divenire se stesso: un appetito che lo spinge ad impadronirsi delle cose, a farle proprie, a goderne. Attraverso esse l’uomo costruisce un proprio mondo e con esso si identifica acquisendo coscienza di sé. Nell’uomo l’autocoscienza non è però davvero piena se non quando nel proprio mondo compare un altro uomo, nel quale l’autocoscienza riconosce se stessa, riconosce un altro individuo dotato a sua volta di autocoscienza.

Ognuno dei due uomini è guidato verso l’altro da un appetito: la volontà di essere se stesso, cioè di essere riconosciuto come autocoscienza. Ciascuno è spinto dall’impulso di inserire l’altro nel proprio mondo, come accade per le cose di cui si impadronisce godendone. Nasce una lotta fra i due uomini la cui posta in gioco è il riconoscimento. Nella lotta ognuno rischia la sua vita, entrambi cercano di negarsi a vicenda (nel costruire il nostro mondo neghiamo a tutto ciò che entra a farvi parte un’esistenza indipendente). Così l’uomo è spinto ad elevarsi al di sopra della vita, rischiando la morte perché per essere riconosciuto ciascuno deve essere disposto a mettersi in gioco affrontando l’altro in una lotta per la vita e per la morte.

La dialettica servo-padrone si instaura quando uno dei due uomini non riesce a compiere questa operazione spirituale di elevazione al di sopra della propria stessa vita e ha paura della morte. Allora riconosce l’altro come autocoscienza indipendente (signore) e se stesso come servo, come autocoscienza dipendente: rimane in vita ma solo alla maniera di una delle tante cose del signore. Si instaura così il mondo sociale, segnato dall’ ineguaglianza delle autocoscienze. Il servo ha coscienza di sé come dipendente dal signore e lavora per lui, produce attraverso il lavoro i beni di cui il signore godrà. In questo modo conserva un rapporto diretto con la natura trasformandola attraverso il lavoro. Il signore, riconosciuto dall’altro come autocoscienza indipendente, in realtà dipende dal riconoscimento dell’altro per essere se stesso.

Tale dipendenza ha un significato concreto: ha un rapporto con la natura e può goderne e farla sua solo attraverso la mediazione del servo. Questi dunque, pur non avendone coscienza, tiene in mano le redini del rapporto servo-padrone. Entrambi hanno un alto, benché ineguale, livello di coscienza di sé e dei loro rapporti, ma non hanno piena consapevolezza: il signore non comprende di dipendere dal servo, e il servo non comprende il proprio potere. La coscienza filosofica comprende invece pienamente tutti i lati del rapporto e comprende perché necessariamente la figura del servo-padrone debba essere superata.

È il servo a permette il superamento della figura servo-padrone acquisendo un superiore grado di libertà: attraverso il lavoro educa se stesso e la propria coscienza. Lavorando comprende che egli non è in realtà servo del padrone, ma della vita stessa: è servo perché ha avuto paura di perderla. Il lavoro gli insegna una modalità di realizzazione di sé ( una nuova forma di libertà) attraverso la trasformazione delle cose, e questo gli permette di liberarsi dalla signoria del signore (impara a non riconoscerlo più come tale, e dunque il signore smette di essere tale). Così la figura del servo-padrone è sciolta e nasce una nuovo figura che realizza a un più alto livello la libertà.

Lo stoicismo Il servo ha imparato a riconoscere nel lavoro la via per una nuova forma di libertà: la coscienza impara a non dipendere da un altro uomo e riconoscersi libera nel pensiero. Educato dal lavoro, comprende di essere servo della vita, non del padrone. Impara a rendersi libero dalla vita, come il saggio stoico, separando il suo sé dalla vita e ponendolo nel puro elemento del pensiero ( indipendenza dell’io nei confronti delle cose, autosufficienza e libertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda). La fonte della propria identità viene trovata nel pensiero. Dal punto di vista dello stoico la condizione storica in cui l’uomo vive è del tutto inessenziale: servo o padrone, la coscienza è libera allo stesso modo perché essa non dipende più dall’altro. Il problema della libertà è del tutto interiorizzato.

Per Hegel dalla schiavitù si esce col pensiero (cfr Per Hegel dalla schiavitù si esce col pensiero (cfr. Epitteto, lo schiavo-filosofo): il suo principio è "la coscienza è essere pensante" e qualcosa ha valore "solo in quanto la coscienza ivi si comporti come essenza pensante"; "lo stoicismo è la libertà che (...) ritorna nella pura universalità del pensiero" ma "l'essenza di questa autocoscienza è in pari tempo soltanto un'essenza astratta"; «la libertà nel pensiero ha soltanto il pensiero puro per sua verità - verità che è senza il riempimento della vita - ed è quindi soltanto il concetto della libertà, ma non proprio la libertà vitale». Nello stoicismo, quindi la libertà è semplicemente formale, incapace di dominare la realtà effettiva del mondo e della vita se non astraendosi da essa. Per essere libera la coscienza stoica deve rinunciare ad una relazione profonda con l’latro da sé, e dunque con la vita stessa nelle sue manifestazioni esteriori.

Lo scetticismo La coscienza scettica sorge quando, abbandonato il distacco stoico, il pensiero entra in rapporto diretto con le determinazioni concrete della vita e dell’esperienza e ne mostra il loro intrinseco nulla. Lo scetticismo a cui pensa Hegel è quello greco di Pirrone (ma anche quello di Platone ►vanità di ogni certezza basata sull’esperienza e sulla conoscenza sensibile). Solo nella soggettività c’è certezza, non nel mondo oggettivo delle cose e dell’esperienza. La libertà dello scettico è superiore al formalismo stoico; mostra come il pensiero possa dissolvere la pura oggettività di tutto ciò che è esteriore all’autocoscienza. Nullificando il valore dell’oggetto, riconduce la realtà all’autocoscienza, esalta la libertà assoluta della soggettività.

E’ tuttavia una coscienza contraddittoria: la sua libertà consiste nel negare ciò che è estraneo alla soggettività dell’autocoscienza, ma così facendo non pone confini all’atto della negazione e lo rivolge anche contro se stessa. (Hegel non fa che usare, contro lo scetticismo, l’argomento tradizionale: quello secondo cui lo scettico si autocontraddice, perché da un lato dichiara che tutto è vano e non vero, mentre dall’altro dichiara di dire qualcosa di vero). La coscienza scettica scopre la contraddizione in se stessa, tra il negare l’altro e l’affermare sé, preparando la via alla figura successiva.

La coscienza infelice Essa non rappresenta una semplice figura della seconda tappa della Fenomenologia, ma rappresenta LA CHIAVE DI VOLTA di tutto il racconto. Sorge quando la coscienza scettica comprende la profonda contraddizione che è in se stessa, e questo genera infelicità. Il tema della lacerazione come fonte di infelicità è tipico degli scritti giovanili di Hegel (si veda Abramo che vive in maniera tanto drammatica la lacerazione tra sé e la natura, da ancorarsi a un Dio infinito, potente signore di fronte al quale egli stesso si pensa come un nulla). Ora Hegel mostra come l’infelicità della coscienza possa essere superata.

Le figure dello stoicismo e dello scetticismo hanno messo in luce la difficoltà di conciliare la libertà dell’autocoscienza con l’esperienza e l’appetito della vita (scissione tra coscienza e vita). In secondo luogo la coscienza è lacerata nella sua stessa interiorità, perché per affermare sé deve negare il mondo, e così facendo finisce col rivolgere contro e stessa la propria negazione (scissione della coscienza in se stessa): la coscienza nega valore assoluto alla realtà oggettiva e alla vita, ma così facendo finisce col negarlo anche a se stessa.

L’uomo vive se stesso come coscienza infinita, cioè come coscienza che ha in sé l’elemento della propria morte, della propria negazione. La coscienza aspira allora, come Abramo, ad ancorare se stessa ad un Assoluto, ma questo è vissuto come del tutto estraneo alla coscienza. La figura della coscienza infelice è tipica delle coscienze religiose ebraica e cristiana, che pensano l’uomo come essere finito e contraddittorio di fronte alla maestà infinita di un Dio del tutto lontano, a cui l’uomo non può accedere. La coscienza infelice riproduce quindi entro se stessa la situazione dialettica del rapporto servo-padrone. Adesso la coscienza incarna in sé entrambe le figure, perché vive se stessa come un nulla di fronte a un Dio interiorizzato la cui potenza viene sentita come assoluta. Nel Rinascimento e nell’Età Moderna, la coscienza , nel suo vano sforzo di unificarsi a Dio, si rende conto di essere lei stessa dio, ovvero, l’universale, il Soggetto Assoluto.

3) Ragione La coscienza infelice apre la via ad una nuova fase della vita dello Spirito: come ragione la coscienza è certa che nessuna realtà è niente di diverso da essa. L’autocoscienza è il momento in cui la coscienza ha preso se stessa come proprio oggetto, ma il suo culmine nella coscienza infelice mostra l’impossibilità di comprendere se stessa restando entro i limiti di sé. Se la coscienza infelice può essere adeguatamente rappresentata dalla religiosità medievale, le successive figure della ragione possono essere esemplificate con l’età moderna che culmina nell’idealismo.

L’idealismo, infatti, ha superato la coscienza infelice negando che vi sia lacerazione reale all’interno dell’Assoluto e ponendo un principio originario a fondamento del mondo. La coscienza quindi supera la sua infelicità quando comprende se stessa come ragione, cioè quando comprende che la differenza tra sé e la vita, tra sé e la natura, tra sé e Dio non è affatto radicale, e che al contrario tutto è espressione dell’unità razionale dell’Assoluto.

La Ragione è quindi la "certezza di essere ogni realtà", il che le rende accettabile quel mondo che prima le sembrava diverso da sé, antitetico a sé. Questa certezza per divenire verità deve giustificarsi: a) Ragione-che-osserva: dapprima cercandosi nel mondo della natura, contemplandolo (naturalismo Rinascimentale); attraverso la ricerca delle leggi naturali, la ragione cerca nel mondo oggettivo nient'altro che sé stessa, benché non lo sappia.

b) Ragione-che-agisce: poi si cerca nell'azione: prima nel piacere (cfr. Faust di Goethe), che però la travolge come qualcosa di estraneo: allora si dà alla legge del cuore (cfr. i Romantici), che però è ancora troppo individuale e urta contro la legge di tutti: così, per vincere la potenza superiore di tale legge esterna punta sulla virtù, che però è qualcosa di astratto, donchisciottesco (allusione anche a Robespierre): solo nell'eticità, nell'operare nello Stato, la Ragione trova pienamente sé stessa, deponendo ogni scissione, ogni infelicità e raggiungendo pace e sicurezza.

Lo sforzo della persona morale, in cui Kant poneva il termine più alto della dignità umana, appare ad Hegel privo di senso. ETICITA’ ≠ MORALITA’ ►quest’ultima contrappone il ‘dover essere’ (= imperativo razionale) all’essere, cioé alla realtà, e ha la pretesa di ricondurre il reale all’ideale. Per ETICITA’ Hegel intende la ragione che è divenuta cosciente di sé in quanto si è realizzata nelle istituzioni storico-politiche di un popolo e soprattutto nello Stato. «sapienza e virtù consistono nel vivere conformemente ai costumi del proprio popolo»

- SPIRITO - RELIGIONE - SAPERE ASSOLUTO Si entra adesso nella SECONDA PARTE DELLA FENOMENOLOGIA che comprende tre sezioni: - SPIRITO - RELIGIONE - SAPERE ASSOLUTO Questa parte, in una redazione più concisa della Fenomenologia, verrà eliminata da Hegel.

1) Lo Spirito Con esso Hegel intende l’individuo nei suoi rapporti con la comunità sociale di cui è parte. La ragione tenta di costruire l'universale morale, in modo da dare alle azioni del soggetto non una realtà limitata, ma una realtà più ampia. In questa sua attività la ragione fallisce: solo lo spirito oggettivo può realizzare l'universalizzazione dell'agire umano. Per Hegel, infatti, la verità è accessibile soltanto dalla prospettiva dello svolgersi degli eventi nella loro interezza. La stessa verità del singolo individuo deriva da un processo più ampio, che lo trascende e nel contempo lo include.

Ciò avviene, appunto, quando lo spirito oggettivo si manifesta come moralità e ciò avviene all'interno della famiglia e della comunità. Ogni comunità si dà delle leggi che possono entrare in conflitto con le leggi umane dei sentimenti e degli affetti. Tale conflitto è rappresentato da Antigone e la situazione di contrasto tra la legge della città (Creonte) e la legge dei sentimenti (Antigone) è superata con la costituzione dello Stato e l'istituzione dell'uguaglianza giuridica.

Hegel analizza il concetto di Stato partendo dall'impero romano, per poi passare all'assolutismo francese del XVII secolo e quindi all'Illuminismo come critica dello Stato stesso, critica che sfocia nella libertà del terrore giacobino. L'analisi è conclusa con la critica del formalismo della legge morale kantiana: per Kant la libertà vuole essere legge morale universale, ma questo è impossibile perché il singolo non può universalizzarsi. Per Hegel questo è l'atteggiamento dell'anima bella che teme la macchia, che giudica e non agisce.

2) Religione La «Fenomenologia» si chiude con la Religione come forma di educazione dei popoli. Nella religione lo spirito prende coscienza di se stesso, ma solo in maniera imperfetta (si è ancora nella forma della rappresentazione e non del concetto). Tre sono le tappe della religione. Religione naturale: è quella orientale, nella quale si rappresenta l’Assoluto in forma di elementi o cose naturali (astri, animali); Religione dell’arte: è quella greca, che rappresenta l’assoluto in forme antropomorfiche; Religione rivelata: è quella cristiana, che rappresenta il vertice, in quanto prelude alla filosofia operando la sintesi degli opposti.

3) Sapere assoluto Il superamento della forma di conoscenza «rappresentativa», propria della Religione, porta l’individuo alla piena, totale ed esplicita coscienza di sé come spirito, e porta anche, infine, al puro concetto, al sapere assoluto, ossia al sistema delle scienze, che Hegel esporrà nella «Logica», nella «Filosofia della Natura» e nella «Filosofia dello Spirito».