Parrocchia Santa Lucia Corso di Liturgia
Nel corso dei secoli Dio ha educato il suo popolo, trasformando l’avvicendarsi delle stagioni dell’uomo in una storia di salvezza: «Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come la pupilla del suo occhio. Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore, lui solo lo ha guidato, non c’era con lui alcun dio straniero» (Dt 32,10-12). Di questa storia noi ci sentiamo partecipi.
La guida di Dio, in tutta la sua forza e tenerezza, si è fatta pienamente e definitivamente visibile in Gesù di Nazaret. Clemente Alessandrino, un autore del II secolo, gli attribuì il titolo di “pedagogo”: è Lui il maestro e il redentore dell’umanità, il pastore le cui orme guidano al cielo. Clemente individua nella Chiesa, sposa e madre del maestro, la “scuola” dove Gesù insegna, e conclude con questa esortazione: «O allievi della divina pedagogia! Orsù, completiamo la bellezza del volto della Chiesa e corriamo, noi piccoli, verso la Madre buona; diventando ascoltatori del Logos, glorifichiamo il divino piano provvidenziale, grazie al quale l’uomo viene sia educato dalla pedagogia divina che santificato in quanto bambino di Dio: è cittadino dei cieli, mentre viene educato sulla terra; riceve lassù per Padre colui che in terra impara a conoscere» [Clemente Alessandrino,Pedagogo III,99, 1].
Mentre risuonano in noi le parole del Vangelo – «uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8) – vorremmo poter dire con Sant’Agostino: «Parliamo a voi come a condiscepoli alla stessa scuola del Signore… Sotto questo Maestro, la cui cattedra è il cielo – è per mezzo delle sue Scritture che dobbiamo essere formati – fate dunque attenzione a quelle poche cose che vi dirò» [Sant’Agostino, Discorso 270, 1] (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 n.1).
Il Culto Cristiano
La Liturgia Liturgia è una parola greca, leitourghìa, composta da due parti, lèiton e èrgon, e significa azione per il popolo e anche azione del popolo. La liturgia, quindi, è un’azione che chiama in causa il popolo, sia come destinatario che come protagonista.
Fino al Concilio Vaticano II c’era una visione molto formale della liturgia, con un riferimento soprattutto all’esteriore (un insieme di cose da fare); ma questo è insufficiente per capire il vero senso della liturgia cristiana. La storia della salvezza è una storia di comunione tra Dio e l’uomo e si compone di tre fasi: fase del Vecchio Testamento, con l’annuncio di tale comunione voluta da Dio; fase del Nuovo Testamento, con la realizzazione di tale comunione in Gesù Cristo; fase della Chiesa, che è la comunione dei santi (dei credenti) con Cristo. Si ha quindi un’estensione, un prolungamento nel tempo e nello spazio, del mistero di Cristo ed è la liturgia che permette tale estensione, che rende presente il mistero di Cristo.
Il culto della Chiesa La liturgia è un’azione della Chiesa e per la Chiesa: ogni cristiano può offrire a Dio un culto personale e perfetto, ma solo la Chiesa può porre un gesto liturgico. La liturgia è celebrazione della Chiesa e solo chi ne condivide la fede e ne partecipa la vita è chiamato a concelebrare, cioè è abilitato a porre l’atto liturgico, che è atto di comunione per eccellenza, espressione e sorgente di quella comunione di cui l’Eucaristia è il culmine e la fonte. È il culmine perché ad essa tende l’azione della Chiesa e la fonte perché da essa promana tutta la sua vita e la sua virtù.
Comprende due dimensioni: Il culto è la risposta a Dio che parla, si rivela, si fa conoscere, opera. Comprende due dimensioni: ascendente, che glorifica Dio: l’uomo, in virtù dello Spirito Santo e per mezzo di Cristo, prega il Padre, con suppliche e ringraziamenti, allo scopo di glorificarlo (nello Spirito, per Cristo, al Padre); discendente, che santifica l’uomo: Dio Padre, per mezzo di Gesù Cristo e in virtù dello Spirito, interviene nella vita dell’uomo, allo scopo di santificarlo (dal Padre, per Cristo, nello Spirito).
Il culto è dunque obbedienza alla Parola di Dio e si compie attraverso il sacrificio di lode, detto anche sacrificio spirituale. È un modo per esprimere in breve l’essenza della vita cristiana, cioè fare della propria vita un sacrificio gradito a Dio: «Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. È questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1).
Il sacrificio spirituale Tutto il popolo dei credenti è un popolo sacerdotale, chiamato ad offrire un sacrificio, che consiste nell’offerta della propria vita per mettere in pratica la Parola di Dio, un consumarsi liberamente per Dio: «…Se vorrete ascoltare la mia parola…voi sarete per me un regno di sacerdoti» (Es 19,5-6). Si tratta di un popolo consacrato, sia perché il Signore lo consacra e sia perché il popolo stesso si consacra, cioè si offre. Infatti, la consacrazione è un’azione che rende santo, per cui è Dio che consacra; ma, allo stesso tempo, chi è consacrato da Dio deve rispondere con una vita santa. Questo sacrificio del popolo è spirituale, perché compiuto nello spirito, nel cuore. Il sacrificio spirituale ha dei riti esterni (sacrificio esteriore o materiale), validi però solo se è tenuto sempre presente quello spirituale. Il rito esteriore necessita del sacrificio interiore.
Il sacrificio di Cristo Gesù Cristo è l’espressione del sacrificio perfetto, obbediente alla Parola di Dio fino alla morte. Lui è stato disposto a lasciarsi consumare, come offerta a Dio, con il sacrificio della vita, oltre il quale non si può andare. Oltre ad essere l’offerta, Egli è anche il Sommo Sacerdote, perché ha offerto il suo sacrificio spirituale: «Egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo» (Eb 10,10). L’altare di questo sacrificio è la croce. Il “si” della croce riassume tutti gli altri “si” di Gesù, che durante tutta la vita si è mostrato Figlio: «… amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza… vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici» (Mc 12,28-33).
Il gesto della preghiera con le braccia aperte è stato fatto perfettamente sulla croce da Gesù, l’Orante. Cristo, infatti, morì nell’ora in cui nel tempio iniziava la preghiera: morendo offrì se stesso come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. È Cristo il vero sacrificio della nuova ed eterna alleanza: «… questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,25). Il sacrificio di Cristo ha un duplice significato: 1. dà gloria al Padre 2. santifica gli uomini e li consacra.
Il memoriale Il memoriale non è un semplice ricordare, ma un rendere presente il fatto del passato per aprirsi al futuro: si rende presente ciò che è stato fatto nel passato e si anticipa ciò che sarà nel futuro. La Chiesa, nella liturgia, compie il memoriale dell’opera salvifica di Dio in Cristo Gesù, per essere nella condizione di ricevere i frutti di questa salvezza.
L’opera della redenzione umana e il culto a Dio sono racchiusi in Cristo, in modo particolare nel suo mistero pasquale, che indica tutti i misteri della vita di Cristo, a partire dall’incarnazione (Cristo inizia a morire già nel grembo di Maria). Dal costato di Cristo dormiente sulla croce è generata la Chiesa, come dal costato di Adamo addormentato è generata Eva; quindi, Cristo è dormiente sulla croce perché la sua morte non è la fine di tutto, ma è una morte che genera vita. È la nuova creazione.
“La celebrazione Liturgica” Arrivederci al prossimo incontro su “La celebrazione Liturgica”