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PubblicatoLia Giuliano Modificato 8 anni fa
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La fine del regno ostrogoto Il regno ostrogoto fu abbattuto dagli eserciti bizantini inviati dall’imperatore Giustiniano per riconquistare l’Italia e ricostruire l’unità del mondo mediterraneo.
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La guerra fra Bizantini e Ostrogoti (detta greco-gotica) fu interamente combattuta Italia e durò a lungo (dal 535 al 553) fra saccheggi, violenze, assedi interminabili, territori più volte perduti e riconquistati, distruzione delle mura nelle città sconfitte
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I territori italici furono governati da un rappresentante dell’imperatore (detto esarca), con sede a Ravenna, e dai suoi collaboratori venuti dall’oriente Campagne e città furono devastate e la popolazione, impoverita e ridotta alla fame, diminuì moltissimo. Inoltre il crollo del forte regno ostrogoto spianò la strada all’arrivo di un nuovo popolo barbarico, quello dei Longobardi.
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Chi erano i Longobardi Erano cristiani ariani, ma conservavano molte tradizioni pagane: il loro nome, per esempio, derivava dalle lunghe barbe che portavano in onore di Wotan, il dio barbarico della guerra. Dalle loro sedi in Pannonia (Ungheria) i Longobardi giunsero in Italia fra il 568 e il 569. Non si spostavano velocemente perché portavano con sé vecchi, donne e bambini, ma incontrarono sul loro cammino una scarsa resistenza perché l’Italia bizantina era debole e spopolata a causa della recente guerra.
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I guerrieri longobardi si muovevano in bande, al comando di capi militari detti duchi. L’occupazione della penisola non fu completa e i Bizantini conservarono vasti territori, a volte incuneati entro i possedimenti longobardi. L’Italia rimase divisa in due parti, una bizantina, o Romània, e l’altra longobarda, o Longobardia (da queste due denominazioni – riferite in origine a territori molto più vasti – derivarono poi i nomi delle odierne Romagna e Lombardia).
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I Longobardi erano un popolo-esercito: i maschi in età di combattere erano prima di tutto dei guerrieri (detti arimanni, cioè “ mini dell’esercito” o “uomini liberi”) e l’assemblea dei guerrieri prendeva le decisioni per tutti. A differenza degli Ostrogoti, che si consideravano alleati dell’impero, i Longobardi non si contentarono di un terzo delle terre e non affidarono ai Romani compiti amministrativi, ma si impadronirono di tutti i territori occupati e riservarono a sé ogni potere. Nelle città conquistate Longobardi e Romani vivevano in quartieri separati, parlavano lingue diverse, seguivano ciascuno la propria legge.
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La conversione dei Longobardi al cattolicesimo – che iniziò nel VI secolo sull’esempio della regina cattolica Teodolinda e si concluse verso la metà del secolo successivo – accorciò le distanze fra vincitori e vinti. Un altro segno di avvicinamento fu il graduale abbandono della lingua longobarda, sostituita da quella latina.
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L’editto di Rotari Nel VII secolo Pavia divenne la capitale del regno. Nel 643 il re Rotari (636-652) mise per iscritto, in lingua latina, le leggi longobarde, basate sulla tradizione e sulle abitudini, e fino ad allora trasmesse solo oralmente. La raccolta di leggi prese il nome di editto di Rotari. L’editto contiene anche informazioni sulla società longobarda e per questo è considerato uno dei più importanti documenti storici dell’Alto Medioevo. All’inizio l’editto si applicò solo alla popolazione longobarda, ma nell’VIII secolo fu esteso anche ai Romani, che furono ammessi anche a far parte dell’esercito (in precedenza le attività militari erano riservate ai soli Longobardi).
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Verso la metà del secolo i Longobardi tentarono di conquistare i territori bizantini della penisola, Ravenna e Roma stessa. Questo tentativo provocò l’intervento militare dei Franchi che nel 774 portò alla fine del regno longobardo e interruppe l’integrazione fra Longobardi e Romani.
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Cala la popolazione Nei primi secoli dell’Alto Medioevo (VI, VII e parte dell’VIII) la popolazione dell’Europa occidentale diminuì moltissimo. Dal IV secolo si succedettero migrazioni di popoli, saccheggi, guerre (in Italia, per esempio, la guerra greco-gotica). Devastazioni e guerre furono accompagnate da ripetute epidemie, cioè dalla improvvisa e rapida diffusione di malattie infettive, come il vaiolo, la malaria, la tubercolosi e, soprattutto, la grande peste del 542, una malattia mortale che giunse dall’Etiopia e fece un gran numero di vittime.
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Le città cambiano aspetto Le città romane divennero più piccole e furono riadattate ai bisogni della popolazione ridotta di numero. Le zone abitate furono protette da mura difensive. Edifici dell’antichità romana (anfiteatri, terme, fori ecc.) caddero in rovina oppure cambiarono funzione e furono trasformati in fortificazioni, abitazioni e sepolcreti (cioè complessi di tombe). Le chiese cristiane cominciarono, lentamente, a diventare un elemento tipico del paesaggio cittadino. Molte città erano sedi vescovili e il vescovo, in mancanza di autorità civili, vi esercitava poteri di governo.
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Nelle campagne le zone coltivate si ridussero perché la popolazione era diminuita e aveva bisogno di una quantità minore di prodotti agricoli. Gli argini dei fiumi non furono più controllati con regolarità, perciò le inondazioni divennero frequenti e vaste superfici furono occupate da paludi e acquitrini. La vegetazione spontanea riprese vigore e boschi e foreste si estesero fino a ricoprire gran parte del territorio.
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Le foreste fornivano il legname, un materiale prezioso per riscaldarsi d’inverno, per cucinare i cibi, per costruire case e recinti, mobili, botti e attrezzi da lavoro. Con le cortecce dei tronchi si fabbricavano scarpe e panieri, con la resina fiaccole e torce. La foresta offriva anche il pascolo al bestiame: a pecore, capre e branchi di maiali semiselvaggi che si nutrivano di ghiande. Nella foresta si cacciava la selvaggina, si raccoglievano frutti selvatici ed erbe medicamentose Paludi e specchi d’acqua fornivano pesce, che si consumava fresco, essiccato o conservato sotto sale.
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Diminuiscono gli scambi Commerci e trasporti, per terra e per mare, si ridussero. Molte strade romane furono abbandonate, altre divennero malsicure per la presenza di banditi e di animali selvaggi. I traffici si accentrarono nelle città costiere, direttamente raggiungibili via mare, ma le merci furono vendute e comprate in quantità sempre minori. Le monete diventarono rare e in alcuni luoghi, come nei tempi antichissimi, si ritornò al baratto, lo scambio di una merce con un’altra.
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