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Welfare e neoliberismo
Corso di Politiche Sociali A.A. 2016/2017 Bartali Annalisa – Dazzi Ilaria – Peselli Licia – Santoro Martina – Silvestrini Simona
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Nascita del welfare
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Cos’è il Welfare State? Complesso di politiche pubbliche messe in atto da uno Stato che interviene per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini Secondo A.Briggs gli obiettivi perseguiti dal welfare sono fondamentalmente tre: Assicurare un tenore di vita minimo a tutti i cittadini; Dare sicurezza agli individui e alle famiglie in presenza di eventi naturali ed economici sfavorevoli di vario genere; Consentire a tutti i cittadini di usufruire di alcuni servizi fondamentali, quali l’istruzione e la sanità.
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Che cos’è il Welfare State?
Secondo I.Gough, il welfare è “l’uso del potere dello stato volto a favorire l’adattamento della forza lavoro ai continui cambiamenti del mercato e a mantenere la popolazione non lavorativa in una società capitalistica” Gli strumenti tipici per perseguire gli obiettivi del welfare sono: Corresponsioni in denaro; Erogazione di servizi in natura; Concessione di benefici fiscali Regolamentazione di alcuni aspetti dell’attività economica
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Che cos’è il Welfare State?
Il sistema della “sicurezza sociale”, introdotto in Gran Bretagna attraverso un’apposita legislazione del 1946 e del 1948, si impose come modello per gli altri Paesi industriali Esso copriva: Disoccupazione Invalidità Perdita dei mezzi di sussistenza Collocamento a riposo per limiti di età Bisogni della vita coniugale (per le donne: matrimonio, maternità, interruzione dei guadagni del marito, vedovanza, separazione) Spese funerarie Sussidi all’infanzia Malattia fisica o incapacità
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Che cos’è il Welfare State?
L’universalizzazione del welfare ha avuto due effetti non previsti ma in netto contrasto con i suoi obiettivi equitativi: Ha ridotto considerevolmente la capacità redistributiva dello “Stato del benessere di massa” Ha provocato una massiccia espansione della spesa pubblica Secondo l’economista R. Misha, tale aumento della spesa pubblica tende ad assumere carattere permanente a causa prevalentemente della competizione politica e della pressione dei gruppi di interesse, dando origine ad una situazione di rigidità e di ridotta capacità di intervento della politica economica
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Universalismo e selettività
Le politiche sociali nascono per rispondere a problemi di povertà o di inadeguatezza delle risorse private di gruppi della popolazione a fare fronte a bisogni importanti. Nascono perciò come politiche selettivi, rivolte a particolari gruppi della popolazione. Con la stabilizzazione dei sistemi di welfare tuttavia molte politiche assumono una dimensione più universalistica rivolta alla popolazione nel complesso. La questione su quale carattere debbano avere le politiche sociali continua tuttora ad animare i dibattiti sul welfare
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Universalismo e selettività
Quando una misura è finanziata esclusivamente dal bilancio pubblico, quindi dalle imposte, la compartecipazione al costo non è universalistica A questo proposito è stato coniato il termine “universalismo selettivo”, che segnala la distinzione tra accesso e compartecipazione alla spesa.
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Il potere secondo Foucault e Marx
Secondo Foucault il potere è onnipresente, ogni rapporto sociale è un rapporto di potere, è un potere impersonale, onnipresente, che non ha dimora fissa, ma opera tramite meccanismi anonimi in ogni anfratto della società (Biopotere) Marx invece dà più spazio all'opposizione tra dominatori e dominati e ritiene che l’unità del comando si mantenga nella figura del potere sovrano (Teoria del plusvalore).
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Le teorie di Keynes Si parte da una semplice constatazione: il sistema economico non garantisce né piena occupazione né una distribuzione delle ricchezze non solo iniqua, ma che garantisca crescita Necessità di un intervento da parte dello Stato per incrementare la domanda globale anche in condizioni di deficit pubblico Il risparmio si dovrebbe tradurre sempre in investimento o, perlomeno, in ulteriore consumo, poiché qualsiasi tesaurizzazione, diminuendo l’investimento, diminuisce anche produzione e occupazione.
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Le teorie di Keynes Keynes riteneva necessario l'intervento dello Stato che, attraverso la spesa pubblica, può determinare un aumento del livello di occupazione e, di conseguenza, un aumento dei redditi delle famiglie e, quindi, dei consumi.
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Passaggi chiave nella preistoria del Welfare State
Poor Tax (1572) Old Poor Law (1601) Speehamland System (1795) New Poor Law (1834)
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La nascita dello Stato sociale
Bismack (1883) Si ebbe un sistema che coinvolge pensioni, indennità di disoccupazione, di infortunio e di maternità e a cui si ispirano quasi tutti i sistemi di welfare in Europa, anche l’Italia Fondamentale importanza alle leggi antisocialiste per reprimere i movimenti operai I quattro governi Crispi vi si ispirarono
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«Avere contenta la classe più povera è una cosa che non si paga mai cara abbastanza. È un buon impiego del denaro anche per noi: a quel modo evitiamo una rivoluzione che potrebbe inghiottirci ben altre somme» (Bismarck)
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Classificazione di Esping-Andersen
Basandosi sul livello di demercificazione, ovvero di indipendenza dal mercato, delle relazioni economiche e sociali e sul grado di affrancamento individuale dei rapporti monetari nella soddisfazione dei bisogni, individua tre gruppi di paesi caratterizzati da gradi e forme diverse di demercificazione: 1. Il regime universalistico (socialdemocratico): in cui è forte la demercificazione tramite l’intervento pubblico e con alti standard di prestazioni rivolti alla totalità dei cittadini (Paesi Scandinavi); 2. Il regime conservatore (continentale o corporativo): in cui è lasciato un forte ruolo alla famiglia, mentre allo stesso tempo la redistribuzione pubblica preserva la stratificazione operata dal mercato, e caratterizzato da schemi assicurativi collegati alla posizione occupazionale degli individui, piuttosto che al loro status di cittadini (Bismarckiani, anche Italia); 3. Il regime liberale: in cui la redistribuzione pubblica è minima, si fa ampio ricorso a misure assistenziali subordinate alla prova dei mezzi, il ruolo delle assicurazioni sociali è circoscritto, la solidarietà familiare è poco accentuata e invece è lasciato largo spazio al mercato (Paesi anglosassoni).
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Grazie a Ferrera abbiamo poi potuto attribuire anche ai Paesi propriamente mediterranei un modello loro, sottoinsieme di quello corporativo, incentrato sulla famiglia come erogatrice dei servizi Quattro critiche
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Dagli anni della Grande Guerra fino alla II Guerra Mondiale
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La Costituzione di Weimar (1919)
Prima Costituzione che considera i diritti sociali e che ha ispirato quella italiana Essa stabiliva che “l’ordinamento della vita economica” dovesse corrispondere “al principio di giustizia, con l’obiettivo di garantire a tutti un’esistenza dignitosa” (art. 151) e in particolare sanciva il diritto alla “salvaguardia della salute e della capacità lavorativa”, alla “tutela della maternità” e alla “prevenzione delle conseguenze economiche della vecchiaia, dell’indebolimento fisico e delle circostanze negative della vita”(art. 161) Vennero introdotti elementi democratici come il suffragio universale, con diritto di voto esteso alle donne, e il federalismo imperfetto per il predominio dello stato federale maggiore, lo Stato Libero di Prussia.
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New Deal (1933-1938) Letteralmente «Nuovo Corso»
Piano di riforme economiche e sociali promosso dal presidente americano democratico Roosvelt allo scopo di risollevare il Paese dalla grande depressione che aveva travolto gli USA a partire dal 1929 In concreto, fu un grande insieme di interventi sulla spesa pubblica, sulla tassazione, sulla regolazione e sulle politiche monetarie Inoltre il New Deal prevedeva l’introduzione di correttivi al sistema finanziario attraverso “una rigorosa supervisione di tutte le operazioni bancarie, dei crediti e degli investimenti” e la fine della “speculazione fatta sul danaro degli altri”.
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Rapporto Beveridge (1942) Rapporto dal titolo “Social Insurance and Allied Services” Il piano cercava di armonizzare i tre differenti metodi previdenziali emersi nel corso dell’evoluzione storica dell’esperienza britannica: quello delle pensioni minime contributive, quello dei sussidi per particolari categorie disagiate e quello delle pensioni occupazionali volontarie ad integrazione di quelle minime La social security del Rapporto Beveridge presentava protezione a tutti i cittadini e non solo ai membri degli schemi assicurativi occupazionali e introdusse e definì i concetti di sanità pubblica e pensione sociale per i cittadini Il piano implicava tre premesse: sussidi all’infanzia, estesi servizi sanitari e di riabilitazione, mantenimento degli impieghi Questo sistema è basato sul principio dell’uguale protezione di rischi o bisogni, a prescindere dalla diversità di status dei beneficiari degli interventi.
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Nei sistemi di questo tipo, il servizio sanitario è pubblico, finanziato dalla fiscalità generale e offre gli stessi servizi a tutta la popolazione E’ un modello di stampo universalistico e nutre grande fiducia nelle capacità del mercato Partendo dal presupposto che il «mercato del sociale» non sarà capace di funzionare efficacemente nel tempo del dopoguerra, proprio da qui emerge la necessità che lo stato attivi politiche pubbliche di stimolo ma che, come tale, siano studiate proprio per permettere al cittadino di “sviluppare le proprie attitudini costruttive”.
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Anni del dopoguerra Il welfare capitalism parve rappresentare la formula di pace e la soluzione politica alle contraddizioni sociali Si tendeva a superare la frammentarietà del corporativismo bismarckiano e la residualità assistenziale dello stato liberale, per formare un’unica comunità di rischio ove casa, salute, lavoro fossero diritti individuali certi e salvaguardati Il 10 Dicembre 1948 fu approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la quale sanciva concetti come le “libertà liberali” attraverso il riconoscimento di nuovi e più ampi diritti sociali.
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La crisi del welfare
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CRITICHE LIBERALI E DI SINISTRA
Nemmeno al suo apice, lo stato sociale è stato un racconto condiviso da tutti; infatti, il suo progetto governamentale implicava una metanarrazione collettiva, ma le strategie di intervento si indirizzavano a obiettivi e categorie particolari: quindi con un impatto inevitabilmente contraddittorio. Nella seconda metà degli anni 70 il mutato contesto socio economico e le crisi che hanno colpito le economie hanno portato ad una riflessione sulla natura del welfare state. Due approcci: CRITICA NEOMARXISTA CRITICHE LIBERALI E DI SINISTRA
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Critica neomarxista Per i neomarxisti, l’azione statale, impegnata si asul fronte della riproduzione sociale, sia su quello dell’accumulazione capitalistica, entrava quindi in contraddizione con se stessa e le relazioni capitalistiche si ritrovavano ad essere paradossalmente sia recessive che dominanti. Dal dopo guerra in poi lo stato sociale assolveva il compito di regolare i sottosistemi di socializzazione e accumulazione, ma il sistema politico- amministrativo e le sue tecniche di intervento non solo non riuscivano a trovare un equilibrio stabile tra l’economia capitalistica e le strutture di socializzazione alle norme, ma finivano per non distinguersi più da questo compito divenendo continua e irrazionale amministrazione della crisi.
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Critica neomarxista Le principali critiche neomarxiste al welfare state riguardano 4 aspetti: L’efficacia e l’efficienza: il welfare state viene considerato inefficace in quanto non elimina le cause dei bisogni, non modifica i presupposti delle disuguaglianze sociali, ma interviene ex post per mitigarle. Sono inoltre inefficienti a causa dell’immenso apparato burocratico che li muove. Il controllo sociale: il welfare state ha una funzione di controllo sociale che si concretizza nella selezione di coloro che vengono considerati meritevoli, alle persone con basso reddito viene richiesta una maggiore conformità ai modelli di comportamento prevalenti. I condizionamenti ideologici: contribuiscono ad alimentare una falsa coscienza della classe lavoratrice limitandone la volontà di organizzarsi e di lottare per cambiare la società. La sostenibilità fiscale: il welfare state si trova in una profonda crisi fiscale che nasce dal fatto che lo stato capitalista deve soddisfare due funzioni fondamentali ma contraddittorie, ovvero l’accumulazione della classe dei capitalisti e la legittimazione da parte di tutta la popolazione votante.
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Critiche liberali e di sinistra
All’interno del potere liberale si può trovare la denuncia dell’irrazionalità di un potere pubblico colonizzato dagli interessi privati, dove la critica del welfare state è legata fin dal principio ad una messa in discussione delle fondamenta della democrazia di massa La proposta neoliberista si basa quindi sulla sottolineatura di qualcosa di guasto nel funzionamento generale della distribuzione sociale, qualcosa intorno ad una domanda sociale ed a un intervento statale cresciuto in modo abnorme, a causa di un errore nella valutazione dei sentimenti morali del popolo La democrazia non era la rappresentazione dell’universale bensì la selezione del particolare
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Questa crisi può essere ricondotta a diversi fattori...
La crisi del welfare state, che ha avuto inizio tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, ha luogo nel momento in cui termina per il mondo occidentale un’esperienza ventennale di sviluppo, la così detta “età dell’oro” del capitalismo, in cui un’espansione produttiva senza precedenti è stata accompagnata da una crescita e diffusione del benessere tra ampi strati della popolazione. Questa crisi può essere ricondotta a diversi fattori...
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Crisi di accumulazione
Fine anni 60 e decennio successivo; I salari individuali continuarono a crescere più rapidamente della produttività e il welfare state, che si era parzialmente distaccato dalle dinamiche accumulative, continuò ad espandersi; Secondo R. Jessop l’espansione del welfare state ha progressivamente eroso alcune delle condizioni che sostenevano l’accumulazione fordista: nel momento della crisi di accumulazione si rendeva pertanto necessario, per le imprese, smantellare o indebolire i sistemi di welfare. L’aumento delle diseguaglianze fa dunque parte della ristrutturazione dell’economia poichè essa ha dato intenzionalmente avvio ad un processo di profonda trasformazione in direzione di una ripartizione sociale meno equa e di una parallela restaurazione del potere economico delle élite.
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Crisi economica degli anni 70
Per effetto del dilagare della disoccupazione e delle crisi aziendali si ridusse la base imponibile e diminuirono le entrate fiscali relative ai contributi sociali sulle retribuzioni; la caduta dei profitti lordi ridusse inoltre il contributo del capitale alle entrate statali. Aumentarono le richieste di aiuto al welfare, sia come forme di sostegno al reddito dirette (sussidi) e indirette (esenzioni), sia per l’aggravarsi di quei problemi sociali che il dilagare della disoccupazione porta con se. Anche in ragione della diffusione di tale crisi si imposero dottrine fiscali che assegnarono priorità alle politiche statali di riduzione del deficit e del debito. Soprattutto in europa una delle voci che incidevano maggiormente sulle spese statali era proprio quella relativa al welfare, il cui tasso di crescita era stato largamente superiore all’andamento del prodotto interno lordo
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CRISI ECONOMICA DEGLI ANNI '70
Gli effetti deleteri per le casse statali deriverebbero quindi dall'intreccio tra la diminuzione delle entrate e l'aumento delle uscite necessarie a riparare ai problemi sociali. Soprattutto, per la "comunità degli affari", e per i neoliberisti più in generale, la riduzione del deficit diventa quasi un'ossessione, con scarsa attenzione per i suoi costi economici e sociali che consistono in disoccupazione, bancarotte e diminuzione della produzione. A partire dagli anni Ottanta (prima negli Stati Uniti, poi in Europa) prende piede una graduale eliminazione della tassazione sulle proprietà immobiliari e la diminuzione delle tasse sui redditi da investimento e sui capital gain. È rimasto invece invariato il prelievo fiscale su stipendi e salari, benchè contemporaneamente fosse iniziato il loro lungo declino.
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Globalizzazione Questo fenomeno si accompagna all'acuirsi di diseguaglianze e rischi sociali, portando al conseguente aumento del bisogno di protezione sociale. Al welfare sarebbe perciò richiesto di svolgere compiti redistributivi maggiori, ma anche di trovare nuovi strumenti per assicurare sicurezza a categorie di soggetti parzialmente mutate. Allo stesso tempo, però, le dinamiche della globalizzazione comportano una minore autonomia degli Stati nel decidere delle proprie politiche economiche.
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Competizione internazionale
La competizione internazionale spingerebbe i governi ad abbattere gli standard di protezione sociale per rendere ciascun Paese – e la propria forza lavoro – più attraente agli occhi degli investitori. La cittadinanza sociale è assicurata non soltanto attraverso la spesa per i trasferimenti e i servizi essenziali, ma anche attraverso garanzie pubbliche a determinati redditi di mercato e prestazioni erogate dierettamente dal datore di lavoro (es. prosecuzione obbligatoria della retribuzione in caso di malattia, la protezione contro il licenziamento, le ferie pagate, il rispetto di norme di sicurezza sui luoghi di lavoro, ecc).
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Universalismo e selettività
Sistemi universalistici Sistemi selettivi Sistemi che riconoscono l'accesso alle prestazioni come un diritto dell'intera popolazione di riferimento, ovvero la totalità dei cittadini nei casi dei servizi e la forza lavoro per gli schemi assicurativi; i modelli così definiti, normalmente, investono la maggior parte delle risorse verso categorie di spesa con maggiori ricadute sociali, come ad esempio l'istruzione primaria e le cure mediche di base (M. Raitano). Sistemi nei quali l'erogazione del servizio è subordinata a caratteristiche correlate con la povertà, tra cui certamente il reddito, ma anche l'area geografica di residenza o la dimensione del nucleo familiare; in alternativa questi sistemi possono selezionare l'utenza mediante il cosiddetto self-targeting: si costruiscono schemi contenenti elementi tali per cui solo i più poveri, solo coloro che non hanno alternative, vorranno accedervi (M. Raitano).
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Universalismo e selettività
Sistemi selettivi Sistemi universalistici la selezione può escludere chi in effetti ha bisogno del servizio, oppure può includervi anche chi non ne avrebbe titolarità; dovere del soggetto ad attivarsi, ma l'informazione, la conoscenza e la capacità di attivarsi non sempre sono distribuite in modo uniforme tra la popolazione; problema dello stigma sociale; questi sistemi non permettono un impiego più efficiente delle risorse, in quanto prevedono costi molto più consistenti rispetto ai sistemi universalistici, poiché richiedono di definire complesse norme di accesso e di monitorare costantemente la condizione di chi vi partecipa. spreco delle risorse e dilatazione della spesa pubblica; distorsione dei comportamenti: la riduzione dell'offerta pubblica di servizi potrebbe effettivamente essere uno strumento più efficace per convincere i disoccupati a cercare un impiego; se vengono esclusi i non poveri dai benefici, questi inevitabilmente ricorreranno ad erogatori privati per ottenere quegli stessi servizi che il pubblico non offre più
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Universalismo e selettività
All'interno dei sistemi di welfare, si verifica una tendenza a passare da schemi universalistici rivolti a tutti i cittadini a misure selettive indirizzate unicamente o prevalentemente a chi versi in stato di necessità. Nei sistemi selettivi, ritenuti migliori rispetto a quelli universalistici, esistono, però, ostacoli specifici al raggiungimento della popolazione prescelta. Inoltre viene messo in dubbio che questi sistemi permettano un effettivo risparmio.
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Workfare La subordinazione dell'erogazione del sussidio di disoccupazione, ed anche di altre forme di sostegno, alla partecipazione attiva a servizi di inserimento lavorativo o di formazione professionale. "Il ruolo del welfare state cambia: invece di fornire la sicurezza del reddito a lavoratori con alte retribuzioni, il suo compito è quello di fornire integrazioni del salario a una categoria in aumento di lavoratori con salari bassi" (Myles)
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neoliberismo
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Storia del pensiero neoliberale
Il pensiero liberale è una famiglia vasta e ramificata principio fondamentale: Inviolabilità dei diritti individuali nella separazione dei poteri, nell’uguaglianza formale dinnanzi alla legge L’individuo gode di diritti e di libertà innate e inalienabili lo Stato deve garantire e incentivare uno sviluppo autonomo degli individui Liberalismo: dottrina politica - economica Liberismo: serie di ricette economiche
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La politica liberale Nasce nel corso del XVII secolo in Inghilterra e Olanda , si afferma in un periodo in cui la borghesia è svincolata da intromissioni da parte dello Stato, corporazioni e Chiesa, è quindi decisa a perseguire i propri interessi. Pensiero economico classico liberale: Saranno i liberi egoismi operanti negli scambi tra gli individui a garantire l’efficienza del sistema economico La concorrenza creerà la miglior distribuzione beni e servizi a patto che sia consentita a capitali e merci ampia mobilità dei beni Il processo di divisione del lavoro è una componente essenziale del progresso e aumenta la produttività Questi assunti si riflettono nel commercio internazionale il quale dovrà avere il minor numero di barriere possibili, per A. Smith lo scambio di mercato è fondamentale assieme alla divisione del lavoro.
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Influsso di fisiocrati francesi (laissez faire) durante la meta del XVIII secolo sviluppano una dottrina, contro vincoli corporativi e feudali che ostacolavano lo sviluppo dell’economia francese, il liberismo intende ridurre al minimo gli interventi dello Stato, il quale deve assicurare ai propri cittadini la possibilità di affermarsi rimuovendo ogni ostacolo Si diffonde in Europa e Stati Uniti nel corso del 1800, negli ultimi decenni è limitato da interventi protezionistici Dopo la prima guerra mondiale, (enorme spesa militare, la riconversione industriale, il rinserimento dei combattenti nell’attività produttiva) il liberismo entra in crisi nel 1929 con la Grande Depressione che ne seguì, ogni paese si chiuse per proteggere le proprie industrie.
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Negli anni ‘30 del XX secolo
Welfare liberalism Scuola economica di Vienna Il libero mercato sia la molla della crescita e del benessere, ma parte dei suoi effetti vada corretta con un intervento politico e amministrativo. Uno dei principali esponenti è J.M. Keynes Sarà la corrente dominante nei trent’anni gloriosi (‘45-’75) I soggetti economici unica realtà fondamentale, rifiuta qualsiasi intervento politico di razionalizzazione e limitazione delle loro attività. A essa succede per linea diretta il neoliberismo americano, con l’influenza di Hayek, e altri importanti economisti come Friedman, Becker, Lucas, Prescott, Buchanan, Tullock, Laffer, riuniti all’Università di Chicago e attivo dagli anni ‘50 fino ai giorni nostri.
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Keynes Il sistema economico non garantisce né piena occupazione né una distribuzione delle ricchezze non solo iniqua, ma che garantisca la crescita. Dopo la crisi del ‘29 la diagnosi keynesiana identifica una frattura tra sfera economica e sociale L’economia doveva avere un fine: la piena occupazione, riguardava il tasso di crescita del sistema produttivo e l’integrazione sociale di tutti i cittadini. K. Critica il risparmio e il lucro sul denaro, qualsiasi tesaurizzazione diminuisce l’investimento e quindi la produzione e l’occupazione
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Modello puro del neoliberismo
M.Friedman: Teorie intorno alla moneta: la quantità di moneta è la causa prima del livello dei prezzi, dei salari, del tasso di disoccupazione. Introduce il concetto di tasso naturale di disoccupazione, non esiste disoccupazione involontaria. I governi dovrebbero occuparsi della cornice in cui contratti e concorrenza devono aver luogo: sicurezza dall’esterno, legge e ordine, cornice per i diritti di proprietà e le regole dei contratti.
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Lo stato assistenziale comporta spreco e senso di dipendenza agli assistiti, le pensioni pubbliche sono ingiuste e finanziaria mente non autosufficienti, i sindacati sono in grado di aumentare il salario in un singolo settore in questione oppure defalcando i salari nelle altre aree. La legislazione a protezione del lavoro e i minimi salariali contribuiscono a ridurre i posti di lavoro. Assistenza sotto forma di decentralizzazione del pubblico, il ritorno a una carità privata e associazionismo, un modo per ridurre la povertà è quello della carità privata
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F. Hayek: Il punto di partenza è il rifiuto di qualsiasi pianificazione centrale dell’economia, ne L’ abuso della ragione del 1952 descrive i danni dell’applicazione di una mentalità ingegneristica e dei metodi delle scienze naturali al sociale. Per H. la conoscenza proviene da stimoli sensoriali è per sua natura personale e frammentata, e l’impossibilità di essere gestita politicamente. H. Immagina una società aperta, fondata sul pluralismo, e incertezza, la mancanza di regole superata dall’autonomia individuale ogni istituzione che include o ridistribuisca è arcaica. L’unica eguaglianza è la libertà, unico principio morale e politico plausibile. Lo Stato dovrà costituire un quadro astratto di norme fondamentali e naturali.
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Lo stato sociale è una minaccia all’individualismo, all’azione volontaria, all’indipendenza alla fiducia in sé stessi. I sindacati sono organizzazioni coercitive , che alzando i salari nominali provocano disoccupazione, le assicurazioni sociali pubbliche portano spese e uniformità e furti a danno delle minoranze . Una tassazione progressiva è ingiusta elimina investimenti e capitali, l’espansione delle aziende la nascita di nuovi concorrenti.
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Argomentazioni liberiste contro lo Stato sociale
Correlazione tra un alto livello di spesa pubblica (sociale) e la depressione del potenziale di crescita del PIL L’alto tasso di livello di tasse e di debito pubblico influirebbe negativamente sul risparmio del singolo e quindi sul tasso di crescita Eccessiva legislazione incentrata sulla difesa del lavoro danneggerebbero il profitto delle imprese private Fallimento economico dovuto al debito pubblico Assicurazioni sociali: l’assenza di meccanismi di adeguamento delle pensioni su base retributiva, l’assicurazione pensionistica di categorie con insufficienti o brevi periodi di contribuzione avrebbe fatto entrare in crisi il sistema previdenziale
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Sistemi previdenziali
Negli ultimi decenni si sono verificate profonde trasformazioni. La Banca Mondiale sollecita i governi verso una spinta alla privatizzazione dei sistemi pensionistici, o, meglio che si istituiscano mercati dei fondi pensione e contemporaneamente limitino prestazioni garantite dall’assicurazione pubblica. Lo sprone di BM e FMI è stato raccolto un po’ ovunque nel Nord e Sud del mondo Francia e Germania hanno scelto un sistema previdenziale pubblico retributivo, trasferendo sul singolo lavoratore il rischio demografico
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Nel Regno Unito, avanguardia europea del liberismo, la pensione è assicurata a tutti i lavoratori, a somma fissa, bassa che porta a chi ne ha facoltà a stipularne una privata. Il mercato delle pensioni è stato alimentato da misure per ridimensionare le pensioni pubbliche, incentivare il risparmio dal punto di vista fiscale, a coprire i «buchi» nell’offerta previdenziale esistente a investire di più sugli interventi di workfare e a incoraggiare la partecipazione delle istituzioni pubbliche ai fondi pensione. Negli ultimi anni le risorse investite nei fondi pensionistici sono cresciuti a dismisura. Esistono però rischi connessi all’ancoraggio delle pensioni agli andamenti della borsa
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Negli Stati Uniti e Regno Unito i fondi privati hanno accusato perdite pari al 22 e al 31% del PIL Paesi anglosassoni si è passati da fondi a benefici definiti a fondi a contribuzione definita. La trasformazione è dovuta al cambiamento in rapporto al lavoro, i fondi a benefici definiti erano più adatte a carriere lavorative stabili, mal si adattano alle flessibilità odierna. In questo caso i rischi finanziari ricadono anche sull’impresa La contribuzione versata dal datore di lavoro varia in base all’andamento dei mercati sui quali sono investiti i capitali dei fondi pensioni e la variazione dei tassi d’interesse.
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La contribuzione può diminuire quando le borse assicurano alti rendimenti e i tassi d’interesse sono elevati, in caso contrario deve aumentare, le aziende sono dunque gravate di maggiori oneri pensionistici proprio nei periodi di difficoltà dei mercati finanziari. Dalla crisi delle borse del 2001 il passaggio a contribuzione definita ha subito un’accelerazione. Questi cambiamenti hanno portato cambiamenti trasferendo il rischio demografico occupazionale e finanziario unicamente sulle spalle del lavoratore.
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I quasi-mercati in sanità
Alla contrazione dell’offerta pubblica è corrisposta la creazione di quasi-mercati in sanità, nei quali operatori privati si affiancano a quelli pubblici. Il regime così istituito è definito di semi-concorrenza, lo Stato resta, nei ruoli di finanziamento , controllo, e talvolta indirizzo. La competizione può avvenire sui costi o sulla qualità, ma in ogni caso l’amministrazione pubblica deve controllare che i servizi siano di qualità e in termini di quantità. Nei quasi-mercati sanitari rimane a capo dell’amministrazione pubblica il dovere della regolamentazione, del finanziamento, controllo, in base ai prezzi prefissati legate alle prestazioni fornite. Lo Stato deve occuparsi di creare la domanda , aprire lo spazio ai privati, riducendo i posti letto negli ospedali pubblici o convertendo gli stessi in fondazione.
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Motivazioni della diffusione di sistemi di tipo semi-concorrenziale
Promuovere la libertà di scelta, poiché sottrae il beneficiario alla condizione di dipendenza e passività in cui il welfare a monopolio pubblico lo costringerebbe Esercitare la preferenza produce ricadute positive anche sulla QUALITA’ dei servizi sanitari (i pazienti potendo scegliere premierebbero le strutture più adeguate e penalizzando le altre); inoltre tutti gli erogatori avrebbero interesse ad attrarre clienti, migliorando le proprie prestazioni La scelta produrrebbe anche QUANTITA’ diversificando l’offerta
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Perplessità QUALITA’:
Rimane invariata o si deteriora (es. Regno Unito strutture sovraffollate nelle strutture più all’avanguardia hanno condotto ad un aumento delle infezioni, due terzi non riesce ad accedere alle agli ospedali prescelti) La struttura del finanziamento porta a sovrapproduzioni di prestazioni superflue e sottoproduzione di cure necessarie, si effettuano un numero eccesivo dei servizi più richiesti dagli utenti ma non necessariamente più utili e opportuni Sottoproduzione delle prestazioni meno richieste dagli utenti, ma non meno appropriate (es. è il caso delle dimissioni precoci, che liberano posti letto per nuovi pazienti ma possono condurre alla successiva riammissione dell’utente dimesso, riammissione che è economicamente conveniente per il privato) L’inquadramento contrattuale di chi lavora nelle strutture private riceve un stipendio standard inferiore a chi lavora nel pubblico, può aumentare i guadagni se conclude un certo numero di prestazioni o una certa tipologia
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UTENTE COME «PROMOTORE DELLA QUALITA’»
L’utente non ha modo di scegliere: l’ente pubblico ha il compito di diffondere le informazioni per una scelta oculata incontra ostacoli I dati sono forniti dai privati senza un controllo di veridicità da parte del pubblico I dati sono di difficile comprensione a causa di competenze mediche In questo caso i sistemi sanitari alla promozione della libertà di scelta anziché al diritto alla salute OCCULTA IL TEMA DELLE DISUGUAGLIANZE Di SALUTE : i pazienti sono considerati aventi le stesse possibilità di selezionare il servizio migliore
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Rischi I sistemi semi-privati espongono l’insieme delle popolazioni a rischi e incidono sulle categorie più svantaggiate, i dati a livello europeo mostrano che le condizioni di salute sono migliorate in misura più consistente nelle classi sociali superiori, i quali possono ricorrere a servizi sanitari privati laddove la fornitura pubblica sia carente. Disuguaglianze geografiche più marcate d’Europa, (Italia). Nei quasi-mercati è facile che si verifichino forme di discriminazione territoriale (le strutture migliori si concentrano nelle zone più ricche ad alta densità) Aumento della spesa pubblica aumentano il numero di prestazioni, difficile per il pubblico procedere ad un controllo dei costi delle organizzazioni private.
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A livello Europeo si cercano strategie per ovviare alle distorsioni dei quasi-mercati in sanità
Modificare le tariffe Regolamentazione e controllo per obbligare gli ospedali privati a fornire le prestazioni più economiche Sostenere la mobilità dei pazienti più svantaggiati economicamente
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welfare Il caso italiano
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Breve storia dello stato sociale italiano
Prima del 1898 le politiche sociali avevano un carattere «volontario» Passaggio da previdenza volontaria a modello corporativo tedesco Nascita della prima assicurazione contro gli infortuni 1898 1919 obbligo di assicurazione per vecchiaia e invalidità per i dipendenti privati Ventennio fascista: uso politico e clientelare della tecnologia assicurativa Stesura della Costituzione: in termini di politica sociale risentì di un’indecisione tra socialismo e liberismo 1952: creazione della pensione minima per lavoratori che non raggiungono il minimo contributivo 1965: nasce il fondo sociale presso l’INPS e viene introdotta la pensione sociale Fine anni 60 e anni 70 caratterizzati da ampliamenti dei diritti civili e sociali e dall’offerta pubblica di nuovi servizi 1978: la riforma sanitaria prevede un universalismo basato sulla parità di accesso e di trattamento: nonostante questo i giudizi sullo Stato italiano non sono mai stati troppo lusinghieri
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In generale Buona tutela del lavoro regolare, ma completa assenza di misure atte a contrastare la povertà, a sostenere i numerosissimi disoccupati di lungo corso e i milioni di lavoratori in nero. Servizio Sanitario Nazionale giudicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come uno dei migliori al mondo. Tassazione poco progressiva e molto tollerante verso l’evasione fiscale. Prevalenza di trasferimenti monetari a scapito dei servizi. Profonde disuguaglianze sociali tra Nord e Sud del Paese, aggravate da una parallela disparità territoriale nella qualità e quantità dei servizi sociali Rilevante ruolo esercitato dagli enti religiosi Mancanza e di politiche di sostegno alla famiglia
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Caratteristiche del welfare italiano
Particolaristico Largamente appoggiato su culture clientelari Profondamente dualistico Basato principalmente su trasferimenti di reddito piuttosto che su servizi Largamente basato su una cultura familistica, paternalistica e patriarcale
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Crisi del welfare A metà degli anni 80, si diffonde la consapevolezza della crisi del welfare. Non tutti condividono l’idea della necessità di limitare le garanzie assicurative, ma c’era e c’è una denuncia corale contro un sistema di protezione fin troppo generoso verso particolari categorie di soggetti – i dipendenti uomini di aziende o enti di grandi dimensioni, con buona anzianità di servizio e un contratto a tempo indeterminato – ed invece assolutamente avaro nei confronti delle donne, degli immigrati e soprattutto dei giovani. Il principale fattore di crisi risiede, secondo i più, nella generale crisi fiscale dello Stato. Richiesta di ridurre o rendere più efficiente l’impiego delle risorse nel settore dell’assistenza. La connessione tra difficoltà finanziarie e contrazione dei finanziamenti dello stato sociale, è largamente arbitraria, poiché la selezione degli ambiti a cui diminuire il finanziamento ha ovviamente una natura politica Diffusione del neoliberismo considerata da molti una delle concause principali delle trasformazioni in corso
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La burocrazia delle istituzioni pubbliche si è dimostrata incompetente nel fronteggiare i bisogni sociali emergenti in 3 diverse categorie: Demografica: squilibrio tra pensionati e lavoratori attivi insostenibilità del sistema pensionistico Familiare: non è più in grado di fungere da ammortizzatore sociale mette in evidenza le carenze del sostegno pubblico Lavorativa: diffusione del lavoro atipico Un quarto problema che sta emergendo è quello legato ai bisogni derivanti dal fenomeno dell’immigrazione: rinnovare tutti i settori del welfare (soprattutto istruzione e sistema sanitario)
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Diverse proposte di superamento della crisi
Due principali schieramenti: RIDUZIONISTA: proponeva la riduzione del raggio di intervento pubblico, attraverso la diminuzione della spesa sociale, reindirizzata verso le categorie maggiormente a rischio. Il grado di copertura delle assicurazioni sociali pubbliche andrebbe ridotto, per sostituirle con assicurazioni private e fondi pensione. UNIVERSALISTICO: si proponeva di garantire a tutti i cittadini delle prestazioni di base ad alto standard qualitativo e di predisporre interventi mirati per garantire una reale uguaglianza delle opportunità. Lo Stato avrebbe dovuto cooperare con il terzo settore per mettere in comunicazione risorse e competenze diverse. Il welfare mix appariva dunque come l'alternativa migliore alla riduzione dell'offerta di servizi e alla privatizzazione
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Questioni fiscali e di bilancio
La crisi fiscale dello Stato è stimata essere la causa prima dei processi di trasformazione del welfare in tutta Europa. Il principale canale di finanziamento della spesa sociale è la tassazione: nel nostro paese la progressività e l’equità della tassazione è sempre stata inficiata da diversi fattori tra cui la differenziazione del prelievo tra lavoratori dipendenti ed autonomi , le deduzioni fiscali non adeguatamente commisurate al reddito, il contenuto prelievo sulle attività finanziarie, l’evasione e l’elusione fiscale, nonché la costante riduzione delle aliquote Irpef
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Riforme del sistema previdenziale
A partire dagli anni 70, la grande maggioranza degli stati occidentali ha iniziato a modificare i sistemi previdenziali In Italia il sistema previdenziale è a ripartizione Le riforme intervengono su due fattori determinanti: il numero di pensionati e l’importo delle prestazioni: inizia così il trend al continuo aumento degli anni contributivi e del limite di età per accedere al pensionamento In Italia la fase di riforme più importanti c’è stata negli anni 90: riforma Amato (1992) e riforma Dini (1995) quest’ultima determina il passaggio da un sistema retributivo ad uno contributivo
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Le condizioni dei lavoratori atipici
I lavoratori parasubordinati o a progetto hanno degli stipendi inferiori rispetto a quelli dei lavoratori dipendenti. Le aliquote sono cresciute dal 10% al 23%, ma restano comunque molto più basse rispetto ai lavoratori dipendenti (33%). Non percepiscono TFR e sono più esposti alla possibilità di rimanere senza lavoro. Da una simulazione emerge che il lavoratore parasubordinato prende il 44,9% di pensione di un lavoratore dipendente, escluso il TFR; se poi includiamo anche questo, scende al 37%
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Previdenza privata e riforma del TFR
TFR è una somma erogata dal datore di lavoro alla fine del rapporto di lavoro e corrisponde ad una mensilità per ogni anno di lavoro (6,91% della retribuzione) Con la riforma, il lavoratore può rinunciare al TFR per destinarlo alla previdenza integrativadal 2007 vige la regola del “silenzio-assenso”: coloro che entro i sei mesi non dichiarino esplicitamente di voler trattenere il TFR in azienda, vedranno destinati automaticamente tutti i propri versamenti annui ai fondi pensione. I fondi pensione rendono più di un TFR? I fondi non garantiscono più di un TFR a meno che non si rischi. Inoltre, il TFR trattenuto in azienda è rivalutato per una quota pari ai due terzi dell’inflazione. In Italia, si punta tanto alla creazione di un mercato previdenziale e viene ostacolata la possibilità di lasciare il TFR in azienda Si può parlare di privatizzazione del sistema previdenziale? Una parte della pensione è ancora assicurata dall’assicurazione pubblica, ma non è in grado di permettere al pensionato di mantenere uno standard di vita adeguato. La previdenza privata non è complementare, ma sostitutiva, e sarà sempre più così. Il sistema privato però è più costoso e più instabileaffidare la realizzazione di un DIRITTO sociale alle fortune della borsa, significa sostituire il diritto con un’eventualità e spogliare lo stato di ogni responsabilità in merito.
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Dal Colombo.. “Le politiche a difesa del lavoro sono pressoché scomparse [..]. Le riforme si sono appoggiate retoricamente a poche idee che sarebbe una faciloneria definire idiote: la facilità di licenziamento agevolerà le assunzioni; la diminuzione dei diritti dei così detti insider si tradurrà in aumento delle protezioni degli outsiders; la disoccupazione è un problema di formazione della forza lavoro o di mancanza di volontà del singolo disoccupato; l’intermediazione privata tra offerta e domanda di lavoro favorirà la competitività del sistema; la diffusione delle fattispecie di lavoro atipico garantirà la dovuta flessibilità al sistema produttivo. La realtà è che queste modificazioni […] hanno mirato a fare in modo che il singolo lavoratore possa essere sorpreso isolato, senza tutele e senza che possa organizzarsi collettivamente, con gli obiettivi di farne una merce tra le merci, di pagarlo sempre di meno, di potersene sbarazzare con facilità.”
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Welfare mix Il caso italiano
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Welfare mix Compromesso tra gestione completamente pubblica e radicale privatizzazione Sistema integrato che include stato, famiglia e terzo settore Terzo settore costituito da organizzazioni di natura privata, non profit con finalità solidaristiche e di utilità sociale (volontariato, associazioni, cooperative) maggior contatto con la società minor costo del lavoro Forte differenziazione di funzioni e attività: le 20% connesse al welfare rappresentano più del 50% del fatturato totale ed impiegano il 75% del personale (forte polarizzazione economica).
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Legge quadro 328/00 Organizzazione di interventi e servizi affidato agli enti locali Orientamento universalistico Interventi diversificati Rispondere ai bisogni e contrastare la povertà Promuove il coinvolgimento del terzo settore nelle politiche sociali riconoscendogli un ruolo pubblico Disparità territoriali Dipendenza dalla disponibilità di bilancio
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Principi Strumenti Esternalizzazione dei servizi Localizzazione
Integrazione Sussidiarietà Verticale (l’ente sovraordinato ha possibilità di intervento là dove l’ente gerarchicamente inferiore non è in grado di compiere le proprie funzioni) Orizzontale (attività pubbliche vengono svolte da privati –associazioni, volontariato- in forma collaborativa) Accreditamento Esternalizzazione dei servizi Principi Strumenti
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Accreditamento Le strutture private possono accedere ai finanziamenti pubblici se rispettano i criteri stabiliti dalle regioni. Si forma un quasi mercato nel quale possono accedere le strutture sezionate dal pubblico al fine di diversificare l’offerta aumentando la scelta tra i servizi La copertura dei costi varia in base al tipo di servizio e alla regione (es. accreditamento formale della Lombardia)
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Esternalizzazione I servizi vengono affidati al privato sociale mediante convenzioni o appalti È lo strumento più utilizzato per ragioni economiche (più snelle, regimi fiscali agevolati, volontariato, contratti vantaggiosi per le organizzazioni) e perché garanzia di miglior qualità del servizio (innovatività, attenzione al bisogno) Gestione imprenditoriale maggiore efficienza nei servizi Forte legame con il territorio maggior conoscenza della realtà Maggior flessibilità diversificazione delle competenze
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Evoluzioni nel tempo Anni 80 Totale autonomia del non profit nella definizione delle prestazioni (finanziamenti avvenivano senza particolari controlli) Anni 90 Introduzione di meccanismi concorrenziali al fine di garantire maggior efficacia, efficienza e trasparenza dei servizi Principio del massimo ribasso Fine anni 90 Viene vietato il criterio del massimo ribasso (criteri qualitativi, ma aggiramento dei vincoli) Anni 2000 Stabilizzazione del modello del welfare mix con costante aumento della spesa nazionale a favore delle politiche sociali
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Nel 2008 con la legge finanziaria i fondi si riducono drasticamente
aumenta il numero dei cittadini che non riescono ad accedere ai servizi pubblici (innalzamento soglia di accesso o quota di partecipazione) aumenta il numero dei servizi pubblici affidati al terzo settore ritorna il principio del massimo ribasso Nel 2011 La commissione europea, attraverso la ‘’Social Business Initiative’’, promuove la creazione di un clima favorevole all’investimento sociale facilitando il dialogo tra logiche profit e non profit con politiche favorevoli all’economia sociale L’Italia propone la qualifica di ‘‘impresa sociale’’ a tutte le cooperative sociali e la partecipazione del terzo settore alla programmazione delle politiche
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Finalità del welfare mix
Superare la classica standardizzazione personalizzando l’intervento Creare collaborazione tra competenze diverse Affrontare i problemi in maniera più efficace Promuove la solidarietà e stimolare la creazione di tessuto sociale Rendere i cittadini maggiormente partecipi alle decisioni che li riguardano
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Il welfare mix ha diversificato e migliorato la qualità dei servizi?
maggior contenimento di costi maggior adattabilità alla domanda livello di innovazione più alto rispetto al pubblico. I dipendenti risultano più motivati e maggiormente coinvolti .(Borzaga) Struttura salariale più equa Divieto di distribuzione degli utili Alta soddisfazione lavorativa Struttura gerarchica più snella Donazioni di lavoro maggior flessibilità di orario più alta probabilità di adattamento alle esigenze dell’utenza elevato ricambio di personale minaccia alla continuità del servizio presenza di criteri restrittivi in merito alla qualità dei servizi standardizzazione degli stessi
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Ha aumentato la quantità dei servizi?
Il terzo settore ha complessivamente permesso un aumento dell’offerta di servizi. Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento dei salari anche in campo del non profit. Se si vuole mantenere la stessa offerta ricorrere o a maggiori finanziamenti da parte dei privati un uso più elevato del volontariato formazione di un mercato privato nel quale i più abbienti decidono a chi rivolgersi
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Ha offerto adeguata risposta ai nuovi bisogni?
Diminuzione del tasso di disoccupazione (lavoratori comunque poco tutelati) Diminuzione del numero dei servizi semi gratuiti
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È riuscito a coinvolgere i cittadini nelle scelte politiche?
Tendenza di queste organizzazioni a rappresentare se stesse Stabilire quale sia un bene pubblico è una scelta politica sarebbe necessario che i cittadini fossero realmente interessati ad osservare e comprendere i contenuti dei tavoli decisionali e che avessero il diritto di poter influire sulle scelte
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Conseguenze PRIVATIZZAZIONE dello stato sia come trasferimento di proprietà che come individualizzazione del rischio sociale Mercificazione del benessere sociale Minaccia all’universalismo (protezioni sociali discrezionali) Accentuazione di disuguaglianze sociali Non esito dell’organizzazione sociale ma del malfunzionamento del singolo (es. metodo contributivo e previdenza privata) Effetti privatistici potrebbero essere evitati tramite collaborazione basata su mutuo impegno e fiducia tra le parti (consapevolezza della rispettiva competenza e buona fede) Contenimento costi di monitoraggio e valutazione Aumento della discrezionalità dell’ente pubblico Più probabili pratiche clientelari, meno libertà progettuale del privato sociale
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Polarizzazione economica nel terzo settore le cooperative più grandi assumono caratteristiche del mondo for profit, quelle più piccole vengono marginalizzate dal mercato sociale Ad oggi la popolazione risulta divisa tra chi è escluso dai diritti sociali e coloro ai quali sono destinati gli interventi residuali In linea teorica si potrebbero prospettare due scenari possibili: Utopia smart logiche profit e non profit si fondono, i cittadini partecipano alla progettazione e implementazione di un welfare che genera sia benessere sociale che profitto economico Paradigma coloniale i grandi enti del terzo settore continuano a fornire i servizi alle fasce più povere che, sempre più marginalizzate e considerate diverse, vengono gestite con modelli simili a quello coloniale ovvero in maniera massificata e impersonale
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Grazie per l’attenzione
Applausi
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Bibliografia Ascoli U. (a cura di Sorba C.) Le caratteristiche fondamentali del Welfare State italiano Colombo D. (2013) Neoliberismo e Stato Sociale, Aracne, Roma Conti F., Silei G. (2005), Breve storia dello Stato Sociale, Carocci, Roma Kazepov Y., Carbone D. (2007) Che cos’è il Welfare State, Carocci, Roma Locatelli M.E (2010), Welfare S.p.a., pp , Tesi di Laurea Moini G. (2015) (a cura di), Neoliberismo e azione pubblica, Ediesse, pp Saraceno C., (2013), Il Welfare, Il Mulino, Bologna
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