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Federico II e la scuola poetica siciliana

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Presentazione sul tema: "Federico II e la scuola poetica siciliana"— Transcript della presentazione:

1 Federico II e la scuola poetica siciliana

2 La Fondazione La denominazione di Scuola poetica siciliana, che possiamo far risalire a Dante (De vulgari eloquentiae I, XII, 4), indica un movimento letterario che durante la prima metà del XIII secolo diede luogo a una vasta produzione lirica in volgare, grazie alla spinta culturale di Federico II e dei suoi figli, specialmente Manfredi. Nominato imperatore nel 1220, Federico creò, in opposizione a quello della Chiesa, un ambiente culturale laico e raffinato, che aveva nello studio del latino, lingua delle cancellerie e degli affari internazionali, e delle scienze naturalistiche i suoi punti di forza. Favorì lo sviluppo di grandiose istituzioni culturali, come la scuola di Capua, l’università di Napoli e la scuola di medicina di Salerno. Nella formazione personale dell’Imperatore e dunque della sua corte, la poesia rivestiva un ruolo di prim’ordine; essa era l’espressione di un’élite che doveva disegnare ed esibire il proprio prestigio.

3 La Fondazione Alla corte siciliana, "Magna Curia", convenivano gli ingegni migliori del regno di Sicilia e di altre regioni della penisola. Italiani, normanni, arabi, senza discriminazioni di razza o di fede religiosa, collaboravano allo sviluppo d'una cultura scientifica e filosofica, libera e, soprattutto come si è prima detto, laica. Quando Federico giunse in Italia, lo accompagnarono alcuni trovatori, compositori ed esecutori di poesia lirica occitana (ovvero di testi poetici e melodie) che utilizzavano la lingua d'oc. L’imperatore, che già conosceva il tedesco, il francese, il latino e stava imparando il greco e l’arabo, si impegnò a promuovere il sorgere di una produzione poetica ispirata ai modelli provenzali, ma scritta in volgare siciliano. Questo fatto è di capitale importanza, perché segna la nascita di una poesia d’arte in volgare italiano.

4 Una Koinè Stilistica E Tematica
Tutti questi poeti sono in primis dei funzionari dello Stato, notai o giudici o magistrati, e per loro l’attività poetica rappresenta uno svago, un’evasione dalla realtà. A differenza dei trovatori, non sono poeti professionisti, e la diversa situazione politico-sociale in cui si trovano a operare ha importanti ricadute stilistiche e tematiche sulla loro produzione.  La nuova figura del poeta-funzionario si trova ad agire nello spazio plasmato dal potere assoluto dell’Imperatore. Non c’è spazio per la variazione tematica propria della lirica trobadorica; nessuna discesa in campo politico o morale è lecita ai Siciliani.

5 Una Koinè Stilistica E Tematica
Possiamo individuare tre mutamenti fondamentali, che ci permettono di cogliere le peculiarità della letteratura dei funzionari di Federico: 1. La realtà della corte, non più quella del feudo, spiega perché la poesia della Scuola si concentri più sull’amore in quanto tale, che sul rapporto di vassallaggio fra amante e donna amata;   2. La poesia si allontana dalla cronaca, e si fa più astratta, più intellettuale. I tòpoi trobadorici, che comunque permangono, subiscono un processo di ulteriore stilizzazione; 3. Il fulcro lirico è costituito da una meditazione sulla natura e sugli effetti dell’amore. Ciò comporta uno spostamento verso l’interiorità del poeta, e una tendenza ad analizzare l’esperienza d’amore intellettualizzata, sotto la lente delle scienze naturalistiche, con accostamenti al mondo animale e vegetale.

6 Una Koinè Stilistica E Tematica
La donna è rappresentata con caratteri tipici astratti: bella, spesso inaccessibile, dotata di finezza d'educazione e di costume cortese e, quindi, capace di nobile amore. È spesso paragonata alla rosa profumata o ad una stella luminosa: l'amante con lei ha un rapporto di vassallaggio cavalleresco, tiene chiuso, in sé, il suo amore, salvo esaltarlo poeticamente come sentimento nobilitante e gioia incomparabile. Da questi temi nascono svolgimenti obbligati, seri e veri propri "generi" lirici: lamenti di un amore lontano, profferte d'amore e lodi per la donna, esaltazione d'amore, lamenti d'amore infelice, discorsi sull'origine dell'amore e così via. Dunque un repertorio limitato e fisso, attento a delineare non una storia o una particolare vicenda, bensì gli aspetti della psicologia amorosa. L'amore diviene la forma in cui s'esprime un modello di vita sociale fine e signorile per i poeti della Magna Curia, che tendono tutti ad atteggiare la propria esperienza amorosa in un rituale di gesti perfetti per esprimere la loro eleganza e aristocrazia: la poesia è, pertanto, un "elegante ragionar d'amore", una celebrazione perfetta della donna da amare.

7 Lingua E Stile A questo processo di rarefazione tematica, corrisponde una speculare cristallizzazione stilistica. Innanzitutto, è utile ricordare che la scrittura e spesso anche la fruizione della poesia si separano dalla composizione musicale, generando una letteratura destinata in primo luogo alla lettura. La lingua subisce un accurato processo di selezione lessicale: forme colte e ricercate, ricalcate sul latino e sul linguaggio dei trovatori, si fondono con il siciliano, epurato dagli elementi più bassi, componendo il ricco mosaico di un volgare illustre. Caratteristico del repertorio espressivo dei Siciliani è l’utilizzo di allotropi (variante formale sincronica di un’altra parola) e dittologie sinonimiche (giustapposizione di due sinonimi).

8 Lingua E Stile Eleganza retorica, raffinatezza compositiva e una rigorosa selezione metrica, condotta sui modelli provenzali, creano il canone per tutta la letteratura italiana successiva. Le strutture metriche più importanti sono: La canzone: lo schema metrico fondamentale della Scuola. È la forma più nobile. Composta di endecasillabi e settenari; La canzonetta: dotata di un ritmo più semplice, composta di settenari, doppi settenari, ma anche ottonari e novenari, è adatta anche a temi più leggeri. La sua struttura è dialogica e narrativa; Il sonetto: la forma italiana per eccellenza. L’ideazione del sonetto è attribuita a Giacomo da Lentini.

9 Gli Esponenti Giacomo da Lentini
Detto il Notaro per antonomasia, nacque a Lentini, nella Sicilia orientale, probabilmente tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo. La sua produzione poetica è di straordinario rilievo nell'ambito della letteratura delle origini. Ebbe una formazione culturale di carattere giuridico, come attestano indirettamente anche i manoscritti poetici, che tramandano il suo nome nella forma Notaro Giacomo. È lecito supporre che abbia frequentato l'Università di Napoli fondata da Federico II di Svevia nel 1224. Emerge comunque dalle rime una preparazione solida nel campo della retorica e delle arti liberali in genere, oltre ai più specifici interessi letterari. Fu al servizio dell'imperatore svevo in qualità di notaio e scriba. Tale attività è testimoniata da alcuni documenti scritti di suo pugno, o da lui firmati, concentrati nel complesso in due soli anni, il 1233 e il 1240.

10 Gli Esponenti Giacomo da Lentini
Il servizio più prezioso reso da Giacomo all'imperatore resta comunque la sua produzione poetica, che si iscrive interamente all'interno del progetto federiciano di dar vita a una lirica d'ispirazione laica e in lingua volgare che desse lustro allo Stato e al tempo stesso ne fosse il simbolo riconoscibile. La laicità, segno dell'indipendenza dello Stato dalla Chiesa, si tradusse nella trattazione esclusiva di tematiche d'amore, essendo fuori luogo discussioni politiche in una lirica promossa da un potere assoluto. La scelta del volgare - il siciliano illustre - non fu compiuta solo a scapito del latino, ma anche e soprattutto in opposizione al provenzale dei trovatori, al francese antico dei trovieri e al medioalto tedesco dei Minnesänger, cioè alle lingue della lirica europea contemporanea che pure fornì ai poeti federiciani il modello di riferimento.

11 Madonna, dir vo voglio di Giacomo da Lentini
v.1: vo ‘vi’ da vos latino, questa forma è senza dubbio centromeridionale; v.2: como per come, normale nell’italiano antico (dal latino quomo[do]), potrebbe comunque nascondere il siciliano tipico comu; v.3: Provenzale è invece l’origine di inver’ nel senso ‘in contrasto con, contrastando’; orgoglio, con significato diverso rispetto a oggi, che, ricalcando il provenzale orgoglh, anche nel significato specializzato della lirica d’amore, qui vale ‘superbo e ostentato disdegno amoroso’; v.13: cui ‘che’ complemento oggetto: questo cui, caratteristico dell’italiano antico, si manterrà a lungo, fossilizzato, nella tradizione poetica italiana; v.15: sdegnare inteso come ‘rifiutare’; v.16: amistate ricalca nel significato il provenzale amistat ‘legame amoroso’. 1 Madonna, dir vo voglio 2 como l’amor m’ha priso 3 inver’ lo grande orgoglio 4 che voi, bella, mostrate, e no m’aita. 5 Oi lasso, lo meo core, 6 che ’n tante pene è miso 7 che vive quando more 8 per bene amare, e teneselo a vita. 9 Donqua mor’e viv’eo? 10 No; ma lo core meo 11 more più spesso e forte 12 che no faria di morte - naturale 13 per voi, donna, cui ama 14 più che se stesso brama 15 e voi pur lo sdegnate: 16 amor, vostr’amistate - vidi male. Per quanto riguarda lo stile, si noti la studiata e raffinata ripercussione di parole chiave legate da particolari relazioni di suono e senso, come il poliptoto in vive, vita, viv(’eo); la paranomasia in more, amare, mor’, core, more (con un’unica minima variazione vocalica in /ar/ di amare). Il ricorso a iterazioni e dittologie è il meccanismo principe attraverso cui si sottolineano i concetti centralità. Come per esempio la centralità del trinomio amore -vita – morte, sottolineata dall’insistenza di vocaboli corrispondenti (v.2 amor – v.8 amare - v.13 ama – v.16 amor – v.7 more – v.9 moro – v.11 more – v.12 morte – v.7 vive – v.8 vita).

12 Gli Esponenti Stefano Protonotaro
Persino il nome di questo rimatore è di problematico accertamento. Intanto parrebbe che esso vada rettificato in "di Protonotaro": non un cognome o una qualifica politico-professionale, ma un patronimico o un predicato dinastico. Classificato da Contini tra i migliori rimatori siciliani, Stefano è autore di tre notevoli canzoni: Assai cretti celare, Assai mi placeria e Pir meu cori allegrari. Di tutti i componimenti appartenenti alla Scuola Siciliana quello di Protonotaro è l'unico ad esserci pervenuto interamente in lingua siciliana dal momento che le rime della scuola, a causa della grande diffusione che ebbero nel resto della penisola, ci sono giunte in codici toscani. La canzonetta di Protonotaro ci è giunta attraverso un filologo del Cinquecento, Giovanni Maria Barbieri, che la copiò da un codice che andò in seguito perduto.

13 Gli Esponenti Stefano Protonotaro
Se Assai cretti e Assai mi placeria si inquadrano, tecnicamente, entro le coordinate più diffuse della formalizzazione siciliana (stanze singulars, collegamenti vari tra le strofe, ecc.), più singolare risulta la struttura di Pir meu cori allegrari (non 'per rallegrare il mio cuore', ma 'poiché il mio cuore è allegro’): stanze unissonans, ovvero le rime si ripetono uguali in ogni stanza, come in alcune rime del Notaro; presenza addirittura di un congedo che riprende lo schema della sirma (il che ha fatto pensare a un rimatore tardo, postfedericiano, influenzato forse dalle iniziative di Guittone con il quale è possibile peraltro stabilire altre non banali connessioni); tendenza a rompere la corrispondenza ritmo-sintassi non solo al confine tra fronte e sirma, ma persino tra le stanze.  La canzone contiene tutti gli elementi propri della lirica amorosa di derivazione provenzale, con il lamento del poeta che soffre a causa dell'amore non corrisposto dalla dama e la sua devozione e assoluta fedeltà alla donna, mentre interessante è il paragone tra Stefano che ammira la bellezza di lei e la tigre che, secondo i bestiari medievali, ammirava la propria immagine riflessa allo specchio scordandosi di tutto il resto. 

14 Pir meu cori alligrari di Giacomo da Lentini
Linguisticamente nella canzone troviamo un gran numero di francesismi e provenzalismi. L'influenza dei trovatori e dei trovieri su tutta la poesia dell'epoca, del resto, è cosa nota e inoltre il francese era lingua parlata alla corte di Federico II. Sono generalmente francesismi, per esempio, tutte le parole che terminano in -anza (alligranza, dimuranza, dimustranza ecc.) e in -aggio. Ma mentre il suffisso -aggio è sicuramente francese (dal latino -aticum, viaticum > viaggio, omaticum > omaggio), per quanto riguarda i suffissi -anza e -enza c'è anche la possibilità di una diretta derivazione latina (sperantia > speranza). v.10 ben di’ cantari e mustrari alligranza,  v.11 ca senza dimustranza  v.22 e di billizzi cutant’abundanza  v.23 chi illu m’è pir simblanza,

15 Pir meu cori alligrari di Giacomo da Lentini
Lessicalmente vale la pena notare: - v.20 placiri: è usato in modo leggermente diverso dal nostro piacere, essendo più associato all'idea della bellezza; è il piacere di Paolo che farà innamorare Francesca, e questo spiega perché in italiano piacere è un verbo il cui soggetto non è l'amante ma l'amato; - v.21 preju: pregio, termine largamente impiegato nella lirica provenzale, deriva dal latino pretium, che dà in italiano il doppio esito pregio e prezzo; il significato antico di pregio è relativo al valore morale e intellettuale, e anche a quello della considerazione sociale; - v.25 miraturi: nella lirica siciliana la parola specchio è resa dai due termini speglio (francesismo) e miratore (provenzalismo). Stefano usa miraturi nella seconda stanza e speclu nella terza; - v.29 li pari: il verbo parere, come del resto oggi in tutti i dialetti italiani, era estremamente più diffuso del verbo sembrare. Probabilmente ci arriva dal provenzale semblare. Stranamente non ha subito la normale evoluzione delle parole con nesso -bl- (del resto diciamo sembiante e non sembrante o semblante). Questa evoluzione di -bl- in -br- fa pensare proprio a un provenzalismo introdotto dai siciliani.

16 Gli Esponenti Odo delle Colonne
Fu quasi certamente membro del gruppo dei funzionari-poeti della corte federiciana, forse parente del più famoso Guido; le poche notizie trasmesseci traccia scarnamente il profilo di un personaggio di rango sociale medio-alto, forse ascrivibile al ceto intellettuale messinese Di lui ci restano due opere, due canzoni Oi lassa 'nnamorata (di attribuzione incerta) e Distretto core e amoruso[ (unica di sicura attribuzione), si avvicinano molto al canto popolare, pur mantenendo un carattere aulico: si tratta di due lamenti di tema amoroso.

17 Il Manoscritto Vaticano 3793
Il manoscritto Vaticano Latino 3793 (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Vat. Lat. 3793 = V), è una raccolta (canzoniere) di poeti italiani del Duecento. Esso tramanda l'antologia di gran lunga più cospicua (un migliaio di testi, per centottantotto fogli), fondamentale per il nucleo propriamente siciliano, e dispone i componimenti in una successione che configura un percorso cronologicamente e storiograficamente orientato. La grandiosità e insieme la linearità della raccolta vaticana la rendono il testimone principale della poesia siciliana: anzi, in mancanza di documentazione esterna, la composizione dei suoi tre fascicoli iniziali costituisce tuttora di fatto il criterio principale per l'assegnazione di un autore o di un testo a quella più antica fase della poesia italiana: è fondamentale insomma per la definizione del canone della cosiddetta 'Scuola', come anche per la decisione circa le attribuzioni discusse.

18 Il Manoscritto Vaticano 3793
Le figure più rappresentate, ad apertura di fascicolo, sono il "Notaro Giacomo" da Lentini, Guido delle Colonne, Odo delle Colonne, Rinaldo d'Aquino, Stefano Protonotaro, Federico II, Giacomino Pugliese (preceduto e seguito da testi adespoti), re Enzo. L'importanza capitale di Vaticano 3793 risulta anche dalla frequenza dei componimenti in attestazione unica, più d'una cinquantina di canzoni, comprese le molte anonime che chiudono ciascun fascicolo, e abbondano nel quarto: di assoluto rilievo, ad esempio, il testo che apre eccezionalmente il fascicolo, quel celebre "contrasto" (Rosa fresca aulentissima) che documenta un filone comico-parodistico altrimenti ignoto in ambito siciliano, e che, nel Cinquecento, l'umanista Angelo Colocci attribuì a un "Cielo d'Alcamo". La raccolta è divisa in due parti: la prima comprende solo canzoni (137), la seconda sonetti (670). Nell'ordinamento del progetto, nella struttura e nell'ordine degli autori, presumibilmente dovuti allo scriba che copiò la maggior parte dei testi, è stato da più critici ravvisato un preciso disegno storiografico che traccia l'evoluzione della lirica volgare italiana dalla cosiddetta Scuola siciliana, attraverso i poeti Siculo-toscani, fino a Dante e al cosiddetto Amico di Dante.

19 Federico II Federico II non fu solo un mecenate, ma egli stesso si cimentò in un'opera letteraria: De arte venandi cum avibus. La traduzione letterale del titolo di quest'opera di Federico II è: "L'arte di cacciare con gli uccelli", e di essa molte copie, illustrate nel XIII e XIV secolo, ancora sopravvivono. È un trattato diviso in sei libri, conservato alla Biblioteca Vaticana (ms. R, Palatino Latino, 1071, di cui però giunti a noi sopravvivono due libri. È un codice di 111 fogli, recto e verso, pergamenacei. La rilevanza di questo testo risiede nel fatto che è testimone della cultura naturalistica della corte federiciana, del desiderio di misurarsi con una disciplina teorica e pratica, e del latino perfetto con cui è scritto, con l’introduzione di termini da lui coniati quando non ve n’erano per descrivere esattamente il caso preso in questione. La differenza con i Bestiari è notevole: qui la descrizione con gli animali, sia reali che fantastici, aveva un chiaro intento simbolico e allegorico. Il De arte invece richiama fedelmente tutta la vastità del mondo ornitologico.


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