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La riforma elettorale del 1918-1919
Con legge del 16 dicembre 1918 viene introdotto il suffragio universale maschile (votavano tutti coloro che avessero compiuto 21 anni, oltre agli ex mobilitati) e con altra legge, del 15 agosto 1919, viene modificato il sistema elettorale (da maggioritario a proporzionale, con voto di preferenza). Alle elezioni del 16 novembre 1919 vota il 56 per cento degli aventi diritto (il 27 per cento della popolazione) e il «partito della maggioranza» crolla da 310 seggi a 179; i socialisti ne ottengono 156 e i popolari 100. Il 15 maggio 1921 i fascisti si presentano nel «blocco nazionale» e ottengono 35 seggi, parti al 7 per cento del totale.
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Il fascismo al potere Il 16 novembre 1922, dopo la marcia su Roma, Mussolini si presenta alla Camera e chiede, come i suoi predecessori, pieni poteri fino al 31 dicembre 1923 per: riorganizzare i pubblici uffici e istituti, renderne più agili le funzioni e diminuire le spese; riordinare e semplificare il sistema tributario. Per attuare i «pieni poteri» il governo del re ha la facoltà di emanare disposizioni aventi vigore di legge, senza l’approvazione del Parlamento. I provvedimenti adottati saranno alcune migliaia. Nel 1923 viene approvata una nuova legge elettorale, la legge Acerbo, che elimina, di fatto, il sistema proporzionale fissando un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi per la lista che ottiene più del 25 per cento.
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La dittatura Le principali trasformazioni sono:
il rafforzamento del potere esecutivo, che viene svincolato dalla sua base parlamentare, mentre assume rilievo il ruolo del Presidente del Consiglio; l’indebolimento delle prerogative del Parlamento, in particolare delle funzioni di indirizzo e di controllo politico sull’operato del Governo; l’integrazione delle strutture militari e politiche fasciste nell’apparato statale; la riduzione del pluralismo politico per imporre il partito unico (PNF); l’eliminazione delle libertà costituzionali come quelle di stampa, di associazione e di sciopero.
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Il rafforzamento dell’esecutivo
Il punto di partenza per la trasformazione dello Stato liberale sono le leggi del , dette «fascistissime», ispirate dal giurista Alfredo Rocco. Il capo del Governo viene reso responsabile di fronte al re e non più di fronte al Parlamento. Il Parlamento non ha più il potere di discutere alcuna legge senza il preventivo consenso del Governo. Il processo di svuotamento dello Statuto e di fascistizzazione dello Stato termina nel 1939, quando la Camera dei Deputati viene sostituita con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
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Le leggi «fascistissime»
Le disposizioni più politiche sono: la legge n del 1925 sulle associazioni, che hanno l’obbligo di consegnare statuti, atti costitutivi, regolamenti interni ed elenchi di soci e di dirigenti; la legge n del 1925 sull’epurazione, che prevede l’allontanamento del servizio di tutti i funzionari pubblici che rifiutano di prestare giuramento di fedeltà al regime. Il decreto del 6 novembre 1926 consente la definitiva soppressione di ogni partito e la decadenza dei deputati «aventiniani».
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Le modifiche istituzionali
Con la legge del 24 dicembre 1925 il capo del Governo diventa Primo Ministro Segretario di Stato, ottenendo la supremazia sugli altri Ministri, i quali possono essere sfiduciati sia dal Re che dal Primo Ministro; inoltre, è nominato e revocato dal Re, facendo venir meno il rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo. Con legge del 31 gennaio 1926 viene attribuita al Governo la facoltà di emanare norme giuridiche. La legge 4 febbraio 1926 modifica l’ordinamento municipale, eliminando il consiglio comunale (elettivo dal 1848),e il sindaco (elettivo dal 1890). Al sindaco subentra il podestà, nominato con decreto reale per 5 anni, che esercita le funzioni del sindaco, della giunta e del consiglio comunale. Parallelamente a quanto avviene in altri Stati europei ed extraeuropei, si assiste a una grande espansione degli apparati statali e parastatali (CNR, ISTAT, Monopoli e Poligrafico di Stato, EIAR, CONI, e così via) e del sistema previdenziale e assistenziale (INPS, INAIL).
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L’evoluzione totalitaria
A partire dal 1928 gli elementi chiave che determinano l’evoluzione totalitaria sono: l’istituzionalizzazione del Gran Consiglio del Fascismo, che diventa organo costituzionale con la legge 9 dicembre 1928 (in precedenza era organo di partito); la riforma della rappresentanza politica (1928) con la quale il numero complessivo dei deputati viene ridotto a 400, da eleggere in un unico collegio nazionale. La presentazione delle candidature era di competenza di due gruppi: confederazione nazionale del sindacato fascista; associazioni culturali di importanza nazionale abilitate da un regio decreto; soppressione della Camera dei deputati e istituzionalizzazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni (7 ottobre 1938).
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