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SOCRATE
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SOCRATE
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IRONIA Il termine “ironia” (dal gr. eironéia, “simulazione” o “dissimulazione”) in filosofia designa l’aspetto critico-demolitorio dell’interrogare socratico, che consiste nel “fingersi” ignoranti rispetto all’interlocutore, onde confutare meglio le sue certezze prefabbricate. Come tale, l’ironia non è fine a se stessa, ma rappresenta il metodo usato da Socrate per svelare all’uomo la sua ignoranza e per gettarlo in quella situazione di dubbio e di inquietudine, dalla quale soltanto può nascere la ricerca.
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Platone - Repubblica L’ironia socratica
(Repubblica, I, 336c - 337a, trad. it. di R. Radice e G. Reale, Bompiani, Milano 2009) Nel I libro della Repubblica di Platone, Socrate rievoca una discussione avuta tempo prima con alcuni amici sul tema della giustizia. Come suo solito, il filosofo ha cominciato a porre domande ai propri interlocutori, ma all’improvviso il sofista Trasimaco irrompe violentemente, rimproverando a Socrate l’uso dell’ironia.
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«Che razza di chiacchiere ormai da tempo vi impegnano, o Socrate
«Che razza di chiacchiere ormai da tempo vi impegnano, o Socrate? E quali ridicoli complimenti vi scambiate a vicenda? Se davvero vuoi sapere che cos’è il giusto, non basta chiedere per il gusto di confutar le risposte, perché lo sai bene, è più facile porre quesiti che dare soluzioni. Piuttosto, dalle tu queste risposte e dicci una buona volta che cosa intendi per giusto. E bada bene di non rispondermi che il giusto è il dovere, o l’utile, o il vantaggioso, o il redditizio, o ciò che giova, ma nel parlare sii chiaro e preciso, perché sciocchezze di tal genere da te non sono disposto ad accettarne».
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Io, per la verità, ad ascoltarlo rimasi scosso, e a vederlo addirittura impaurito; e direi anzi che se non l’avessi visto per primo, e fosse stato lui a sorprendermi, avrei perso la parola. Fortuna volle che fui io il primo a mettergli gli occhi addosso non appena per via del nostro discorso incominciava a dare in smanie. Per questo ebbi ancora il coraggio di rispondergli, se pure parlandogli con voce tremante:
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«O Trasimaco, non avercela con noi; se io e il mio amico [Polemarco, fratello dell’oratore Lisia, con cui Socrate stava discutendo] in qualcosa abbiamo sbagliato nell’argomentare il nostro discorso, sappi bene che non l’abbiamo fatto volontariamente. Tu certo non ci crederai, ma se fossimo alla ricerca dell’oro non saremmo disposti a scambiarci fra noi insulsi complimenti col rischio di compromettere la ricerca; figurati un po’ trattandosi della giustizia, che vale ben più di molti ori, se staremmo qui a farci assurde cerimonie, anziché impegnarci al massimo per far luce su di essa.
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Credici, amico, la verità è che noi non ne abbiamo la capacità; e per questo, da uomini del nostro calibro è bene che noi si abbia compassione, piuttosto che malanimo». Udito ciò egli scoppiò in una risata sarcastica e se ne uscì con queste parole: «Per Eracle! Eccoci come al solito alle prese con la famosa ironia socratica. Ma già lo sapevo e l’avevo pur anticipato a questa gente che tu ti saresti rifiutato di rispondere, avresti assunto la maschera dell’ironia, facendo di tutto pur di non dare risposte a chi te le avesse chieste».
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