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Diritti e giustizia dall’Unità d’Italia alla Seconda guerra mondiale

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Presentazione sul tema: "Diritti e giustizia dall’Unità d’Italia alla Seconda guerra mondiale"— Transcript della presentazione:

1 Diritti e giustizia dall’Unità d’Italia alla Seconda guerra mondiale
Il Regno d’Italia nasce nel 1861 grazie: a una favorevole congiuntura nelle relazioni europee alla spinta espansionistica del Regno di Sardegna alla debolezza politica dei governi degli altri piccoli stati italiani All’azione dei movimenti liberali, democratici (Garibaldi, Mazzini) e nazionali presenti nei diversi centri della penisola italiana

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3 2. La dittatura fascista (1922-1945)
La storia d’Italia si può dividere In tre periodi: 1. L’Italia liberale ( ) 2. La dittatura fascista ( ) 3. La Repubblica italiana democratica (1946-)

4 L’Italia liberale: Il conte di Cavour

5 L’Italia liberale: Giovanni Giolitti, per 5 volte presidente del consiglio fra il 1892 e il 1921

6 La dittatura fascista

7 2giugno 1946: L’Italia democratica

8 La classe dirigente dell’Italia liberale era costituita da grandi proprietari terrieri,
banchieri, pochi grandi industriali. Loro obiettivi: 1) mantenere unito e indipendente il nuovo Regno d’Italia, 2) risanarne le finanze che si trovavano in condizioni assai difficili, 3) tenere sotto controllo i ceti popolari, formati soprattutto da contadini poveri, artigiani e ancora pochi operai e, sul piano politico, 4) reprimere socialisti, anarchici e clericali, definiti sovversivi. G li analfabeti, nelle regioni meridionali, costituivano il 70-80% della popolazione. Lo Stato nato nel 1861 era uno stato costituzionale. Le leggi e la costituzione (che allora si chiamava Statuto del Regno) erano quelle della Stato piemontese, cioè del Regno di Sardegna, che era stato protagonista dell’unificazione nazionale. Quella classe dirigente molto ristretta si dedicò poco alla cura dei diritti individuali e di creare una maggiore equità sociale.

9 I DIRITTI UMANI. Le quattro generazioni dei diritti umani
La storia ci mostra che la definizione della categoria “diritti umani” è stata, ed è, in continua evoluzione, e proprio per- ché i diritti umani sono storici, si sono individuate diverse genera- zioni di diritti, come risposta a diversi bisogni in differenti epoche, che possiamo così schematizzare: PRIMA GENERAZIONE: definizione dei diritti civili e politici; SECONDA GENERAZIONE: definizione dei diritti economici, sociali e culturali; TERZA GENERAZIONE: definizione dei diritti di solidarietà; QUARTA GENERAZIONE: definizione di nuovi diritti legati al ri- spetto dell’uomo nel contesto della nascita di nuove tecnologie (come internet o i sistemi di manipolazione genetica

10 La prima generazione di diritti umani, quelli civili e politici, prese corpo, seppure limitatamente ad alcuni paesi, nella seconda metà del Settecento: si tratta di diritti individuali che consistono in libertà e richiedono da parte degli altri e dello Stato obblighi puramente negativi, di astenersi cioè da determinati comportamenti. I diritti civili sono infatti quelli che tutelano la persona, la libertà di pensare e di agire, quindi riguardano la sfera privata di ciascun individuo e pongono dei limiti ai poteri dello Stato nei confronti dei cittadini. I diritti politici, invece, sono quelli che consentono la partecipazione alla vita politica del Paese, quindi riguardano il cittadino nella sua sfera pubblica: in particolare, sono il diritto a votare e ad essere votato, la libertà di pensiero e di riunione, la possibilità di accedere alle cariche pubbliche.

11 IL DIRITTO DI VOTO - 1848: la legge elettorale emanata da Carlo Alberto per il Regno di Sardegna e modificata in modo marginale nel 1859, garantiva il diritto di voto esclusivamente agli uomini con più di 25 anni d’età, che sapessero leggere e scrivere e che pagassero 40 lire di imposta diretta. - Avevano inoltre diritto di voto i magistrati, i professori, gli ufficiali. Nel 1871, in Italia, gli elettori erano appena l’1,98% della popolazione. - Erano esclusi dal voto nelle campagne tutti i giornalieri e quasi tutti i piccoli proprietari, mezzadri e fittavoli, e nelle città tutti gli operai, quasi tutti gli artigiani e lo strato inferiore delle classi intellettuali.

12 - 1882: La sinistra liberale salita al potere nel 1876 estese il diritto di voto ai cittadini che avessero compiuto 21 anni o che avessero superato con buon esito i primi due anni della scuola elementare. - Alle elezioni del 1886 il corpo elettorale arrivò al 9,8%, ma dato il dislivello di analfabetismo tra Nord e Sud, nel 1890 gli elettori erano 10,4% della popolazione dell’Italia settentrionale, l’8,2 dell’Italia centrale, il 7,7 dell’Italia meridionale e il 7,6 delle isole. - Crebbe l’influenza politica delle città, meglio provviste di scuole elementari in confronto a quella delle campagne. Crebbe il peso del Nord più scolarizzato rispetto al Sud analfabeta.

13 1912: suffragio universale maschile
1912: suffragio universale maschile. L’elettorato attivo fu esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 30 anni senza alcun requisito di censo né di istruzione, 
Il corpo elettorale costituiva il 23,2% della popolazione. Questa legge rimase in vigore solo per una legislatura e fu sostituita nel 1919, in un contesto profondamente mutato dalla prima guerra mondiale. L’indennità parlamentare Un’ importante novità introdotta dal Testo unico del 1913 è costituita dalle indennità parlamentari, vale a dire un compenso economico legato all’attività di deputato. L’introduzione delle indennità consentì anche a coloro che facevano parte dei ceti meno abbienti di candidarsi alle elezioni.

14 Una svolta importante si ebbe con la legge n
Una svolta importante si ebbe con la legge n. 1985/1918, con la quale furono ammessi al voto: • tutti cittadini maschi di età superiore ai 21 anni; • i cittadini di età superiore ai 18 che avessero prestato il servizio militare durante la Prima Guerra mondiale

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16 1924. Il Fascismo al potere modificò il sistema elettorale con la cosiddetta Legge Acerbo, dal nome del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Il sistema delineato dal disegno di legge Acerbo andava a modificare il sistema proporzionale in vigore dal 1919, integrandolo con un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi, a beneficio del partito più votato qualora questo avesse superato il quorum del 25%. La legge permise al partito nazionale fascista e ai suoi alleati nella cosiddetta «Lista nazionale» di avere il pieno controllo della Camera dei Deputati. Nelle due elezioni successive (1929 e 1934), la dittatura fascista cancellò, di fatto il principio della libera elezione dei rappresentanti da parte del popolo, imponendo un voto plebiscitario su liste di candidati presentate dal governo.

17 Elezioni del 1934. Roma, Palazzo Braschi, sede della Federazione fascista


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