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Mercato del lavoro e tutele del welfare
Michele Raitano Università di Roma “La Sapienza”
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Mercato del lavoro e tutele del welfare
I principali indicatori del mercato del lavoro: definizione teorica, descrizione della realtà italiana e di UE15. Gli ammortizzatori sociali e le politiche del lavoro in Italia. La flexicurity: Definizione e dimensioni. Il modello danese e la sua esportabilità. L’applicabilità della flexicurity in Italia. La segmentazione del mercato del lavoro italiano.
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Gli indicatori del mercato del lavoro
Popolazione attiva (forza lavoro) e la popolazione Il tasso di occupazione. Il tasso di attività o di partecipazione. Il tasso di disoccupazione. La disoccupazione di lungo periodo. Differente denominatore fra TdO e TdU. Il limite del TDU come indicatore sintetico dell’andamento del mercato del lavoro: la dipendenza dalla partecipazione e dallo “scoraggiamento”.
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Tassi di disoccupazione nel periodo 1992-2008 per macro area
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Tassi di occupazione nel periodo 1992-2008 per genere
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Tassi di occupazione nel periodo 1992-2008 per macro area
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Tasso di occupazione femminile per macro-area
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I tassi di occupazione in UE15 nel 2008 per genere
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I tassi di occupazione degli anziani (55-64) in UE15 nel 2008
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I tassi di disoccupazione in UE15 nel 2008 per genere
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Quota di occupazione part-time
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Il lavoro a tempo determinato
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Gli ammortizzatori sociali in Italia
Finanziamento contributivo. Assenza di uno strumento unico. Assenza di un reddito di ultima istanza means tested. Assenza di un beneficio di ingresso. Assenza di un salario minimo. Strumenti contro disoccupazione “parziale” o totale. Frammentarietà degli istituti: discriminazione per dimensione di impresa, settore di lavoro e tipologia contrattuale. Scarsa copertura per i tempo determinato, nessuna per i parasubordinati. Le misure “anti-crisi”.
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La copertura incompleta degli AS
Secondo Banca d’Italia (2009), 1,6 milioni di lavoratori dipendenti o parasubordinati (circa 11% dell’occupazione totale) non hanno diritto ad alcun trattamento in caso di sospensione o cessazione del reddito da lavoro, anche a seguito dell’introduzione delle nuove tipologie di ammortizzatori previste dalla legge 2/2009. Anastasia, Mancini e Trivellato (2009) stimano che appena un terzo del totale dei disoccupati sia attualmente coperto da una delle forme di sostegno al reddito. Analogamente il rapporto di monitoraggio del Ministero del Lavoro (2008) stima per il 2006 un indice di copertura pari al 31% (rapporto tra uno stock medio annuo di beneficiari, esclusi cassintegrati e prepensionati, e 1,673 milioni di disoccupati secondo la RCFL).
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La cassa integrazione guadagni
Sospensione totale o parziale dell’attività senza interruzione del rapporto di lavoro. CIG ordinaria: imprese industriali di qualsiasi dimensione (e in alcuni casi artigiane e edili) per fluttuazioni della domanda e durata fino a 12 mesi (o 24 in alcune aree). CIG straordinaria: imprese industriali o edili con almeno 15 dipendenti (o terziario con 50 per riconversione). Stabilita da un accordo fra governo e parti sociali. CIGO e CIGS con TdS dell’80% per le ore di lavoro non prestate e di durata di 12 o 24 mesi (aree svantaggiate), ma estendibile in deroga.
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Gli strumenti contro la disoccupazione
L’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola: TdS del 60% per 6 mesi (poi 50% fino all’ottavo e 40% fino al 12esimo per gli over50). L’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti (per i 78isti): TdS del 35% per 120 giorni e 40% fino a 180. Ma pagata lump sum. Effetto dei requisiti contributivi di accesso! L’indennità speciale per lavoratori dell’agricoltura e edilizia. L’indennità di mobilità: solo per lavoratori cui si applica la CIGS e in caso di licenziamento collettivo: TdS dell’80% nel primo anno e 64% nei successivi (durata variabile da 12 a 36 mesi per in base all’età e a 48 mesi nel Sud; anche mobilità lunga fino al pensionamento).
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L’accesso potenziale agli ammortizzatori sociali
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Le misure “anti-crisi” (legge 2/2009)
concessione dell’indennità di disoccupazione ordinaria a lavoratori sospesi a causa di crisi aziendali o occupazionali (anche in aziende che non hanno diritto a richiedere l’intervento della cassa integrazione); concessione dell’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti a lavoratori che rientrino nella situazione descritta al punto (i), ma i cui requisiti contributivi consentano di accedere solo all’indennità a requisiti ridotti e non a quella ordinaria; estensione, a titolo sperimentale per il periodo , dell’indennità di disoccupazione ordinaria a favore degli apprendisti, sospesi o licenziati, con almeno tre mesi di servizio; introduzione, a titolo sperimentale per il periodo , di un’indennità a favore dei lavoratori parasubordinati che operino in regime di monocommittenza e il cui reddito dichiarato nell’anno precedente rientri entro specifiche soglie; ma basso entitlement (15%?) e Tds del 20% lump sum. estensione della possibilità di erogare ammortizzatori sociali in deroga a tutte le forme di lavoro subordinato. previsione, a titolo sperimentale per il periodo , di un intervento integrativo a carico degli enti bilaterali pari al 20% del trattamento.
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La composizione della spesa per ammortizzatori sociali in Italia
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Le politiche attive del lavoro in Italia
Legge 469/1997: trasferimento delle competenze su politiche attive del lavoro e CPI a Regioni ed enti locali. Ruolo finora limitato e fortemente differenziato per Regioni. Politiche di vera employability o assistenziali? O semplici incentivi alle imprese? Riforma del contratto di apprendistato e introduzione dei tirocini formativi. Introduzione Borsa Continua Nazionale del Lavoro. Ruolo (tuttora) rilevante degli incentivi all’assunzione. Le politiche per la formazione e il ruolo dei fondi interprofessionali (Legge 388/2000).
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I limiti del sistema Frammentarietà e disomogeneità degli strumenti.
Segmentazione settoriale e dimensionale. Strumenti contro disoccupazione parziale o totale. Sistema contributivo/assicurativo: assente ogni forma di reddito di minima istanza. Nessuna copertura dei parasubordinati. Incentivi perversi dei “78 giorni” e degli istituti speciali. Assenza di un legame con le politiche attive. Le riforme per la flessibilità: Pacchetto Treu (1997) e Legge Biagi (2003); la definizione del lavoro parasubordinato e la moltiplicazione delle forme contrattuali: verso la segmentazione del mercato del lavoro? Più flessibilità e poca e disomogenea sicurezza?
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La definizione di flexicurity
Tema fondamentale della EES. La comunicazione di giugno 2007: un nuovo paradigma dell’OMC? Genericamente: strategia di politica economica che cerchi di conciliare le richieste di flessibilità provenienti dal lato delle imprese con un’elevata protezione dei lavoratori, da realizzarsi attraverso un rafforzamento dell’apparato degli ammortizzatori sociali e la realizzazione di politiche attive che supportino le transizioni sul mercato del lavoro. “Flessibilizzazione dal volto umano” (Tangian 2006). “Strategia che tenta, in maniera sincronica e deliberata, di aumentare, da un lato, la flessibilità dell’assetto del mercato del lavoro, della sua organizzazione e delle relazioni industriali e lavorative; dall’altro di accrescere la sicurezza – sia sociale che di occupabilità – soprattutto dei gruppi più deboli, interni o esterni al mercato del lavoro” (Wilthagen, Tros 2004). La flessibilità della relazione lavorativa: nuovo rischio sociale o semplice individualizzazione dei rischi? Dalla sicurezza del posto di lavoro all’employability?
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Le caratteristiche della flexicurity
Mercato del lavoro non segmentato. Elevata flessibilità (esterna, interna, funzionale, salariale). Elevata protezione (del posto di lavoro, dell’occupabilità, del reddito, “combinata”). Quindi: politiche passive e politiche attive (PES, formazione e lifelong-learning, pubblico e privato). Un triangolo d’oro (Madsen 2002)? Le riforme di Danimarca (1993) e Paesi Bassi (1995).
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Il modello danese Poca EPL.
Sussidi contributivi generosi (TdS fino al 90% e pagati fino a 4 anni) con elevata spesa pubblica; al termine, prestazione means tested non contributiva. Stretto legame fra politiche passive e attive e stringenti requisiti di ricerca del lavoro. Estese politiche di attivazione. Elevato passaggio nella disoccupazione, ma durata molto breve dei periodi di disoccupazione. Una terza via fra socialdemocrazia e liberismo?
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Il modello danese: l’EPL
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Il modello danese: la spesa
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Alcuni caveat sull’esperienza danese
Successo dovuto alla domanda o all’offerta? Esclusione sociale dei lavoratori meno qualificati. Sostenibilità fiscale in periodi di difficoltà? E’ un bene di lusso? In periodi di crisi emerge solo la flexibility? In ogni caso, il successo danese non può dipendere dalla sola flessibilità, ma sembrano necessarie alcune fondamentali pre-condizioni complementari.
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Valutazioni sull’esportabilità del modello
Modello istituzionale complesso; cosa accade se se ne esporta solo qualche elemento? Aspetti istituzionali rilevanti (soprattutto per l’attivazione): nessuna legislazione vincolante, ampia concertazione, clima di mutua fiducia, decentramento e omogeneità territoriale. Il ruolo del capitale sociale nello spiegare EPL o UB (Algan, Cahuc 2006). Vanno valutate tutte le complementarietà e, in primo luogo, la specializzazione produttiva e la politica industriale. Per il suo efficace funzionamento prerequisito essenziale sembra essere: un sistema produttivo innovativo e in espansione che necessita di continua espulsione a fini di riqualificazione della forza lavoro. La flessibilità è richiesta dalle PMI danesi per restare sulla frontiera tecnologica e non per risparmiare sul costo del lavoro e competere in produzioni tradizionali (differenza con la Svezia).
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E in Italia? Dove sta andando il mercato del lavoro in Italia? Possiamo riscontrarvi aspetti di flexicurity? Ma flexicurity non va intesa come una strategia sincronica (non risarcitoria!) rivolta soprattutto ai più svantaggiati? Situazione italiana: Segmentazione: differenziali salariali e di tutele del welfare (ammortizzatori sociali e pensioni). Duplice segmentazione di temporanei e parasubordinati? Ma in un quadro generale di salari stagnanti e di diseguaglianze in aumento … Elevata flessibilità esterna per gli outsider. Limitati e frammentari ammortizzatori sociali. Nessun legame fra politiche passive ed attive. Politiche attive (PES e formazione) spesso inefficienti e disomogenee. Poco e disomogeneo lifelong learning (effetto creaming?).
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Le riforme del mercato del lavoro: la flessibilità numerica
Legge 335/1995: introduzione fondo INPS “gestione separata” per lavoratori parasubordinati e collaboratori “Pacchetto Treu” (legge n. 196/1997): prima (parziale) deregolamentazione dei contratti a termine; introduzione agenzie lavoro interinale; tirocini formativi D.lgs. n. 368/2001: liberalizzazione contratti lavoro dipendente a termine (recepimento direttiva 1990/70/CE) “Legge Biagi” (legge n. 30/2003): introduzione nuovi contratti atipici (job sharing, job on call, staff leasing); trasformazione dei co.co.co. in “collaboratori a progetto”; introduzione “contratto di inserimento”; nuovo contratto di apprendistato; riforma del part-time; liberalizzazione dei servizi all’impiego “Protocollo sul Welfare” (legge 247/2007): limite per la stipula dei contratti a termine a 36 mesi (con eventuale deroga); aumento contribuzione per parasubordinati; abolizione job on call e staff leasing
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Le riforme del mercato del lavoro: gli ammortizzatori sociali
Il sistema degli ammortizzatori sociali rimane molto frammentato e complesso con 3 principali tipi di strumenti: Indennità di disoccupazione ordinaria e a requisiti ridotti; Cassa Integrazione Guadagni (ordinaria e straordinaria); Indennità di mobilità E’ assente una copertura universale (rivolta a tutti i lavoratori): i sussidi dipendono dalla tipologia del contratto di lavoro, dalla durata del rapporto, dalla dimensione di impresa e dal settore di attività. I parasubordinati non sono ammessi ad alcuna forma di sostegno del reddito (sono formalmente considerati lavoratori autonomi). Il recente Protocollo sul Welfare (2007) ha leggermente aumentato durata e ammontare dell’indennità di disoccupazione, e creato tre “fondi di rotazione” (150 milioni ciascuno) per il sostegno ai lavoratori atipici, al microcredito e all’imprenditoria giovanile.
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Le riforme del mercato del lavoro: politiche attive e lifelong learning
Politiche attive del lavoro: Legge 469/1997: trasferimento delle competenze su politiche attive del lavoro e CPI a Regioni ed enti locali Riforma del contratto di apprendistato e introduzione dei tirocini formativi Introduzione Borsa Continua Nazionale del Lavoro Ruolo (tuttora) rilevante degli incentivi all’assunzione Lifelong learning: Legge 53/2000: introduzione dei congedi per la formazione continua Legge 388/2000: introduzione dei fondi interprofessionali per la formazione continua
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Il ruolo della formazione
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Alcuni dati sulla segmentazione
Duplice segmentazione: fra “indeterminati e temporanei” e poi fra dipendenti a termine e parasubordinati. Segmentazione in termini di flessibilità della relazione contrattuale, tutele, salari, rischi di disoccupazione e accesso al credito. Quota di lavoratori con contratto a termine in linea con la media UE, ma allora perché tanta preoccupazione? Le statistiche internazionali non includono le collaborazioni. Mancanza di adeguate tutele del welfare per giovani e disoccupati. Numero dei lavoratori temporanei in rapida crescita; dal 1996 al 2004 quello dei parasubordinati è raddoppiato, nel periodo quello dei dipendenti a tempo determinato è passato dal 6,2% al 13,2%; mentre dal 2001 al 2007 la quota annua di nuove assunzioni con contratti a tempo indeterminato si è ridotta dal 60% al 45%. Alcune categorie di lavoratori particolarmente esposti. Di conseguenza forte riduzione dell’indice OCSE dell’EPL.
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Diverse dimensioni di segmentazione
Stabilità della relazione contrattuale. Tutele del welfare. Salari. Rischi di disoccupazione. Probabilità di formazione. Prospettive previdenziali. Prospettive di transizione: trappola o trampolino? Risk shift?
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L’occupazione atipica nelle previsioni di assunzione delle imprese
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La composizione dell’occupazione
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La distribuzione salariale per tipologia contrattuale
Differenza anche nei rischi di disoccupazione: a un anno di distanza è disoccupato l’1,3% degli indeterminati, il 5,8% dei determinati, il 6,1% dei “cocopro” e il 7,7% degli occasionali (CNEL, 2007).
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Retribuzioni medie annue e mensili, Italia 1985-2002
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Disuguaglianze retribuzioni annue e mensili, 1985-2002
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Working poor
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Working poor 2
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Differenziali salariali e di probabilità di formazione
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Ma c’è vera segmentazione?
Quanto è transitoria l’appartenenza allo status secondario? Pochi dati a disposizione, ma i primi confermano l’idea di persistenza (Raitano 2008). Ma chi resta “intrappolato”? Osservando le transizioni dai dati INPS la situazione sembra preoccupante. Relativamente sfavorite donne, anziani, residenti al Sud (e presumibilmente low skilled). La definizione del campione INPS.
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Le transizioni dei lavoratori dai dati CNEL
Inoltre, meno del 40% dei nuovi assunti indeterminati proviene da forme flessibili (35% dai determinati, 3,5% dei collaboratori; CNEL, 2007).
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Le caratteristiche del campione INPS
Ampio panel dei contribuenti alle diverse gestioni INPS fra il 1985 e il 2004. Non osservato pubblico impiego, casse autonome e dirigenti (e artigiani e commercianti dal 2003). Dal 1998 individuabili i dipendenti a tempo determinato. Dal 1999 individuabile chi versa contributi alla GS come collaboratore esclusivo con mansioni generiche. Per tali categorie di lavoratori possibile quindi osservare le transizioni fino a 5/6 anni di distanza dall’entrata nel mercato del lavoro. Per evitare distorsioni si osservano solo i “neo-entrati” nelle gestioni INPS. Status annuo identificato in base alle caratteristiche dell’ultima contribuzione.
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Pro e contro del campione INPS
Mancata copertura di tutte le forme lavorativa. Chi scompare dal campione potrebbe migliorare o peggiorare il proprio status. Come interpretare la modalità “altro”? Mancanza di variabili fondamentali per analisi econometriche (titolo di studio, composizione familiare, caratteristiche del datore, retribuzioni per i collaboratori) e quindi per capire chi e perché è segmentato. Ma strumento molto efficace per fare analisi descrittive di medio-periodo delle transizioni. Si valuta la duplice segmentazione dipendente vs collaboratore e indeterminato vs temporaneo.
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Le transizioni dei collaboratori
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Le transizioni di 5 coorti di collaboratori
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Le transizioni dei dipendenti a termine
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Le transizioni di 6 coorti di dipendenti a termine
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Le transizioni dei dipendenti a tempo indeterminato
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Probabilità condizionate di essere dipendente a termine
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Probabilità condizionate di scomparire dagli archivi INPS
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… qualche dato più recente
Non sono coorti di nuovi entrati ma persone già nel LM (si sa da quanto lavorano, ma non si conosce la storia lavorativa pregressa). Il 9,1% dei temporanei nel 2004 ottiene fra il 2005 e il 2006 un contratto a tempo indeterminato ma non lo ha più nel 2007. Il 7,4% dei tempo indeterminato nel 2004 non lo è fra il 2005 e il 2006, ma torna ad esserlo nel 2007
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Alcune conclusioni dall’osservazione delle transizioni
Per alcuni sottogruppi dei collaboratori – presumibilmente i più vulnerabili: le donne, i meridionali, i meno giovani e, in tutta probabilità, i meno istruiti (gli unskilled) – lo status di parasubordinato o di lavoratore temporaneo non appare per nulla semplicemente transitorio, ma anzi – ritenendo lavoratore “marginale” e svantaggiato la gran parte di chi è nella modalità “altro”– si rivela nella maggior parte dei casi persistente. Esiste quindi la fondata preoccupazione che, almeno per alcune tipologie di lavoratori – lo studio della cui composizione necessita di analisi che dispongano di informazioni maggiormente dettagliate sulle caratteristiche individuali e sull’effettiva motivazione della scomparsa dagli archivi INPS – le forme contrattuali flessibili non costituiscano un ponte verso un’occupazione più stabile e tutelata. L’incremento dei tassi di occupazione registratosi in Italia negli ultimi anni potrebbe quindi essersi accompagnato ad una persistenza, se non ad un’accentuazione, delle caratteristiche di dualità del mercato del lavoro e di conseguente segmentazione della forza lavoro. 56
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E a cosa è dovuta la segmentazione?
Basso skill, o altri meccanismi (background, caso…)? Assenza di dati utili, ma, anche qui, segnali preoccupanti e di disincentivo all’investimento in capitale umano! Anche controllando per altre variabili, i “precari” sono più istruiti, più giovani (e donne) e (molto) peggio pagati delle altre categorie di lavoratori (Raitano 2006). Segmentati su salari, rischi di disoccupazione, welfare, pensioni pubbliche e private e TFR. Problema di tutele: ammortizzatori sociali e pensioni.
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Cosa fare? Paradosso delle minori tutele proprio per chi sopporta il peso della flessibilità! Scaricati sugli individui il risparmio di oneri per le imprese (con poco pooling di rischi da parte dello stato). Incentivi distorti alle imprese e incentivo a rimanere in una logica di competitività “obsoleta”. Quali sono gli effetti della flessibilità sulla produttività? Idea della flexinsurance (Tangian, 2006). O seguire un idealtipo come la flexicurity? La proposta del contratto unico.
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E’ immaginabile la flexicurity in Italia?
Che rischi comporta seguire flexicurity nel contesto sociale e produttivo italiano? Incentivo a ulteriore flessibilità anche degli insiders? Poca necessità di politiche attive riqualificanti in settori tradizionali? Elevata crescita della spesa pubblica? L’impatto sull’economia sommersa? E i rapporti fra le parti sociali? E la disomogeneità territoriale?
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