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PubblicatoGianpaolo Montanari Modificato 9 anni fa
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MAESTA’ Per un pittore medievale era "in maestà" una figura rappresentata frontalmente, seduta su un trono, nel pieno della propria potenza. In origine questo tipo di rappresentazione era riservata soprattutto alla raffigurazione di Cristo Re, ma nel corso del Duecento essa fu adottata più spesso per la figura della Madonna, la cui immagine seduta, col bambino in grembo, divenne in breve tempo la "Maestà" per antonomasia. In genere si dipingevano su tavole d’altare che erano il completamento delle chiese. La Madonna era rappresentata in trono col bambino tra le braccia, spesso circondata da angeli e santi. Tra i più grandi autori ricordiamo, oltre a Cimabue e Giotto, due pittori senesi: Duccio da Buoninsegna e Simone Martini, entrambi della prima metà del Trecento. La loro pittura nelle Maestà non era influenzata dalle innovazione giottesche ma dominata in parte da caratteri bizantini di frontalità e stilizzazione delle figure. In tutte è presente un dimensionamento gerarchico.
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La Maestà del Louvre è una grande tavola cuspidata, oggi al Louvre che rappresenta una Maestà, cioè una Madonna con il Bambino seduta in trono e contornata da angeli: uno dei temi più ricorrenti della pittura gotica. Realizzata verso il 1280 per la chiesa pisana di San Francesco, essa è il prototipo di vari altri dipinti di soggetto analogo eseguiti sia dallo stesso Cimabue sia da Duccio di Buoninsegna, da Giotto e da molti altri pittori del XIV secolo. La Madonna ha dimensioni colossali in quanto, nonostante sia seduta, è alta quasi il doppio degli angeli, secondo quanto previsto dalla prospettiva gerarchica, in base alla quale non è rappresentato più grande il personaggio più vicino a chi osserva, ma quello più importante.
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Il trono monumentale, in legno intagliato, è rappresentato in una innaturale prospettiva latero-frontale, cioè in modo che la parte anteriore appaia vista di fronte, come se fosse parallela alla superficie del dipinto, mentre solo quella laterale dia l'effetto della profondità. In tal modo riempie di sé gran parte della tavola, alludendo anche al valore simbolico della Vergine come «Regina della Pace» e «Sede della Sapienza». Il senso del volume è restituito soprattutto tramite il panneggio delle vesti, realizzato accostando tonalità più chiare o più scure di colore e senza l'uso dei filamenti d'oro utilizzati per il perizoma del Crocifisso di San Domenico. Il secondo angelo di sinistra, infine, si aggrappa con entrambe le mani alla colonna dello schienale del trono e con la sinistra la cinge dal dietro, evidenziandone in modo efficace la forma cilindrica.
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I colori, pur accordati in modo molto raffinato, sono pacati e quasi spenti,
con una forte predominanza dei bruni, a] (tunica del Bambino, tuniche e ali degli angeli, legno del trono e velluto di rivestimento della spalliera) e le sole eccezioni del manto azzurro di Maria [b], del grigio ferroso dei mantelli di Gesù e dei due angeli in basso del rosso cupo del lembo di cuscino che appare sul sedile del trono [d].
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Madonna di Santa Trinità
[a] La tavola rappresenta una monumentale Madonna…
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[b] in trono con il Bambino…
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[c] contornata da otto angeli…
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[d] e quattro profeti.
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[e] Il trono sembra una struttura architettonica.
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[f] I panneggi contribuiscono a sottolineare ulteriormente la solida fisicità dei personaggi.
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La grande tavola appare databile intorno al 1285-1286
La grande tavola appare databile intorno al Mediante l'uso della prospettiva e del chiaroscuro l'artista riesce a dare al trono un senso di straordinario rilievo quasi si trattasse di una struttura architettonica, facendocelo cosi comprendere in tutta la sua complessità spaziale. Questa è messa ulteriormente in evidenza anche dalla felice invenzione dei quattro profeti con le barbe bianche. Essi (al centro Abramo e Davide a sinistra Geremia e a destra Isaia) affacciandosi da tre aperture alla base del trono stesso, ne accrescono la massiccia definizione volumetrica. Anche i corpi dei personaggi, infine, sono dipinti in modo che i complicati panneggi delle loro vesti contribuiscano a sottolinearne ulteriormente la solida fisicità Questo ancora senza rinunciare, soprattutto nel mantello di Maria alle striature in oro, già utilizzate nel perizoma del Crocifisso di San Domenico.
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Il volto della Vergine odigitria (colei che mostra la direzione, che istruisce) spezza - forse per la prima volta - la fissità espressiva imposta da quella serie di rigide regole rappresentative bizantine. Cimabue conferisce ai lineamenti di Maria dei tagli decisi, quasi spigolosi attraverso i quali traspare l'accenno d'un sorriso soave e umanissimo. Solo Giotto saprà comprenderne la straordinaria novità. La continuità ideale con la formazione romanico-bizantina di Cimabue rimane evidente anche in questa tavola. Ciò si rileva, tra l'altro dal diffuso utilizzo dell'oro per lo sfondo e per le aureole e da una certa schematicità degli atteggiamenti. Questa è particolarmente riscontrabile nelle teste degli angeli inclinate in modo simmetrico le une rispetto alle altre e da una voluta sproporzione dei loro corpi. In tal modo si fa ancora riferimento a un dimensionamento di tipo gerarchico in quanto la Madonna è ancora assolutamente più grande di tutti gli altri personaggi
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La Crocifissione di Assisi, Basilica superiore, transetto sinistro
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Questo dipinto (oggi molto rovinato) fa parte di un ricchissimo ciclo, che si sviluppa fra il transetto e la zona absidale ed è inserito all'interno di complesse figurazioni geometriche e floreali. Tale ciclo comprende varie storie angeliche, di Maria e degli Apostoli che Cimabue dipinse, insieme ai suoi collaboratori, verosimilmente fra il 1288 e il Il deteriorarsi, nei secoli, dell'intonaco delle pareti ha dato origine, in alcune scene, a una particolare e devastante reazione chimica che ha deteminato una sorta di inversione dei colori: infatti, come nei negativi fotografici, alcune delle parti originariamente scure sono ora diventate chiare e viceversa, alterando in modo non indifferente la corretta percezione del dipinto.
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Al centro dell'affresco spicca, enorme e solitaria, la monumentale figura del Cristo crocifisso. Due opposte schiere di angeli [2] piangono la morte di Gesù e il loro strazio è evidenziato dal fatto che alcuni di essi si coprono il volto per la disperazione, altri si portano la mano alla fronte, altri ancora, allargano le braccia in un gesto di stupore e di sgomento. Le pie donne [3] e gli altri personaggi dolenti (a sinistra della croce) [4], così conte il gruppo incredulo dei soldati e dei farisei (a destra) [5], sono volutamente più piccoli, rispetto al Cristo, secondo le ormai consolidate regole della prospettiva gerarchica. Dai loro gesti però traspare un'umanità cosi intensa e realistica che gli schemi tradizionali finiscono per essere completamente stravolti e trasgrediti. Le braccia della Maddalena si levano verso Gesù in uno straziante grido di dolore [6] e la Vergine [7] e San Giovanni [8] sono colti mentre cercano di farsi reciprocamente coraggio tenendosi per mano e - sul lato opposto - la mano del centurione Longino [9] si protende a strappare violentemente la veste di Cristo.
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DUCCIO DA BUONINSEGNA Duccio di Buoninsegna è il capostipite dei pittori senesi. Sappiamo solo che nacque a Siena intorno al 1255 e che vi trascorse la maggior parte della vita, morendovi fra il 1317 e il 1319. Come Cimabue, anche Duccio ha alle spalle una solida formazione artistica di derivazione bizantina ma, a differenza del fiorentino, egli è molto affascinato anche dalle esperienze scultoree dei Pisano e di Arnolfo di Cambio, attivi a Siena negli ultimi decenni del XIII secolo. Significativi, per lui, furono anche certi esempi della nuova pittura gotica francese. Il tipo di pittura che ne scaturisce è, conseguentemente, del tutto diverso da quello maturatosi in ambiente fiorentino. Ciò non toglie, comunque, che Duccio l'abbia ben presente grazie alla conoscenza di Cimabue e, forse, del cantiere assisiate della Basilica di San Francesco. Tuttavia, mentre Cimabue e i suoi successori privilegeranno costantemente la rappresentazione tridimensionale dei volumi e la loro collocazione all'interno d'uno spazio il più realistico possibile Duccio concentra la sua attenzione soprattutto sulla fluidità delle lince e sulla raffinata armonia dei colori. Il volume viene impiegato dal Maestro senese solo per definire ogni singola figura e non per mettere in rapporto fra loro i vari personaggi che, invece, risultano legati solo dal ritmo, equilibrato e studiatissimo, del disegno e dei colori.
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Madonna Rucellai La maestosa pala d'altare rappresenta la Vergine in trono con il Bambino circondata da sei angeli, fu commissionata a Duccio nel 1285 dalla Compagnia dei Laudesi (o dei Penitenti) della Vergine. Il ricchissimo trono, in legno intagliato e dorato, risente di quello che Cimabue aveva realizzato nella Maestà del Louvre, Duccio, infetti, utilizza una prospettiva latero-frontale che, essendo arbitraria, assume un valore puramente decorativo. Questo viene ulteriormente confermato sia dallo schienale, la cui rigidità risulta ammorbidita dal prezioso rivestimento di stoffe, sia dallo straordinario risvolto dorato del mantello della Vergine, il quale disegna una linea sinuosa e irreale che ne percorre la figura dalla testa ai piedi.
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I sei angeli inginocchiati ai lati del trono sono disposti in modo speculare uno di fronte all'altro, quasi sospesi nell'oro dello sfondo. I loro volti ci appaiono dolcissimi ma inespressivi, mentre i loro corpi non hanno alcun rapporto spaziale e proporzionale né fra loro, né con la Vergine. I due primi angeli di destra, [1] infetti, dovrebbero essere in primo piano in quanto si appoggiano con le mani alla parte anteriore del trono. Il terzo angelo di destra dovrebbe essere in secondo piano, poiché si appoggia alla parte anteriore dello schienale [2], I tre angeli di sinistra, infine, dovrebbero essere in terzo piano in quanto si appoggiano alla parte posteriore del trono [3], anche se il primo angelo ha il piede destro davanti al trono stesso,
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A dispetto di queste impossibili collocazioni, però, l'immagine complessiva risulta perfettamente equilibrata, anche a causa di una studiatissima disposizione dei colori I mantelli azzurri (colori freddi) [1], infatti, si corrispondono alternatamente ai mantelli di colori caldi [2], creando una perfetta simmetria incrociata.
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La 'Maestà' per l'altare maggiore del Duomo di Siena, dipinta sia sulla fronte che sul retro, da sempre considerata il capolavoro di Duccio, risale agli anni della piena maturità del pittore. Ci sono pervenuti sia il contratto tra l'Opera del Duomo e il maestro (del 1308) che la notizia della fastosa processione con cui, il 9 giugno 1311, la cittadinanza di Siena accompagnò la grandiosa pala in cattedrale. Si tratta di una tempera su tavola di notevoli dimensioni la cui parte centrale, oggi conservata al Museo dell'Opera Metropolitana del Duomo di Siena. misura circa 214X412 centimetri Duccio di Buoninsegna, Maestà
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Il primo elemento che colpisce della 'Maestà' è la sua straordinaria complessità: una tavola di più di quattro metri sul lato maggiore, dipinta sia davanti che dietro, ricca d'oro e di splendidi colori. Nel Medioevo, infatti, l’altare maggiore era assai scostato dalla parete, così molte pale erano dipinte dietro per essere visibili dai fedeli quando si spostavano dietro l’altare. La parte anteriore, con la figura monumentale della Madonna, accompagnata da un corteggio di angeli e santi, alla quale si rivolgono supplici i quattro protettori di Siena, era rivolta verso la navata, mentre in quella posteriore c’erano quattordici scomparti con le storie della Passione di Cristo (26 scene).
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Gli influssi del Gotico francese appaiono evidenti
Gli influssi del Gotico francese appaiono evidenti. Più che un effetto volumetrico Duccio ricerca un effetto cromatico d’insieme> nel quale disegno e colore possano fondersi in modo armoniosamente decorativo, I volumi dei copi, quindi, non sono posti in particolare rilievo e ciò che li rende percepibili non è tanto la prospettiva e il chiaroscuro (come in Cimabue e, più in generale, in tutti i Fiorentini) ma l'equilibrata simmetria del disegno.
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La figura centrale della Madonna, maestosa e solennemente solitaria tra le schiere di angeli e santi, non ha alcuna consistenza spaziale propria e anche i personaggi di contorno vengono disposti secondo una logica squisitamente decorativa. Significativo, a tale proposito, appare il geometrico e lineare succedersi delle loro aureole dorate, senza che esse riempiano mai uno spazio in qualche modo reale.
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Anche in questo dipinto le figure di Maria e del Bambino risultano sproporzionate rispetto a tutte le altre, secondo quanto prevedeva la prospettiva gerarchica. Una tale soluzione è tipica della cultura gotica anche se le sue origini vanno fette risalire alle decorazioni scultoree di arte plebea e, in specie, al rilievo storico con la liberalitas dell'imperatore nell'Arco di Costantino
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La Madonna è in trono con il Bambino in braccia tra file di santi, ma la frontalità è apparente. Il trono è aperto come un libro, ma non ha prospettiva. La Madonna è al centro della composizione e si staglia su uno sfondo d’oro, proprio della tradizione bizantina. Ha dimensioni maggiori delle altre figure da cui si distacca per il suo isolamento e per la diversità del colore.
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I santi ai lati sono collocati simmetricamente su file successive, formando due onde ritmiche convergenti verso il centro. Ai pedi della Madonna i 4 santi protettori della città: Ansano, Savino, Crescenzio e Vittore. Duccio ricerca un effetto cromatico di insieme, in cui disegno e colore si fondono armoniosamente e non un effetto volumetrico. In tutto il dipinto domina il colore, quello caldo e luminoso delle vesti, quello d’oro del fondo.
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Cimabue, Madonna di Santa Trinità 1285-86
Giotto, Madonna di Ognissanti 1310
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[a] Sotto le vesti di Vergine e Bambino si indovinano corpi compatti e ben definiti.
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[b] I due personaggi principali hanno dimensioni maggiori degli altri.
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[c] Gli elementi verticali del trono danno la sensazione di leggerezza…
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[d] e anche i trafori laterali, attraverso i quali si vedono i personaggi dello sfondo.
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[e] Gli angeli in primo piano introducono un ulteriore elemento di profondità prospettica.
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[f] I due vasi panciuti con rose e gigli sono realizzati con un forte naturalismo.
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A pochi mesi dalla posa della Maestà di Duccio di Buoninsegna sull’altar maggiore del Duomo di Siena, avvenuta nel 1311, il Comune decise di affidare l’esecuzione dell’affresco di analogo soggetto per il Palazzo Pubblico a Simone Martini, che lo condusse a termine nel Il dipinto murale occupa l’intera parete nord della più vasta e importante sala del palazzo, quella - detta anche ‘delle Balestre’ o ‘del Mappamondo’ – destinata alle assemblee del Consiglio Generale della città. La rappresentazione della Madonna in maestà, racchiusa da una cornice dipinta con eleganti motivi vegetali, sulla quale si dispongono venti tondi contenenti altrettante figure, è ambientata sotto un elegante baldacchino da parata sorretto da alcuni santi.
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C’è una più chiara e solida impostazione prospettica
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La Vergine è seduta sul trono, immaginata come una vera e propria “regina cortese”, attorniata dal suo celeste seguito di arcangeli, angeli e santi che le fanno ala da ambo i lati. Questa Maestà ripete lo stile compositivo di Duccio: ma se in questo ogni figura, ogni colore, ogni segno esprimeva la certezza di una perfezione raggiunta, nel dipinto di Simone tutto è fremito, aspirazione a una perfezione ancora più alta ma irraggiungibile.
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Alle influenze gotiche d’oltralpe recepite da Simone si aggiunge e si compenetra la meditazione sulle novità giottesche in tema di rappresentazione dello spazio, percepibile di primo acchito nel baldacchino, così bene articolato prospetticamente, e nella dislocazione delle figure attorno al trono, che fingono di occupare uno spazio in profondità e hanno infranto il rigido ordine specularmente simmetrico mantenuto nella Maestà di Duccio.
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La collocazione dei personaggi sotto il baldacchino ricalca quella che avrebbero potuto assumere gli spettatori di un torneo cavalleresco medioevale, come spesso veniva raffigurato anche in miniature e dipinti. Questo testimonia come il maestro senese, pur rappresentando un soggetto religioso, si ispiri anche a temi profani. Non è un caso, del resto, che l'affresco si trovi nel Palazzo Pubblico, sede del governo della città, e non in una chiesa. Anche la committenza era civile, la qual cosa configura l'opera come una specie di risposta laica alla Maestà di Duccio, nell'ambito della continua contrapposizione allora esistente tra il potere comunale e le gerarchie religiose I colori sono stesi a campiture larghe e omogenee, con pochi effetti di chiaroscuro. Le aureole, il trono e le vesti di Maria e del Bambino sono impreziositi da decorazioni geometriche e floreali dorate. Lo sfondo è, come già in Giotto, di un blu intenso, il che contribuisce a dare un rilievo ancora maggiore al gruppo compatto dei personaggi. Martini toglie alle proprie rappresentazioni ogni attributo realistico. Questo non significa, comunque, che egli non tenga conto della realtà, della quale riproduce anche tutta la varietà delle forme e dei colori. Al contrario, piuttosto, egli cerca di interpretare e arricchire la realtà con la raffinatezza del disegno.
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La figura non è piatta come in Duccio né solida come in Giotto: fluttua in una spazialità indefinita. In essa i colori non si distendono in zone smaltate come in Duccio né si costruiscono in masse plastiche come in Giotto: si succedono in ondate ritmiche, più pallidi o più intensi
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