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La teoria del federalismo fiscale
Alessandro Fabbrini Università degli Studi di Trieste Corsi di laurea in Scienze internazionali e diplomatiche Gorizia, 26 marzo 2011
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Il federalismo fiscale e l’organizzazione statale (1)
Il federalismo fiscale si occupa della determinazione di responsabilità, funzioni e modalità di finanziamento dei vari livelli di governo. Un’organizzazione statale può essere: Unitaria/centralizzata Decentrata Federale Confederale La nostra analisi teorica prescinde dalle domande del tipo decentramento vs. federalismo, per concentrarsi sulle questioni chi deve gestire i vari servizi pubblici e con quali mezzi di finanziamento.
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Il federalismo fiscale e l’organizzazione statale (2)
Nello Stato centralizzato tutte le decisioni vengono prese centralmente. I servizi pubblici locali vengono erogati da uffici decentrati che rispondono gerarchicamente agli uffici centrali. Se esistenti, le Amministrazioni decentrate si comportano come uffici centrali periferici. Come indicatori (approssimativi) del grado di accentramento, possiamo usare la quota di spesa delle Amministrazioni centrali sul totale della spesa pubblica, o la quota di entrate fiscali erariali sul totale. Con il decentramento le Amministrazioni decentrate acquisiscono responsabilità e margini di autonomia finanziaria, ma il tutto promana da una decisione/delega del governo centrale.
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Il federalismo fiscale e l’organizzazione statale (3)
Nello Stato federale la distribuzione di compiti e l’autonomia finanziaria promanano dalla Carta costituzionale, godendo di maggior tutela rispetto al caso decentrato. Non è detto però che in uno Stato federale le Amministrazioni decentrate godano di maggiore autonomia di spesa e di finanziamento rispetto al decentramento. Nella confederazione la delega proviene dal basso. L’organizzazione sovranazionale dipende dagli Stati membri.
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Teoria del federalismo fiscale: quesiti tipici
Le tipiche questioni cui la teoria del federalismo fiscale vuole dare risposta sono: Quali sono i vantaggi/svantaggi distributivi e di efficienza tra un’organizzazione decentrata e una accentrata? Quali funzioni è consigliabile che svolga il governo centrale e quali i governi locali? Esiste una dimensione ottimale delle giurisdizioni locali? Come organizzare le relazioni finanziarie tra i livelli di governo? Quali effetti ha il decentramento sulla spesa pubblica? Quali gli strumenti fiscali a disposizione di ogni livello di governo?
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Teoria del federalismo fiscale: i pregi del federalismo
In estrema sintesi una struttura federalista ha il vantaggio di sintonizzare maggiormente le scelte pubbliche alle preferenze (variabili sul territorio) dei cittadini/elettori e di responsabilizzare gli amministratori locali nelle loro scelte gestionali. La responsabilizzazione dei governi locali rende confrontabili le loro scelte, permettendo ai cittadini di esprimere giudizi sul loro operato. La mobilità territoriale dei fattori (capitale e lavoro) tenderà a beneficiare le Amministrazioni locali virtuose, ponendo nel contempo vincoli a deviazioni di comportamento dell’operatore pubblico locale.
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Teoria del federalismo fiscale: i pericoli del federalismo
D’altro canto, in nazioni con forti differenze territoriali nella distribuzione del reddito, il federalismo fiscale può indebolire l’azione redistributiva del governo centrale e, se non applicato propriamente, introdurre diseguaglianze nell’offerta di servizi pubblici fino a minare i diritti di cittadinanza. È necessaria quindi un’attenta attività perequativa da parte del governo centrale. Inoltre la competizione fiscale tra Amministrazioni locali può portarsi a livelli eccessivi. È una delle tipiche situazioni di trade-off tra equità ed efficienza che caratterizzano lo studio dell’economia del settore pubblico.
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Il trade-off tra equità ed efficienza
Il dibattito è aperto sulla forma del trade-off e sul valore relativo di equità ed efficienza. Vi sono però situazioni in cui il trade-off non si presenta (cfr. oltre i miglioramenti paretiani). equità efficienza
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L’economia del settore pubblico (1)
Lo studio del federalismo fiscale rientra nella più ampia disciplina denominata Economia del settore pubblico. Con un approccio micro, possiamo dire che studia le relazioni tra spesa pubblica, tassazione e il comportamento degli agenti economici (individui, famiglie, imprese). Secondo uno sguardo macro, studia gli effetti di spesa pubblica e tassazione sull’economia. È una disciplina nata intorno agli anni ‘30 del ‘900 come evoluzione della Finanza pubblica, che concentrava la sua attenzione sul solo lato delle entrate (tassazione).
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L’economia del settore pubblico (2)
Alcune tipiche domande cui l’economia del settore pubblico cerca di dare risposta: Quali funzioni dovrebbe esercitare il settore pubblico? Una data misura economica va a vantaggio/svantaggio di quale porzione della popolazione? Quali effetti ha una nuova forma di tassazione sul funzionamento di mercato? L’allocazione delle risorse tra funzioni pubbliche avviene in modo efficiente? ...
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Chi ha bisogno del federalismo fiscale? (1)
La giustificazione economica del federalismo e del decentramento si trova nella considerazione che alcuni beni pubblici hanno benefici geograficamente limitati; centralizzare ogni funzione comporta elevati costi decisionali. Vi sono poi ragioni non economiche che risiedono nell’organizzazione politica di uno Stato e sui pesi e contrappesi tra livelli di governo.
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Chi ha bisogno del federalismo fiscale? (2)
Pensiamo ad esempio al problema di determinare contemporaneamente l’offerta di un servizio pubblico locale (gli asili nido) e del livello di governo che se ne dovrebbe occupare (cioè del bacino di popolazione che dovrebbe servire), data una funzione di congestione (o di esclusione) del tipo: La quantità di bene consumata dal cittadino i dipende dalla quantità totale Z e da un parametro α funzione della popolazione coinvolta. Una volta definiti le quantità, i bacini di utenza, le Amministrazioni che dovrebbero occuparsene, bisognerà pensare anche alle modalità di finanziamento del servizio.
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Piano di lavoro (1) Prima di dedicarci al federalismo fiscale vero e proprio dobbiamo anche dotarci di una serie di strumenti di analisi. Il nostro programma è quindi: Ripresa dei concetti fondamentali dell’economia del benessere. I fallimenti del mercato e la giustificazione dell’intervento pubblico La mobilità dei cittadini garante di efficienza Più nel dettaglio sui beni pubblici Il «voto con i piedi» di Tiebout
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Piano di lavoro (2) L’attribuzione delle funzioni ai vari livelli di governo. Le funzioni pubbliche L’attribuzione nella teoria e nella pratica. Il teorema del decentramento di Oates Il finanziamento della spesa pubblica locale: Qualche concetto generale sulla tassazione I tributi locali I trasferimenti intergovernativi Conclusioni: i principi del federalismo fiscale «ottimo»
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Economia del benessere
I programmi pubblici vengono giudicati dagli economisti per i loro effetti sull’efficienza economica e sulla distribuzione del reddito/ricchezza/benessere. L’economia del benessere formula e applica criteri per giudicare sulla desiderabilità di proposte alternative. Spesso le questioni di efficienza e di equità si presentano in conflitto tra loro, ponendosi come tipico esempio di trade-off alle scelte dell’operatore pubblico. Laddove non si presentino problemi di scelta abbiamo la possibilità di conseguire un miglioramento paretiano.
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Efficienza paretiana Un aumento del benessere di almeno un individuo senza che nessun altro individuo registri un peggioramento è un miglioramento paretiano. L’ottimo paretiano rappresenta una situazione in cui non sono possibili ulteriori miglioramenti paretiani, e soddisfa il principio dell’efficienza paretiana. Il principio paretiano postula che ogni qualvolta sia ravvisabile un miglioramento paretiano, questo debba essere realizzato. L’efficienza paretiana è individualistica per 2 ragioni: Non considera il benessere relativo tra individui. È coerente con il principio di sovranità del consumatore, dove ciascuno di noi è il miglior giudice del proprio benessere.
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Funzione di utilità e utilità marginale
Funzione di utilità dell’individuo 2 Q2 U’2 Utilità marginale dell’individuo 2 Q2
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La curva delle possibilità di utilità
Oltre alla perdita di efficienza dovuta alla redistribuzione, i guadagni di utilità diminuiscono per effetto dell’utilità marginale decrescente. U1 A B C U2
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Possibilità di utilità ed efficienza paretiana
Il principio paretiano ci guida nel passaggio da I a B, ma non ci è di aiuto nel valutare il passaggio da I ad A. U1 A B I Curva delle possibilità di utilità U2
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Le curve di indifferenza individuale
Curve di indifferenza individuale con due beni Q1 Livello di utilità individuale 2 Livello di utilità individuale 1 Q2
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Le curve di indifferenza sociale (1)
Curve di indifferenza sociale con due gruppi di individui U1 Livello di utilità sociale 2 Livello di utilità sociale 1 U2
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Le curve di indifferenza sociale (2)
Così come le curve di indifferenza individuale derivano da una funzione di utilità individuale le curve di indifferenza sociale derivano da una funzione di benessere sociale Le curve di indifferenza sociale forniscono lo strumento teorico per analizzare i trade-off tra diverse situazioni di utilità relativa.
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Le curve di indifferenza sociale (3)
Le forme delle curve di indifferenza sociale ci dicono il valore relativo dato all’utilità dei diversi gruppi di individui U1 U1 U’ U’’ U2 U’ U’’ U2
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Il benessere sociale utilitaristico
Secondo l’approccio utilitaristico classico, il benessere collettivo deriva dalla somma dei benesseri individuali. La curva di indifferenza sociale è una retta con pendenza pari a -1. U1 Curva di indifferenza sociale utilitaristica U2
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La «tipica» curva di indifferenza sociale
Una società attenta anche alle questioni distributive preferirà una curva di indifferenza sociale convessa del tipo di quella illustrata: a una rilevante sperequazione dell’utilità, si considera accettabile un forte peggioramento del gruppo «più ricco» a fronte di un lieve miglioramento di quello «più povero». U1 U2
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La curva di indifferenza sociale rawlsiana
Secondo l’approccio estremo di Rawls, il benessere sociale corrisponde a quello dell’individuo più povero (scompare ogni questione di trade-off). U1 U’1 U’2 U2
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Il benessere in un’economia puramente privata
Primo teorema fondamentale dell’economia del benessere: in regime di concorrenza perfetta, l’allocazione delle risorse corrisponde a una situazione di ottimo paretiano. Secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere: data una corretta distribuzione iniziale delle risorse, un’economia perfettamente concorrenziale può raggiungere un qualsiasi punto lungo la curva delle possibilità di utilità. Al di là di definire la distribuzione iniziale delle risorse, perché allora avremmo bisogno di un operatore pubblico, nazionale o locale che sia?
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La giustificazione dell’intervento pubblico: i fallimenti del mercato
Perché vi sono diverse circostanze in cui il mercato privato non è efficiente in senso paretiano: Insufficiente concorrenza Esternalità Mercati incompleti Carenza di informazione Disoccupazione, inflazione e disequilibrio Beni pubblici
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Insufficiente concorrenza (1)
In presenza di rendimenti crescenti di scala (monopolio naturale) può essere più efficiente che vi siano poche o una sola impresa. In assenza di regolamentazione, però, il monopolista ridurrà la quantità prodotta per spuntare un prezzo più elevato. prezzo Ricavo marginale Domanda Costo medio Costo marginale Q* Q1 Q2 quantità
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Insufficiente concorrenza (2)
L’operatore pubblico può far riguadagnare l’efficienza allocativa: Regolamentando il settore imponendo un prezzo uguale al costo marginale e concedendo sussidi al monopolista finanziati dalla fiscalità generale. Nazionalizzando il settore praticando egli stesso un prezzo pari al costo marginale e finanziandosi con la fiscalità generale. Bisognerà soppesare l’inefficienza che si vuole sanare con le distorsioni introdotte dalla tassazione necessaria al finanziamento della misura varata. Nel caso in cui i rendimenti di scala si limitino a un ambito locale (pensiamo ad alcuni servizi pubblici, a beni infrastrutturali, ecc.), può rivelarsi più efficiente che sia l’Amministrazione decentrata a operare le scelte pubbliche.
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Esternalità (1) Si hanno nel caso in cui l’azione di un individuo o di un’impresa influenza altri individui o imprese imponendo un costo (esternalità negativa) o un beneficio (esternalità positiva). In termini più rigorosi abbiamo esternalità «whenever some individual’s (say A’s) utility or production relationships include real variables whose values are chosen by others … without particular attention to the effects on A’s welfare.», (Baumol e Oates, 1975).
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Esternalità (2) Le esternalità generano inefficienze allocative in quanto chi le genera non sopporta da solo i costi collettivi di quelle negative (che tenderanno a essere troppe) e non gode di tutti i benefici di quelle positive (che tenderanno a essere troppo poche). Nel caso delle produzioni inquinanti, ad esempio, i costi a carico del produttore sono solo i costi privati interni, ma non quelli imposti a terzi che sarebbero necessari al calcolo dell’effettivo costo per la collettività (costo sociale).
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Esternalità (3) L’intervento dell’operatore pubblico può essere:
Regolamentare l’attività (imposizione di limiti massimi alle esternalità negative e standard minimi a quelle positive). Utilizzare un sistema di prezzi con un’imposta sulle esternalità negative e un sussidio su quelle positive. Il concetto di esternalità è molto presente nel federalismo fiscale con i termini spill-over ovvero traboccamento. Pensiamo al caso di un Comune che investe in parchi pubblici: ne beneficeranno anche i cittadini dei Comuni limitrofi. Al negativo: pensiamo alla localizzazione di aziende inquinanti.
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Esternalità (4) prezzo S’ (costo sociale marginale)
S (costo privato marginale) D (beneficio marginale) Q1 Q quantità I1 I inquinamento I
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Mercati incompleti Abbiamo un mercato incompleto quando il settore privato non è in grado di offrire un bene o un servizio anche se il suo costo di produzione è inferiore al prezzo che i consumatori sarebbero disposti a pagare. Qualche esempio: Assicurazione dei depositi. Mercati complementari (iniziative di riqualificazione urbana). Assicurazione sulle transazioni internazionali.
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Carenza di informazione
Il mercato privato può fornire insufficienti informazioni ai consumatori. Qualche esempio: Trasparenza di condizioni sui contratti bancari. Ingredienti nei prodotti alimentari. Note esplicative dei prodotti farmaceutici. Previsioni meteo.
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Inflazione, disoccupazione e disequilibrio
Le variazioni cicliche e i vincoli strutturali impongono spesso ai sistemi economici periodi non transitori di sottoutilizzo del lavoro e del capitale. L’operatore pubblico è chiamato, attraverso politiche economiche, a temperare gli effetti negativi sugli individui e sulle imprese. Quanto le politiche di intervento siano capaci di ovviare a tali problemi, specie in assenza di riforme strutturali, è tema di dibattito in ambito macroeconomico.
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Beni pubblici (intro) (1)
I beni pubblici puri sono caratterizzati da due proprietà fondamentali: Il loro godimento da parte di un individuo addizionale non comporta costi aggiuntivi (non rivalità). L’esclusione di uno o più individui dal loro godimento è difficile se non impossibile (non escludibilità). Classici esempi: La difesa nazionale, gli ausili alla navigazione (boe, fari), l’illuminazione pubblica, le previsioni meteo. Per sua natura il mercato privato non offre tali beni in misura sufficiente o non ne offre affatto.
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Beni pubblici (intro) (2)
Consumo di un bene privato puro j: Consumo di un bene pubblico puro j: Ogni individuo i consuma (o può consumare) l’intero ammontare del bene pubblico. La non escludibilità rende impossibile a un produttore privato di esigere un prezzo per la fornitura del bene pubblico.
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Beni pubblici (intro) (3)
Quanto detto finora non implica necessariamente che l’operatore pubblico debba produrre direttamente i beni pubblici, ma solo che è necessario un suo intervento. Ad esempio, lo Stato potrebbe decidere tramite procedura d’asta di affidare la produzione al settore privato, fissando livelli minimi di qualità del servizio.
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I fallimenti del mercato efficiente
I fallimenti del mercato finora descritti comportavano, in assenza di intervento pubblico, una situazione subottimale in senso paretiano. Vi sono due ulteriori fallimenti possibili anche in situazione di ottimo paretiano: Insoddisfacente distribuzione del reddito. Beni meritori. L’ottimo paretiano prescinde da questioni distributive, potendo dare luogo così a distribuzioni fortemente sperequate, tali da pregiudicare livelli minimi di sopravvivenza.
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Beni meritori Vi sono beni o comportamenti che i consumatori, anche se perfettamente informati, non consumano o seguono a sufficienza (astenersi dal fumo, indossare le cinture di sicurezza, ecc.). Quando l’operatore pubblico interviene ritenendo di sapere ciò che è bene per i cittadini meglio dei cittadini stessi assume un comportamento paternalistico. Il divieto di assunzione di droghe o il proibizionismo americano degli anni ‘20 sono esempi di politiche paternalistiche.
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Offerta efficiente di beni pubblici locali e mobilità dei cittadini
Uno guardo più da vicino sui beni pubblici: Il free rider. Beni pubblici misti e beni privati offerti dal settore pubblico. Samuelson e il problema della rivelazione delle preferenze individuali sui beni pubblici nazionali. Tiebout e il «voto con i piedi» per la rivelazione delle preferenze sui beni pubblici locali.
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I beni pubblici: il free rider
Ricordiamo che i beni pubblici puri sono caratterizzati dalla non rivalità e dalla non escludibilità. Per effetto di tali caratteristiche, è difficile far pagare un prezzo per il bene o servizio, in quanto nessuno si mostrerà disposto a pagarne il prezzo, pur beneficiandone (problema del free rider). Per tale motivo è più semplice fare ricorso alla tassazione per garantire il funzionamento del servizio.
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I beni pubblici misti Costo marginale di fruizione (desiderabilità di esclusione) e facilità di esclusione Alto costo marginale Beni privati forniti dal settore pubblico Beni privati puri Autostrada congestionata Desiderabilità dell’esclusione Difesa nazionale Autostrada non congestionata Basso costo marginale Vigili del fuoco Beni pubblici puri Esclusione impossibile (o costosa o inaccettabile) Esclusione facile
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Un bene pubblico (locale) offerto dal settore privato (1)
Un ponte non congestionato pedaggio Curva di domanda perdita di benessere livello di congestione P Q Q1 Q2 transiti
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Un bene pubblico (locale) offerto dal settore privato (2)
L’imposizione di un prezzo a fronte di un bene il cui costo marginale sociale è pari a zero comporta una sottoutilizzazione del bene pubblico in questione. La perdita di benessere deriva dal numero mancato di transiti rispetto alla gratuità (l’area al di sotto della curva di domanda). In caso di basso costo marginale, si pone la scelta tra l’imposizione di tariffe o il finanziamento tramite la fiscalità generale (la scelta dovrebbe privilegiare l’opzione meno distorsiva).
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Un bene a esclusione costosa e con costo marginale positivo (1)
prezzo Curva di domanda guadagno di benessere con fornitura gratuita perdita di benessere con fornitura gratuita P* Costi di transazione C Costi di produzione Q* Q1 Qm quantità
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Un bene a esclusione costosa e con costo marginale positivo (2)
Ipotizzando la presenza di costi di transazione (esclusione costosa) e di produzione, può risultare vantaggioso fornire comunque il bene gratuitamente. Il guadagno di benessere rispetto all’equilibrio di mercato risulta dall’area compresa tra la curva di domanda e la curva di costo marginale (passaggio da Q* a Q1), a fronte di una perdita di benessere per la quantità consumata oltre il costo marginale (passaggio da Q1 a Qm). I programmi pubblici di assicurazione sono stati un classico esempio di correzione a fronte di elevati costi di transazione (amministrativi).
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Beni privati forniti dal settore pubblico (1)
Spesso a fini distributivi, l’operatore pubblico può preferire di sostituirsi al mercato nella fornitura di beni privati. Un classico esempio è l’istruzione, per la quale si desidera che le opportunità rispondano al merito individuale piuttosto che alle caratteristiche della famiglia di provenienza. La distorsione introdotta dall’operatore pubblico è inversamente correlata all’elasticità della domanda rispetto al prezzo.
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Beni privati forniti dal settore pubblico (2)
prezzo Curva di domanda bene 2 Curva di domanda bene 1 perdita di benessere gratuità bene 2 perdita di benessere gratuità bene 1 C Q1* Q1m Q2* Q2m quantità
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Analisi di equilibrio parziale: un bene privato
La curva di domanda aggregata si ottiene per somma orizzontale di quelle individuali (gli individui sono price takers). prezzo Curve di domanda individuale Curva di offerta Curva di domanda aggregata Q1 Q2 Q quantità
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Analisi di equilibrio parziale: un bene pubblico
La curva di domanda aggregata si ottiene per somma verticale di quelle individuali (gli individui sono quantity takers). I prezzi pagati corrispondono al principio del beneficio. prezzo Curva di domanda aggregata Curve di domanda individuale Curva di offerta P P2 P1 quantità
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Condizioni di equilibrio
Bene privato: il prezzo è uguale per tutti i consumatori e pari al costo marginale di produzione. Bene pubblico: la somma dei prezzi pagati dai singoli consumatori è pari al costo marginale di produzione. Tenendo il reddito reale costante (anziché quello nominale), la somma dei saggi marginali di sostituzione è pari al costo marginale di produzione. Ma come indurre gli individui a rivelare il proprio beneficio marginale dal consumo del bene pubblico (problema del free rider)? Per tale motivo Samuelson in questi casi parlava di pseudo curve di domanda.
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Analisi di equilibrio generale
Ipotesi di partenza (Samuelson 1954 e 1955): Il mercato è composto da due beni, un bene privato puro X1 e un bene pubblico puro X2, e da due consumatori (1 e 2), cosicché: La frontiera delle possibilità di produzione e i gusti dei due consumatori sono dati.
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Analisi di equilibrio generale: gli individui
I punti E1, E2 ed E individuano la combinazione efficiente in senso paretiano di consumo del bene privato (X1’) e del bene pubblico (M). Il tasso marginale di trasformazione eguaglia la somma dei tassi marginali di sostituzione. Curve di indifferenza individuo 1 X11 Curve di indifferenza individuo 2 X12 C c E2 X11’ E1 X12’ D d M X2 M X2
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Analisi di equilibrio generale: il sistema
X1 A Frontiera delle possibilità di produzione X1’= X11’+ X12’ C’ E D’ M B X2
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Analisi di equilibrio generale
Partendo da diverse curve di indifferenza dell’individuo 2, possiamo derivare una famiglia delle curve di possibilità di consumo dell’individuo 1. LL rappresenta l’insieme dei punti di tangenza con le sue curve di indifferenza. X11 L L X2 c d
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Analisi di equilibrio generale
Possiamo allora tracciare una curva delle possibilità di utilità. Il decisore pubblico, attraverso la funzione di benessere sociale, determina la quantità di bene pubblico e di bene privato (e la distribuzione di quest’ultimo) che pone il sistema sulla curva di indifferenza sociale più elevata. U1 Curva di indifferenza sociale E Curva delle possibilità di utilità U2
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Analisi di equilibrio generale
In condizione di ottimo sociale ed n individui, ricordiamo che la somma dei saggi marginali di sostituzione (SMS) eguaglia il saggio marginale di trasformazione (SMT): In termini di prezzi, la somma dei prezzi pagati dagli n individui eguaglia il costo marginale di produzione: Il problema centrale posto da Samuelson è però che per i beni pubblici non esiste un meccanismo di rivelazione delle preferenze analogo a quello di mercato, tale da determinarne la quantità ottima e poter prevenire effetti free rider.
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Beni pubblici locali (1)
Un bene pubblico si definisce locale quando esaurisce i propri benefici all’interno di un’area geografica limitata. Ogni bene o servizio pubblico locale ha quindi un bacino autocontenuto di utenti che ne sono i soli beneficiari. In linea teorica, si potrebbe definire una giurisdizione locale per ogni servizio pubblico locale, in modo da eliminare qualsiasi spill-over in termini di costi e di benefici. L’efficienza economica richiederebbe quindi la determinazione di un sistema di Amministrazioni locali variegato quanti sono i beni pubblici locali sul territorio, nella misura in cui i bacini di utenza differiscono tra loro.
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Beni pubblici locali (2)
Nella realtà un sistema perfettamente efficiente quanto a dimensioni e funzioni delle Amministrazioni locali sarebbe di impossibile gestione. Nel caso italiano, ad esempio, abbiamo una mappa di Comuni, Province e Regioni aventi pari dignità e dai contorni solo marginalmente modificabili. Qualsiasi sistema venga definito per le funzioni e il finanziamento degli enti decentrati, i fenomeni di spill-overs per costi e benefici sono una componente inevitabile dell’organizzazione del federalismo fiscale.
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Il modello di Tiebout (1)
Ricordiamo l’avvertenza di Samuelson che con una pluralità di consumatori la non rivelazione delle preferenze riguardo i beni pubblici nazionali pone seri problemi nel determinare la situazione ottimale in senso paretiano. Charles Tiebout risponde al problema del free rider definendo un modello per i beni pubblici locali in cui con scelte decentralizzate viene raggiunta l’efficienza economica e dove le preferenze vengono rivelate.
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Il modello di Tiebout (2)
In presenza di un numero sufficientemente elevato di Amministrazioni locali, ciascuna delle quali offre un diverso menu di beni locali, i cittadini sceglieranno di vivere nell’Amministrazione che meglio risponde alle loro preferenze individuali. Votando con i piedi, gli individui rivelano le proprie preferenze e promuovono l’allocazione efficiente dei beni pubblici locali, rendendo possibile il raggiungimento dell’ottimo paretiano, come in un mercato privato (un quasi mercato). «Spatial mobility provides the local public goods counterpart to the private market’s shopping trip.»
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Il modello di Tiebout: le ipotesi
Le ipotesi del modello sono però molto restrittive: Perfetta mobilità dei consumatori, che non sono vincolati da legami familiari. Redditi da dividendi (nessun legame di lavoro). Conoscenza perfetta dell’offerta di tutte le Amministrazioni locali. Rendimenti costanti di scala nella produzione dei beni pubblici locali (costo marginale costante). Assenza di spill-overs. Elevato numero di Amministrazioni locali.
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Il modello di Tiebout: le conseguenze
La coincidenza tra ambito locale e preferenze individuali porta all’estremo di Amministrazioni locali formate da una sola persona. Il voto con i piedi può avere riflessi distributivi indesiderati, con il formarsi di comunità di ricchi e ghetti di disgraziati. Si ignora l’assetto politico-istituzionale. Nessuna considerazione sul finanziamento del bene pubblico locale (imposta capitaria). In equilibrio tutte le Amministrazioni locali hanno una dimensione efficiente (al punto minimo della curva del costo medio pro capite per la produzione del bene pubblico locale).
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Il modello di Tiebout: le critiche
Al venir meno delle ipotesi (molto restrittive) del modello non è possibile raggiungere il numero ottimale (elevato) di Amministrazioni locali. Inoltre con perfetta mobilità dei fattori l’equilibrio, anche se raggiunto, sarà instabile, a meno che non si introducano costi di aggiustamento. A differenza di quanto prevede il modello, osserviamo comunità locali eterogenee e non omogenee. I flussi migratori imporranno alle comunità riceventi costi di congestione.
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Il modello di Tiebout: i pregi
Il modello introduce i fattori economici alla base delle decisioni di residenza. Certo che un’analisi completa non può prescindere da altri fattori quali i costi di trasporto, la distribuzione delle competenze, fattori geografici, la distribuzione delle risorse naturali, il clima, la densità abitativa, ecc. In ogni caso la mobilità territoriale può essere un valido segnale delle preferenze, come se si trattasse di un voto, influenzando le scelte pubbliche e i prezzi.
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Le funzioni pubbliche Possiamo classificare le funzioni dell’operatore pubblico in: Funzione allocativa. Funzione distributiva. Funzione di stabilizzazione. Funzione regolamentare. Funzione assicurativa. … Spesso le funzioni si sovrappongono tra loro, nel senso che in una stessa misura coesistono ad esempio finalità allocative e distributive, ecc.
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La funzione allocativa
Con questa funzione l’operatore pubblico corregge o si sostituisce al mercato nella decisione di quali beni produrre e in quali quantità. Il suo potere coercitivo permette il raggiungimento di un ottimo paretiano altrimenti irraggiungibile a causa di costi di transazione. L’operatore pubblico interviene in senso allocativo tipicamente nelle situazioni di beni pubblici, esternalità, insufficiente concorrenza.
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La funzione (re)distributiva (1)
Come già ricordato, l’economia di mercato può determinare un equilibrio allocativamente efficiente con una distribuzione della ricchezza, del reddito e del benessere socialmente inaccettabile. La risposta privata alle questioni distributive (Onlus, Ong, associazioni di volontariato e benefiche, ecc.) da sola non è sufficiente perché non è in grado di coinvolgere tutti i cittadini (problema del free rider) e, in caso di mancato coordinamento, può condurre a rivalità di azione tra associazioni.
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La funzione (re)distributiva (2)
L’operatore pubblico può efficacemente svolgere la funzione distributiva in modo coordinato e completo grazie alla sua potestà impositiva. Egli redistribuisce il reddito e il benessere facendo ricorso a una tassazione progressiva per finanziare sussidi e la somministrazione di beni e servizi (istruzione e igiene pubblica, previdenza, edilizia popolare, ecc.). Per alcune tipologie di beni e servizi, è sempre aperto il dibattito tra chi ritiene più giusto fornire un aiuto al reddito senza intaccare la sovranità di scelta del consumatore e chi ritiene sia necessario un controllo diretto sulla loro fruizione (il caso dei beni meritori).
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La funzione di stabilizzazione
L’economia di mercato può determinare situazioni prolungate di sottoutilizzo di capitale e lavoro, senza il formarsi di un sentiero verso una situazione di equilibrio. Attraverso gli strumenti delle politiche monetaria e fiscale, l’operatore pubblico coadiuva il sistema economico nel raggiungimento di una situazione di equilibrio e nel creare le condizioni necessarie per una crescita sostenibile di lungo periodo.
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L’attribuzione delle funzioni ai vari livelli di governo (1)
Una delle questioni fondamentali di cui si deve occupare il federalismo fiscale è decidere quali funzioni svolgono i vari livelli di governo. Un’attribuzione ottimale costituisce una variabile chiave di successo del modello federalista prescelto. Secondo l’approccio più classico di Musgrave-Tiebout (detto della torta a strati), la ripartizione dovrebbe essere: Funzione di stabilizzazione: centrale Funzione (re)distributiva: centrale Funzione allocativa: locale
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L’attribuzione delle funzioni ai vari livelli di governo (2)
Il modello della torta a strati nella sua formulazione estrema prevedeva una netta distinzione dei compiti, dove ogni livello di giurisdizione è assolutamente sovrano delle proprie scelte (il caso USA fino agli anni ‘30). Il New Deal roosveltiano introdusse un approccio di federalismo cooperativo, dove Amministrazioni decentrate e governo centrale collaborano nel perseguire gli obiettivi comuni di massimizzazione dell’utilità sociale, ciascuno secondo i propri compiti e responsabilità. Nel caso italiano, abbiamo la ripartizione delle funzioni pubbliche tra competenze nazionali, decentrate e condivise (dove per queste ultime il governo nazionale detta linee guida generali) e vengono assicurati ovunque sul territorio livelli essenziali di assistenza e di prestazione.
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L’attribuzione delle funzioni ai vari livelli di governo: la funzione di stabilizzazione
Una politica fiscale locale espansiva avrebbe difficoltà a essere efficace perché: Si pongono problemi per il suo finanziamento Secondo le dimensioni della comunità locale, molta o quasi tutta la domanda aggiuntiva andrebbe a beneficio di altre comunità Si possono instaurare comportamenti competitivi da parte di altre comunità Una serie di strumenti (in primis la politica monetaria) sono riservati al governo centrale (se non più in alto). Risultato: probabilmente la misura espansiva si traduce in una misura redistributiva (a somma zero).
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L’attribuzione delle funzioni ai vari livelli di governo: la funzione (re)distributiva (1)
In assenza di una funzione distributiva centrale e in presenza di territori a capacità fiscale molto differenziata, sarà possibile assicurare gli stessi servizi pubblici ai cittadini imponendo imposte più elevate nelle zone più povere del Paese. Rilevanti differenze nella tassazione spingeranno i cittadini ad alto reddito (più colpiti dall’imposizione progressiva) a spostarsi verso altre aree con tassazione più mite, vanificando gli sforzi redistributivi delle regioni più povere. La vicinanza al territorio rende comunque efficaci alcuni interventi redistributivi locali delle Amministrazioni decentrate, che potrebbero trovare supporto finanziario da un meccanismo di trasferimenti provenienti dal governo centrale.
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L’attribuzione delle funzioni ai vari livelli di governo: la funzione (re)distributiva (2)
Nella pratica lasciare margini di intervento locale nella funzione distributiva permette di diminuire le differenze tra le funzioni di utilità sociale nazionale e locali. Partendo dal punto A, le preferenze locali guidano verso un punto di ottimo BL, quelle nazionali verso BN. U1 Indifferenza sociale locale BL A BN Indifferenza sociale nazionale U2
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L’attribuzione delle funzioni ai vari livelli di governo: la funzione allocativa
In presenza di comunità con preferenze differenziate sulla quantità di beni pubblici locali, lasciare ai governi locali la funzione allocativa di questi beni risponderebbe a criteri di efficienza. È quanto ci dice Oates (1972) con il suo Teorema del decentramento: «in the absence of cost-savings from the centralized provision of a (local public) good and of interjurisdictional externalities, the level of welfare will always be at least as high (and typically higher) if Pareto-efficient levels of consumption are provided in each jurisdiction than if any single, uniform level of consumption is maintained across all jurisdictions.»
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Il teorema del decentramento (1)
La decentralizzazione dell’offerta del bene pubblico locale si giustifica perché i livelli efficienti (allorché la somma dei benefici marginali eguaglia il costo marginale) sono diversi tra le comunità locali. Perché il governo centrale non sarebbe in grado di differenziare l’offerta? A causa di: Asimmetrie informative. Ragioni di opportunità politica o vincoli costituzionali (non dare l’impressione di un trattamento differenziato).
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Il teorema del decentramento (2)
Formalizzando le ipotesi: Il governo centrale può assicurare solo un’offerta omogenea sul territorio. Le preferenze delle comunità locali possono essere diverse per lo stesso bene pubblico. Il bene pubblico è locale. Rendimenti costanti di scala.
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Il teorema del decentramento (3)
Due comunità e due curve di domanda. La perdita di benessere varia inversamente con l’elasticità della domanda al prezzo. NB: tutto ciò vale a prescindere dal grado di mobilità dei cittadini. prezzo Perdita di benessere 2 P’ Perdita di benessere 1 D2 D1 Q1 QN Q2 quantità
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Il teorema del decentramento (4)
Nella pratica, con assunzioni meno restrittive, la scelta se gestire localmente l’offerta del bene pubblico locale dipenderà da: Rendimenti di scala: al crescere di questi, tanto più ovvia l’offerta centralizzata. Il grado di eterogeneità delle preferenze tra comunità diverse: al suo crescere, tanto più ovvia l’offerta decentralizzata. L’elasticità della domanda al prezzo: al crescere di questa, minore la (eventuale) distorsione di un’offerta centralizzata. I costi decisionali impliciti dell’offerta decentralizzata: al crescere di questi, tanto più ovvia l’offerta centralizzata. Il grado di asimmetria informativa: maggiore il vantaggio conoscitivo delle Amministrazioni decentrate, tanto più ovvia l’offerta decentralizzata.
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Il finanziamento della spesa locale
Le giurisdizioni locali possono contare su quattro possibili fonti di finanziamento: Tariffe pubbliche e tasse. Imposte. Trasferimenti da livelli di governo sovraordinati. Indebitamento. Date le implicazioni di stabilità finanziaria connesse all’indebitamento, in Italia esistono vincoli cui le Amministrazioni decentrate devono attenersi negli strumenti finanziari prescelti (si pensi al caso dei derivati) e alla tipologia di spese da finanziare (investimenti).
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Il finanziamento della spesa locale: introduzione alla tassazione (1)
Le caratteristiche desiderabili di un sistema tributario: Efficienza economica: non deve ostacolare l’efficiente allocazione delle risorse. Semplicità amministrativa: deve essere poco costoso da gestire (per cittadini e governo). Flessibilità: deve poter reagire con facilità a mutate condizioni economiche. Trasparenza politica: deve essere comprensibile a un contribuente medio. Equità: deve equamente trattare contribuenti simili e diversi tra loro.
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Introduzione alla tassazione (2)
Quando si parla di equità delle imposte, questa si può infatti intendere: Equità orizzontale: tassare nella stessa misura persone nelle stesse condizioni (reddito o ricchezza). Equità verticale: persone nelle migliori condizioni (in termini di reddito o ricchezza) devono contribuire maggiormente rispetto alle meno «fortunate». La tassazione non è solo strumento di finanziamento della spesa pubblica, ma è un importante strumento allocativo, distributivo e di stabilizzazione.
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Il principio del beneficio
Se ogni individuo modula il proprio consumo di beni pubblici e privati eguagliando il beneficio marginale del consumo al costo marginale, questo principio postula che ognuno contribuisca proporzionalmente al beneficio conseguito dal consumo di beni pubblici. È un approccio che ricalca il funzionamento di un mercato privato. Controindicazioni: presenza di free rider e diseguaglianza distributiva; ogni attenzione si concentra sulla sola efficienza allocativa.
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La capacità contributiva
La contribuzione è basata sulla capacità che ciascun individuo ha in termini di reddito/ricchezza, in quanto l’equità del sistema tributario equivale all’uguaglianza dei sacrifici imposti ai contribuenti. Ma cosa può significare uguaglianza del sacrificio? Eguaglianza assoluta: tutti perdono lo stesso ammontare di utilità. Eguaglianza proporzionale: tutti perdono la stessa proporzione di utilità. Eguaglianza marginale: la tassazione rende uguale per ogni contribuente l’utilità marginale del reddito.
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Tassazione e livelli di governo (1)
Come per le funzioni dal lato dell’attività di spesa, il federalismo fiscale si deve porre il problema dell’attribuzione del potere impositivo dal lato delle entrate. In presenza di livelli di governo più bassi (e più piccoli) la mobilità dei fattori sarà più accentuata, sino a divenire in teoria perfetta. La mobilità spaziale comporta che le basi imponibili mobili tenderanno, in presenza di trattamenti fiscali differenziati sul territorio, a spostarsi verso le giurisdizioni a minore tassazione.
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Tassazione e livelli di governo (2)
Gli effetti di un’imposizione locale aggiuntiva dipenderanno dalla reale elasticità all’imposta della base imponibile. Nel caso di aumento dell’aliquota: Base imponibile inelastica (>-1): aumento delle entrate fiscali locali. Elasticità della base imponibile = -1: entrate invariate. Base imponibile elastica (<-1): diminuzione delle entrate fiscali locali. Allo stesso modo si possono prefigurare gli effetti di una diminuzione dell’aliquota.
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Tassazione e livelli di governo (3)
A livello locale le forme di tassazione basate sulla capacità contributiva non dovrebbero riguardare le basi imponibili mobili (redditi da lavoro, capitale, beni finali). Questo non significa che su di essi non ci possa essere tassazione, bensì che l’efficienza economica richiede l’applicazione del principio del beneficio, cioè nella misura in cui ogni contribuente beneficia dei servizi pubblici locali. I beni immobili costituiscono invece una base imponibile ideale per la tassazione locale. Non va poi dimenticato che le differenze nella capacità fiscale non devono pregiudicare livelli minimi di assistenza e prestazione dei servizi pubblici locali legati al diritto di cittadinanza.
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Tassazione e livelli di governo (4) alcune definizioni ricorrenti
La capacità fiscale indica la possibilità di un territorio di contribuire al finanziamento dei beni pubblici (o dal lato delle Amministrazioni decentrate, di raccogliere fondi). Una tipica sua misurazione è data dal reddito pro capite. Lo sforzo fiscale misura invece quanto le Amministrazioni decentrate sfruttano i propri margini di autonomia tributaria rispetto al massimo ottenibile: ad esempio, si pensi a quanto in Italia i Comuni e le Regioni abbiano approfittato delle addizionali all’Irpef e della variazione dell’aliquota IRAP.
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I tributi locali Applicare totalmente il criterio del beneficio, oltre che valorizzare la sola efficienza allocativa, è di ben difficile applicazione dati elevati costi di gestione e lacune informative. Più normalmente si introducono forme impositive dirette a coprire in tutto o in parte il costo di fornitura di un servizio nei confronti di una collettività determinata (servizio idrico, raccolta rifiuti, ecc.). Inoltre, nel caso di beni pubblici locali puri, il criterio del beneficio pone problemi di free riding che dovrebbero essere gestiti ricorrendo alla capacità contributiva. L’impossibilità di disegnare un sistema tributario efficiente locale in grado di coprire totalmente i fabbisogni locali fa sì che sia il governo centrale a raccogliere fondi in eccesso rispetto alle proprie esigenze, redistribuendo il surplus (ad esempio) come compartecipazione al gettito.
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L’esportazione delle imposte
Con l’esportazione (orizzontale) delle imposte una giurisdizione fa sì che parte del proprio carico fiscale sia un onere di residenti di altre giurisdizioni locali, determinando per la prima un livello eccessivo di entrate (e di spese). Ad esempio: imposte sulle vendite fatte da non residenti, imposte di soggiorno, imposte sui profitti che gravano su investitori non residenti, imposte sulla proprietà di non residenti. Per ovviare al problema, la teoria suggerisce di preferire il criterio della residenza a quello della fonte, ma il primo è più difficile da amministrare. Esiste anche l’esportazione verticale, nel caso le imposte locali siano deducibili ai fini del pagamento delle imposte erariali.
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La concorrenza fiscale
Per attrarre base imponibile le Amministrazioni locali potrebbero scegliere di ridurre le aliquote locali, pur ottenendo un aumento del gettito. In assenza di coordinamento, gli effetti sarebbero una diminuzione della spesa pubblica, una tassazione eccessiva sui fattori immobili e una tassazione troppo lieve su quelli mobili. Inoltre si potrebbe creare una situazione inefficiente nell’allocazione dei fattori produttivi. La cooperazione e un sistema di trasferimenti dal governo centrale possono risolvere il problema, ma hanno anch’essi dei costi.
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La concorrenza fiscale
La giurisdizione 1 introduce un’imposta sul rendimento del capitale provocando una fuoriuscita di capitale in favore della giurisdizione 2 e abbassando il rendimento del capitale in entrambe (si passa da A a B). F1 F2 (1-t)F1 r1 r2 (1-t)r1 r2’ K1 B A K2
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La tassazione immobiliare
Gli immobili costituiscono una base imponibile ideale per il finanziamento delle Amministrazioni locali in quanto per loro natura legati al territorio di ubicazione e sono difficili da esportare. In molti paesi la tassazione immobiliare costituisce quindi un’importante fonte finanziaria per la Amministrazioni locali. Una controindicazione è data dalla scarso progresso dei valori catastali, che tendono a congelare il controvalore della base imponibile. Se le spese locali seguono dappresso l’andamento di prezzi e redditi, si possono presentare periodicamente situazioni di tensione finanziaria.
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I trasferimenti (1) In tutti i sistemi federali le Amministrazioni locali traggono una parte più o meno consistente delle proprie entrate da trasferimenti provenienti da livelli di governo sovraordinati. Le somme provengono naturalmente dalla fiscalità generale. Questo deriva dai vantaggi dell’imposizione accentrata e dalle difficoltà e distorsioni di quella locale, che impediscono un ammontare di risorse tributarie proprie tale da finanziare integralmente la spesa locale. D’altro canto un sistema basato sui soli trasferimenti può deresponsabilizzare le Amministrazioni e le comunità locali. Va cercato un punto di equilibrio.
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I trasferimenti (2) Le ragioni alla base dei trasferimenti:
È impossibile evitare spill-overs tra giurisdizioni: i benefici tendono a riguardare anche non residenti (pensiamo agli effetti attrattivi di una grande città). Se il problema del finanziamento riguardasse soltanto i residenti, avremmo un’allocazione inefficiente delle risorse, con una produzione subottimale del servizio pubblico in questione. Un sistema ragionato di trasferimenti potrebbe incentivare le attività che causano questi spill-overs benefici.
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I trasferimenti (3) In presenza di differenze nelle capacità fiscali delle varie giurisdizioni, trasferimenti perequativi hanno l’obiettivo di raggiungere l’equità orizzontale. Oppure vi possono essere differenze demografiche che richiedono finanziamenti supplementari alla tassazione locale. Data la scarsa crescita tipica delle basi imponibili immobili, si evita una crescita impetuosa delle aliquote locali. I trasferimenti infatti derivano da basi imponibili più elastiche (in primis il reddito).
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Tipologie di trasferimenti
Di cofinanziamento o a cifra fissa: nel primo caso sono proporzionali alla spesa locale, nel secondo caso slegati dalla spesa locale. Discrezionali o automatici: nel primo caso vengono decisi (o concordati) di volta in volta, nel secondo caso determinati secondo una formula di calcolo. Vincolati o meno: destinati a utilizzi specifici (infrastrutture e piani di investimento, riqualificazione urbana, ecc.) o a libera destinazione. Illimitati o limitati.
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Trasferimenti non vincolati a cifra fissa
Si ottiene un trasferimento pari a ΔG non vincolato. La spesa pubblica locale aumenta meno del trasferimento (ΔE<ΔG), in quanto l’effetto sulla tassazione permette anche una crescita dei beni privati. Vincoli di bilancio Beni privati ΔE ΔG Beni pubblici locali
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Trasferimenti vincolati a cifra fissa
Si ottiene un trasferimento pari a ΔG vincolato. A meno di soluzioni d’angolo, ha lo stesso effetto di un trasferimento non vincolato. Vincoli di bilancio Beni privati ΔE ΔG Beni pubblici locali
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Trasferimenti illimitati di cofinanziamento
Si ottiene un trasferimento pari a ΔG non vincolato. L’aumento della spesa pubblica dipende dal combinarsi degli effetti reddito e sostituzione. Abbiamo comunque un effetto maggiore sui beni pubblici locali rispetto al trasferimento a cifra fissa. Vincoli di bilancio Beni privati ΔE ΔG Beni pubblici locali
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Trasferimenti limitati di cofinanziamento
Si ottiene un trasferimento pari a ΔG non vincolato ma limitato. L’aumento della spesa pubblica dipende dal combinarsi degli effetti reddito e sostituzione e dal grado di generosità del trasferimento. A seconda dei casi avremo un effetto simile al trasferimento illimitato o a quello a cifra fissa. Vincoli di bilancio Beni privati Limite del cofinanziamento ΔE ΔG Beni pubblici locali
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Quali trasferimenti? I trasferimenti di cofinaziamento, meglio ancora se con vincolo di destinazione, sono particolarmente indicati per finanziare i servizi locali che generano spill-overs positivi. I trasferimenti non vincolati sono invece lo strumento più idoneo a fini di perequazione fiscale (in favore delle aree più povere). Queste misure spesso si basano su formule perequative che misurano per ogni giurisdizione la differenza tra il fabbisogno (la spesa necessaria all’erogazione dei servizi pubblici) e la capacità fiscale (quanto possono raccogliere localmente).
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I trasferimenti perequativi
I sostenitori dei trasferimenti perequativi sottolineano la loro efficacia nel permettere una competizione leale tra giurisdizioni a diversa capacità fiscale. Senza tali trasferimenti, le aree a maggior reddito possono intraprendere sentieri di crescita più veloci, aumentando il divario rispetto alle aree più povere. I detrattori sostengono invece che tali trasferimenti impediscono il naturale aggiustamento di mercato, in cui aree a diverso grado di sviluppo (e a diverso costo dei fattori) convergono grazie alla mobilità di capitale e lavoro.
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I trasferimenti come (com)partecipazione alla tassazione nazionale
Abbiamo visto come un’imposizione basata sulla capacità contributiva (e non sul beneficio) non introduce distorsioni allocative solo se applicata dal governo centrale omogeneamente sul territorio. I trasferimenti possono quindi costituire i mezzi di (com)partecipazione delle Amministrazioni locali alle entrate tributarie, dove il governo centrale funge da collettore per l’intera pubblica amministrazione. In questo senso i trasferimenti, all’interno di uno Stato federale, sono uno strumento per l’efficienza e l’equità generali del sistema tributario.
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Concludiamo con una serie di principi per il federalismo fiscale «ottimo» (1)
Diversità. Rispetto e soddisfacimento delle diverse preferenze delle comunità locali riguardo i servizi pubblici e il loro finanziamento. Corrispondenza (o equivalenza). Per ogni servizio pubblico, la comunità che ne beneficia (nazionale, regionale, locale a seconda dei casi) decide sulla sua erogazione e paga per il suo finanziamento. Funzioni centralizzate. Distribuzione del benessere e stabilizzazione economica nelle mani del governo centrale. Correzione degli spill-over. Correzione da parte di livelli di governo superiori per i fenomeni di traboccamento.
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Concludiamo con una serie di principi per il federalismo fiscale «ottimo» (2)
Neutralità di localizzazione. Minimizzazione degli effetti distorsivi sulle scelte localizzative di famiglie e imprese. Garanzia dei servizi pubblici essenziali. Qualunque sia l’organizzazione per livelli di governo, garanzia dei livelli essenziali per i servizi pubblici connessi al diritto di cittadinanza (sicurezza, salute, istruzione, lavoro e previdenza, …). Perequazione. In presenza di territori con diversa capacità fiscale e grado di sviluppo, il governo centrale assicura pari opportunità alle Amministrazioni decentrate, garantendo nel contempo i livelli essenziali di assistenza e prestazioni.
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Qualche indicazione bibliografica
Brown C.V. e P.M. Jackson, Public Sector Economics, Blackwell ed. Oates W.E. (1972), Fiscal Federalism, Harcourt Brace Jovanovich. Oates W.E. (1999), An Essay on Fiscal Federalism, Journal of Economic Literature, vol. 37 n. 3. Sauelson P.A. (1954), The Pure Theory of Public Expenditure, The Review of Economics and Statistics, vol. 36 n. 4. Samuelson P.A. (1955), Diagrammatic Exposition of a Theory of Public Expenditure, The Review of Economics and Statistics, vol. 37 n. 4. Stiglitz J.E., Economia del settore pubblico, Hoepli. Tiebout C.M. (1956), A Pure Theory of Local Expenditures, The Journal of Political Economy, vol. 64 n. 5.
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