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PubblicatoGiada Marinelli Modificato 9 anni fa
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che cosa ci dice la teoria? In ambito neoclassico, gli aspetti spaziali dello sviluppo sono stati considerati perlomeno marginali, poiché il libero agire delle forze di mercato determina una distribuzione delle localizzazioni produttive, e quindi una crescita economica, equilibrata nello spazio. Il concetto di “distretto industriale”, o più in generale di cluster di imprese, ha ricevuto solo recentemente una certa rilevanza nelle teorie della crescita e dello sviluppo. L’idea che la capacità competitiva di un paese dipenda anche dalla presenza di concentrazioni sul territorio di imprese industriali specializzata è apparsa oltre un secolo fa negli scritti di Alfred Marshall
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Importanza dello studio della localizzazione delle attività L’ambito territoriale ha acquistato sempre più importanza come dimensione del vantaggio competitivo tra sistemi economici e paesi. Il caso italiano è emblematico: per la grande varietà di modelli di sviluppo locale che generano differenze delle performances territoriali per la presenza diffusa di aggregazioni d’imprese di piccola e media dimensione specializzate in distretti industriali per il ruolo che questi cluster locali hanno avuto e continuano ad avere in termini di esportazione, occupazione e sviluppo.
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che cosa ci dice la teoria? In ambito neoclassico, gli aspetti spaziali dello sviluppo sono stati considerati perlomeno marginali, poiché il libero agire delle forze di mercato determina una distribuzione delle localizzazioni produttive, e quindi una crescita economica, equilibrata nello spazio. Il concetto di “distretto industriale”, o più in generale di cluster di imprese, ha ricevuto solo recentemente una certa rilevanza nelle teorie della crescita e dello sviluppo. L’idea che la capacità competitiva di un paese dipenda anche dalla presenza di concentrazioni sul territorio di imprese industriali specializzata è apparsa oltre un secolo fa negli scritti di Alfred Marshall
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Marshall sottolinea la presenza di meccanismi di auto-sviluppo, ora detti causazione cumulativa, che, basati sull’esistenza di economie di localizzazione, portano a sostenere e rinforzare i processi agglomerativi di crescita. Questi meccanismi si fondano principalmente su quattro fattori: la creazione di legami d’offerta, tramite la presenza di imprese fornitrici di input a vari livelli; la creazione, diremmo oggi, di un mercato del lavoro “spesso”, ovvero dove è presente un folto gruppo di lavoratori specializzati; la possibilità di sviluppo di una specializzazione produttiva tra imprese a diversi stadi del processo produttivo della specializzazione territoriale; la presenza di effetti di spillover di tecnologia e in generale di sapere formale e informale tra le imprese.
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È stato necessario un secolo agli economisti per riscoprire il lavoro di Marshall I motivi della riscoperta sono stati principalmente tre: l’ampio e accurato lavoro di ricognizione empirica sulle cause della competitività di alcune industrie per molti paesi, e in particolare gli studi di Porter (1990, 1998), che hanno messo in evidenza come l’aggregazione delle imprese sul territorio in cluster incrementi la loro competitività; la recente riscoperta, sottolineata in particolare dalle teorie sulla crescita endogena, dell’importanza dei rendimenti di scala crescenti per lo sviluppo, che si creano localmente tramite processi di spill-over locali di conoscenza e di learning-by-doing; lo sviluppo della nuova geografia economica (NEG) che, basata sul lavoro pionieristico di Krugman (1991), offre una robusta base teorica ai processi di formazione e sviluppo di aggregazioni industriali sul territorio.
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Evidenze empiriche necessarie: Misure della concentrazione/diffusione Individuazione delle aree specializzate Modelli di evoluzione della specializzazione Modelli della crescita Analisi delle performances delle aree Studio della convergenza
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Griglie d’analisi territoriale, Unità minima di analisi Il concetto di spazio è problematico, ancor più quello di confine Tassellazione del territorio (esagoni etc..) Confini amministrativi (Regioni, province, comuni) I Sistemi locali del lavoro (Istat) La nomenclatura NUTS dell’Unione Europea Le regioni funzionali nei Paesi OCSE Gli stati (mercati internazionali e globalizzazione)???
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Gli “esagoni” di Christaller (1933) e Losch (1940)
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I confini amministrativi: variabilità e dipendenza “storica” I centri principali sulla via Emilia Distano circa 30Km, come le stationes romane
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Quali aree? NO COMUNI, confini storico/amministrativi, non economici Sistemi Locali del Lavoro (SLL) = Aggregazioni di comuni sitemi economici “autocontenuti” per i flussi di pendolarismo per motivi di lavoro Circa 700 SLL identificati
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I sistemi locali del lavoro (SLL) italiani Procedura multi-step basata su dati di occupazione e spostamenti pendolari: Il criterio base è il concetto di autocontenimento dell’area Espressa sia dal punto della domanda che dell’offerta di lavoro
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Si tratta di unità territoriali costituite da più comuni contigui fra loro, geograficamente e statisticamente comparabili. I sistemi locali del lavoro rappresentano i luoghi della vita quotidiana della popolazione che vi risiede e lavora. Nella sostanza rispondono alla definizione di mercati del Lavoro autocontenuti. In questo senso definiscono l’unità territoriale minima come quella in cui si esplica il circuito del reddito. I sistemi locali del lavoro sono uno strumento di analisi appropriato per indagare la struttura socio-economica dell'Italia secondo una prospettiva territoriale. Per il 2011 sono stati identificati 611 SLL.
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I sistemi locali del lavoro sono indipendenti dai confini amministrativi: sono 56 (9,2%) quelli che si collocano a cavallo di più regioni e 185 (30,3%) quelli che coinvolgono due o più province. I sistemi di Voghera (Pavia) e Melfi (Potenza) sono gli unici a includere comuni appartenenti a tre regioni distinte. Il sistema locale di Milano, oltre ad essere il più esteso in termini di popolazione residente (quasi 3,7 milioni di abitanti), coinvolge 174 comuni, appartenenti a ben sette delle 12 provincie lombarde. È la Sicilia la regione che presenta il maggior numero di sistemi locali (71), seguita da Lombardia (51) e Toscana (48). Molise e Valle d'Aosta, ambedue con cinque sistemi, sono le regioni con il minor numero di partizioni. Il sistema locale più esteso come superficie è quello di Roma – si sviluppa per 3.892 km 2 – il più piccolo è Capri con 10,5 km 2. I sistemi locali di grandi dimensioni, con oltre 20 milioni di abitanti, rappresentano oltre un terzo della popolazione nazionale (33,8%) e degli occupati residenti (35,0%). Quelli di Torino, Milano, Roma e Napoli rappresentano da soli poco meno di un quinto della popolazione residente. In 332 sistemi (oltre il 70% della popolazione) più di tre quarti degli occupati vivono e lavorano nello stesso sistema locale (indici di auto-contenimento al di sopra di 0,75).
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Come definiamo i distretti? L’algoritmo proposto dall’Istat per la individuazione dei distretti si basa su 4 criteri principali. Schematicamente un SLL è distretto se ha le seguenti cararatteristiche: Percentuale di addetti alle attività manifatturiere > media nazionale Percentuale di addetti in Unità Locali (UL) con meno di 250 addetti > media nazionale Percentuale di addetti alla attività manifatturiera dominante > media nazionale Percentuale di add. alla attività dominante in UL con meno di 250 addetti > 50%
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Matrice dei dati spaziali (addetti) Ad esempio: variabili = Addetti per settore aree = Sistemi Locali del Lavoro
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Coefficiente di localizzazione a cioè peso del settore h nell’area peso del settore h nazionale Se Q ih > 1 : peso del settore h superiore al peso medio nazionale specializzazione
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Indice molto instabile e con diversi limiti Non soddisfa le condizioni di: additività e proporzionalità rispetto alle aggregazioni di aree e settori
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Coefficiente di dotazione Più stabile ma richiede la definizione di un valore soglia per la specializzazione Distribuzione log-normale Quindi Intervallo Calcolato sui logaritmi
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Misure alternative per la individuazione di aree specializzate Graduatoria di addendi dei principali indici di concentrazione: Media entropica: Indice di Theil Indice di Herfindhal
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Misure di concentrazione Distribuzioni per dimensione disperse e asimmetriche: Scarso significato di media aritmetica e mediana (nessun valore prevalente, risentono valori minimi) Meglio MEDIA ENTROPICA (peso + che prop. ai valori più grandi) N classi i N i = imprese SLL i A i = Addetti SLL iA = Totale addetti MH MA se = allora equidistribuzione
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Misure di concentrazione Indice di entropia di Theil: Misura inversa, Compreso tra 0 (max) e lg(N) (equi) Indice additivo (se gruppi di imprese) Entropia tot. = Entropia tra + Entropia in
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Indici di agglomerazione Ellison-Glaeser H= indice di Herfindhal (dimensione)
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Prima legge della geografia “ogni cosa è collegata a tutte le altre, ma cose vicine sono più collegate che non cose lontane”– Waldo Tobler Autocorrelazione Spaziale
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Autocorrelazione spaziale Correlazione di una variabile con sé stessa nello spazio –Se si può individuare qualche pattern caratteristico di localizzazione di una variabil, allora c’è AUTOCORRELAZIONE –Se aree vicine sono più simili di quelle lontane allora AUTOCORRELAZIONE POSITIVA –Se aree vicine sono più diverse di quelle lontane AUTOCORRELAZIONE NEGATIVA –Se pattern casuali: CORRELAZIONE =0
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Perché è importante Modelli della crescita Misura quanto il verificarsi di un certo evento in un’area, modifica la probabilità che lo stesso evento si verifichi in un’area vicina Molte statistiche assumono dati indipendenti, la presenza di autocorrelazione spaziale viola questa assunzione (esempio stime OLS)
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Indice I di Moran Uno dei più “vecchi” (Moran, 1950). Tuttavia ancora un riferimento usatissimo per misurare l’autocorrelazione spaziale Richiede variabili quantitative Compara i valori di ciascuna area con tutte le altre
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Dove N = numero delle aree X i = valore della variabile X nell’area i X j = valore della variabile X nell’area j W ij = peso legato alla distanza i-j
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I di Moran Per i pesi W ij due opzioni: –Matrice di adiacenze: se l’area i confina con l’area j W ij =1, altrimenti W ij =0 –Matrice di vicinanza spaziale: W ij = (1/d ij ), inverso della distanza i-j E simile al cofficiente di correlazione di Pearson, varia tra –1.0 e + 1.0
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Esempio 1 Reddito pro-capite (contea di Monroe) Using Polygons: Morans I:.66 P: <.001 Using Points: I:.12 t: 65
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Esempio 2 variabile casuale Using Polygons: Moran’s I:.012 p:.515 Using Points: Moran’s I:.0091 t: 1.36
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Il problema delle distanze Adiacenze, distanze linea d’aria, tempi di percorrenza su grafo stradale (MOLTO IMPORTANTI) Perché vi sono tempi variabili per periodo Per lo svilluppo della rete stradale Italiana
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Il “raggio” entro cui si esplica una interazione significativa è una isocrona (esattamente il valore più significativo si colloca attorno ai 50 minuti) Poichè le medie di percorrenza crescono nel periodo (in questo lavoro solo per effetto della introduzione di strade più veloci) Il raggio in termini di distanze kilometriche aumenta considerevolmente. In 50 anni raddoppia, passando da 60 a circa 120 KM
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L’impiego dell’indice di Moran (e delle sue varianti) è assai diffuso in letteratura ed è ormai consolidato una sorta di “protocollo” di analisi delle sue risultanze. Tale protocollo comprende l’analisi: 1.dell’indice esteso a tutte le UT 2.dell’indice relativo ad intorni limitati di ciascuna area 3.della significatività statistica dell’indice, verificata la ipotesi di normalità dello stesso 4.dei valori con cui ciascuna UT contribuisce all’indice generale (Local Moran Index - LMI) della mappa delle UT distinte secondo la seguente tipologia: UT con LMI positivo circondate da UT con LMI positivi (HH) UT con LMI negativo circondate da UT con LMI positivi (LH) UT con LMI positivo circondate da UT con LMI negativi (HL) UT con LMI negativo circondate da UT con LMI negativi (LL) I Casi a) e d) determinano una correlazione spaziale positiva, al contrario dei casi b) c). Tuttavia è chiaro che il loro significato, in termini di diffusione/concentrazione delle attività è assai diverso.
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Una schematica interpretazione delle tipologie potrebbe essere la seguente: UT che hanno alti livelli di insediamento e tendono a contagiare aree vicine, probabili “motori di diffusione” UT a ridosso di poli di insediamento produttivo che non hanno ricevuto impulsi significativi dalla vicinanza e probabilmente sono aree di attrazione del centro più sviluppato Polo che attrae UT vicine e non mostra tendenza alla diffusione, situazione simmetrica a c) Aree di minor peso insediativo, incapaci di rivestire un ruolo significativo nella diffusione delle attività né in senso attivo (come motori della crescita) né in senso passivo (come recettori di diffusione altrui)
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