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PubblicatoSilvia Salvadori Modificato 8 anni fa
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1. Le pratiche di mediazione – soprattutto in ambito penale - sono figlie di una cultura estranea al nostro statuto giuridico ed esprimono un pragmatismo che sacrifica quei principi e quei valori che sono a fondamento della nostra società e della nostra tradizione. Concetti come “colpa – responsabilità – giudizio - sanzione” vengono vanificati, ignorati o decisamente mortificati.
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2. La mediazione penale minorile è un espediente organizzativo e burocratico “giustificato” dal cumulo delle pendenze che gravano sul funzionamento dei nostri tribunali. E’innegabilmente un costo aggiuntivo, ma con risultati incerti e per molti aspetti “perversi”: nel tentativo di sveltire alcune procedure, viene sacrificato il concetto stesso di giustizia retributiva.
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3. La mediazione toglie alla vittima il diritto ad ottenere soddisfazione attraverso una punizione necessaria ed esemplare a carico del reo. Il colpevole potrà sentirsi legittimano a reiterare il danno, mentre la vittima si sentirà non solo bersaglio di un sopruso, ma esclusa da qualunque vera azione riparatrice.
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4. La mediazione opera in una dimensione misteriosa e parallela ai contesti legittimi e naturali in cui viene esercitata la giustizia. In questo modo, rende inutile il dibattimento processuale come esercizio di garanzia e di trasparenza e svuota di senso la funzione della professione legale.
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5. La mediazione è affidata a figure “professionali” ibride, estranee alla cultura del diritto, inadeguate a condurre indagini e valutazioni sulle dinamiche del reato, inesperte nei percorsi di analisi dei vissuti personali e limitatamente addestrate a gestire “pratiche persuasive”, rischiosamente manipolative. I mediatori, ispirati da un presunto buon senso, banalizzano i conflitti e alimentano il senso di ingiustizia.
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