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Psicologia dell’arte A.A. 2010-11 Parte 1.

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Presentazione sul tema: "Psicologia dell’arte A.A. 2010-11 Parte 1."— Transcript della presentazione:

1 Psicologia dell’arte A.A Parte 1

2 Arte e psicologia: temi e problemi

3 Arte e psicologia: temi e problemi
bellezza corporeità crescita della personalità soggettività/oggettività etica verità/salvezza destino attrazione turistica ordine e armonia

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5 Di questa immagine ci colpisce sua schiettezza, la sua pregnanza emotiva, il suo non essere costruita in modo artefatto.

6 L’arte non si limita a produrre enunciati: ci commuove (Trevarthen, 1997, tr. it. 1998, p. 168)

7 L’anno scorso [1989] Herbert von Karajan, il celebre direttore della Filarmonica di Berlino, è stato ripreso dalla televisione mentre dirigeva l’orchestra. Aveva 79 anni. Camminava in maniera rigida, e aveva visibilmente un basso controllo motorio. La sua mano destra afferrava la bacchetta con una presa dura, e tuttavia segnalava all’orchestra il ritmo e la dinamica in modo perfettamente economico e preciso, attraverso movimenti della spalla e del gomito. Allo stesso tempo, la sua mano sinistra «spingeva” la tessitura e la melodia della musica con le dita tese che fremevano, indicavano ed esitavano per segnalare ogni sottile sfumatura delle sue idee ed emozioni musicali, chiedendo ai musicisti di suonare individualmente e collettivamente, sollecitandoli a trattenere l’espressione o a portarla in primo piano, e dando ai suoni una forma bella. I suoi messaggi erano del tutto chiari. Quali patterns di organizzazione le sue vecchie mani stavano comunicando alle menti del direttore, dei musicisti, del pubblico? Lascio la penna e rinuncio a presentare altre prove. (Trevarthen 1997, p. 108)

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10 Paul e Maria Sacher dettero un ruolo di primo piano all’arte quando fondarono l’istituto di immunologia di Basilea. Così commenta lo spirito del luogo Ulf Larsson: L’incontro con opere d’arte doveva ricordare a tutti i visitatori dell’istituto che la creatività vera è un’unione tra arte e scienza, una concezione condivisa dai ricercatori dell’Istituto. Infatti gli immunologi di solito s’infervorano parlando della bellezza del sofisticato sistema che il corpo umano ha escogitato per difendersi dagli attacchi di sostanze estranee. La ricerca per capirne il funzionamento non regala soltanto conoscenze affascinanti, ma anche lampi di bellezza.

11 I voli dei fisici e degli astronomi odierni rispondono al bisogno estetico di soddisfare l’immaginazione piuttosto che a una rigorosa esigenza di prove spassionate di una interpretazione razionale (Dewey, 1934, tr. it. 1951, p. 39)

12 L’arte come prosecuzione dell’opera della natura: diventando umano, l’uomo è perde l’”unità dell’esperienza” che avverte l’animale, perché questi vive tutto nell’immediatezza dell’istinto, mentre l’uomo sperimenta una frattura fra impulso e appagamento: egli è ancora parte della natura, ma ne è anche stato espulso e può ritornare all’unità con la natura solo utilizzando la memoria, la fantasia, l’immaginazione, la ragione.

13 “L'immaginazione non è uno stato mentale: è l'esistenza umana stessa” (William Blake)

14 Se i fenomeni culturali non fossero naturali, come potrebbero darsi
Se i fenomeni culturali non fossero naturali, come potrebbero darsi? Se amassi i paradossi, potrei proclamare che è naturale per l’uomo comportarsi in maniera innaturale. […] la natura umana, che significa cultura, si fonda su un sostrato biologico. A questa affermazione andrebbe aggiunta la parola “fantasia”, ovvero “immagine mnemonica”, di cui non comprendiamo esattamente la natura, ma la cui funzione è di prolungare e iperenfatizzare ciò che è specificamente umano rispetto a ciò che condividiamo con tutti gli altri animali. (Róheim, 1950, p. 498)

15 L’Arte permette: Di elaborare a un livello “mentale” l’impulsività animale L’arte è il correlativo umano dell’appagamento dell’istinto animale, permette di attingere ad un momento di armonia (Dewey) L’arte è un continuo riscattare le radici dell’esperienza, le esperienze basilari e universali, il fondo dell’essere, un andare dall’universale all’individuale, dove l’individuale contiene l’universale  in quanto tale l’arte è strutturata e contemporaneamente, in quanto espressione di dimensioni trans-umane, anche destrutturata: fisica e mentale; primitiva e “metafisica”, sublime e terribile. L’arte permette di sèperimentare in sicurezza momenti di destrutturazione (Balint/Winnicott)

16 Alcuni pensieri sull’arte di Rudolf Arnheim
L’eclettismo, o, se preferite, l’universalismo della nostra cultura non è il solo responsabile del nostro culto della forma. vi sono altre e pesanti cause, tra le quali menzionerò una soltanto, precisamente ciò che io definisco il nostro “vivere insignificante”. Negligiamo il privilegio umano di comprendere i singoli eventi ed oggetti in quanto riflessi del significato della vita. Quando spezziamo il pane o ci laviamo le mani, ci interessano soltanto il nutrimento e l’igiene. La nostra vita da svegli non è più simbolica. questo declino filosofico e religioso determina un’opacità del mondo dell’esperienza, che riesce fatale all’arte, perché l’arte si connette al mondo dell’esperienza in quanto veicolo di idee. Quando il mondo non è più trasparente, quando gli oggetti non sono altro che oggetti, allora le forme, i colori ed i suoni non sono che forme, colori e suoni, e l’arte diviene una tecnica per solleticare i sensi. Il simbolismo inconscio, verso il quale ci siamo precipitati in cerca di salvezza, è di gran lunga troppo primitivo per sopportare da solo il peso di questo compito. L’arte è ciò che ci ricorda che l’uomo non può vivere di solo pane; ma noi cerchiamo di ignorarne il messaggio trattando l’arte come una serie di stimoli piacevoli. […] quanto spesso ho sofferto nel vedere le riproduzioni della grande musica impiegate come rumore di fondo per la conversazione da parte di persone peraltro colte e raffinate, non posso non rendermi conto che in verità la musica può perdere qualsiasi profondità di significato ed essere ridotta a forme sonore. L’atteggiamento formalistico nei confronti dell’arte è un espediente per eludere le domande inquietanti che sono l’essenza stessa dell’arte (Arnheim, 1959)

17 …un artista elabora le proprie supposizioni pittoriche essenzialmente attraverso un ragionamento percettivo, governato dai processi che hanno luogo al di sotto del livello di coscienza. Un’altra differenza tra le operazioni mentali al di sopra e al di sotto della soglia della coscienza è illustrata dall’incapacità dell’artista a controllare il complesso gioco di fattori formali quali le forme ed i colori in una composizione pittorica, definendo consapevolmente in che cosa “agisce” e in che cosa “patisce” ciascun elemento. Senza dubbio egli sente forze che ne guidano il pennello o il cesello, ma le cause di tali impulsi giacciono al di sotto del livello della coscienza. Esse derivano presumibilmente dalle leggi fisiche che controllano l’equilibrio dei campi cerebrali, per la cui sottile applicazione la mente consapevole non possiede alcuno strumento. Qui l’artista approfitta della capacità misteriosa del sistema nervoso di organizzare uno sterminato numero di processi entro un’unica attività integrata, come è dimostrato ad esempio dalla coordinazione delle centinaia di muscoli che entrano in gioco quando una persona passeggia o sta in piedi. Forse la differenza più importante sta nella primitività del ragionamento inconscio. Per l’artista, tale primitività può costituire un’arma a doppio taglio. Da un parte, il pensiero creativo al di sotto del livello della consapevolezza preserva l’unità primordiale tra pensiero e immagine, senza la quale è impossibile l’arte. La nostra civiltà promuove una separazione delle idee astratte rispetto a ciò che i sensi percepiscono, separazione che per l’artista è fatale. Nei suoi sogni, l’adulto occidentale mantiene la capacità dei bambini e dei selvaggi di scoprire un significato simbolico nelle apparenze esterne del nostro mondo, e di rendere i concetti visibili agli occhi. Da qui il legittimo interesse che gli artisti nutrono per i sogni. Il ragionamento primitivo si concentra pure sempre sui problemi fondamentali della vita e della morte, che devono restare il fondamento dell’opera d’arte, sotto pena che essa si perda nelle ombre della sensibilità privata (Arnheim, Sull’ispirazione).

18 Nei tempi antichi, si soleva considerare il pensiero e l’attività sensoria come capacità nettamente distinte. Ma qualsiasi educazione artistica, ed in verità qualsiasi arte, dipende dal fatto che esiste una cosa chiamata pensiero visuale. Negli studi successivi dell’evoluzione umana, l’intelletto fornisce concezioni astratte. Ma, ogni volta che gli esseri umani si occupano della realtà in modo veramente efficace, il pensiero astratto resta intimamente legato alla ricerca ed alla sensibilità, alle esperienze rivelatrici dei sensi. All’epoca di Aristotele, di Dante, di Leonardo, di Goethe, qualsiasi idea è rivestita di forma e colore, ed in ogni visione traspare il significato universale. L’elemento più caratteristico di una cultura genuina è l’integrazione delle esperienze concrete quotidiane con idee (413) filosofiche guida. Ogni volta che le semplici azioni di mangiare e dormire, di lavorare e amare, o le sensazioni di luce e di buio, vengono sentite spontaneamente come simboli dei poteri che sottendono l’esistenza umana, abbiamo la fondazione della cultura ed i semi dell’arte. (Arnheim, 1954)

19 “L’uomo conosce se stesso solo nella misura in cui conosce il mondo, e ritrova il mondo soltanto in se stesso, esattamente come trova se stesso soltanto nel mondo. Qualsiasi oggetto nuovo, se bene osservato, dischiude in noi stessi un organo nuovo” (Goethe J.W., Bedeutende Förderung durch ein einziges geistreiches Wort, 1823, cit. in Arnheim, 1954)

20 Tale sensibilità verso le forze che ci legano al suolo produce la differenza tra il mero esistere ed il vero vivere. L’uomo non può raggiungere meta più alta di questa: essere consapevole di quel che significa essere vivi. Non esiste nessun’altra meta finale per questa vita, la quale verrà distrutta con tutti i suoi prodotti, presto o tardi, sia dalle lente forze cosmiche, sia dal genio irrequieto dell’uomo. Questa sensibilità si connette, e forse è identica, all’arte. L’arte va al di là della fattura di quadri e di statue, di sinfonie e di coreografie; l’educazione artistica deve andare oltre le aule nelle quali vengono insegnate queste tecniche. L’arte è la qualità che costituisce la differenza fra la semplice testimonianza o produzione di cose, e l’esser toccati, scossi, mutati, dalle forze inerenti a tutto ciò che diamo e che riceviamo. Pertanto educare artisticamente significa assicurarsi che tale consapevolezza vitale nasca quando le persone dipingono quadri ed eseguono musica, ed anche quando studiano biologia o economia, quando assumono un compito, quando si innamorano, quando testimoniano della vita e della morte. Oggi vi è il rischio che moltissime persone spendano più anni di quanto mai sia stato fatto comportandosi come mammiferi ben attrezzati, occupati del metabolismo e della riproduzione, ma senza impiegare la loro unica possibilità di sperimentare cosa significhi essere vivi. È compito degli insegnanti e degli artisti far sì che questa opportunità non vada sprecata (Arnheim, 1954).

21 È necessaria l’arte moderna
È necessaria l’arte moderna? (1958) La cecità in cui si muove l’arte moderna è causata dall’atomizzazione della nostra cultura. Il motore dell’arte va il folle, in modo inutile. “Tende ad allontanare i pensieri degli artisti dai contenuti elementari della vita umana ed a limitarli ai problemi tecnici e a piccoli brividi della propria bottega privata”.

22 Psicoanalisi e arte

23 Sigmund Freud

24 I poeti sono alleati preziosi, e la loro testimonianza deve essere presa in attenta considerazione, giacché essi sono soliti sapere una quantità di cose tra il cielo e la terra che la nostra filosofia neppure sospetta. Particolarmente nelle conoscenze dello spirito essi sorpassano di gran lunga noi comuni mortali, poiché attingono a fonti che non sono state scoperte dalla scienza (S. Freud, Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilhelm Jensen, 1907, in Opere, vol. V, Boringhieri, Torino, p. 264).

25 Il contenuto di un’opera d’arte esercita su di me un’attrazione più forte che non le sue qualità formali e tecniche, alle quali invece l’artista attribuisce un valore primario. Per molte manifestazioni e per più d’un effetto che l’arte produce mi manca invero l’esatta comprensione (Freud, 1914, p. 299).

26 Forse si può dire che ogni bambino impegnato nel giuoco si comporta come un poeta: in quanto si costruisce un suo proprio mondo o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del suo mondo (Freud, 1908, p. 375).

27 Freud ritenne che le forze emotive fossero dei “quasi-istinti”, che egli chiamò pulsioni (dal tedesco “trieb”) e che distinse in due grandi categorie: le pulsioni sessuali e le pulsioni dell’Io (o di autoconservazione). Si trattava, per Freud, di descrivere in maniera scientifica l’agire dell’uomo come conseguenza delle due potenti forze di cui si trova traccia anche nei detti popolari quando si parla, in tal senso, di “fame e amore”.

28 Ma se l’uomo è spinto da “forze dal basso” diventa poi problematico spiegare ciò che di elevato c’è nei prodotti dell’uomo, come la cultura, l’arte ecc.  La psicoanalisi freudiana utilizzò a tale proposito il concetto di sublimazione, che permette di spiegare in che modo una motivazione, in origine esclusivamente sessuale, possa essere utilizzata per scopi che apparentemente poco o niente hanno a che fare con il movente sessuale. Il concetto di sublimazione, così centrale nella psicoanalisi di Freud, possiede, però, uno statuto teorico alquanto oscuro e poco definito.

29 Per Freud l’arte offre un soddisfacimento del desiderio inconscio
Per Freud l’arte offre un soddisfacimento del desiderio inconscio. Vivere nella realtà, infatti, esige una rinuncia al soddisfacimento delle pulsioni inconsce. Grazie alla sua abilità artistica, l’artista riesce a creare degli oggetti che rappresentano degli appagamenti allucinatori dei suoi desideri. Questi vengono poi riconosciuti come prodotti artistici dalla collettività perché quest’ultima, a sua volta, prova un’analoga insoddisfazione di fronte alla rinuncia pulsionale che la realtà esige.  L’artista gode così di un accesso privilegiato al mondo, perché è riuscito a creare una nuova specie di “cose vere” ed egli è dispensato dall’impegnarsi nella faticosa modificazione del mondo esterno a cui tutti gli altri devono sottostare.

30 La fantasia per Freud è la realtà psichica
La fantasia per Freud è la realtà psichica. La fantasia per Freud è abbastanza vicina al sogno ad occhi aperti, in quanto comporta un desiderio di soddisfazione di desiderio. Freud scriveva: Con l’introduzione del principio di realtà si è differenziata una specie di attività di pensiero che, serbatasi libera dall’esame di realtà, è rimasta soggetta soltanto al principio di piacere. Si tratta dell’attività del fantasticare, che incomincia già col giuoco dei bambini, e che successivamente, portata avanti nella forma dei sogni a occhi aperti, rinuncia alla dipendenza dagli oggetti reali. (Freud 1911, pp )

31 Freud: processo primario e processo secondario
Il processo primario, tipico dell’inconscio, è caratterizzato da un continuo slittamento del senso: l’energia fluisce liberamente, passando senza ostacoli da una rappresentazione all’altra e tende a ritornare alle rappresentazioni inerenti le primitive esperienze di soddisfacimento del desiderio (allucinazione primitiva)

32 processo primario: fantasia, “presentazione di cosa”;
Assenza dei principi di non-contraddizione, causalità, temporalità, spazialità

33 I meccanismi vigenti nel processo primario (e tipici del sogno) sono:
lo spostamento, che permette la traslazione dell’affetto, originariamente collegato a un a certa rappresentazione, verso rappresentazioni meno intense, collegate da catene associative. La “censura” utilizza lo spostamento privilegiando rappresentazioni indifferenti molto lontane dal conflitto difensivo

34 La condensazione: una rappresentazione unica sostituisce da sola varie catene associative di cui costituisce il punto di intersezione. La condensazione non è un riassunto, ma indica il fatto – per esempio nel sogno – che un elemento manifesto è determinato da più significati latenti e che, contemporaneamente, ciascuno di tali significati latenti può ritrovarsi in più elementi. Quando alcune immagini, specie nel sogno, acquistano una particolare vivacità, ciò è dovuto ai forti investimenti che si concentrano su di esse per effetto della condensazione. La condensazione si ritrova anche nei lapsus, nelle dimenticanze, nell’umorismo ecc.

35 La sovradeterminazione dipende dal lavoro di condensazione, per cui un sogno, un sintomo ecc. può rinviare a molteplici fattori inconsci

36 Laddove il processo primario obbedisce al “principio di piacere”, il processo secondario è quello che obbedisce al “principio di realtà” ed è caratterizzato dal pensiero logico, dal ragionamento, dall’energia “legata”, piuttosto che da quella “libera” che caratterizza il processo primario

37 processo secondario: linguaggio, “presentazione di parola”

38 Wilfred R. Bion

39 La ragione è schiava dell’emozione ed esiste per razionalizzare l’esperienza emotiva.
(W. Bion, Attenzione e interpretazione, 1970, p. 7)

40 …il bisogno di essere consapevoli di un’esperienza emotiva…
(W. Bion, Apprendere dall’esperienza, 1962, p. 104)

41 Elementi beta ed elementi alfa
Per Bion esistono dei sentimenti e delle sensazioni rudimentali e potenziali (elementi beta) che resterebbero indecifrabili se non intervenisse la funzione simbolica dell’Io (funzione alfa) a trasformare e connettere quelle emozioni rendendole pensabili e pertanto a consentire all’Io di possedere i propri sentimenti e ad evolvere

42 L’inevitabile bestialità dell’animale uomo è la qualità da cui scaturiscono le nostre caratteristiche più accarezzate e ammirate. “L’uomo è un animale politico” significa che egli possiede il corrispondete psichico delle caratteristiche fisiche di un animale dell’orda. […] Nascita, dipendenza, accoppiamento e guerra: queste sono le situazioni di base cui corrispondono le pulsioni emotive di base. (Bion 1970, tr.it. 1973, p. 90)

43 I “pensieri non pensati” (elementi Beta) si si collocano per Bion nel “protomentale”: questo rappresenta la radice “animale” del pensiero o, meglio, il radicarsi, pur differenziandosene, dello psichico nel fisico, una regione dove attività fisica e attività psichica sono indifferenziate. Il poeta John Donne ha scritto: ‘Il sangue parlò alla guancia’ come se il corpo pensasse! Ciò per me esprime esattamente quello stadio […] rappresenta sulla carta come una linea che separa gli elementi beta dagli elementi alfa.

44 Se tale trasformazione non avviene, le sensazioni rimangono non elaborate, elementi “indigeriti” dalla mente, sorta di “oggetti bizzari” che non possono avere significazione, pur avendo nuclei di significato. Essi non possono comunicare col mondo esterno se non tramite un’espulsione (acting out).

45 Se il paziente non è in grado di trasformare la propria esperienza emotiva in elementi alfa, non può neanche sognare. Difatti la funzione alfa trasforma le impressioni sensoriali in elementi alfa i quali hanno la somiglianza – se addirittura non sono la stessa cosa – con le immagini visive che ci sono familiari nei sogni […] la mancanza di funzione alfa significa che il paziente non può sognare e dunque che non può nemmeno dormire. Poiché la funzione-alfa fa sì che le impressioni sensoriali dell’esperienza emotiva siano approntate per il pensiero conscio e per quello onirico, il paziente, il paziente che non è in grado di sognare non potrà né addormentarsi né svegliarsi: da qui quel singolare stato che si riscontra in clinica quando vediamo uno psicotico che si comporta come se si trovasse proprio così (Bion, 1962, tr. it. 1972, pp ).

46 Il sognare rappresenta per Bion una costante trasformazione delle emozioni potenziali (elementi beta) in emozioni sperimentabili (elementi alfa)  per Bion il sognare è pertanto un’attività costante, che opera anche nella veglia.

47 elementi beta (elementi psichici mentalmente non trasformabili, ma solo evacuabili)
funzione alfa elementi alfa (elementi psichici mentalmente trasformabili) Pensieri onirici, sogni, miti, allucinazioni Preconcezioni Concezioni Concetti Sistema deduttivo Calcolo algebrico (Bion, 1974, tr. it 1981, p. 40)

48 Nel trasformare l’esperienza emotiva in elementi alfa, la funzione alfa adempie ad un compito fondamentale, perché il senso della realtà ha per l’individuo la stessa importanza che hanno il cibo, l’acqua, l'aria e l’eliminazione delle scorie […] Il non fare esperienza emotiva produce disastrosi effetti sullo sviluppo della personalità; in tali effetti vanno compresi quei profondi deterioramenti psicotici che possono essere descritti soltanto definendoli morte della personalità (Bion, Apprendere dall’esperienza, 1962, trad. it 1972, p. 83).

49 Quindi, senza la funzione alfa l’esperienza emotiva rimarrebbe “incapsulata” in una autoreferenzialità primordiale che renderebbe impossibile qualsiasi forma di interazione con la realtà; Di conseguenza diventa impossibile quella trasformazione delle emozioni sulla base dell’esperienza che Bion chiama “apprendere dall’esperienza”

50 La traduzione di elementi beta in elementi alfa è immaginata da Bion come un compito assai delicato, che comporta il passaggio da un livello psichico originario che non può essere toccato (perché non ha né colore né suono, né spazio né tempo), ad una dimensione, invece, che ha significato in quanto significabile tramite simboli, parole e concetti.

51 Acquisire la capacità di legare cose a nomi, di formarsi immagini, di sognare, di creare quelle che Bion chiama “congiunzioni costanti” diventa un’abilità fondamentale per poter accedere all’emozione contenuta negli elementi beta.

52 Bion osserva che tale “traduzione” comporta sempre in certo grado un’ambiguità e una non-corrispondenza fra il detto (immagini, parole, sogni, concetti ecc.) e il non-dicibile (elementi beta, mente come cosa in sé). Infatti, Gli elementi beta sono elementi non sperimentabili. Vi è sempre una porzione di “bugia” in ogni detto, proprio perché il linguaggio agisce nello spazio-tempo ed è inadatto a significare la mente come cosa in sé

53 Pirandello: “il nome non è la cosa” (Uno, nessuno e centomila)
Nietzsche: “ogni parola è anche una maschera” (Al di là del bene e del male, par. 289) Eliot: “strumenti logori che sempre si deteriorano”; “si è imparato a servirsi bene delle parole soltanto per quello che non si ha più da dire” (East Coker)

54 Chi sia capace di tollerare la frustrazione che comporta la perdita di significato connessa alla traduzione di cose a nomi […le cose sono le emozioni e le angosce primordiali, cioè gli elementi beta], tale capacità di tolleranza gli consente – pur continuando a costituire il nome una non-cosa – di mantenere una congiunzione costante tra nome e cosa e di servirsi di questo nome che le è stato imposto per prendere contatto con la cosa.

55 Ci sono individui che non riescono a trasformare la cosa in pensiero
Ci sono individui che non riescono a trasformare la cosa in pensiero. Ma così essi rinunciano al sollievo dalla frustrazione che il pensiero, se egli fosse capace di sopportarlo, gli arrecherebbe (Bion, 1970, tr. it. 1973, p. 20)

56 Dare a un oggetto un nome, mettergli un’etichetta, creargli un appiglio; salvarlo dall’anonimato, strapparlo al Dominio del Senza Nome, identificarlo, insomma, è un modo per portarlo in vita (Segal, 1994, p. 63)

57 Chi non riesce a significare un materiale preverbale è nella condizione di chi ha un dolore senza sentirlo, deve comprendere il moto dei pianeti senza avere a disposizione il calcolo differenziale Tale persona si trova nella condizione analoga a quella del geometra che dovesse attendere l’invenzione delle coordinate cartesiane per poter elaborare la geometria algebrica

58 Non avendo un “contenitore” entro il quale “contenere” i “contenuti”, egli avverte che la realizzazione dello spazio mentale comporta una proiezione esplosiva. La realizzazione dello spazio mentale è sentita come un’immensità così grande da non poter essere rappresentata neppure per mezzo dello spazio astronomico in quanto non può essere rappresentata affatto

59 Paura psicotica: è espressa da paziente tramite un improvviso e assoluto silenzio (come per allontanarsi il più possibile da un’emozione devastatrice) “Lo spazio mentale è così vasto in confronto a qualsiasi realizzazione dello spazio tridimensionale che il paziente sente di aver perso la propria capacità di provare emozioni perché sente l’emozione stessa fluire via e perdersi nell’immensità” (Bion, 1970, tr. it. 1973, p. 22)

60 No Ice cream  No I scream

61 Quando viene meno la capacità di simbolizzazione, il simbolo non “sta per” la cosa, ma “è” la cosa  si parla allora di equazione simbolica (M. Klein), Per M. Klein l’equazione simbolica rappresenta la tragedia del pensiero psicotico, che resta “attaccato” alle cose senza possibilità di separarsene e quindi neanche di conoscerle come altre da sé.

62 L’impossibilità di comunicare senza sentirsi frustrati è così familiare che ce se ne dimentica.

63 “Il problema della psicoanalisi è quello della crescita e della sua soluzione armoniosa nel rapporto tra il contenitore e il contenuto ripetuta nell’individuo, nella coppia e infine nel gruppo (intra ed extra psichicamente). Ogni ipotesi definitoria, si tratti di un’esclamazione, di un nome, di un sistema teoretico o di un discorso esteso come quello di un libro ha – lo si è sempre riconosciuto – una funzione negativa. Essa deve sempre implicare che qualcosa esiste; e per ciò stesso implica che qualcosa non esiste. Resta di conseguenza a chi la recepisce inferirne l’una o l’altra di tali due eventualità a seconda del suo temperamento. Se la persona del recipiente è incapace di tollerare la frustrazione[…] la proposizione può diventare allora una pre-concezione (preconception) e l’elemento non saturo trova la via libera per saturarsi. Ma si supponga che l’incapacità di tollerare la frustrazione sia ‘eccessiva’; in tal caso la personalità può reagire contro la proposizione vedendone solo le implicazioni negative”. In tale caso ogni ipotesi definitoria viene vista nella sua valenza negativa” (Bion 1970, p. 26).

64 Le trasformazioni musicale, verbale e artistica sono differenti dalle allucinazioni perché queste ultime non sono rappresentazioni, ma sono cose in sé (elementi beta non trasformati) sorte dall’intolleranza per la frustrazione e il desiderio. Il problema delle allucinazioni non è quello della mancanza di rappresentazione, ma quello della mancanza di realtà. Occorre quindi prendere in esame la differenza fra realtà interna e realtà esterna.

65 I pazienti che mi spingono a formulare queste teorie sperimentano il dolore, ma non lo soffrono.
Soffrire il dolore comporta rispetto per il dolore, proprio o di un altro. Se così non avviene, il dolore viene sessualizzato; di conseguenza viene inflitto o accettato, ma non sofferto.

66 È utile postulare un regno del non-esistente, dove tornano i significati non elaborati.
E’ impossibile per tali pazienti “legare” l’esperienza a parole ed emozioni. Alcuni accedono al massimo per alcuni secondi ad uno stadio di “non esistenza”. Ma subito la evacuano e tale “non esistenza” diventa immensamente ostile e riempita di invidia omicida. Lo spazio diventa terrificante, l’essenza stessa del terrore: “Le silence de ces espaces infinies m’effrae” (Bion 1970, pp )

67 O Bion usa il segno O per indicare la realtà ultima, verità assoluta, cosa in sé, Dio, infinito. O non ricade nel dominio della conoscenza o dell’apprendimento se non in modo casuale; esso può essere “divenuto”, ma non “conosciuto”.

68 Le informazioni che l’analizzando comunica su di sé sono dannose
Le informazioni che l’analizzando comunica su di sé sono dannose. Ciò che importa è per l’analista porre la propria attenzione ad O. l’ignoto, l’inconoscibile. “Ogni oggetto conosciuto o conoscibile dall’uomo incluso l’uomo stesso, deve essere un’evoluzione in O.” L’analista può conoscere non la realtà ultima, O, ma i suoi sviluppi.

69 Nel corpo della madre l’uomo conosce l’universo, alla nascita lo dimentica. (proverbio ebraico, cit. in Buber 1937)

70 L’analista deve attendere che la seduta “evolva”
L’analista deve attendere che la seduta “evolva”. Non deve attendere che l’analizzando, parli o taccia, deve attendere un’evoluzione tramite la quale O si rende manifesto in K tramite l’emergenza di eventi effettivi. Alla stessa maniera il lettore non deve tener conto di ciò che dico finché l’O della sua esperienza di lettura si sia sviluppato fino a un punto in cui gli eventi della lettura sfocino in una interpretazione di esperienze. Una considerazione eccessiva per ciò che è scritto ostacola questo processo che Bion rappresenta con l’espressione: “Egli diventa l’O che è comune a lui ed a me”. Le ragioni di ciò sono le seguenti: nessun esito genuino può essere fondato sulla falsità.

71 L’analista deve imporsi un’astensione da “desiderio” e “ricordo”, in modo da potersi approssimare ad O. Analogamente, l’uomo che pensa di essere indispensabile alla verità che ha pensato diventa possessivo e invidioso. Il metodo psicoanalitico diventa un potente stimolo all’invidia quando è angustamente concepito come un accumulo di conoscenze (possessività) registrato sul principio di realtà e divorziato dai processi di maturazione e crescita.

72 L’uomo che balbetta: sta cercando di contenere le emozioni all’interno di parole, senza riuscirci

73 “Al fine di pervenire alla condizione mentale essenziale per praticare la psicoanalisi, io evito qualsiasi esercizio della memoria e non prendo nessun appunto. Allorché mi viene la tentazione di ricordarmi degli eventi di una data seduta, vi resisto. Se mi scopro a vagare con la mente nel campo della memoria, ne desisto. In ciò il mio modo di condurre una analisi si discosta dall’opinione secondo la quale bisogna prendere appunti o secondo la quale gli psicoanalisti debbono trovare qualche modo di registrazione meccanica delle sedute o debbono addestrarsi a possedere una buona memoria. Quando scopro che non ho alcun modo di penetrare in ciò che il paziente sta facendo e avverto la tentazione che il segreto giaccia nascosto in qualcosa che ho dimenticato, mi oppongo all’impulso a ricordare ciò che è accaduto. Se scopro che un qualche mezzo ricordo sta facendosi strada, vi resisto, indipendentemente da quanto esso sia insistente o desiderabile. Rispetto ai desideri seguo una procedura simile: evito di intrattenerne e li scaccio dalla mente (Non basta tentare di fare ciò nel corso della seduta perché è troppo tardi: non bisogna permettere che la tendenza a desiderare cresca). Per esempio secondo me costituisce un grave difetto il fatto di permettersi di desiderare la fine della seduta, o di una settimana, o delle vacanze.

74 Il fatto di permettere a desideri relativi alla guarigione di un paziente, o al suo benessere, o al suo futuro, di intrudersi nella mente, interferisce con il lavoro analitico. Tali desideri corrodono il potere dell’analista di analizzare e conducono ad un progressivo deteriorarsi dell’intuizione. L’introspezione mostrerà quanto i ricordi e i desideri sono diffusi e frequenti. Essi sono continuamente presenti nella mente e seguire il consiglio che sto dando comporta una difficile disciplina. Esistono però eccezioni semplici e ovvie. Certi dati (ad esempio l’ora delle sedute) possono essere facilmente registrati e non c’è bisogno di appesantire la mente con essi. Sarebbe assurdo se l’analista si dimenticasse di conservarli mentre essi sono facilmente registrabili su un taccuino. La stessa cosa può valere per l’età, per i membri della famiglia, per le passate malattie […] Questi fatti possono essere registrati, come può esserlo l’indirizzo e il numero di telefono, perché essi possono poi venire dimenticati e perché si prestano ad essere registrati […] Di conseguenza, si registrino gli eventi dotati di uno sfondo sensibile […] ma non fenomeni di importanza centrale per l’analista, dal momento che il loro sfondo non è sensibile. Rendendosi ‘artificialmente ciechi’ per mezzo dell’esclusione della memoria e del desiderio, […] il raggio di oscurità che ne deriva può essere diretto sugli aspetti oscuri della situazione analitica”

75 Non conclude – Pirandello (da Uno, nessuno e centomila)
Non conclude – Pirandello (da Uno, nessuno e centomila)         Anna Rosa doveva essere assolta; ma io credo che in parte la sua assoluzione fu anche dovuta all'ilarità che si diffuse in tutta la sala del tribunale, allorché, chiamato a fare la mia deposizione, mi videro comparire col berretto, gli zoccoli e il camiciotto turchino dell'ospizio.          Non mi sono piú guardato in uno specchio, e non mi passa neppure per il capo di voler sapere che cosa sia avvenuto della mia faccia e di tutto il mio aspetto. Quello che avevo per gli altri dovette apparir molto mutato e in un modo assai buffo, a giudicare dalla maraviglia e dalle risate con cui fui accolto. Eppure mi vollero tutti chiamare ancora Moscarda, benché il dire Moscarda avesse ormai certo per ciascuno un significato cosí diverso da quello di prima, che avrebbero potuto risparmiare a quel povero svanito là, barbuto e sorridente, con gli zoccoli e il camiciotto turchino, la pena d'obbligarlo a voltarsi ancora a quel nome, come se realmente gli appartenesse.

76 Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di jeri; del nome d'oggi, domani. Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d'ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita; ebbene, questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace non ne parli piú. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest'albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest'albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo.

77 L'ospizio sorge in campagna, in un luogo amenissimo
L'ospizio sorge in campagna, in un luogo amenissimo. Io esco ogni mattina, all'alba, perché ora voglio serbare lo spirito cosí, fresco d'alba, con tutte le cose come appena si scoprono che sanno ancora del crudo della notte, prima che il sole ne secchi il respiro umido e le abbagli. Quelle nubi d'acqua là pese plumbee ammassate sui monti lividi, che fanno parere piú larga e chiara nella grana d'ombra ancora notturna, quella verde piaga di cielo. E qua questi fili d'erba, teneri d'acqua anch’essi, freschezza viva delle prode. E quell'asinello rimasto al sereno tutta la notte, che ora guarda con occhi appannati e sbruffa in questo silenzio che gli è tanto vicino e a mano a mano pare gli s’allontani cominciando, ma senza stupore a schiarirglisi attorno, con la luce che dilaga appena sulle campagne deserte e attonite. E queste carraie qua, tra siepi nere e muricce screpolate, che su lo strazio dei loro solchi ancora stanno e non vanno.

78 E l'aria è nuova. E tutto, attimo per attimo, è com'è, che s’avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere piú nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Cosí soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero sí metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni. La città è lontana. Me ne giunge, a volte, nella calma del vespro, il suono delle campane. Ma ora quelle campane le odo non piú dentro di me, ma fuori, per sé sonare, che forse ne fremono di gioja nella loro cavità ronzante, in un bel cielo azzurro pieno di sole caldo tra lo stridío delle rondini o nel vento nuvoloso, pesanti e cosí alte sui campanili aerei. Pensare alla morte, a pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane. Io non l'ho piú questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non piú in me, ma in ogni cosa fuori. 

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84 “Camminavo lungo la strada con due amici- quando il sole tramontò – il cielo si tinse all'improvviso di un rosso sangue – mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto – sul fiordo nerazzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco – i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura – sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura” (Edvard Munch)

85 “Senza paura e malattia, la mia vita sarebbe una barca senza remi” (Edvard Munch).

86 L’arte secondo la scuola kleiniana: Hanna Segal

87 Il modello bionano-kleiniano è diverso da quello di Freud perché quest’ultimo pensava che l’oggetto fosse cercato in quanto capace di soddisfare un bisogno

88 Posizione schizo-paranoide ↔ Posizione depressiva
Melanie Klein Ps ↔ D Posizione schizo-paranoide ↔ Posizione depressiva

89 “posizione schizo-paranoide” : il bambino è impegnato ad ammassare oggetti buoni e a lottare e rifiutare gli oggetti cattivi, dai quali si attende sempre rappresaglia e punizione (paura paranoide). I meccanismi di scissione operano al massimo livello fino al 6° mese. Si parla in tal senso di relazione con oggetti parziali.

90 Nei meccanismi di scissione c’è sempre una “relazione oggettuale”, cioè una parte dell’Io associata all’oggetto parziale, così che il bambino si sente buono o cattivo a seconda che sia legato a oggetti buoni o cattivi.

91 Freud vede gli istinti come “puramente legati agli oggetti”
Freud vede gli istinti come “puramente legati agli oggetti”. Secondo la Klein, invece, gli istinti sono orientati verso l’oggetto e le fantasie riguardano la relazione tra il sé e l’oggetto. Anche se in superficie una fantasia può sembrare totalmente narcisistica, a un’analisi essa si manifesta sempre come contenente una relazione d’oggetto inconscia. (Rosenfeld, Sulla psicopatologia del narcisismo, in Stati psicotici, Armando, Roma 1973) (Segal 1991, p. 30)

92 La relazione con un oggetto assolutamente buono e idealizzato, scisso dall’oggetto assolutamente cattivo, rimane nelle nostre menti.

93 Le difese che si sperimentano nella posizione schizoparanoide sono volte a scongiurare la contaminazione degli oggetti buoni con quelli cattivi: scissione, idealizzazione, diniego della realtà interna ed esterna, repressione, artificiosità delle emozioni, identificazione proiettiva

94 Il processo di scissione permette all’Io di emergere dalla indistinzione originaria e di ordinare le cose in “buone” o “cattive”.

95 Quando il bambino sarà in grado di accettare i propri impulsi cattivi, sperimenterà la posizione depressiva, diminuirà l’uso di difese e inizierà a relazionarsi con l’oggetto intero. A consentire questo passaggio è la consapevolezza, da parte del bambino, del sicuro possesso di un oggetto buono, che aumenta la forza dell’Io e la sua capacità di tolleranza. …il primo oggetto buono agisce come punto focale nell’Io. Esso bilancia i processi di scissione e dispersione, contribuisce alla coesione e all’integrazione, ed è strumentale alla costruzione dell’Io (Klein, Note su alcuni meccanismi schizoidi, 1946, p. 6)

96 A differenza delle paure persecutorie della posizione schizoparanoide, il timore che il bambino sperimenta nella posizione depressiva è quello di far male all’oggetto buono. Ciò genera senso di colpa e angoscia depressiva e conseguente desiderio di riparare al male arrecato all’oggetto buono.

97 I normali sviluppi della posizione depressiva sono la riparazione, il rafforzamento dell’esame di realtà (con conseguente sviluppo della simbolizzazione e della creatività), la capacità di tollerare amore e odio nei confronti di uno stesso oggetto (perché si è acquisita la sicurezza della prevalenza dell’amore sull’odio), gratitudine che scaturisce dal senso di colpa.

98 La personalità cresce, matura e si sviluppa
La personalità cresce, matura e si sviluppa. La crescita e l’evoluzione di un individuo sono dovute non soltanto alla crescita e alla maturazione fisiologica dell’apparato percettivo – della memoria ecc. – ma anche all’esperienza accumulata e all’apprendere dalla realtà. L’apprendere dalla realtà è a sua volta connesso all’evoluzione e ai cambiamenti nella vita fantastica. Le fantasie si evolvono. Si ha una lotta costante fra le fantasie di onnipotenza del bambino piccolo e l’impatto con la realtà, che può essere buona o cattiva. (Segal 1991, p. 31)

99 Gli sviluppi patologici della posizione depressiva derivano da una negazione del senso di colpa e da un rapporto maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione, che impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza degli oggetti; si nega anche la dipendenza e il bisogno che si ha di essi controllandoli con un senso di trionfo e disprezzo. Ma quando gli sforzi di idealizzazione falliscono, come nel caso del lutto patologico, si innesca una spirale di colpa, autorimprovero e disperazione che conduce alla psicosi depressiva.

100 Ma esiste anche una mistificazione di questa capacità che trasforma
Per Bion esiste una genuina capacità di amare, di odiare e di conoscere. Ma esiste anche una mistificazione di questa capacità che trasforma l’amore  in cinismo, l’odio  in puritanesimo e bigottismo Il conoscere  in ipocrisia (Bion, Meltzer, Harris)

101 Nelle forme più primitive e precoci del sentire e del pensare, che la Klein descrive come posizione schizoparanoide, il bambino ricorre all’identificazione proiettiva per alterare la realtà in modo onnipotente. (nell’identificazione parti di sé vengono scisse dall’io e proiettate sugli oggetti, nella convinzione di poterli controllare ”da dentro”).

102 Nell’identificazione proiettiva il bambino proietta non solo i suoi impulsi, ma anche parte di se stesso nell’oggetto, confondendo così i mondo interno e quello esterno. (33)

103 Tuttavia, sin dal principio si ha un certo esame di realtà, e la vita mentale dell’individuo che cresce sarà influenzata in modo cruciale dalla sua capacità di riconoscere e tollerare la discrepanza tra la sua fantasia e le sue aspettative di tipo onnipotente e la realtà a cui si troverà di fronte. Ciò, a sua volta, sarà influenzato sia dalla natura dell’esperienza esterna, che dev’essere sufficientemente sopportabile, sia dalla capacità del bambino di tollerare tali discrepanze a mano a mano che le incontra.

104 Es: un lattante in collera, con la fantasia di un seno persecutorio, può respingere all’inizio l’oggetto che lo nutre quando questo si ripresenta, percependolo erroneamente come cattivo. Alcuni bambini piccoli non accetteranno mai l’oggetto che si ripresenta, finendo con lo sviluppare difficoltà di alimentazione. Altri, dopo un rifiuto iniziale, possono riconoscere la realtà dell’oggetto buono che si ripresenta e accettano il nutrimento. E la capacità da parte della madre di sopportare con pazienza il rifiuto iniziale può influire sul risultato. Aspettando un seno ideale, che lo riporterebbe all’immaginaria beatitudine dell’esistenza intrauterina, il bambino deve tollerare il seno che non si conforma a questo ideale. (32)

105 Nell’equazione simbolica, il simbolo è l’oggetto
Nell’equazione simbolica, il simbolo è l’oggetto. “L’equazione simbolica è usata per negare l’assenza di un oggetto ideale o per controllare uno persecutorio” (49). Il simbolo vero è sentito rappresentare l’oggetto. “Le sue caratteristiche sono riconosciute, rispettate e usate”. Il simbolo si sviluppa quando è possibile tollerare i sentimenti depressivi (ambivalenza, colpa, perdita). Il simbolo viene usato non per negare ma per superare la perdita. La comunicazione si basa su simboli.

106 Il tipo schizoide ha una capacità di comunicare disturbata perché non gestisce la differenziazione fra soggetto e oggetto e poi perché manca di simboli per comunicare (che sono sentiti in modo concreto e quindi sono indisponibili per la comunicazione). I simboli servono anche per la comunicazione con se stessi. Gli psicotici non riescono a comunicare con se stessi.

107 In principio la mancanza del seno è sentita come un seno cattivo dentro di sé [cfr. Fairbairn]. È solo quando il bambino è in grado di riconoscere l’assenza dell’oggetto che può anche simbolizzare o pensare. Bion (1970) lo descrive succintamente: “Non seno – dunque un pensiero”. Tuttavia, per riuscire ad avere questo tipo di esperienza, ci dev’essere una parte della mente capace di contenere l’angoscia dell’assenza di un oggetto, un “non seno”. (68) Bion: rapporto contenitore/contenuto Il concetto di spazio transizionale di W. è diverso da quello di rapporto contenitore/contenuto.

108 In Attenzione e interpretazione, Bion afferma che un buon rapporto fra contenitore e contenuto fa sorgere un terzo oggetto, in modo tale che i due oggetti ne condividano un terzo con vantaggio di tutti e tre. La comparsa di un terzo oggetto è l’inizio della realizzazione dell’esistenza del padre nel triangolo edipico. Penso che lo spazio triangolare sia anche come lo spazio per un nuovo bambino. Non è “saturato” dalle proiezioni reciproche tra madre e figlio. (74)

109 Un altro modo di vedere la questione è riferirsi alle seguenti tre dimensioni:
La dimensione “1”, dell’essere in sé senza la possibilità di uscire da sé, l’esistere a livello di unità simbiotica primordiale che non permette l’esistenza degli individui in quanto separati; La dimensione “2”, del riconoscere sé nell’altro: è il desiderio di una fusionalità che permetta di trovare se stessi nello sguardo dell’altro, dell’appartenersi felice dell’io e del tu che dà vita a una dimensione autoconchiusa, come accade nel complesso edipico freudiano (che è ostile al “terzo”, cioè al padre, alla società);

110 La dimensione “3”: è la dimensione in cui un “terzo” si insinua nella coppia rompendo l’incantesimo del rispecchiamento reciproco, del linguaggio esoterico usato dalla coppia per capirsi segretamente, obbligandola a confrontarsi con un piano “terzo”, diverso dalle menti dei due. Ciò li costringe a simbolizzare. Ciò avviene anche nel complesso di Edipo quando il padre spezza la comunicazione privilegiata a due fra madre e bambino, obbligando quest’ultimo a confrontarsi con la norma morale e con la realtà esterna.

111 Il sogno è una formazione di “compromesso”, come disse Freud
Il sogno è una formazione di “compromesso”, come disse Freud. Il sogno serve anche come comunicazione intrapsichica fra conscio e inconscio: quando ricordiamo un sogno noi restiamo in contatto con i simboli inconsci. Nel processo analitico, questa comunicazione interna diviene anche un mezzo di comunicazione con l’analista.

112 I sogni possono servire anche per sbarazzarsi di contenuti psichici, nel senso dell’acting out (Bion 1958). Tali sogni non funzionano come operazioni simboliche, ma come equazioni simboliche. L’evacuazione di contenuti mentali tramite il sogno ha un duplice scopo: primo, scindere e sbarazzarsi dell’oggetto; secondo, colpire l’oggetto.

113 Quei sogni in cui il lavoro onirico è parzialmente o completamente venuto meno sono caratterizzati da fenomeni interconnessi. Uno, che non è sempre presente, è una certa rozzezza nella simbolizzazione (si possono sognare urine, feci ecc.). Altre caratteristiche sono costanti: l’esperienza del sogno come evento concreto, l’uso del sogno per l’espulsione di un contenuto psichico e l’associata confusione fra i confini del mondo interno e del mondo esterno.

114 Freud parla del sogno come di un’innocua psicosi e anche come di un’allucinazione che ha luogo durante il sonno. Non penso che questo si applichi alla maggior parte dei sogni. Penso che l’allucinazione sia un processo patologico legato all’identificazione proiettiva patologica. Il tipo di sogni che sto descrivendo qui sono veramente come delle allucinazioni che accadono durante il sonno. Ma nel sogno normale, dove il processo di repressione, simbolizzazione e rielaborazione è compiuto dal lavoro onirico, i sogni, anche se sono rappresentazioni pittoriche di una fantasia, non hanno la funzione psichica di un’allucinazione. L’interazione benigna tra proiezione e introiezione che ha luogo quando vi è un rapporto costruttivo tra contenitore e contenuto è alla base stessa del funzionamento mentale, incluso il sognare. La mancanza di una buona relazione con un contenitore interno porta alla concretizzazione di eventi mentali. (p. 84)

115 Passaggio alla posizione depressiva e creazione del simbolo.
La formazione del simbolo è per la Segal l’essenza della creatività artistica.

116 L’impulso artistico è legato alla posizione depressiva ed il bisogno dell’artista è quello di ricreare quello che sente nel profondo del suo mondo interno. (102)

117 È la sua percezione interna del sentimento più profondo della posizione depressiva, cioè la percezione che il suo mondo interno è a pezzi, che porta alla necessità per l’artista di ricreare qualcosa che è sentito essere un mondo completamente nuovo. È questo ciò che ogni grande artista fa – crea un mondo. Quando leggiamo un romanzo che ci emoziona o guardiamo un quadro o ascoltiamo della musica, veniamo trascinati in un mondo completamente nuovo. Ed è un mondo tutto suo. Per quanto essere realistici il pittore o lo scrittore possano essere, due pittori che dipingano lo stesso paesaggio o lo tesso ritratto, o due romanzieri che descrivano la stessa società, di fatto creano mondi tutti loro. (102)

118 Per la Segal l’arte mira a riprodurre un conflitto depressivo
Per la Segal l’arte mira a riprodurre un conflitto depressivo. Per tale motivo, l’arte è una combinazione particolare di “bello” e “brutto”. Il paradigma della creatività è la tragedia classica. Nella tragedia c’è un affrontare le forze della distruzione e ciò che è emotivamente brutto (il tradimento, il parricidio, il matricidio e l’inevitabile distruzione e morte dei personaggi) controbilanciandole con la forma, il ritmo. Questa forma contiene sentimenti che altrimenti potrebbero essere incontenibili.

119 L’atto di creazione in profondità ha a che fare con un ricordo inconscio di un mondo interno armonioso e con l’esperienza della sua distruzione; cioè con la posizione depressiva. L’impulso è di recuperare e di ricreare questo mondo perduto. I mezzi per compiere questo hanno a che fare con l’equilibrio tra elementi “brutti” ed elementi “belli”, in modo tale da suscitare un’identificazione con questo processo in colui che è il ricevente. L’esperienza estetica in colui che ne è il ricevente implica un lavoro psichico. Questo è ciò che la distingue dal puro divertimento o dal piacere sensuale. E sappiamo che le persone variano nella loro capacità di compiere questo lavoro. Non solo il destinatario si identifica con il creatore, raggiungendo quindi sentimenti più profondi di quanto possa raggiungere da solo, ma sente anche che spetta a lui cercare la completezza. ( )

120 Nonostante l’artista ri-crei il suo mondo interno, è importante il ruolo del simbolismo che fa sì che l’artista senta l’opera come un nuovo figlio simbolico. L’artista, come diceva Freud, ritorna anche alla realtà esterna.

121 La conquista decisiva per il superamento della posizione depressiva è l’accettazione da parte del bambino di sua madre e di altre figure significative come realmente esterne e dotate di un’esistenza indipendente da lui. È un aspetto decisivo della riparazione, nonché del crescente senso di realtà, che il bambino poco a poco abbandoni le sue fantasie di controllo onnipotente e accetti nella sua mente l’esistenza indipendente della madre, compresa la relazione di essa con il padre, le gravidanze di altri figli e tutte le estensioni e le simbolizzazioni di queste attività. Così, se la mia ipotesi è corretta – se è vero, cioè, che l’artista nella sua opera rielabora di nuovo la sua posizione depressiva infantile -, allora anch’egli non solo deve ricreare qualcosa nel suo mondo interno che corrisponda alla ri-creazione dei suoi oggetti e del suo mondo interno, ma deve anche dar forma a tutto questo per dagli vita nel mondo esterno. (pp )

122 Alcuni artisti sentono in maniera molto forte che l’opera acquista quasi un’esistenza indipendente. Per esempio, essi creano personaggi e sentono che non sanno in che modo quei caratteri si svilupperanno. Se ciò viene a mancare e si sente troppo la mano dell’autore nei personaggi, allora il lettore ha l’impressione che i personaggi siano stati manipolati in un modo che va oltre la loro natura. (115)

123 Il doloroso processo di separazione dall’opera prodotta
Il doloroso processo di separazione dall’opera prodotta. Alcuni pittori non vogliono rivedere i loro quadri. La Segal dice sempre di sottolineare l’impulso alla creatività artistica negli impulsi riparativi della posizione depressiva.

124 Ma questo necessita di un’integrazione della percezione e di una rielaborazione di stati mentali precedenti, e l’integrazione della percezione del caos e della persecuzione, e quella uno stato ideale perduto all’inizio dell’integrazione. Vi è un desiderio di ricreare uno stato ideale della mente e degli oggetti prima di ciò che è sentito come la devastazione della posizione depressiva. Spesso la ricerca mira a recuperare un ideale perduto e irraggiungibile. Baudelaire scrive: “Ma il verde paradiso degli amori infantili / L’innocente paradiso, pieno di piaceri furtivi / È già più lontano dell’India o della Cina?” (116)

125 In Invitation of Art Adrian Strokes fa quella che mi sembra un’osservazione molto convincente, cioè che parte della difficoltà nell’arte consiste nel soddisfare sia la brama di un oggetto ideale e di un sé fuso con esso, sia il bisogno di restaurare un oggetto intero realisticamente percepito, una madre separata non confusa con il sé. Egli suggerisce che il particolare sentimento di essere trascinato dentro e coinvolto in un’opera d’arte ha elementi della fusione originaria pre-depressiva con l’oggetto ideale. Ma l’artista deve anche uscire da tutto questo per essere creativo. ( )

126 Ricerca schizoide dell’oggetto ideale, con cui ci si identifica e ci si fonde, e del dolore depressivo, attraverso cui l’artista deve passare rinunciando ad esso per raggiungere la verità. Bisogno di separatezza, accettazione della situazione triangolare da cui si è esclusi e necessità di riportare alla vita non solo l’oggetto amato, ma l’intero mondo cui l’oggetto è collegato. (119)

127 Carl Gustav Jung

128 C.G. Jung cessa di pensare alla dinamica psichica come governata da forze che spingono dal basso, come per Freud; ipotizza che essa sia contraddistinta, invece, dal “processo di individuazione”, in virtù del quale l’individuo definisce le proprie caratteristiche senza cessare di intrattenere un continuo arricchente confronto con l’inconscio.”

129 L’inconscio è immaginato da Jung come una dimensione trans-individuale e collettiva, densa di contenuti psichici a forte valenza affettiva, vere e proprie matrici di significato, che egli chiama archetipi.

130 Gli archetipi sono dei percorsi universali della psiche.
Se potessimo – dice ad esempio Jung – gettare uno sguardo sulla psiche della farfalla della iucca troveremmo in essa fantasie a carattere numinoso che portano quella farfallina a svolgere la sua attività fecondatrice (Jung 1974, p. 135).

131 Essi hanno un potentissimo contenuto affettivo, che Jung definisce “numinoso”
 pensiero “astratto” vs. pensiero “immaginativo

132 Gli archetipi hanno il potere di imporsi alla nostra personalità, di appellarsi ad essa: ma ad essi manca qualcosa di fondamentale, il carattere della coscienza.

133 "Archetipo" è una parafrasi esplicativa dell'éidos platonico
"Archetipo" è una parafrasi esplicativa dell'éidos platonico. Ai nostri fini tale qualificazione è pertinente e utile poiché significa che, per quanto riguarda i contenuti dell'inconscio collettivo, ci troviamo davanti a tipi arcaici o ancora meglio primigeni, cioè immagini comuni presenti fin dai tempi remoti. L'espressione représentations collectives, che Lévy-Bruhl usa per designare le figure simboliche delle primitive visioni del mondo, si potrebbe usare senza difficoltà anche per i contenuti inconsci, poiché riguarda quasi la stessa cosa. Le 'dottrine primitive delle origini', cioè, trattano degli archetipi in speciali accezioni. Certamente non si tratta più di contenuti dell'inconscio: essi si sono già trasformati in formule consce insegnate secondo la tradizione soprattutto in veste di 'dottrina segreta", tipica forma di trasmissione di contenuti collettivi, originariamente derivanti dall'inconscio. (Jung, La dimensione psichica, pp )

134 Altra ben nota espressione degli archetipi sono il 'mito" e la 'favola’. Ma anche qui si tratta di forme appositamente coniate, trasmesse nel corso di lunghi periodi. Il concetto di archetipo conviene quindi soltanto indirettamente alle représentations collectives, in quanto si limita a designare i contenuti psichici non ancora sottoposti a elaborazione cosciente e che per conseguenza rappresentano "un dato psichico ancora immediato". Come tale, l'archetipo differisce non poco dalla formula divenuta storica o elaborata. Specialmente sui gradini più elevati delle dottrine esoteriche, gli archetipi appaiono in un contesto che di solito rivela in modo inequivocabile che essi sono stati giudicati e valorizzati da un'elaborazione cosciente. Invece la loro apparizione diretta, quale ci si presenta nei sogni e nelle visioni, è molto più individuale, incomprensibile e ingenua di quanto non' sia, per esempio, nel mito. L'archetipo rappresenta in sostanza un contenuto inconscio che si è trasformato attraverso una presa dì coscienza e per il fatto di essere stato percepito, e ciò proprio nel senso di quella consapevolezza individuale nella quale si manifesta.

135 …in qualsiasi cultura, l’uomo ha tutte le potenzialità; egli è, nel contempo, l’uomo dei primordi, l’animale del sacrificio, il cannibale, l’idolatra, e un essere dotato di disponibilità per la ragione, l’amore e la giustizia. Ma allora il contenuto dell’inconscio non è né il bene, né il male, né il razionale, né l’irrazionale: è tutte queste cose insieme; è quella parte dell’uomo che corrisponde alla società di cui fa parte. La coscienza rappresenta l’uomo sociale, le limitazioni contingenti poste dalla situazione storica, in cui un individuo è gettato. La non-coscienza rappresenta l’uomo universale, l’uomo per intero, radicato nel cosmo; essa rappresenta, nel contempo, la sua parte vegetativa, animale e spirituale; ne rappresenta infine il passato sino agli albori dell’esistenza umana e il futuro sino al giorno in cui l’uomo diverrà pienamente umano e in cui la natura sarà umanizzata nella misura in cui l’uomo a sua volta risulterà «naturalizzato». (Fromm 1960a, p. 113)

136 Restare in balia del potere degli archetipi significa non riuscire a trovare la direzione per realizzare se stessi. Inoltre, per Jung, gli archetipi hanno una natura ambivalente o bipolare: essi hanno un aspetto positivo sia uno negativo.

137 La distruttrice dea Kali

138 Come rileva Trevi, Jung intende “mostrare come la vita psichica si svolga nell’inesauribile gioco di opposti e come questi vengano sintetizzati dalla funzione simbolica che li ‘tiene’ assieme […] L’interesse per la dinamica delle strutture bipolari della psiche sembra unificare la frammentaria e spesso divergente ricerca di Jung” (Trevi 1999, p. 577) Da quel quadro di opposti che è per me il mondo mi viene il concetto di energia psichica. Questa deve derivare anch’essa da opposti come l’energia degli eventi fisici, la quale presuppone sempre un gradiente, vale a dire l’esistenza di contrari come caldo-freddo, alto-basso ecc. (Jung 1929, p. 216).

139 Il processo di individuazione
Jung definì quel processo che conduce l’individuo a conquistare il proprio Sé come processo di individuazione. Il processo di individuazione conduce l’uomo ad emergere dall’inconscio per conquistare il proprio Sé. Tale emergere si configura, in Jung, come un assumere e sintetizzare a livello cosciente quei contenuti mentali che appartengono alla dimensione inconscia universale, nella quale giacciono i simboli condivisi da tutti gli uomini, che per Jung sono gli archetipi.

140 Per Jung l’uomo collettivo, tribale, primitivo l’uomo che si rapporta con gli altri e con la natura all’insegna di quella che Levy-Bruhl aveva definito partecipation mistique, è contraddistinto da uno stato originario di incoscienza e quindi di indifferenziazione (Jung 1928, p. 125). Egli sperimenta una sola identità, ovvero quella data dall’inconscio collettivo in cui tutti gli uomini possono riconoscersi.

141 Il percorso dell’uomo consiste nell’affrancarsi da questa appartenenza universale, acquisendo una propria personalità separata e autonoma. L’uomo che si lasci sovrastare dai contenuti dell’inconscio collettivo è come l’ubriaco che non riesce a dominare il vizio dell’alcool e si trova ad essere dominato dall’inconscio collettivo invece di riuscire ad integrarlo nella sua coscienza personale.

142 Le virtù immaginarie e le malvagità immaginarie non sono che coppie di contrari morali contenute nella psiche collettiva. Queste entrano in contraddizione quando inizia lo sviluppo personale della psiche (Jung 1929, tr. it. p. 56) Una società che impedisca l’emergere dell’individualità espone l’individuo al rischio della rimozione dell’individualità nell’inconscio, che da lì agisce come tendenza alla distruttività e all’anarchia (p. 60).

143 Il primitivo inizia la separazione dal collettivo creando attorno a sé un involucro che può essere definito Persona. In realtà l’attribuzione della Persona è un processo collettivo, in quanto il collettivo aveva bisogno di questa figura (p. 57). La Persona è un’individualità apparente: in realtà è un ritaglio nel collettivo avvenuto in virtù di certe condizioni (si fa un certo lavoro, si occupa un certo posto, …). La Persona, in definitiva, non è nulla di reale (p. 66).

144 Di fronte a nuove scoperte l’individuo può dire: “Sono un sognatore psicopatico, che farebbe meglio a seppellire tutto ciò che proviene dall’inconscio”. Si ristabilirà allora regressivamente la Persona. L’individuo diventerà più meschino, limitato, più razionalista di prima. …non si può dire che questo risultato debba forzatamente essere una sciagura per tutti gli uomini, perché ve ne sono fin troppi che per la loro notoria inettitudine prosperano meglio in un sistema razionalistico che nella libertà. Quest’ultima è una delle cose più difficili (Jung 1929, p. 76) Ma all’inconscio l’energia può essere tolta solo in parte, perché esso è la sorgente della libido. (Jung 1929, p. 77)

145 Il mito dell’eroe L’eroe è colui che ha il coraggio di intraprendere un viaggio che lo separa dalla Grande Madre. La Grande Madre è il simbolo dell’origine, del grembo materno e dell’inconscio che contiene in sé gli opposti. Esistere, all’interno della Grande Madre, significa esistere pigramente nell’inconscio (Neumann 1949, p. 35), in una dimensione in cui prevale l’inerzia e la volontà di restare nell’inconscio. Ma Jung riteneva che esistesse anche una forza altrettanto potente quanto quella che lega l’individuo al grembo materno, ovvero la spinta ad individuarsi, ad emergere dal tutto indistinto dell’inconscio. In questa fase di separazione egli si sentirà piccolo e inerme, avvertirà il potente richiamo dell’inconscio e, nel frattempo, la Grande Madre mostrerà anche il suo lato terribile e divoratore, che non lascia individuare i suoi figli se non a patto di distruggerli.

146 Il combattimento contro il drago rappresenta un momento centrale nello sviluppo dell’umanità: esso sta a rappresentare la lotta dell’eroe contro i genitori primordiali (è legato con gli eventi che la psicoanalisi conosce come complesso di Edipo). Nella visione junghiana l’incesto dell’eroe è altresì una rigenerazione. La Grande Madre è anche la Grande Madre Terribile che vuole ringhiottirsi il nascente Io.

147 La figura del padre rappresenta il carattere della cultura e dei valori culturali in trasformazione. L’istanza paterna è l’organo culturale che trasmette all’Io del singolo i valori e i contenuti del collettivo. I padri, essendo il supporto delle istituzioni che incarnano il canone culturale, presiedono all’educazione di ogni individuo e decretano il momento in cui esso è diventato adulto. La relazione padre-figlio consiste nel trasmettere e fare assorbire tali valori culturali al figlio… Non dobbiamo farci ingannare dall’esperienza di un periodo ‘anomalo’ come il nostro (Neumann 1949, p. 157 ss.)

148 L’uccisione del padre da parte dell’eroe nel mito fa parte del problema dei genitori primordiali, e non va derivata dai genitori personali e tanto meno dalla fissazione sessuale del figlio alla madre. Piuttosto il desiderio di uccidere è volto contro l’autorità rappresentata dal padre, perché il suo lato eroico la sente come un impedimento (Neumann 1949, p. 157 ss.).

149 L’annullamento mediante lo spirito, cioè mediante il Padre Celeste, e l’annientamento mediante l’inconscio, cioè mediante la Madre Terra, sono identici, come ci insegna qualsiasi psicosi. Mentre la castrazione matriarcale ha un orientamento orgiastico, quella patriarcale ha un orientamento ascetico.

150 Il percorso di individuazione ci fa affrontare:
la nostra Ombra, ovvero gli aspetti “peggiori” della nostra personalità che abbiamo rimosso nell’inconscio personale; L’Ombra rappresenta il deposito di tutte le parti che la coscienza condanna come negative. Più difficile è spiegare la nascita della figura dell’anima; Nell’evoluzione psicologica, il Sé risulta nascosto dell’Ombra; è lei il ‘guardiano della porta’… Oltre l’aspetto oscuro, l’Ombra rappresenta la totalità, e solo chi diventa amico dell’Ombra lo diventa anche del Sé.

151 La nostra Anima/Animus, che da potenze estranee alla nostra coscienza debbono diventare delle funzioni psichiche; Nella donna, l’archetipo è quello dell’Animus. L’archetipo dell’Anima assume la forma di una figura femminile ideale nell’uomo, l’Anima, e nella donna la forma di una figura maschile; ciò è dovuto alla natura complementare dell’uomo e della donna, che hanno entrambi nel loro inconscio una rappresentazione ideale dell’altro.

152 L’Anima/Animus può avere una influenza benefica o nociva: dipende dalla qualità del rapporto che si riesce a stabilire con essa. Normalmente viene proiettata, causando una deformazione della rappresentazione delle donne reali nel corso della propria vita. L’Anima viene anche personificata nei sogni, nelle fantasie; è fonte di ispirazione per poeti e romanzieri; può essere la causa di un amore a prima vista… Non controllare la proiezione della propria anima può portare ad effetti disastrosi, perché si attribuiscono all’altro qualità che sono proprie del nostro contenuto inconscio.

153 Il Vecchio Saggio/la Grande Madre (rispettivamente per i maschi e per le femmine), che rappresentano la ricchezza del mondo inconscio;

154 Infine incontriamo il Sé, che è la tappa finale del percorso di individuazione, che rappresenta la grande conciliazione degli opposti.

155 L’artista che attinge agli archetipi non tenta solamente di portare avanti il proprio percorso di individuazione, ma sta attingendo a contenuti che riguardano tutti gli uomini: parla a sé ma, in un senso più profondo e universale, a tutti.

156 L’arte assume il ruolo, nella psicologia di Jung, di far emergere dall’inconscio collettivo quei contenuti psichici di cui la coscienza individuale è carente. La coscienza si potrà giovare, così, di materiali emotivi che le consentiranno di intraprendere con nuovo vigore il processo di individuazione (Jung, 1922, p. 352).

157 Mandala (simbolo del Sé)

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159 Funzione trascendente: è l’unione degli opposti, che consente di conseguire una coscienza più elevata

160 Sincronicità Grazie ai fenomeni parapsicologici ci siamo avvicinati un po’ di più alla comprensione di quel misterioso parallelismo psicofisico, cosicché ora possiamo dire che psiche e materia possono agire l’una sull’altra. L’ipotesi materialistica e quella spiritualistica sono pregiudizi. E’ più in accordo con l’esperienza l’ipotesi che la materia vivente presenti un aspetto psichico e viceversa la psiche un aspetto materiale. Idea che l’Essere si fondi su un sostrato finora sconosciuto e che la fisica attuale permette di inquadare in modo meno ardito (Jung, tr. it. 1986, vol. X, tomo 2, pp ).

161 Winnicott e il concetto di Vero Sé
Utilizzando il concetto di Vero Sé a Winnicott non interessa rifarsi ad una metafisica, ad una concezione dell’anima; restando nell’ambito di una psicologia scientifica, egli intende evidenziare come ci sia bisogno di rifarsi ad un’idea dell’individuo come centro agente e dotato di una propria spontaneità originaria.

162 Il Vero Sé contiene il senso del Sé, la certezza di esistere e di essere reali, di poter essere se stessi, creativi e spontanei; ad esso appartiene la percezione di una continuità della propria esistenza. al centro di ciascuna persona, c’è un elemento segregato, e questo è sacro ed estremamente degno di essere preservato (Winnicott).

163 Per Winnicott rappresenta quindi la creatività originaria del soggetto.
 La creatività corrisponde al naturale senso di espansione di sé che si sperimenta in quanto si è vivi. Quando siamo creativi ogni cosa che facciamo aumenta il senso di essere noi stessi (Winnicott 1970). Senza questo piano, per W., non c’è nulla. Felice è colui che è sempre creativo nella sua vita personale come pure nei rapporti con i partner, con i figli, con gli amici ecc. (1970, tr. it. 1986, p. 41)

164 Essere creativi significa essere “soggetti” a pieno titolo
Essere creativi significa essere “soggetti” a pieno titolo. Essere soggetti significa esistere anche indipendentemente dallo stimolo esterno. Se il nostro sentirci vivi dipendesse esclusivamente da stimoli esterni, cessato lo stimolo cesserebbe anche la sensazione di sentirsi vivi.  L’essere creativi di cui parla Winnicott allude proprio al sentirsi vivi anche quando non c’è lo stimolo che proviene dal mondo esterno.

165 “Fuori dalla mia finestra c’è una pianta, e il sole, e razionalmente so che deve essere uno spettacolo piacevole, per chi lo può vedere. Ma questa mattina per me tutto ciò non ha senso. Non riesco ad esserne partecipe e ciò mi rende profondamente conscio del fatto di non sentirmi reale” (Winnicott 1970).

166 Il mondo. questo grosso essere assurdo. [
Il mondo... questo grosso essere assurdo. [...] Scoprire che il mondo non ha senso, che è assurdo, provoca la nausea. [...] L'essenziale è la contingenza [= la non necessità delle cose]. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente: gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea [...] La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col caffè, son io che sono in essa [...] Ed ora lo so: io esisto - il mondo esiste - ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi é indifferente. E' strano che tutto mi sia ugualmente indifferente: é una cosa che mi mette paura. E' cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giocare a far rimbalzare i ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è allora che è cominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state altre Nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi dentro la mano. (Sartre, La Nausea)

167 La creatività riguarda l’ “essere” se stessi, e viene prima del “fare”.

168 La creatività: fra onnipotenza e principio di realtà
La vita creativa che corrisponde alla possibilità di non essere continuamente uccisi o annientati dalla compiacenza verso o dalla reazione a un mondo che fa violenza all’individuo; si tratta di riuscire a vedere ogni cosa in modo sempre nuovo. L’esperienza dell’onnipotenza è qualcosa di più di un controllo magico, ma include l’aspetto creativo dell’esperienza (Winnicott 1963)

169 Le fotografie dei grandi cacciatori che, come H
Le fotografie dei grandi cacciatori che, come H. Hemingway, si fanno immortalare di fianco a un leone massacrato, ci danno un’idea degli sforzi estremi che un essere umano può compiere nel tentativo di trionfare sull’oggetto percepito oggettivamente (Winnicott)

170 Essere creativi significa, afferma Winnicott, “mantenere qualcosa che appartiene all’esperienza infantile: la capacità di creare il mondo”.  in ogni atto creativo c’è sempre una porzione di “onnipotenza”

171 Ma l’essere creativi implica incontrare il mondo, la realtà esterna.

172 Inizialmente è la madre che si adatta ai bisogni del bambino per consentire che egli compia esperienze che sono coerenti con i suoi stati mentali. La madre, con la sua capacità empatica è capace di dare qualcosa di buono al bambino che, al suo livello, può solo fantasticare e “allucinare” degli oggetti: il bambino è solo con le sue illusioni, la madre conosce la realtà e può far sì che la fantasia del piccolo si connetta con la realtà. Ella, infatti, basandosi sulla sua intuizione, può fornire al bambino quegli oggetti che egli sta allucinando.

173 Winnicott parla a tale proposito di “presentazione d’oggetto”.
Dobbiamo supporre che il bambino abbia dei guizzi creativi in base ai quali cerca il contatto con la realtà; non essendo “organizzato” non riesce a contattare il mondo. Allora la madre, intuendo le volontà nascenti del piccolo, gli fornisce quegli oggetti che il bambino sta “allucinando”. Il bambino, cioè, è solo con le sue fantasie, la madre conosce la realtà e può far sì che la fantasia del piccolo si connetta con la realtà. Ella, infatti, basandosi sulla sua intuizione, può fornire al bambino quegli oggetti che egli sta allucinando.

174 L’esperienza del piccolo risulterà arricchita di elementi reali ed egli stesso inizierà a sentirsi reale. Il suo essere e sentirsi reale, che sta alla base della salute psichica, dipende dunque dal fatto che le connaturali tendenze alla crescita e all’espansione del suo Sé hanno trovato un ambiente favorevole e degli oggetti che corrispondevano alle sue fantasie.

175  L’ “essere” viene garantito al bambino dalla madre.
Più in generale, la madre, insomma, supporta l’Io del bambino: calandosi al suo livello, gli consente di credere che le esperienze che compie possano trovare un corrispettivo nella realtà esterna, protegge l’Io del bambino e supporta l’evoluzione della sua identità (”preoccupazione materna primaria”).  L’ “essere” viene garantito al bambino dalla madre.

176 La madre normalmente devota e la progressiva disillusione dell’onnipotenza
Quando la capacità allucinatoria si è consolidata spetta allora alla madre una progressiva disillusione (madre “normalmente devota”) Si procede ad una fase di separazione-individuazione e, “se tutto va bene”, ad una diminuita funzione di sostegno all’Io da parte della madre corrisponde solitamente un aumento delle funzioni dell’Io del bambino. Di lì in poi il bambino sarà capace di attacchi aggressivi verso la madre. A partire da questa fase è possibile apprendere dall’esperienza, ovvero da qualcosa che è fuori dal controllo onnipotente del bambino.

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180 L’oggetto transizionale
L’oggetto transizionale consente di mantenere interrelate due aree altrimenti separate, quella della realtà interna e quella della realtà esterna. L’oggetto transizionale compare tra i quattro e i dodici mesi. Il bambino ha bisogno di investire un oggetto del potere transizionale, tali che rappresentino un ponte tra la realtà interna e quella esterna. Si colloca tra la “creatività primaria e la percezione obiettiva basata sull’esame di realtà”. Anche se non tutti i bambini vi fanno ricorso, la presenza dell’oggetto transizionale è un indice sicuro di una potenziale capacità di elaborare l’onnipotenza e la separazione.

181 L’oggetto transizionale viene quindi progressivamente dimenticato
L’oggetto transizionale viene quindi progressivamente dimenticato. Può rimanere nell’adulto nella consapevolezza di mantenere un “luogo di riposo”, ove lasciar fluttuare la mente e giocare con le proprie idee. Oppure come spazio del gioco, della creatività, del sentimento religioso, ma anche della perdita del sentimento affettuoso, dell’assuefazione alla droga, dei rituali ossessivi. W. distingue a tal proposito l’oggetto transizionale dall’oggetto feticcio o oggetto tossico. Quest’ultimo mantiene il soggetto in uno stato di continua dipendenza, distoglie da sé e dalla realtà esterna.

182 Come esito delle cure materne, del “contenimento” del bambino nella Mente della madre, il bambino arriva a poter dire “io sono”

183 La salute mentale si basa su tale sensazione di essere.
La salute non è sinonimo di tranquillità. La vita di un individuo sano è caratterizzata da paure, sentimenti conflittuali, dubbi e frustrazioni, come pure da elementi positivi. La cosa fondamentale è che si senta di stare vivendo la propria vita, assumendosi le responsabilità di quanto si fa, il merito del successo e la colpa del fallimento. In tal caso si può dire che l’individuo è passato dalla dipendenza all’autonomia (Winnicott, Il concetto di individuo sano, 1967, tr. it. 1990, pp.18-19).

184 Il Sè diventa “reale” solo se rispecchiato dall’ “altro” nell’ambito di una buona relazione empatica

185 Noi, infatti, abbiamo bisogno dell’altro per pensare a noi stessi, per accedere alla nostra intimità

186 Qualche esempio Perché è così difficile dipingere un autoritratto? (Bachtin) Perché è così arduo vedersi nello specchio come ci potrebbe vedere un qualunque estraneo? (Pirandello) Perché le persone sono interessate a scrutare come sono “venute” in una foto? Perché, quand’uno pensa d'uccidersi, s'immagina morto, non più per sé, ma per gli altri? (Pirandello)

187 Un paradosso Il bambino diventa capace di sentirsi solo in presenza di un’altra persona (Winnicott)

188 Bachtin: extralocalità
Vediamo noi stessi nella nostra interezza quando il volto di un altro ci guarda

189 In effetti quando l’uomo inizia a viversi dall’interno, subito egli incontra atti altrui diretti verso di lui: […] dalla bocca della madre e dei suoi cari […] nel tono emotivo-volitivo del loro amore, il bambino sente e comincia a riconoscere il suo nome e la denominazione di tutto ciò che si riferisce al suo corpo,[…] le prime parole che dall’esterno definiscono la sua personalità e che vengono incontro alla sua oscura autosensazione interiore, conferendole forma e denominazione, le parole in cui per la prima volta prende coscienza di sé e trova se stesso come un qualcosa, sono le parole della persona che l’ama (Bachtin, ?, tr. it. 1979, pp ).

190 L’identità si inizia a formare quando si riesce “a dare un senso alle proprie emozioni come conseguenza del fatto che il pensiero di un altro ha trovato in esse un senso” (Waddell, 1998, tr. it. 2000, p. 32).

191 Gli psicoanalisti hanno molto insistito sulla capacità del caregiver di contattare il nucleo originario del Sé, utilizzando termini come: empatia, rispecchiamento, contenimento, contenitore/contenuto sintonizzazione, rêverie (fantasticheria, Bion)

192 Bion pensa che la capacità di pensare i propri pensieri avvenga come funzione della rêverie materna (rêverie è un termine francese che allude al “fantasticare” della madre assieme al bambino).

193 In virtù di quella che Winnicott chiama preoccupazione materna primaria, la madre è in grado di empatizzare con i vissuti, ancora potenziali, del bambino, pensandoli per lui e restituendogli strutturati.  Si fa carico dei sentimenti del bambino e li “contiene” (holding)

194 Possiamo, quindi, molto sinteticamente, immaginare lo sviluppo emotivo come un evolvere da un’emotività poco strutturata ad un’emotività via via più adulta. A consentire tale passaggio è l’ambiente (caregiver, famiglia). La sua funzione sarà proprio quella di rendere pensabili e strutturate le esperienze emotive, in modo che il soggetto, pur continuando a sentirsi se stesso nella modalità spontanea originaria del “vero sé”, possa accedere a significati più ampi.

195 Lo sviluppo psichico può essere immaginato dipanarsi lungo le seguenti direttrici:
Dipendenza  autonomia (a “spingere” verso l’autonomia è l’innata tendenza a evolvere) b. Inorganizzazione  organizzazione c. Non integrazione  integrazione

196 Tali percorsi evolutivi sono interconnessi e nessuna delle esperienze primordiali viene dimenticata.
Anzi, potremmo dire che anche nella vita adulta cerchiamo di sperimentare, compatibilmente con la raggiunta autonomia e strutturazione della personalità, tali esperienze primordiali di: a. totale dipendenza b. funzionamento non organizzato e non integrato

197 Freud e il “sentimento oceanico”

198 Ma nei momenti di tranquillità non c’è confine tra il mondo interno e il mondo esterno, solo una quantità di cose separate: il cielo visto attraverso gli alberi, qualcosa che ricorda gli occhi della madre che vagano fuori e dentro di lui… Manca ogni necessità di integrazione. Questa è una cosa estremamente importante da ricordare: senza di essa ci manca qualcosa. È un concetto che ha a che fare con l’essere calmi, rilassati, riposati, sentendosi tutt’uno con le altre persone e le cose, quando non c’è eccitazione in giro (Winnicott 1948).

199 L’arte come possibilità di vivere in tranquillità momenti di non integrazione

200 Credo che, inerente in ogni tipo di artista, si possa scoprire un dilemma dovuto alla coesistenza di due tendenze: il bisogno urgente ricomunicare e il bisogno ancora più urgente di non essere scoperto. Ciò potrebbe spiegare la nostra impossibilità a concepire un artista che arrivi alla fine del compito che impegna totalmente la sua natura. (Winnicott 1963)

201 Forse non è stata data abbastanza attenzione al fatto che il mistico si ritira in una posizione in cui può comunicare segretamente con oggetti e fenomeni soggettivi, poiché la perdita di contatto col mondo della realtà condivisa è compensata da un vantaggio nel sentirsi reale (Winnicott 1963).

202 L’intero processo di sviluppo può essere inteso come un movimento ciclico, a spirale, dove si evolve pur mantenendo le esperienze emotive primordiali: queste permangono nella loro pregnanza primaria, pur diventando via via più strutturate, integrate e articolate, in relazione all’esperienza della realtà.

203 Il tempo presente e il tempo passato son forse presenti entrambi nel tempo futuro, e il tempo passato è contenuto nel tempo passato (T.S. Eliot, East Coker)

204 Lo sviluppo si compie sul crinale Sé/realtà, nella tensione fra il polo soggettivo e il polo oggettivo, in quella che Winnicott aveva definito “area transizionale” Come evolvere restando se stessi? Come apprendere dalla realtà senza esserne espropriati?

205 Comunicare o non comunicare? (Winnicott 1963)
Nell’ambito della salute esiste un nucleo della personalità che corrisponde al vero Sé. Ritengo che tale nucleo non comunichi mai direttamente con il mondo degli oggetti percepiti e che l’individuo sappia che questo nucleo non deve entrare in comunicazione con la realtà esterna né venirne influenzato. Sebbene le persone sane comunichino e amino comunicare, è anche vero che ogni individuo è un essere isolato che non comunica in modo permanente, in permanenza sconosciuto e mai realmente scoperto. […] Al centro di ogni persona c’è un elemento incomunicabile, inviolabile, che è sacro e va preservato. Le esperienze traumatiche, che portano all’organizzazione delle difese primitive, rappresentano una minaccia al nucleo isolato, la minaccia che venga scoperto, modificato e che ci si metta con esso in contatto. La difesa consiste in un ulteriore occultamento del Sé nascosto… Essere stuprati o essere mangiati dai cannibali sono cose di poco conto rispetto alla violazione del nucleo del Sé mediante la comunicazione che si insinua attraverso le difese. …possiamo capire l’odio che la gente ha verso la psicoanalisi, la quale è penetrata assai nella personalità umana e costituisce una minaccia per il bisogno che l’individuo ha di restare segreto e isolato. Il problema è: come isolarsi senza doversi circondare di barriere?

206 Alla base dello sviluppo c’è, quindi, il “centramento” nel Vero Sé.

207 Pur avendo questo auto-riferimento originario (Vero Sé), il bambino non ha un’organizzazione mentale.  Deve imparare a pensare i suoi stessi pensieri e sentimenti, deve imparare a conoscere se stesso e il mondo esterno. Pur essendo se stesso sin dall’origine, non è in grado di sentire e pensare IO SONO.

208 La salute mentale si basa su tale sensazione di essere
a connotare la salute psichica è percezione di “star vivendo la propria vita” più che l’assenza di conflittualità  infatti è difficile definire lo sviluppo psichico come qualcosa che avviene in modo “armonioso e coerente”: esso è anche disarmonico, incoerente, ambivalente, conflittuale…

209 La salute non è sinonimo di tranquillità
La salute non è sinonimo di tranquillità. La vita di un individuo sano è caratterizzata da paure, sentimenti conflittuali, dubbi e frustrazioni, come pure da elementi positivi. La cosa fondamentale è che si senta di stare vivendo la propria vita, assumendosi le responsabilità di quanto si fa, il merito del successo e la colpa del fallimento. In tal caso si può dire che l’individuo è passato dalla dipendenza all’autonomia (Winnicott, Il concetto di individuo sano, 1967, tr. it. 1990, pp.18-19).

210 Arte e gioco

211 Schiller: nell’anima bella non vi è contrasto fra moralità e sensibilità, perché il dovere morale è compiuto in modo spontaneo e disinteressato, in piena armonia con la sensibilità. …si dice anima bella, quando il sentimento morale è riuscito ad assicurarsi tutti i moti interiori dell'uomo, al punto da poter lasciare senza timore all'affetto la guida della volontà e da non correre mai il pericolo di essere in contraddizione con le decisioni di esso. L'anima bella ci fa entrare nel mondo delle idee senza abbandonare il mondo sensibile come avviene nella conoscenza della verità...per mezzo della bellezza ...l'uomo spirituale è restituito al mondo dei sensi (Schiller, Lettere sull’educazione estetica, )

212 Schiller: è possibile educare tramite l’arte e ciò avviene grazie al sentimento del bello
La conciliazione piena fra sensibilità e razionalità, fra vita e ideale avviene pienamente nel gioco, nell’ambito del quale nessuno dei due momenti è sacrificato all’altro: “L'uomo è completamente uomo solo quando gioca”

213 Un uomo libero (R. Tagore) Ero giovane, e mi sentivo forte
Un uomo libero (R. Tagore) Ero giovane, e mi sentivo forte. Quella mattina di primavera uscii di casa e gridai: «Io sono a disposizione di chi mi vuole. Chi mi prende?». Mi lanciai sulla strada selciata. Ritto sul suo cocchio, con la spada in mano e seguito da mille guerrieri, passava il Re. «Io ti prendo al mio servizio», disse fermando il corteo. «E in compenso ti metterò a parte la mia potenza». Ma io della sua potenza non sapevo che farmene. E lo lasciai andare. «Io sono a disposizione di tutti. Chi mi vuole?». Nel pomeriggio assolato un vecchio pensieroso mi fermò, e disse: «Ti assumo io, per i miei affari. E ti compenserò a suon di rupie sonanti». E cominciò a snocciolarmi le sue monete d'oro. Ma io dei suoi quattrini non sapevo che farmene. E mi voltai dall'altra parte. La sera arrivai nei pressi di un casolare. Si affacciò una graziosa fanciulla e mi disse: «Ti prendo io. E ti compenserò con il mio sorriso». Io rimasi perplesso. Quanto dura un sorriso? Frattanto quello si spense, e la fanciulla si dileguò nell'ombra. Passai la notte disteso sull'erba, e al mattino ero madido di rugiada. «Io sono a disposizione... Chi mi vuole?» Il sole scintillava già sulla sabbia, quando scorsi un fanciullo che, seduto sulla spiaggia, giocava con tre conchiglie. Al vedermi alzò la testa e sorrise, come se mi riconoscesse. «Ti prendo io”, disse. «E in cambio non ti darò niente». Accettai il contratto e cominciai a giocare con lui. Alla gente che passava e chiedeva di me, rispondevo: «Non posso. Sono impegnato». E da quel giorno mi sentii un uomo libero.

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216 E non si può vivere così... come in vacanza? (Pirandello, Trovarsi)
Non si può fare come i bambini che quando “fanno il loro gioco e poi ci credono e lo vivono come vero” (Pirandello, I giganti della montagna)?

217 …esiste la realtà, esistono gli altri, esistono gli obblighi… la vita che diventa necessariamente forma, che ci “intrappola” nella forma. Come continuare a “giocare” e a essere “liberi”?

218 Noi siamo fuori di questi limiti [del reale], per grazia di Dio
Noi siamo fuori di questi limiti [del reale], per grazia di Dio. A noi basta immaginare, e subito le immagini si fanno vive da sé. Basta che una cosa sia in noi ben viva, e si rappresenta da sé, per virtù spontanea della sua stessa vita. È il libro avvento di ogni nascita necessaria. (Pirandello, 1933)

219 Liberata da tutti questi impacci, ecco che l’anima ci resta grande come l’aria, piena di sole o di nuvole, aperta a tutti i lampi, abbandonata a tutti i venti, superflua e misteriosa materia di prodigi che ci solleva e disperde in favolose lontananze […]. Con la divina prerogativa dei fanciulli che prendono sul serio i loro giuochi, la maraviglia chè in noi la rovesciamo sulle cose con cui giochiamo, e ce ne lasciamo incantare. (Pirandello, I giganti della montagna)

220 Ma l’arte non è solo “soggettività”, ma anche “oggettività”; non è solo “fantasia” dell’artista, ma connessione col mondo, “responsabilità”

221 Per me il mondo non è solo un'idealità, non è limitato cioè all'idea ch'io posso farmene: fuori di me il mondo esiste per sé e con me; e nella mia rappresentazione io debbo propormi di realizzarlo quanto più mi sarà possibile, facendomene quasi una coscienza in cui esso viva in me come in sé stesso; vedendolo com'esso so vede, sentendolo com'esso si sente. E allora più nulla di simbolico e apparente per me, tutto sarà reale e vivente. E non farò più pensare, sentire, parlare, gestire gli uomini ad un modo, cioé a modo mio [...]; ma a ciascuno m'ingegnerò di dar la sua voce e a ogni cosa il suo aspetto e il suo colore: la sua vita insomma non la mia maniera [...] E allora soltanto mi parrà di essere sincero. (Pirandello, Sincerità e arte, 1897)

222 […] Un gradino piú sú, signor Fabrizio; salga un gradino piú sú di codeste considerazioni astratte, di cui ha voluto darmi un saggio in principio. Creda che, se vuol confortarsi, è l'unica. Ed è anche di moda, oggi. - Come sarebbe? - mi domanda, stordito, Cavalena. E io: - Evadere, signor Fabrizio, evadere; sfuggire al dramma! È una bella cosa, e anche di moda, le ripeto. E-va-po-rar-si in dilatazioni, diciamo cosí, liriche, sopra le necessità brutali della vita, a contrattempo e fuori di luogo e senza logica; sú, un gradino piú sú di ogni realtà che accenni a precisarcisi piccola e cruda davanti agli occhi. Imitare, insomma, gli uccellini in gabbia, signor Fabrizio, che fanno sí, qua e là, saltellando, le loro porcheriole, ma poi ci svolazzano sopra: ecco, prosa e poesia; è di moda. Appena le cose si mettono male, appena due, poniamo, vengono alle mani o ai coltelli, via, sú, guardare in sú, che tempo fa, le rondini che volano, o magari i pipistrelli, se qualche nuvola passa; in che fase è la luna e se le stelle pajono d'oro o d'argento. Si passa per originali e si fa la figura di comprendere piú vastamente la vita. Cavalena mi guarda con tanto d'occhi: forse gli sembro impazzito. - Eh, - poi dice. - Poterlo fare! - Facilissimo, signor Fabrizio! Che ci vuole? Appena un dramma le si delinea davanti, appena le cose accennano di prendere un po' di consistenza e stanno per balzarle davanti solide, concrete, minacciose, cavi fuori da lei il pazzo, il poeta crucciato, armato di una pompettina aspirante; si metta a pompare dalla prosa di quella realtà meschina, volgare, un po' d'amara poesia, ed ecco fatto! - Ma il cuore? - mi domanda Cavalena. - Che cuore? - Perdio, il cuore! Non bisognerebbe averne! - Ma che cuore, signor Fabrizio! Niente. Sciocchezze. Che vuole che importi al mio cuore se Tizio piange o se Caio si sposa, se Sempronio ammazza Filano, e via dicendo? Io evado, sfuggo al dramma, mi dilato, ecco, mi dilato! (Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore)

223 [Il gioco] è sempre eccitante
[Il gioco] è sempre eccitante. È eccitante non a causa di un substrato istintuale, ma a causa della precarietà inerente a esso, perché è sempre sul filo del rasoio tra ciò che è soggettivo e ciò che è oggettivamente percepito. (Winnicott, Gioco e cultura, 1967)

224 Ai miei occhi, il fattore chiave del gioco è la sua esuberanza: in esso vi è qualcosa di prorompente. Un altro aspetto cruciale è che il gioco è caratteristico delle specie sociali. E mi sembra importante ricordare, soprattutto agli intellettuali seri, che è necessario tenere ben distinto il gioco dall’esplorazione o dallo studio; non penso che il gioco, neppure quello degli scacchi, sia essenzialmente soluzione di problemi. I problemi degli scacchi sono lotte con un avversario e non è possibile giocare a scacchi senza un avversario, quantomeno immaginario (Trevarthen).

225 Il gioco è coscienza di sé, è esibizione, è camminare impettiti o con passi stravaganti, è fare vocalizzazioni sciocche. […] Il più delle volte il gioco non rappresenta nulla di utile per la cura del bambino in quanto organismo biologico. Rappresenta una comunicazione con un compagno conosciuto e con un partner curioso, attivo e creativo, consapevole della sua collaborazione. (Trevarthen, 1997, pp )


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