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Genetica dello sviluppo: isolamento dei mutanti

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Presentazione sul tema: "Genetica dello sviluppo: isolamento dei mutanti"— Transcript della presentazione:

1 Genetica dello sviluppo: isolamento dei mutanti
Cromosoma 2 cn bw cn bw Lts Cy P Progenie adulta incroci A F3 Progenie adulta incroci B Trattamento con agente mutageno cn bw cn bw cn bw cn bw Cy Cy tutti 2:1 F1 Studiando negli incroci B le uova abortite a causa del letale recessivo in omozigosi, furono trovate molte anomalie morfogenetiche negli embrioni e furono individuati 139 geni indispensabili per lo sviluppo embrionale cn bw cn bw cn bw cn bw Cy Cy l Questa diapositiva illustra un metodo classico di “dissezione genetica” di una funzione biologica (in questo caso: le prime fasi dello sviluppo embrionale), utilizzando una metodologia della genetica “diretta” descritta alla fine del credito precedente. Si è usato il metodo dei letali bilanciati sul cromosoma 2 di Drosophila melanogaster (in questo caso un letale recessivo riconoscibile fenotipicamente in eterozigosi: l’inversione “curly” (Cy)che produce ali arricciate in eterozigosi, associato a un letale dominante condizionale, in questo caso dipendente dalla temperatura, Lts), tenuti in eterozigosi; per l’esperimento si usano le femmine di questo ceppo. Il cromosoma 2 dei maschi che vengono trattati con gli agenti mutageni sono riconoscibili perché portano in omozigosi gli alleli recessivi cn e bw, che insieme, in condizione omozigote, danno il fenotipo “occhi bianchi, come si vede dalla diapositiva. Dal maschio, che è omozigote per cn bw, prenderà solo cromosomi con cn bw; di questi nella stragrande maggioranza non sarà presente alcun allele mutato; in qualche raro caso ci saranno alleli mutati su vari geni; tra questi gli alleli letali recessivi che ci interessano. Si prendono solo i maschi con le ali arricciate della F1, che quindi sono eterozigoti Cy + +/+ cn bw, che vengono incrociati con le femmine della generazione P. La F2 viene fatta crescere a temperatura non permissiva: quindi tutti gli embrioni che portano il cromosoma con Lts muoiono e la progenie sopravvissuta prende dalla femmina il cromosoma con Cy. Questi incroci si effettuano mettendo in ogni singola provetta tutte le femmine, eterozigoti Cy + +/+ cn bw e tutti i maschi, anche esso eterozigoti Cy + +/+ cn bw, derivati dallo stesso incrocio; in questo modo si incrociano fratelli e sorelle che presentano lo stesso cromosoma 2 ereditato dal padre (+ cn bw). La grande maggioranza delle provette (incroci A) avrà fratelli e sorelle privi di alleli letali recessivi sul cromosoma 2; una piccola frazione (incroci B) avrà fratelli e sorelle con un allele letale recessivo sul cromosoma 2. A questo punto si osserva la progenie adulta della F3; se sul cromosoma ereditatodai maschi della F1 non sono stati indotti letali recessivi, troviamo un rapporto 2:1 tra omozigoti + cn bw /+ cn bw (con fenotipo occhi bianchi) e +/+ cn bw, con fenotipo ali arricciate; se su quel cromosoma 2 non sono stati indotti letali recessivi, troviamo solo omozigoti + cn bw /+ cn bw (con fenotipo occhi bianchi). Prendendo da queste provette le uova abortive e gli embrioni in esse contenuti, si è prelevato in DNA dei cromosomi 2 e, con i metodi dell’ingegneria genetica, si sono sequenziati e si sono individuati 139 geni connessi con anomalie dello sviluppo embrionale, i cui alleli normali svolgono funzioni decisive nello sviluppo. l l l quasi tutti rarissimi F2 cn bw cn bw cn bw cn bw Cy Questa generazione viene fatta crescere a temperatura restrittiva, in modo che muoiano tutti i portatori di Lts Cy Cy Cy l l Incroci A: quasi tutti Incroci B: rarissimi

2 Geni materni e zigotici
Organismo modello: Drosofila Dopo la fecondazione lo zigote effettua la segmentazione, con una rapidissima successione di mitosi che non lascia spazio alla trascrizione La cellula uovo presenta nel citoplasma un gradiente di RNA e proteine codificati da geni materni che, con le loro diverse concentrazioni, secondo gli assi antero-posteriore e dorso-ventrale, forniscono i primi segnali ai geni “zigotici” nelle cellule dopo la segmentazione Geni zigotici di “segmentazione”: determinano l’organizzazione del corpo in regioni 1) Geni gap: codificano fattori di trascrizione che suddividono l’embrione in grandi regioni (testa, torace, addome). Nelle prime fasi del differenziamento embrionale giocano un ruolo decisivo le proteine presenti nella cellula uovo, codificate dai geni materni; queste proteine interagiscono, in qualità di fattori specifici di trascrizione, con i geni presenti nelle cellule dopo la segmentazione. Nella diapositiva è rappresentata schematicamente la segmentazione in Drosophila melanogaster, alla fine della quale le cellule si trovano sulla superficie dell’uovo. Le proteine materne sono distribuite in modo non uniforme nell’uovo, ma secondo un asse antero-posteriore e su un asse dorso-ventrale; in questo modo vengono attivati geni diversi lungo questi assi nelle cellule dopo la segmentazione. I geni attivati sono geni zigotici, i primi dei quali contribuiscono alla suddivisione del corpo in metameri, cioè in segmenti modulari ripetuti lungo l’asse antero-posteriore; tali geni sono, a loro volta, fattori specifici di trascrizione che attivano altri geni zigotici; nella diapositiva sono illustrati i tre principali gruppi dei geni zigotici ad azione più precoce, le loro funzioni e la loro entrata in azione sequenziale. 3) Geni della polarità segmentale, attivati dai prodotti di gap e pair-rule codificano fattori di trascrizione che determinano la polarità antero-posteriore entro i metameri. 2) Geni pair-rule: attivati dai prodotti di gap codificano fattori di trascrizione che determinano la formazione dei metameri.

3 Geni omeotici Geni Hox: attivati dai prodotti di pair-rule e dei geni della polarità segmentale codificano fattori di trascrizione che determinano lo sviluppo di organi e appendici specifici per ogni metamero. p. es. il gene Bitorax controlla lo sviluppo delle ali nell’adulto nel 2° segmento toracico. 3’ 1) I geni Hox presentano tutti una caratteristica sequenza (homeobox) che codifica per una sequenza di aminoacidi (omeodominio), all’interno del polipeptide, responsabile del legame al DNA. 2) I geni Hox presentano un ordinamento lineare sullo stesso cromosoma, in direzione 3’-5’ sul filamento trascritto, che corrisponde all’asse anteroposteriore del corpo. 5’ 4) I mutanti dei geni Hox presentano uno sviluppo disturbato: p. es. alleli mutanti di Bitorax presentano 2 paia di ali. Nella presente diapositiva sono illustrate sinteticamente alcune proprietà dei geni omeotici (geni Hox), che intervengono nello sviluppo embrionale subito dopo i geni di segmentazione a determinare lo sviluppo di organi e appendici proprie di ogni metamero. È straordinario il grado di omologia di tutti i geni Hox tra gli animali 4) I geni Hox , con le caratteristiche descritte nei punti 2, 3, 4, sono stati trovati in tutti gli animali multicellulari, incluso l’uomo. Nel differenziamento delle piante sono attivi fattori di trascrizione appartnenti ad altre famiglie.

4 L’evoluzione biologica
Secondo Lamarck Secondo Darwin Le condizioni ambientali (albero alto) stimolano un cambiamento adattativo dei caratteri (allungamento del collo); il cambiamento del carattere viene ereditato dalla progenie (tutta con il collo lungo); secondo questa ipotesi i caratteri acquisiti sono ereditabili. Il carattere (lunghezza del collo) è variabile; le condizioni ambientali (albero alto) causano la competizione dovuta alla lotta per la sopravvivenza; solo gli animali con il carattere favorevole (collo lungo) riescono a sopravvivere e a passare il carattere favorevole alla propria progenie; questo processo viene detto selezione naturale Secondo Lamarck l’evoluzione biologica nasce dalla risposta adattativa degli organismi agli stimoli ambientali, in seguito alla quale l’esplicazione ripetuta di talune funzioni, l’uso intenso di taluni organi provoca uno sviluppo maggiore di alcune strutture e funzioni per una sorta di tensione interna del corpo (nella diapositiva, le giraffe allungano il collo in risposta alla disponibilità di cibo sulla cima di alberi alti); questo cambiamento del corpo è trasmesso alla progenie (ereditarietà dei caratteri acquisiti); per questo le giraffe della generazione successiva nascono già con il collo più alto. Oggi si sa che le risposte adattative all’ambiente, che riguardano il soma, non sono ereditabili; l’ultima parola l’ha detta il test di fluttuazione: i cambiamenti ereditabili, cioè le mutazioni, preesistono allo stimolo ambientale (serie 3, diapositiva 24); quindi l’ipotesi lamarckiana non ha retto alla prova dei fatti. Secondo Darwin invece l’ambiente non induce cambiamenti ereditabili dei caratteri: c’è invece una variabilità dei caratteri stessi nelle popolazioni preesistente alle interazioni degli organismi di queste popolazioni con il loro ambiente; data la tendenza delle popolazioni naturali a crescere esponenzialmente e, d’altro lato, la limitatezza delle risorse naturali disponibili, s’instaura una lotta per la sopravvivenza fondata sulla competizione tra gli organismi della popolazione, il cui risultato è la sopravvivenza del più adatto, che trasmetterà alla progenie i propri caratteri; questo processo è la selezione naturale, in conseguenza della quale vengono trasmesse alla progenie le varianti di un dato carattere che conferiscono maggiore adattamento all’ambiente in cui si trova la popolazione (nella diapositiva la lunghezza del collo, nella popolazione delle giraffe, presenta una lunghezza variabile; solo le giraffe con il collo più alto sono in grado di nutrirsi della chioma degli alberi alti, di sopravvivere e di trasmettere alla progenie la variante “alta” del carattere “collo”). Nel test di fluttuazione, la variabilità rispetto alla resistenza agli antibiotici è la premessa perché, in presenza degli antibitici, sopravvivano e proliferino – cioè siano selezionati – solo i batteri che presentino la variante “resistente” del carattere “risposta agli antibiotici”. A quasi 150 dalla pubblicazione dell’”Origine delle specie” la teoria darwiniana, aggiornata e articolata per rispondere all’aumento delle conoscenze in biologia e alla crescente compressione della complessità dei viventi, è ancora feconda per l’interpretazione dell’evoluzione biologica. La teoria di Darwin (variabilità preesistente dei caratteri su cui opera la selezione derivata dalla competizione per le risorse ambientali, eredità dei caratteri selezionati) si è rivelata corretta L’ipotesi di Lamark (eredità dei caratteri acquisiti) si è rivelata falsa

5 La distribuzione del carattere “peso del seme” nella F2 dell’incrocio fra due linee pure di fagiolo in ambiente omogeneo Coefficienti binomiali PPSS ppss Generazione P n k n!/k!(n-k)! = PS ps Gameti PpSs Generazione F1 Gameti ps PS Ps pS PS PPSS PPSs PpSS PpSs Il carattere quantitativo esaminato (il peso dei semi di fagiolo) presenta una distribuzione continua (fra due valori di peso qualsiasi è sempre possibile trovarne uno intermedio); sia per maneggiare praticamente i dati, sia per la precisione degli strumenti di misura, si suole trasformare le distribuzioni continue in distribuzioni (artificialmente) discontinue. Nell’esempio citato si suddividono i semi in classi di peso, nella diapositiva identificati dai semi di fagiolo di diversa grandezza (da 0,25 a 0,35 grammi: “semi molto piccoli”; da 0,35 a 0,45: “semi piccoli”; da 0,45 a 0,55: “semi normali”; da 0,55 a 0,65: “semi grandi”; da 0,65 a 0,75: “semi molto grandi”), si assegna a ciascuna classe il valore mediano del proprio intervallo (0,3 grammi per il 1° intervallo, 0,4 per il 2°, 0,5 per il 3°, 0,6 per il 4° e 0,7 per il 5°); così a ciascun seme che cade in un dato intervallo di peso si assegna il corrispondente valore mediano. Il peso del seme di fagiolo è dovuta all’azione additiva di più geni; nell’incrocio descritto nella presente diapositiva sono coinvolti 2 geni, con 2 alleli ciascuno: un allele contributivo (gli alleli designati con la lettera maiuscola: P ed S) e un allele non contributivo (gli alleli designati con la lettera minuscola: p ed s). Il peso del seme dipende dal numero degli alleli contributivi nell’individuo diploide: con 4 alleli contributivi (PPSS) si ha un fenotipo “seme molto grande”; con 3 alleli contributivi (PpSS o PPSs) se ne ha uno “seme grande”; con 2 alleli contributivi (PPss o ppSS o PpSs) se ne ha uno “seme normale” ; con 1 allele contributivo (Ppss o ppSs) se ne ha uno “seme piccolo”; con 0 alleli contributivi (ppss) si ha un fenotipo “seme molto piccolo”. Applicando la 1° e la 2° legge di Mendel, con l’incrocio fra gli individui parentali PPSS x ppss si ottiene una F1 costituita integralmente di doppi eterozigoti PpSs, dalla cui autofecondazione si ottiene una F2 in cui i rapporti numerici fra le frequenze dei 5 fenotipi ottenuti (seme molto grande, seme grande, seme normale, seme piccolo e seme molto piccolo) corrispondono, nei margini connessi alla dimensione del campione e al conseguente errore di campionamento, ai coefficienti binomiali della 4° potenza di un binomio (1:4:6:4:1) perché 4 sono gli alleli coinvolti, a 2 a 2, di 2 geni in condizione eterozigote. Più in generale nel determinare i coefficienti binomiali bisogna ricordare che n corrisponde al numero totale degli alleli coinvolti di geni in condizione eterozigote (nell’esempio presente 4 alleli di 2 geni diversi), mentre k corrisponde al numero degli alleli contributivi che determinano un dato fenotipo (nell’esempio presente ci sono 3 alleli contributivi per il fenotipo seme grande, 2 per il fenotipo seme normale). Si ricorda che n!=n x (n-1) x (n-2) x (n-3) x ….. X 3 x 2 x 1 e che 0!=1. Ps PPSs PPss PpSs Ppss Gameti ppSS ppSs pS PpSS PpSs ps PpSs Ppss ppSs ppss Distribuzione binomiale dei fenotipi della F2 Genotipi della F2 Fenotipi della F2

6 È possibile selezionare il carattere “peso del seme”, la cui variabilità è determinata geneticamente
Fenotipi della F2 Selezione per il seme grande Selezione per il seme piccolo Gameti Gameti pS ps PS Ps ppSs PPSs Gameti pS Gameti ppSS ppSs PS PPSS PPSs Lo schema presentato nella diapositiva affronta il tema dell’efficacia della selezione in una popolazione in cui la variabilità fenotipica è interamente a carico della componente genetica. La distribuzione binomiale presentata al centro in alto nella diapositiva è quella della F2 ottenuta dagli incroci descritti nella 1° diapositiva. Il peso medio dei semi nella popolazione degli individui F2 corrisponde a quello dei semi normali; se si prelevano individui della F2 con peso maggiore (“semi grandi”) o minore (“semi piccoli”) e li si incrociano (individui con semi grandi fra loro, a destra nella diapositiva; individui con semi piccoli tra loro, alla sinistra nella diapositiva), si ottengono 2 distribuzioni binomiali alla F3, di cui quella che deriva dall’incrocio di piante con semi grandi ha un peso medio dei semi corrispondente a quello dei semi grandi, mentre quella che deriva dall’incrocio di piante con semi piccoli ha un peso medio dei semi corrispondente a quello dei semi piccoli; cioè l’intensità media della progenie della F3 è la stessa delle piante genitrici selezionate dalla F2. Dunque la selezione di caratteri quantitativi a determinazione completamente genetica è stata efficace: se si selezionano nella F2 individui con un fenotipo “variante” per il peso dei semi, rispetto all’intensità media nella popolazione (“plusvariante” se si seleziona per un peso maggiore, “minusvariante” se si seleziona per un peso minore), dall’incrocio tra individui plusvarianti deriva una progenie plusvariante, da quello tra individui minusvarianti deriva una progenie minusvariante. Le 2 distribuzioni binomiali della F3 corrispondono alla 2° potenza del binomio, perché in entrambi i casi ciascuno degli individui della F2 selezionato per l’incrocio è eterozigote per 1 solo gene, con 2 alleli coinvolti. Nella diapositiva sono proposti gli incroci ppSs x ppSs per il fenotipo semi leggeri e PPSs x PPSs per il fenotipo rosso. Se si guarda alla tabella dei genotipi e dei fenotipi della F2 della diapositiva 1, si verifica immediatamente che il fenotipo semi leggeri può essere determinato anche dal genotipo Ppss e che il fenotipo semi grandi può essere determinato anche dal genotipo PpSSC. Si può facilmente constatare (ed è un esercizio utile…) che lo stesso risultato con gli incroci descritti nella diapositiva si può ottenere dagli incroci Ppss x Ppssc e Ppss x ppSs per il fenotipo semi leggeri e dagli incroci PpSS x PpSS e PpSS x PPSs per il fenotipo semi grandi. Ps PPSs PPss ppSs ppss ps Genotipi delle F3 Fenotipi delle F3 La selezione è stata efficace: nelle 2 progenie della F3 si è ottenuto effettivamente uno spostamento del peso medio dal seme normale nella F2… …verso il peso del seme piccolo …verso il peso del seme grande

7 La variabilità del peso dei semi in una linea pura di fagioli mantenuta in un ambiente eterogeneo è dovuta solo a cause ambientali: la selezione è inefficace Distribuzione per il peso dei semi in una linea pura di fagioli con genotipo PPSS La variabilità del carattere “peso del seme” è dovuta esclusivamente alla variabilità ambientale Si selezionano e si incrociano le piante con i semi “piccoli” Si selezionano e si incrociano le piante con i semi “grandi” Gameti PS x gameti PS Gameti PS x gameti PS Lo schema esposto nella presente diapositiva illustra l’inefficacia della selezione su una variabilità fenotipica causata unicamente dalla variabilità ambientale. Nell’istogramma rappresentato nella diapositiva l’area di ciascun rettangolo è proporzionale alla frequenza (cioè alla numerosità) dei semi che ricadono nell’intervallo (semi molto piccoli,piccoli, normali, grandi, molto grandi); essendo le basi dei rettangoli, in questo caso, uguali fra loro, la frequenza dei semi è proporzionale anche all’altezza dei rettangoli. La distribuzione descritta è empirica, e non è detto che corrisponda a una distribuzione teorica attesa; nel nostro caso la distribuzione continua che più sembra accostarlesi è una distribuzione Gaussiana (ma occorrerebbero accurati test statistici per poterlo affermare con piccoli margini di errore). È evidente che i gameti di una linea pura sono tutti geneticamente identici fra loro, indipendentemente dal fatto di provenire da piante con semi grandi o da piante con semi piccoli, per cui non ha senso fare una tabella dell’incrocio; così come sono geneticamente identici fra loro e con i genitori tutti gli individui della progenie, in particolare sono identici geneticamente fra loro gli individui appartenenti alla progenie di incroci fra piante con semi grandi e gli individui appartenenti alla progenie di incroci fra piante con semi piccoli. Per questa uguaglianza genetica sia la progenie di incroci fra piante con semi grandi che quella di incroci fra piante con semi piccoli, mantenute nello stesso ambiente della generazione precedente, presentano la stessa distribuzione, per il peso del seme, fra loro e rispetto alla generazione precedente; in particolare coincide il peso medio dei semi. Dunque non c’è nessuno spostamento del peso medio della progenie, sia che incrociamo fra loro piante con i semi grandi o piante con i semi piccoli, a partire dalla stessa linea pura: quando manca la variabilità genetica la selezione è inefficace e l’ereditabilità del carattere è nulla. fecondazione fecondazione Progenie PPSS Progenie PPSS La progenie è mantenuta nello stesso ambiente della generazione precedente, La selezione è inefficace La distribuzione per il peso de semi, in particolare il peso medio, non varia fra le generazioni

8 Variabilità fenotipica dovuta sia alla variabilità genetica che alla variabilità ambientale
Distribuzione di un carattere quantitativo (p. es. lunghezza della coda di una lucertola in cm) dovuto a un gene A con i 2 alleli A ed a in condizioni di ambiente assolutamente omogeneo o eterogeneo 12 14 16 Genotipo AA Ipotesi 1: c’è solo la variabilità genetica, manca quella ambientale: a ogni genotipo corrisponde un solo valore del fenotipo; l’unica componente della varianza totale è la varianza genetica (s2p = s2g = 0,5) Genotipo Aa Genotipo aa 12 16 14 Ipotesi 2: c’è solo la variabilità ambientale, manca quella genetica: in ogni popolazione è presente un solo genotipo; l’unica componente della varianza totale nelle 3 popolazioni è la varianza ambientale (s2p = s2a = 0,5) 14 16 12 Nella presente diapositiva è illustrato uno schema estremamente semplificato, che illustra la relazione fra variabilità genetica e variabilità ambientale nella determinazione della variabilità fenotipica relativa a un carattere quantitativo (lunghezza della coda di una lucertola in cm), i cui valori sono indicati dai numeri (12, 14 e 16) nelle ascisse degli istogrammi, determinato da un singolo gene (A) con 2 alleli (A ed a); in ordinata è indicato il numero di individui (molto pochi) che cadono in ciascuna classe; per meglio rendere evidente la numerosità delle classi, si è suddivisa ciascuna colonna degli istogrammi in quadrati, ciascuno dei quali corrisponde a un individuo. Il parametro di posizione scelto delle diverse distribuzioni è la media aritmetica, mentre il parametro di dispersione scelto, che misura la variabilità, è la varianza. Il 1° modello prevede che in una popolazione siano presenti i 3 genotipi AA, Aa ed aa in un ambiente estremamente omogeneo (in questo è un modello è molto astratto); il fenotipo è determinato univocamente dal genotipo (tutti gli individui con genotipo AA hanno un fenotipo 13, tutti gli individui con genotipo Aa hanno un fenotipo 14, tutti gli individui con genotipo aa hanno un fenotipo 15) e la variabilità fenotipica della popolazione, misurata dalla varianza fenotipica della popolazione, coincide con la variabilità genetica, misurata dalla varianza genetica. Il modello 2 prevede 3 popolazioni separate, in ciascuna delle quali è presente un solo genotipo (AA, Aa o aa) (il modello è molto astratto perché, come si vedrà, mentre è possibile avere popolazioni tutte composte di individui omozigoti per un dato gene, solo in condizioni particolari è possibile che ci siano popolazioni costituite esclusivamente da individui eterozigoti per quel gene), poste in ambienti variabili al loro interno ma identici fra loro (ancora: molto astratto); in questo caso la variabilità fenotipica delle popolazioni, misurata dalla varianza fenotipica della popolazione, coincide con la variabilità ambientale, misurata dalla varianza ambientale; la varianza risulta, con questi dati, uguale nelle 3 popolazioni. Il modello 3, molto più realistico, prevede 1 popolazione con tutti i 3 genotipi presenti, nelle proporzioni presenti nel modello 1 e con un ambiente variabile, con le stesse caratteristiche del modello 2; in questo caso la variabilità fenotipica della popolazione è dovuta sia alla variabilità genetica che a quella ambientale e la varianza fenotipica della popolazione è pari alla somma della varianza genetica e della varianza ambientale; in tale caso, grazie alle proprietà matematiche della varianza, è possibile distinguere il peso della variabilità genetica e di quella ambientale nel determinare la variabilità fenotipica complessiva: la varianza totale è uguale alla somma delle varianze dovute ai diversi fattori; nel nostro caso la varianza totale è uguale alla somma della varianza genetica e di quella ambientale. 16 12 14 Nota: la varianza di una distribuzione si calcola come segue: Ipotesi 3: ci sono sia la variabilità ambientale che quella genetica: la varianza totale nelle 3 popolazioni è data dalla somma della varianza ambientale (s2p = s2a + s2g = 0,5 + 0,5 = 1) 14 12 16 s2 = (1/N) S(xi – x)2 = (1/N)Sxi2 – x2 _

9 Ereditabilità dei caratteri quantitativi ed efficacia della selezione
H2 = rapporto varianza genetica : varianza della popolazione iniziale (s2g/ s2p); s2g =s2p (varianza della popolazione iniziale) – s2a (varianza della linea pura). Generazione parentale Generazione filiale F1 Popolazione iniziale, da indagare Il rapporto tra varianza genetica e varianza totale è detto ereditabilità in senso lato. In realtà la varianza totale può dipendere, oltre che dalla varianza ambientale e dalla varianza genetica per gli effetti puramente additivi degli alleli contributivi anche dall’interdipendenza dei fattori genetici e ambientali che concorrono a determinarla; alcuni, come le relazioni di dominanza tra gli alleli o le interazioni tra diversi geni nel determinare il fenotipo, concorrono a determinare la varianza genetica; se si escludono questi fattori, della varianza genetica rimane quella dovuta al semplice effetto additivo degli alleli contributivi; il rapporto fra varianza genetica additiva e varianza totale è detto ereditabilità in senso stretto. Per spiegare come si effettua una stima quantitativa dell’ereditabilità in senso stretto e in senso lato e come questi parametri siano legati all’efficacia della selezione, viene proposto uno schema in cui sono rappresentate le diverse modalità di eredità di un carattere quantitativo: in cui la variabilità fenotipica sia dovuta esclusivamente alla variabilità ambientale (colonna a sinistra di distribuzioni); in cui la variabilità fenotipica sia douta esclusivamente alla variabilità genetica (colonna a destra); in cui la variabilità fenotipica sia dovuta sia alla variabilità ambientale che alla variabilità genetica (colonna centrale). Le tre distribuzioni in alto riguardano le tre popolazioni nella generazione parentale; le tre distribuzioni poste immediatamente sotto le distribuzioni parentali riguardano le tre corrispondenti popolazioni della progenie; l’ambiente in cui vive la progenie è uguale a quello della generazione parentale. Le distribuzioni sono continue e il carattere quantitativo è dovuto all’azione di più di un gene. In tutte le 3 popolazioni ha luogo la selezione (naturale o artificiale) per il carattere considerato: si riproducono solo individui che presentano in media, per il carattere considerato, un valore diverso (nell’esempio: un valore maggiore) rispetto alla media della popolazione nella generazione parentale; la differenza tra il valore medio, per il carattere considerato, degli individui selezionati (che si riproducono) della generazione parentale e il valore medio di tutta la popolazione nella generazione parentale ( in blu nella diapositiva) si chiama differenziale di selezione (S). Il valore medio per il carattere considerato assume valori diversi nella progenie a seconda della cause della variabilità fenotipica: se la variabilità fenotipica è dovuta solo alla variabilità ambientale, la media nella progenie è uguale a quella dell’intera popolazione alla generazione parentale (salvo variazioni casuali); se la variabilità fenotipica è dovuta solo alla variabilità genetica (con effetto puramente additivo degli alleli), la media nella progenie è uguale a quella degli individui selezionati alla generazione parentale; se la variabilità fenotipica è dovuta sia alla variabilità genetica che a quella ambientale, la media nella progenie cade nell’intervallo compreso tra la media dell’intera popolazione alla generazione parentale e quella degli individui selezionati alla generazione parentale. La differenza tra il valore medio, per il carattere considerato, degli individui selezionati (che si riproducono) nella generazione parentale e il valore medio di tutta la popolazione nella progenie (in verde nella diapositiva) si chiama risposta alla selezione (R). Il rapporto fra R ed S descrive l’efficacia della selezione; questo rapporto coincide con l’ereditabilità in senso stretto, che si fonda sull’azione più semplice dei geni (l’azione puramente additiva degli alleli di ciascun gene), escludendo fattori più complessi, come le relazioni di dominanza e le eventuali interazioni fra i diversi geni coinvolti nella manifestazione del fenotipo; tali fattori sono invece tenuti in considerazione dall’ereditabilità in senso lato. L’ereditabilità in senso stretto, quindi, è misurabile direttamente attraverso una singola generazione, calcolando il rapporto fra la risposta alla selezione e il differenziale di selezione. Questo parametro misura l’efficacia della selezione e indica l’importanza della variabilità genetica perchè si possa svolgere la selezione. Invece il calcolo dell’ereditabiltà in senso lato richiede che dalla popolazione di studio, di cui si conosce la varianza totale per il carattere in esame, si estragga almeno una linea pura, attraverso ripetuti reincroci. Quindi, ammettendo che la varianza della linea pura corrisponda alla varianza ambientale della popolazione originaria, per calcolare l’ereditabilità in senso lato di un carattere in una popolazione, occorre una procedura più complessa: si calcola la varianza per quel carattere nella popolazione (varianza totale); si ottiene una linea pura dalla popolazione di partenza mediante inincroci protratti per più generazioni tra individui con il fenotipo intermedio; si calcola la varianza per quel carattere nella linea pura così ottenuta (varianza ambientale); si calcola la varianza genetica come differenza fra la varianza totale e la varianza ambientale; la stima dell’ereditabilità in senso lato si ottiene calcolando il rapporto fra la varianza genetica e la varianza totale. La colonna più a destra nella diapositiva descrive questa procedura. Differenziale di selezione (S) Risposta alla selezione (R) Inincroci reiterati H2 = ereditabilità in senso lato h2 = ereditabilità in senso stretto s2ad= varianza genetica additiva Linea pura H2 = s2g/ s2p h2 = s2ad/ s2p = R/S

10 Le fonti della variabilità genetica
Perché sia possibile l’evoluzione, la selezione deve operare su una preesistente variabilità genetica; ma per effetto della selezione la variabilità genetica viene ridotta nelle generazioni successive, poiché si trasmettono alla progenie solo gli alleli e i genotipi più adatti all’ambiente. Ma per adattarsi a un ambiente mutevole, le specie debbono mantenere un livello adeguato di variabilità genetica per rispondere tempestivamente alla mutabile pressione selettiva. Fonti primarie Mutazioni geniche Nuovi alleli Poliploidia, duplicazioni Geni duplicati Nuovi geni La variabilità genetica è una condizione necessaria perché una specie possa rispondere e adattarsi, attraverso la selezione naturale, a un ambiente sempre variabile nello spazio e nel tempo. Quindi, di fronte a una selezione naturale che tende a ridurla, ci sono processi biologici che costantemente la ripristinano. Le fonti primarie della variabilità genetica sono le mutazioni (serie 3, diapositiva 28): le mutazioni geniche che producono nuovi alleli e alcune mutazioni cromosomiche, come le duplicazioni e la poliploidia, che aumentano il numero delle copie dei geni; i geni duplicati, attraverso mutazioni geniche, possono cambiare di funzione e diventare nuovi geni. I geni delle catene dell’emoglobina sono un esempio di nuovi geni sorti per duplicazioni e successive mutazioni geniche. A partire dalla variabilità di base, consistente nella presenza di più alleli per molti geni, la ricombinazione, connessa con la riproduzione sessuale, amplifica esponenzialmente la variabilità genetica, producendo un numero di combinazioni di alleli che è una funzione esponenziale del numero dei geni in condizione eterozigote dell’individuo in cui avviene la meiosi (serie 1, diapositiva 8): p.es. se i geni in condizione eterozigote sono dieci, le combinazioni possibili degli alleli nei gameti sono più di mille, se tali geni sono venti, le combinazioni sono più di un milione. Localmente, coè a livello delle singole popolazioni, la migrazione può introdurre nuovi alleli, prima assenti nella popolazione ricevente. Amplificazione(esponenziale) Riproduzione sessuale Ricombinazione Nuove combinazioni di alleli Localmente Migrazioni Nuovi alleli (localmente)

11 EFFETTI EVOLUTIVI DELLE MUTAZIONI
1) MUTAZIONI GENICHE: danno origine a nuovi alleli, sono quindi la fonte primaria della variabilità genetica; il loro effetto dipende dal tipo di selezione cui sono sottoposte. 2) DUPLICAZIONI: possono dare origine a nuovi geni, consentendo il cambiamento nel tempo e la complessificazione delle specie. 3) INVERSIONI, TRASLOCAZIONI, FUSIONI-FISSIONI: la riduzione di fecondità degli eterozigoti favorisce l’isolamento riproduttivo e la nascita di nuove specie. Le mutazioni sono la fonte primaria della variabilità genetica delle popolazioni che, negli eucarioti, viene enormemente amplificata dalla ricombinazione (vedere sezione 2). La variabilità genetica fornisce il materiale su cui agisce la selezione (vedere sezione 5) e le altre forze che agiscono sull’evoluzione. La variabilità genetica assicura la versatilità adattativi alle popolazioni che la posseggono e favorisce la loro evoluzione. Complessivamente le mutazioni forniscono nuovi alleli (mutazioni geniche), nuovi geni (duplicazioni, allopoliploidia) e favoriscono la nascita di nuove specie (traslocazioni, inversioni, fusioni centriche e allopoliploidia). 4) ALLOPOLIPLOIDIA: può dare origine a molti nuovi geni, avendo un intero genoma “in eccesso”; gli allopoliploidi costituiscono nuove specie, dato che gli ibridi fra l’allopoliploide e le specie da cui origina è del tutto sterile;

12 L’origine di nuovi geni
M’: allele funzionale di M O: nuovo gene L M N Diverse mutazioni geniche L M M’ N Duplicazione L M m1 N L M O N L M M N L M m2 N Mutazioni geniche m1, m2: alleli non funzionali di M o M Regione duplicata Nella presente diapositiva si propone l’origine di un nuovo gene in seguito a una duplicazione genica (2 copie del gene M sullo stesso cromosoma, invece di una). In presenza di 2 copie sullo stesso gene, è possibile che una delle due subisca mutazioni geniche (il 2° M che diventa M’,m1 o m2), che possono anche dare luogo ad alleli non funzionali, cioè non in grado di presiedere con efficacia alla propria funzione biologica; tali alleli possono persistere e passare alle generazioni successive, dato che il 1° gene M rimane funzionale. In seguito ad ulteriori mutazioni, tra tanti vicoli ciechi, può avere origine un nuovo gene (O, nella diapositiva) che svolge con efficacia una nuova funzione biologica (nella diapositiva, mentre il prodotto del gene M media la trasformazione della sostanza 1 nella sostanza 2, il prodotto del gene O media la trasformazione della sostanza 3 nella sostanza 4). Gli individui dotati del nuovo gene, essendo in grado di svolgere una nuova funzione biologica, sono avvantaggiati rispetto agli altri. Sostanza 3 Sostanza 4 m Sostanza 1 Sostanza 2 m, m’: prodotti del gene M o: prodotto del gene O m’ Sostanza 1 Sostanza 2

13 ALLOPOLIPLOIDIA: sterilità degli ibridi anfitriploidi
Fecondazione fra il gamete di individuo allotetraploide e uno di una delle 2 specie originarie MEIOSI ABORTIVE, STERILITA’ Una popolazione interfeconda di individui allotetraploidi, in cui è ripristinata la riproduzione sessuale, nel momento in cui si forma, è immediatamente una nuova specie, completamente isolata, dal punto di vista riproduttivo, dalle 2 specie diploidi originarie. La fecondazione tra un gamete anfidiploide proveniente da un individui allotetraploide e uno aploide di una delle 2 specie originarie, determina la formazione di uno zigote anfitriploide, in cui un assetto di cromosomi è diploide (2 copie per ogni cromosoma), mentre l’altro è aploide (1 copia per ogni cromosoma); se lo zigote è vitale e si sviluppa fino alla maturità, nella linea germinale le 1° divisioni meiotiche saranno tutte irregolari, perchè i cromosomi dell’assetto aploide non trovano cromosomi con cui appaiarsi e si distribuiscono a caso; i gameti che si formano sono sbilanciati e sterili. Nella diapositiva è illustrato l’esempio di un gamete anfidiploide che partecipa alla fecondazione con un gamete aploide di una delle due specie che hanno contribuito alla nuova specie allotetraploide: in particolare della specie con i cromosomi verde chiaro tratteggiato e rosso tratteggiato; nella colonna a destra della diapositiva è illustrato il comportamento anomalo della prima divisione meiotica dell’allotriploide: mentre i cromosomi “tratteggiati” sono in condizione diploide e possono per questo appaiarsi regolarmente e distribuirsi regolarmente ai poli cellulari, i cromosomi “continui” sono in condizione aploide, quindi non si appaiano e si distribuiscono casualmente ai poli della cellula; quindi i gameti presentano aneuploidie multiple che implicano un grave sbilanciamento genetico, incompatibile con lo sviluppo embrionale. Per questo motivo gli individui allotriploidi sono completamente sterili. Dunque c’è una totale e immediata barriera riproduttiva tra gli individui di ciascuna delle 2 specie originarie e gli individui allotetraploidi; per questo possiamo affermare che gli individui allotetraploidi costituiscano una nuova specie. Alcuni cromosomi sono a 2 a 2 omologhi e possono appaiarsi regolarmente, ma tutti gli altri sono privi di omologia: in 1° divisione meiotica non riescono ad appaiarsi e segregano casualmente Zigote anfitriploide ibrido, vitale Successive divisioni mitotiche, differenziamento Di conseguenza i gameti sono sbilanciati geneticamente, quindi sterili inividuo anfidiploide ibrido, vitale ma sterile

14 La genetica delle popolazioni
La genetica di popolazione si occupa della frequenza degli alleli nelle popolazioni e del loro andamento nel tempo, quindi studia la variabilità genetica e i fattori che ne influenzano nel tempo i cambiamenti, mirando alla comprensione dei meccanismi genetici alla base dell’evoluzione. La genetica formale studia i risultati di singoli incroci fra 2 individui, che, per i geni studiati, possono avere al massimo 2 alleli diversi (se sono eterozigoti); nell’incrocio tra 2 eterozigoti, ciascuno produce metà (0,5) gameti con il 1° allele, metà con il 2°; nella progenie ci si aspetta che un quarto (0,25) sia omozigote per il 1° allele, un quarto sia omozigote per il secondo e metà eterozigote. La genetica di popolazione studia i risultati di tutti i possibili incroci fra tutti gli individui di sesso opposto della popolazione, immaginando di mettere insieme tutti i gameti dello stesso sesso e di accoppiare casualmente a 2 a 2 i gameti di sesso opposto; per i geni studiati il numero degli alleli diversi può essere qualsiasi, come può esserlo la loro frequenza. A1 0,2 A2 0,3 A3 0,5 A1 0,2 A1A1 0,04 A1A2 0,06 A1A3 0,1 A2 0,3 A1A2 0,06 A2A2 0,09 A2A3 0,15 A3 0,5 A1A3 0,1 A3A3 0,25 A1 0,5 A2 0,5 A1A1 0,25 A1A2 0,25 A2A2 0,25 Le popolazioni sono l’ambito in cui si esplica la variabilità genetica e in cui agisce la selezione sui fenotipi dei singoli individui. Per questo la genetica delle popolazioni è un ramo della genetica che porta un contributo decisivo alla biologia evoluzionistica. La genetica delle popolazioni si occupa della trasmissione degli alleli da una generazione all’altra e dei fattori che la influenzano, non nell’ambito di singoli incroci, come la genetica formale classica, ma nell’ambito delle popolazioni e ne studia le conseguenze sulla variazione delle frequenze dei diversi alleli con il passare delle generazioni, quindi dell’andamento nel tempo della variabilità genetica. Mentre nella genetica formale si studiano gli incroci fra singoli individui, per cui ogni individuo contribuisce con un solo tipo di gameti, se l’individuo è omozigote per il gene studiato, o con due tipi di gameti, fra loro con pari frequenza (50%), per la 1° legge di Mendel, se è eterozigote, nella genetica delle popolazioni si considerano tutti i risultati possibili di tutti gli incroci fra gli individui di sesso opposto della popolazione, immaginando, come procedura operativa, di mettere in un unico insieme tutti i gameti dello stesso sesso della popolazione (“pool” di gameti) in questo pool gli alleli possono essere anche più di 2 e possono avere qualsiasi frequenza dallo 0% al 100%; quindi, mentre nella tabella degli incroci della genetica formale classica (in basso a sinistra nella diapositiva) nei margini orizzontale e verticale della tabella (ombreggiati nella diapositiva) vengono messi i genotipi apolidi dei gameti dei due individui che si incrociano, con le relative frequenze, nella tabella degli incroci della genetica delle popolazioni (in basso a destra) nei margini orizzontale e verticale della tabella vengono messi i genotipi apolidi dei gameti dei due sessi di tutta la popolazione, con le relative frequenze; in entrambe le tabelle in ogni casella è indicato il genotipo diploide dovuto all’incrocio fra i gameti con il genotipo indicato nei corrispondenti segmenti dei due margini (casella rossa dovuta all’intersezione di due margini rossi; casella verde dovuta all’intersezione di un margine giallo e uno azzurro) e la corrispondente frequenza, che è il prodotto delle frequenze dei gameti con il genotipo indicato nei corrispondenti segmenti dei due margini. Una popolazione, se per un dato gene presenta un solo allele è detta monomorfa, se presenta più di un allele è detta polimorfa; quindi il polimorfismo è la condizione in cui si realizza la variabilità genetica. Una popolazione si dice polmorfa per un gene, se per esso presenta più di un allele; si dice monomorfa se presenta un solo allele

15 Le leggi di Hardy-Weinberg
1° legge di Hardy-Weinberg: le frequenze degli alleli in una popolazione non cambiano passando da una generazione all’altra se: 3) Non c’è migrazione 1) Non c’è selezione 2) Non c’è mutazione 4) La popolazione è infinitamente grande Se pn è la frequenza relativa dell’allele A1 alla generazione n, quando le 4 condizioni sono rispettate, la popolazione è all’equilibrio (e non c’è evoluzione!) e: pn+1 = pn; pn+1-pn= p=0 2° legge di Hardy-Weinberg: le frequenze dei genotipi diploidi in una popolazione sono uguali al prodotto delle frequenze degli alleli (se queste ultime sono i coefficienti di un polinomio, le prime sono i coefficienti del quadrato del polinomio ) se: A1 p A2 q A3 r A1 p A1A1 p2 A1A2 pq A1A3 pr A2 q A1A2 pq A2A2 q2 A2A3 qr A3 r A1A3 pr A3A3 r2 Le leggi fondamentali della genetica delle popolazioni furono formulati indipendentemente da Hardy e Weinberg nei primi anni del secolo scorso: la 1° legge pone le condizioni per cui le frequenze degli alleli in una popolazioni (frequenze alleliche) non cambino da una generazione all’altra, quindi rimangano invariate nel tempo. La mancanza di variazione delle frequenze alleliche nel tempo è la condizione genetica per la stasi evolutiva; dunque individuare le condizioni della stasi evolutiva a livello popolazionistico consente, per contrasto, di definire le condizioni che promuovono l’evoluzione. Le frequenze alleliche rimangono costanti nel tempo se: i diversi genotipi degli organismi hanno tutti la stessa idoneità riproduttiva (“fitness”), cioè la stessa probabilità di riprodursi con successo; i diversi alleli nei gameti hanno la stessa probabilità di partecipare alla fecondazione; ovvero non c’è selezione; la frequenza di mutazione è uguale per tutti gli alleli, oppure non c’è mutazione; le frequenze alleliche di una popolazione immigrante sono uguali a quelle delle popolazioni riceventi, oppure non c’è migrazione; la popolazione è infinitamente grande, o almeno è abbastanza grande che siano trascurabili le variazioni casuali delle frequenze all’eliche. Se ogni gamete del pool di un sesso ha uguale probabilità di prendere parte alla fecondazione con qualsiasi gamete dell’altro sesso, senza nessuna preferenza di accoppiamento, si ha una condizione di panmissia. La 2° legge di Hardy-Weinberg asserisce che se la popolazione è panmittica la somma delle frequenze genotipiche, cioè quelle dei genotipi diploidi, è uguale al quadrato del polinomio delle frequenze all’eliche, per cui la frequenza di ogni genotipo omozigote è uguale al quadrato della corrispondente frequenza allelica, mentre la frequenza di ogni genotipo eterozigote è uguale al doppio prodotto delle frequenze dei due alleli implicati, come è illustrato dalla tabella a sinistra nella diapositiva, che a sua volta è una versione generalizzata della tabella a destra della diapositiva precedente. 1) C’è panmissia, cioè se ogni incontro tra i gameti di sesso opposto ha la stessa probabilità Se p e q sono le frequenze relative degli alleli A1 e A2 in una data generazione, le frequenze relative dei genotipi A1A1, A1A2 e A2A2 della stessa generazione sono, rispettivamente: p2, 2pq e q2

16 Mutazione, migrazione e selezione
Se A2 muta in A1 a un tasso costante m per generazione, allora: Se da una popolazione donatrice, in cui A1 ha una frequenza P, immigra una frazione m della popolazione ricevente per generazione, allora: p=mq p=m(P- p) SELEZIONE L’idoneità riproduttiva (“fitness” – W) di un genotipo (per il genotipo A1A2, WA1A2) è la sua probabilità di sopravvivere e produrre progenie feconda La fitness media di una popolazione è W’=p2WA1A1+2pqWA1A2+ q2WA2A2 La selezione determina un cambiamento delle frequenze alleliche a causa della differente fitness degli alleli: La fitness media dell’allele A1 è W’A1=pWA1A1+qWA1A2 La mutazione produce una variazione della frequenza di un allele proporzionale al tasso di mutazione e alla frequenza dell’allele in cui si realizza la mutazione; questa variazione è una diminuzione quando l’allele considerato muta in altri alleli ed è un aumento quando gli altri alleli mutano nell’allele considerato. Comunque, tale variazione è molto piccola, poiché il tasso di mutazione è in generale molto piccolo per tutti i geni. La migrazione produce una variazione della frequenza di un allele proporzionale alla frazione della popolazione immigrante rispetto alla popolazione ricevente e alla differenza fra le frequenze alleliche fra le due popolazioni. L’entità della variazione è, a sua volta, molto variabile, poiché entrambe le grandezze in gioco (rapporto numerico fra immigranti e popolazione ricevente e differenza fra le frequenze alleliche) possono assumere valori molto diversi che derivano dalle contingenze storiche. La selezione produce una variazione della frequenza di un allele proporzionale alla frequenza dell’allele selezionato e alla forza della selezione, misurata dall’idoneità riproduttiva o fitness, che consiste nella probabilità di sopravvivere e di generare una progenie feconda; come è descritto nella diapositiva è possibile calcolare la fitness media dell’intera popolazione con cui confrontare i valori di fitness dei genotipi e degli alleli . Alcuni tipi di selezione possono portare alla fissazione (p=1) o all’eliminazione (p=0) di un allele; in queste condizioni, a meno dell’introduzione di nuovi alleli per mutazione o migrazione, la popolazione da polimorfa diviene monomorfa e non sono più possibili cambiamenti delle frequenze alleliche. Solo la mutazione e la migrazione sono in grado di avviare un nuovo polimorfismo in una popolazione monomorfa. p=pq(W’A1-W’A2)/W’ Il progressivo cambiamento delle frequenze alleliche può portare ai valori p=0 o p=1 Quando p=1, l’allele A1 è fissato nella popolazione; quando p=0, l’allele A1 è eliminato Quando un allele è fissato e gli altri sono eliminati, la popolazione da polimorfa diviene monomorfa e in essa non sono più possibili variazioni delle frequenze alleliche

17 Bilanciamento fra mutazione e selezione
Variazioni della frequenze alleliche dovute a diversi tipi di selezione A1A1 A1A2 A2A2 Dp Direzionale positiva recessiva 1 1-s sp2q/(1-sq(2p+q)) Direzionale positiva dominante spq2/(1-sq2) Stabilizzatrice spq(q-p)/(1-s(p2+q2) Diversificatrice spq(p-q)/(1-2spq) s=1-w (per ogni genotipo)= coefficiente di selezione Bilanciamento fra mutazione e selezione Nella presente diapositiva sono indicati con più precisione i valori della variazione delle frequenze alleliche da una generazione a quella successiva per geni sottoposti a selezione in funzione del coefficiente di selezione s (s=i-w) e delle frequenze degli alleli; il modello presentato è semplificato perché ammette che tra i genotipi coinvolti siano possibili solo 2 valori di fitness: 1 oppure 1-s. Ovviamente la selezione direzionale positiva recessiva per l’allele A1 implica la selezione direzionale negativa dominante per A2 con lo stesso valore del coefficiente di selezione, mentre la selezione direzionale positiva dominante per l’allele A1 implica la selezione direzionale negativa recessiva per A2 con lo stesso valore del coefficiente di selezione. Mentre i valori di variazione della frequenza allelica sono sempre positivi per le forme di selezione direzionale positiva (e negativi per le forme di selezione direzionale negativa), per la selezione stabilizzatrice tale variazione è positiva se p<0,5 ed è negativa se p>0,5, mentre per la selezione diversificatrice tale variazione è negativa se p<0,5 ed è positiva se p>0,5. Molta parte delle nuove mutazioni sono poste a selezione direzionale negativa; la tendenza all’eliminazione di queste mutazione è contrastata dall’insorgenza ex novo degli alleli mutati in seguito ad eventi mutazionali che si verificano ad ogni generazione con un tasso di mutazione caratteristico; così tali alleli mutati assumono una frequenza di equilibrio molto bassa che dipende dal rapporto fra il tasso di mutazione e il coefficiente di selezione. Se un allele dannoso A1 con coefficiente di selezione s viene introdotto in una popolazione a un tasso costante di mutazione per generazione m, sono raggiunte le seguenti frequenze all’equilibrio p^. Per un allele dominante p^=m/s Per un allele recessivo p^=(m/s)1/2

18 Effetti dei diversi tipi di selezione sulla variabilità genetica delle popolazioni
L’allele selezionato, per la selezione direzionale, è l’allele azzurro scuro Selezione direzionale positiva Selezione direzionale negativa Selezione stabilizzatrice Selezione diversificatrice Equilibrio indifferene Nella presente diapositiva sono illustrate le conseguenze delle diverse modalità di selezione, ripetendo per tutte le modalità di selezione le stesse condizioni iniziali; se p è la frequenza dell’allele “azzurro scuro” del gene azzurro, i valori iniziali di p sono 0,5 (prima riga), 0,125 (seconda riga) e 0,875 (terza riga). I quadrati grandi rappresentano le popolazioni allo stadio di gameti, che, essendo aploidi, portano un solo allele: quello azzurro scuro o quello azzurro chiaro. I quadrati piccoli rappresentano gruppi di gameti geneticamente omogenei fra loro. All’inizio della presentazione sono mostrate le condizioni iniziali; cliccando successivamente si mette in evidenza l’evoluzione delle popolazioni di gameti con il passare delle generazioni, finché non si raggiunge un equilibrio stabile. La selezione direzionale positiva porta alla fissazione dell’allele, a prescindere alla frequenza iniziale: dunque p = 1 è l’unico equilibrio stabile, mentre p = 0 è l’unico equilibrio instabile. La selezione direzionale negativa porta alla fissazione dell’allele, a prescindere alla frequenza iniziale: dunque p = 0 è l’unico equilibrio stabile, mentre p = 1 è l’unico equilibrio instabile. La selezione stabilizzatrice, nel modello proposto nella diapositiva 23, in cui i 2 omozigoti hanno la stessa fitness, porta al polimorfismo bilanciato, cioè a un valore di equilibrio stabile p = 0,5 secondo cui entrambi gli alleli sono presenti con pari frequenza all’equilibrio, mentre p = 0 e p = 1 sono i 2 equilibri instabili. La selezione diversificatrice nel modello proposto nella diapositiva 23, in cui i 2 omozigoti hanno la stessa fitness, porta alla fissazione dell’allele più frequente (quello azzurro scuro nella riga 2, quello azzurro chiaro nella riga 3); quindi p = 0 e p = 1 sono i 2 equilibri stabili, mentre p = 0,5 è l’unico equilibrio instabile (riga 1). Nel lato sinistro della diapositiva sono resi espliciti i criteri di indifferenza, stabilità o instabilità degli equilibri, facendo riferimento al modello meccanico della pallina su una superficie piana (equilibrio indifferente), concava (equilibrio stabile) o convessa (equilibrio instabile). Nel caso dell’equilibrio indifferente, se si sposta la pallina dal punto in equilibrio indifferente in un nuovo punto, la pallina rimane nel nuovo punto, che costituisce un nuovo equilibrio indifferente; nel caso dell’equilibrio stabile, se si sposta la pallina dal punto in equilibrio stabile in un nuovo punto, la pallina torna nel punto in equilibrio stabile; nel caso dell’equilibrio instabile, se si sposta la pallina dal punto in equilibrio instabile in un nuovo punto, la pallina se ne allontanerà ulteriormente. Equilibrio stabile Equilibrio instabile

19 Diversi tipi di selezione: conseguenze evolutive
La selezione direzionale Avvantaggia uno dei 2 genotipi omozigoti (A1A1) e svantaggia l’altro genotipo omozigote (A2A2) e il genotipo eterozigote (A1A2) (effetto vantaggioso recessivo per A1, svantaggioso dominante per A2: WA1A1>WA1A2=WA2A2) Avvantaggia uno dei 2 genotipi omozigoti (A1A1) e il genotipo eterozigote (A1A2) e svantaggia l’altro genotipo omozigote (A2A2) (effetto vantaggioso dominante per A1, svantaggioso recessivo per A2: WA1A1=WA1A2>WA2A2) L’effetto della selezione direzionale è comunque la fissazione dell’allele avvantaggiato e l’eliminazione dell’allele svantaggiato La selezione stabilizzatrice Avvantaggia il genotipo eterozigote (A1A2) e svantaggia i genotipi omozigoti (A1A1, A2A2) WA1A2>WA1A1; WA1A2>WA2A2) L’effetto della selezione stabilizzatrice è la persistenza di entrambi gli alleli con frequenze all’equilibrio diverse da 0 e 1; il valore di queste frequenze dipende dalle fitness dei genotipi La selezione direzionale avvantaggia uno dei due alleli , in condizione omozigote (selezione direzionale vantaggiosa recessiva) o in condizione omozigote ed eterozigote (selezione direzionale vantaggiosa dominante), rispetto all’altro; l’effetto di questo tipo di selezione è inevitabilmente la fissazione nella popolazione dell’allele avvantaggiato e l’eliminazione degli altri alleli. La selezione stabilizzatrice avvantaggia l’ eterozigote rispetto a entrambi gli omozigote; l’effetto di questo tipo di selezione è inevitabilmente la persistenza di entrambi gli alleli nella popolazione; i due alleli raggiungono ciascuno una frequenza all’equilibrio complementare a quella dell’altro, a cui tendono sempre, anche dopo variazioni accidentali - cioè le frequenze alleliche raggiungono un equilibrio stabile. Nella specie umana, alcuni alleli dei geni per l’emoglobina sono sottoposti a selezione stabilizzatrice nelle regioni malariche; infatti sono presenti alcuni alleli, come quello per l’emoglobina S (vedere serie 4, diapositiva 3) o per la microcitemia, che, in condzione omozigote sono la causa di gravi malattie genetiche (rispettivamente l’anemia falciforme e il morbo di Cooley, quest’ultimo ancora diffuso in Italia), mentre, in condizione eterozigote, conferiscono un vantaggio ai portatori, poiché conferiscono ai globuli rossi una maggiore resistenza all’infezione da parte del Plasmodio, protozoo agente della malaria. La selezione diversificatrice svantaggia l’ eterozigote rispetto a entrambi gli omozigote; l’effetto di questo tipo di selezione è inevitabilmente la fissazione di uno dei due alleli e l’eliminazione dell’altro; i due alleli hanno ciascuno una frequenza all’equilibrio complementare a quella dell’altro; è un equilibrio instabile; quando la frequenza di un allele è maggiore del valore d’equilibrio, tende costantemente a crescere fino a che l’allele è fissato; quando la frequenza di un allele è minore del valore d’equilibrio, tende costantemente a calaree fino a che l’allele è eliminato. Nella diapositiva è stato inserito il caso della mancanza di selezione (cioè tutti gli alleli e tutti i genotipi per un dato gene hanno lo stesso valore di fitness) perché c’è una crescente evidenza di popolazioni polimorfe per geni i cui alleli e genotipi non sono sottoposti a selezione, anche nella specie umana; gli alleli non selezionati vengono chemati “neutrali” e la variazione della loro frequenza, quindi la loro evoluzione è dominata dagli altri fattori evolutivi (migrazione, mutazione, deriva genetica). La selezione diversificatrice Svantaggia il genotipo eterozigote (A1A2) e avvantaggia i genotipi omozigoti (A1A1, A2A2) WA1A2<WA1A1; WA1A2<WA2A2) L’effetto della selezione diversificatrice è la fissazione di uno dei due alleli e l’eliminazione dell’altro; quale allele venga fissato e quale eliminato dipende dalle frequenze alleliche L’assenza di selezione

20 Selezione e caratteri quantitativi
La selezione direzionale favorisce una delle 2 varianti estreme: se favorisce i minus-varianti la distribuzione del carattere nelle generazioni successive presenterà medie più basse, se favorisce i plus-varianti la distribuzione del carattere nelle generazioni successive presenterà medie più alte. La selezione stabilizzatrice favorisce i valori centrali La selezione diversificatrice favorisce entrambe le varianti estreme la distribuzione del carattere nelle generazioni successive presenterà la stessa media e una varianza più piccola. la distribuzione del carattere nelle generazioni successive presenterà la stessa media e una varianza più grande... Nella presente diapositiva sono illustrati, in modo qualitativo, gli effetti della selezione direzionale, stabilizzatrice e diversificatrice su caratteri quantitativi la cui variabilità fenotipica è almeno in parte dovuta alla variabilità genetica (vedere diapositiva 9). …fino a diventare, talvolta, una distribuzione bimodale

21 La deriva genetica Quando una popolazione è molto grande (oltre le migliaia di individui) può essere assimilata a una popolazione infinitamente grande: in assenza di altri fattori, le frequenze degli alleli rimangono costanti con il passare delle generazioni Più piccola è una popolazione, più è probabile che, per caso, le frequenze degli alleli cambino ad ogni generazione: questo fenomeno è chiamato deriva genetica Le probabilità delle frequenze alleliche alla generazione successiva hanno una distribuzione binomiale (coefficienti delle potenze di un binomio); la variazione della frequenza allelica tra 2 generazioni può essere sia un aumento che una diminuzione; le variazioni piccole, in valore assoluto, sono più probabili di quelle grandi La deriva genetica porta alla fissazione di un allele e all’eliminazione degli altri; più piccola è la popolazione, più rapido è il processo Un allele neutrale appena sorto per mutazione in una popolazione di N individui ha una frequenza iniziale 1/2N, una probabilità 1/2N di essere fissato e (2N-1)/2N di essere eliminato È possibile che, in seguito alla deriva genetica, in una piccola popolazione originalmente polimorfa, con il passare delle generazioni, venga fissato un allele e gli altri vengano eliminati, rendendo così monomorfa la popolazione; questo processo è tanto più probabile e rapido quanto più piccola è la popolazione. Quando in una piccola popolazione monomorfa compare un nuovo allele, neutrale, per mutazione, nella generazione in cui la mutazione ha origine un solo individuo porta il nuovo allele, necessariamente in eterozigosi, e la frequenza dell’allele mutato è 1/2N, in cui N è il numero di individui di cui è composta la popolazione. La probabilità che il nuovo allele venga fissato è 1/2N. Nell’ultima riga della diapositiva sono illustrati alcuni esempi di variazioni casuali delle frequenze di 2 alleli “neutrali” (cioè non sottoposti a selezione) di un gene; i 4 schemi non intendono quantificare la probabilità con cui avvengono le variazioni (vedere la diapositiva successiva), quanto sottolineare che si possono alternare aumenti e riduzioni della frequenza di un allele (p. es. quello azzurro scuro) nel succedersi delle generazioni. I quadrati grandi rappresentano le popolazioni allo stadio di gameti, che, essendo aploidi, portano un solo allele: quello azzurro scuro o quello azzurro chiaro; i quadrati piccoli rappresentano gruppi di gameti geneticamente omogenei fra loro. Se p è la frequenza dell’allele “azzurro scuro”, si espongono 4 diversi percorsi evolutivi possibili a partire da p=0,5 nella generazione iniziale; ogni volta che si clicca passa una generazione. Al termine di tutti i 4 percorsi evolutivi l’allele “azzurro scuro” è fissato o eliminato. Esempi di cambiamenti casuali delle frequenze alleliche per deriva genetica a partire da p=0,5 fino alla fissazione o all’eliminazione dell’allele azzurro scuro

22 probabilità di variazione delle frequenze alleliche da una generazione all’altra per deriva genetica
La probabilità che un allele con frequenza pi nella generazione i in una popolazione di n/2 individui diploidi assuma alla generazione i+1 la frequenza pi+1 = k/n è la seguente: n k pik(1-p)n-k in cui n k = n!/k!(n-k)! In una popolazione di 3 individui bisessuati- uno A1A1, uno A1A2 e uno A2A2 – p=q=0,5=1/2 se si estraggono casualmente i gameti che portano gli alleli A1 e A2, si avranno nella generazione successiva, sempre di 3 individui, le seguenti frequenze alleliche p di A1con le seguenti probabilità: p=0 p=1/6 p=1/3 p=1/2 p=2/3 p=5/6 p=1 frequenza Nella diapositiva è illustrato l’esempio di una popolazione estremamente piccola - 3 individui - di individui bisessuati (p.es. piante di pisello) in cui, nella generazione di partenza, p=q=0,5=1/2 (p è la frequenza dell’allele A1 e q dell’allele A2, gli unici 2 alleli del gene A presenti nella popolazione). Nell’estrazione casuale dei gameti di ambo i sessi, p, la frequenza dell’allele A1 tra i gameti che parteciperanno alla fecondazione, può assumere diversi valori, riportati nella riga azzurra “frequenza”, a ciascuno dei quali è associata una precisa probabilità, riportate nella riga gialla, “probabilità”; come si vede: più il nuovo valore di p si allontana da quello precedente, più bassa è la probabilità che il nuovo valore venga raggiunto; partendo da p=1/2, le variazioni in aumento e in diminuzione dello stesso valore assoluto hanno la stessa probabilità. È possibile che, in seguito alla deriva genetica, in una piccola popolazione originalmente polimorfa, con il passare delle generazioni, venga fissato un allele e gli altri vengano eliminati, rendendo così monomorfa la popolazione; questo processo è tanto più probabile e rapido quanto più piccola è la popolazione. probabilità 1/64 6/64 15/64 20/64 15/64 6/64 1/64 Mentre il valore di Dp è, per ogni valore di pi, univocamente determinato per segno e per valore, se agiscono come fattori evolutivi la selezione, la mutazione o la migrazione, c’è una distribuzione stocastica di valori, sia in aumento che in diminuzione, se il fattore evolutivo è la deriva genetica.

23 L’incrocio preferenziale
L’incrocio preferenziale è una delle modalità di incrocio diverse dalla panmissia Se, in una popolazione con 2 alleli (A1 e A2) per il gene A, si incrociano tra loro gli individui con lo stesso genotipo (omozigoti A1A1 fra loro, omozigoti A2A2 fra loro, eterozigoti A1A2 fra loro, ad ogni generazione si riduce la frequenza degli eterozigoti. A1A1 A2A2 A1A2 Generazione i Generazione i+1 Generazione i+2 Le frequenze degli omzigoti (f(A1A1) ed f(A2A2) sono più alte di quelle attese in base alla 2° legge di Hardy Weinberg, quella degli eterozigoti (f(A1A2)) è più bassa; questo allontanamento dall’equilibrio procede sempre di più con il passare delle generazioni. Anche la condizione di panmissia, necessaria per la realizzazione della 2° legge di Hardy-Weinberg, può avere diverse eccezioni (inincrocio – cioè autofecondazione e incrocio fra consanguinei, incrocio preferenziali fra particolari genotipi, etc.); nella diapositiva è presentato l’effetto dell’incrocio esclusivo (come l’autofecondzione) fra individui con lo stesso genotipo in una popolazione polimorfa con 2 alleli (A1 e A2); per semplificare il modello si ammette che le rispettive frequenze alleliche (p, q) sono fra loro uguali, pari entrambe a ½; tale popolazione all’inizio (generazione “n”) è in equilibrio rispetto alla della 2° legge di Hardy-Weinberg, cioè le frequenze degli omozigoti A1A1 (in rosso) e A2A2 (in azzurro) è pari rispettivamente al quadrato di p e q (1/4), mentre la frequenza degli eterozigoti A1A2 (in viola) è pari al doppio prodotto 2pq (1/2). L’effetto dell’incrocio esclusivo di individui A1A1 fra loro, A2A2 fra loro e A1A2 fra loro porta a un dimezzamento della frequenza degli eterozigoti ad ogni generazione, cui corrisponde un aumento complementare delle frequenze dei genotipi omozigoti, mentre restano invariate, di generazione in generazione, le frequenze alleliche. Quindi le frequenze degli eterozigoti sono sempre più basse, con il passare delle generazioni, e minori di quelle attese in base alla 2° legge di Hardy-Weinberg, mentre quelle degli omozigoti sono sempre più alte, con il passare delle generazioni, e maggiori di quelle attese in base alla 2° legge di Hardy-Weinberg. Quindi l’incrocio preferenziale determina un deficit di eterozigosità nelle popolazioni, senza alterare le frequenze alleliche. Quando la 2° legge di Hardy-Weinberg non è rispettata, non si possono calcolare le frequenze alleliche direttamente come radice quadrata delle frequenze genotipiche degli omozigoti; bisogna calcolarle sommando la frequenza degli omozigoti per quell’allele con metà delle frequenze degli eterozigoti in cui l’allele è presente. f(A1A1)>p2; f(A2A2)>q2; f(A1A2)<2pq Nel caso illustrato (p=q=0,5; autofecondazione), alla generazione i+n f(A1A1)=f(A2A2)=(1-1 /2n)/2; f(A1A2)=1/2n Per calcolare p e q, anche in assenza di panmissia, ci si basa sulle frequenze genotipiche reali: p=f(A1A1)+0,5f(A1A2); q=f(A2A2)+0,5f(A1A2)

24 Sintesi sugli effetti dei fattori evolutivi
Mutazione Migrazione Deriva genetica Selezione diversificatrice Selezione stabilizzatrice Selezione direzionale svantaggiosa Selezione direzionale vantaggiosa Valore di equilibrio stabile per p verso cui la selezione stabilizzatrice fa convergere p p 1 Valore di equilibrio instabile per p da cui la selezione diversificatrice fa divergere p Fattore evolutivo Effetto sulla variabilità entro le popolazioni Effetto sulla variabilità tra le popolazioni Questa diapositiva illustra in modo sintetico i risultati esposti nelle diapositive 19-21; nello schema in alto a sinistra la riga orizzontale nera rappresenta il valore della frequenza allelica di p, che può variare tra 0 e 1; in ogni riga è disegnata una freccia rossa diretta a destra, che indica un aumento di p con il passare da una generazione all’altra, o a sinistra, che ne indica una diminuzione; in qualche riga le frecce sono 2, dirette nei due versi opposti; in corrispondenza di ogni riga occupata da frecce, sono indicati, a destra dello schema, i fattori evolutivi che producono quel tipo di cambiamento della frequenza allelica; sono indicati anche i possibili valori di equilibrio stabile (selezione stabilizzatrice – stella gialla) o instabile (selezione diversificatrice – stella azzurra) delle frequenze alleliche. In basso è esposto, in forma di tabella, l’effetto dei fattori evolutivi sulla variabilità genetica entro e tra le popolazioni (il segno + indica che il fattore evolutivo aumenta quel tipo di variabilità, il segno – che la diminuisce). Gli effetti evolutivi su ampia scala di questi fattori sono i seguenti: la selezione direzionale positiva produce la sostituzione di alleli meno vantaggiosi con alleli più vantaggiosi in tutte le popolazioni, quindi è un potente motore evolutivo, che tuttavia riduce tutte le forme di variabilità; la selezione diversificatrice e, con minore forza, la deriva genetica, aumentano la variabilità genetica tra le popolazioni e ne favoriscono la divergenza evolutiva, la cui conseguenza può essere l’origine di 2 specie diverse da un’unica specie ancestrale; la selezione stabilizzatrice, in modo meno forte la mutazione, in modo più accidentale la migrazione, favoriscono la variabilità entro le popolazioni e contrastano la divergenza evolutiva fra le popolazioni. Un’ultima considerazione sulla specie umana: ormai da molti anni è evidente l’estrema variabilità genetica della nostra specie; l’origine recente della specie umana, la continua migrazione e il mescolamento genetico hanno fatto sì che la variabilità entro le popolazioni sia molto maggiore del differenziamento genetico tra le popolazioni; questo fatto chiude definitivamente la questione delle “razze pure” e della “superiorità genetica” di una razza sulle altre. - + Selezione direzionale vantaggiosa Selezione direzionale svantaggiosa Selezione stabilizzatrice Selezione diversificatrice Deriva genetica Migrazione Mutazione

25 Selezione senza ricombinazione
Nella popolazione sono presenti solo 2 combinazioni degli alleli entro l’inversione: A c B1 d L’allele neutrale B1 subisce la stessa variazione di frequenza ad ogni generazione dell’allele c, fino all’eliminazione: Dp= -sp2q/W’ Gli alleli B1 e B2 del gene B sono neutrali A B2 C d L’allele recessivo c del gene C è svantaggiato rispetto all’allele dominante C Regione invertita Talvolta i geni non evolvono in maniera reciprocamente indipendente, come descritto nelle diapositive precedenti. Uno dei vincoli reciproci può essere la stretta associazione reciproca, che ne riduce drasticamente la frequenza di ricombinazione; in questo caso si determina uno squilibrio di associazione, poiché le frequenze delle combinazioni di alleli sono lontane da quelle prevedibili in base all’assortimento reciprocamente indipendente. Il caso più estremo di squilibrio da associazione è costituito da alleli di geni che non ricombinano mai, come quelli inclusi entro un’inversione (infatti i crossing-over entro la regione invertita danno luogo a gameti sbilanciati, non vitali, cosicché contribuiscono alla generazione successiva solo i gameti che non hanno subito ricombinazione entro la regione invertita: vedere il credito 4); così alleli non sottoposti o sottoposti debolmente a selezione, entro la stessa inversione di altri alleli, fortemente selezionati, possono essere trascinati dal destino di questi ultimi. Più in generale i geni compresi entro una regione invertita sono ereditati e sottoposti a selezione come se fossero un solo gene; perciò si è proposto, per questi insiemi di geni il termine di supergeni. Nella presente diapositiva è presentato questo caso estremo di squilibrio da associazione, in cui due geni sono inclusi nella regione invertita di un’inversione, paracentrica o pericentrica: il gene B presenta due alleli, B1 e B2, reciprocamente neutrali, cioè tali che la fitness dei tre genotipi B1B1, B1B2 e B2B2 siano tra loro uguali; invece il gene C presenta due alleli, C e c, di cui l’allele recessivo c è svantaggiato rispetto all’allele dominante C, tale che la fitness di cc sia più bassa delle fitness di CC e Cc, che tra loro sono uguali. Nell’esempio presentato le uniche possibili combinazioni di alleli che escludano la ricombinazione e quindi il crossing over entro la regione invertita sono c-B1 e B2-C; l’allele B1, indissolubilmente associato a c, è “trascinato” dalla selezione contro l’allele c, quindi, nonostante sia neutrale, riduce progressivamente la propria frequenza di generazione in generazione secondo le stesse leggi dell’allele c, fino alla propria eliminazione. Le uniche combinazioni possibili di alleli per i geni B e C sono c-B1 e B2-C (le combinazioni ricombinanti non sono vitali)

26 Picchi adattativi xxYYzz XXYYZZ XXyyzz s e l z i o n XXyyzz xxYYzz
Deme xxyyzz XXyyZZ XXYYZZ XXYYZZ xxYYzz XXYYZZ Un altro motivo per cui l’evoluzione di un gene può non essere indipendente da quella degli altri geni sono le reciproche interazioni funzionali. Nella presente diapositiva sono indicati gli effetti delle interazioni epistatiche tra alleli di geni diversi che portano alla formazione di picchi e avvallamenti adattativi multipli, che, nel loro insieme, definiscono un paesaggio adattativo; nell’esempio riportato in diapositiva ci sono 3 picchi e 2 avvallamenti, la cui altezza è proporzionale alla fitness di ciascun genotipo (più un picco è alto, più alta è la fitness; più un avvallamento è basso, più bassa è la fitness); la rappresentazione proposta è semplificata: i picchi e gli avvallamenti sono disposti in una sequenza lineare, a una sola dimensione; in realtà i paesaggi adattativi si collocano in un iperspazio multidimensionale, con tante dimensioni quanti sono i geni coinvolti. Le distanze fra i picchi e gli avvallamenti è determinata dal numero dei geni per cui quelle posizioni sono differenti (p. es. il picco XXYYZZ e l’avvallamento XXyyZZ sono adiacenti perché differiscono per il solo gene Y; i picchi XXyyzz e xxYYzz hanno una distanza doppia perché differiscono per i geni X e Y). Il presente modello è semplificato perché si ipotizza che i picchi e gli avvallamenti corrispondano a genotipi omozigoti e a demi monomorfi, sotto l’azione della selezione direzionale. In seguito ad una perturbazione (immigrazione massiccia, mutazione + deriva genetica), rappresentata da una saetta nella diapositiva, una popolazione si sposta dal proprio picco adattativo in equilibrio stabile, transita per un avvallamento adattativo in equilibrio localmente stabile ma tendenzialmente instabile e, in seguito a mutazioni o immigrazione, raggiunge un nuovo equilibrio stabile o nello stesso o in un altro picco adattativo vicino; il nuovo picco adattativo può essere più alto o più basso rispetto a quello di partenza. Gli effetti possono essere di variazione nel tempo della composizione genetica di un singolo deme o in una diversificazione spaziale nella composizione genetica di una metapopolazione. s e l z i o n XXyyzz XXYYZZ XXyyZZ XXYYZZ XXyyzz Metapopolazione xxyyzz XXyyZZ

27 Specie e speciazione CLADOGENESI ANAGENESI
La specie è un insieme di popolazioni… La specie è un pool genico potenziale (definizione “biologica” di specie): questa definizione è applicabile solo agli organismi a riproduzione sessuale (gli eucarioti e non tutti), si applica solo tra gruppi di popolazioni che vivono contemporaneamente e comunque presenta situazioni ambigue. … interfeconde al loro interno… … e reciprocamente tra loro,… … isolate riproduttivamente rispetto ad altre popolazioni. n generazioni n generazioni CLADOGENESI ANAGENESI La definizione di specie è un problema ancora aperto; la definizione data nella diapositiva, pur nelle sue ambiguità, è quella che risponde di più ai criteri dell’evoluzionismo secondo Darwin e Wallace. Il criterio dell’isolamento riproduttivo, oltre al fatto di essere applicabile solo a organismi a riproduzione sessuale, rende facile il confronto fra specie sincrone, in cui è possibile verificare l’eventuale formazione di ibridi fecondi, ma non è applicabile fra specie vissute in epoche diverse, di cui non si può verificare l’eventuale formazione di ibridi fecondi. Questo problema è particolarmente evidente nella formazione di specie per anagenesi, quindi per semplice cambiamento genetico senza ramificazioni,in cui non si possono fare incroci fra la specie attuale e quella ancestrale. Se avviene la speciazione per cladogenesi, se cioè c’è stata una divisione in 2 o più rami, è invece possibile verificare l’isolamento riproduttivo tra le 2 o più specie contemporanee. Anche in questo caso, però, non sempre è possibile una verifica rigorosa: l’isolamento riproduttivo deve essere totale perché se popolazioni esaminate si possano assegnare a specie diverse. Per di più l’isolamento definito in condizioni naturali può non esserci più in condizioni particolarmente artefatte. Uno dei criteri che si usano per definire l’appartenenza a una o più specie di popolazioni diverse vissute nello stesso tempo o in tempi diversi può essere la misurazione delle distanze genetiche (vedere l’ultima diapositiva): se 2 popolazioni presentano una distanza maggiore o uguale a quella presente fra due specie diverse ormai riconosciute, allora, per induzione, si può ammettere che le 2 popolazioni esaminate appartengano a 2 specie diverse; su questa base, confrontando il DNA mitocondriale si è concluso che l’uomo di Neanderthal e l’uomo ettuale appartengono a due specie diverse. Ma anche questo criterio può avere alcune falle: non è detto che diversi processi di speciazione richiedano l’accumulo della stessa distanza genetica…. Sono documentate diverse modalità di speciazione per cladogenesi: graduale, rapida o istantanea; con separazione geografica (allopatria), con contiguità (parapatria) o nello stesso territorio (sinpatria). Nella speciazione per cladogenesi giocano un ruolo decisivo i meccanismi di isolamento riproduttivo ereditabili, cioè con base genetica. La speciazione per cladogenesi richiede che si instaurino meccanismi di isolamento riproduttivo a base genetica. I meccanismi di isolamento post-zigotico non prevengono la fecondazione ma colpiscono lo sviluppo, la vitalità o la fecondità dell’ibrido. I meccanismi di isolamento pre-zigotico prevengono la fecondazione.

28 Distanze genetiche e relazioni evolutive
È possibile misurare le distanze genetiche fra 2 popolazioni componendo, con appositi indici di distanza, la differenza delle frequenze alleliche fra più geni. distanza distanza È possibile misurare le distanze genetiche fra 2 gruppi più distanti filogeneticamente (specie diverse) o usando sistemi a evoluzione più rapida (DNA mitocondriale) stimando il numero minimo di mutazioni intercorse dopo la separazione. È possibile, utilizzando le distanze genetiche fra più popolazioni o specie, ricostruire ipotetici alberi filogenetici, p. es. con metodi di massima parsimonia nella stima del numero delle mutazioni intercorse. 5 La possibilità di usare marcatori sempre più raffinati, con il contributo della genetica molecolare e della genomica comparata (polimorfismi dei frammenti di restrizione, singole sostituzioni nucleotidiche, polimorfismi nella lunghezza di mini- e microsatelliti) si sino fatti molti passi in avanti per verificare le distanze genetiche fra popolazioni e specie. La misurazione delle distanze genetiche, oltre per affrontare il problema della definizione delle specie, può consentire di affrontare diversi problemi evoluzionistici; per esempio, confrontando le distanze genetiche medie fra individui della stessa popolazione e quella fra popolazioni diverse, si è verificato che nella specie umana le differenze entro le popolazioni pesano di più rispetto a quelle fra le popolazioni: quindi non si può dividere la specie umana in razze. Gli alberi filogenetici, o dendrogrammi sono tentativi di ricostruzione dei processi storici di rapporti di discendenza fra popolazioni o specie diverse che tentano di definire i percorsi più verosimili, con il criterio della maggiore parsimonia. Tuttavia questi alberi si fondano su alcuni presupposti non sempre verificabili: che le mutazioni/gli alleli presi in esame siano neutrali, che il tasso di mutazione sia costante, etc.; per questo sono interpretazioni spesso ancora provvisorie. Specie 1 2 4 Specie 2 3 2 Specie 3 3 1 Specie 4 6 Specie 5


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