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ISOTOPI STABILI DELL’OSSIGENO

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Presentazione sul tema: "ISOTOPI STABILI DELL’OSSIGENO"— Transcript della presentazione:

1 ISOTOPI STABILI DELL’OSSIGENO

2 MOLECOLA = OSCILLATORE ARMONICO
Massa ridotta

3 - una minore frequenza di vibrazione; - una minore velocità massima.
A parità di condizioni P+T, le molecole isotopiche con massa maggiore possiedono: - una minore frequenza di vibrazione; - una minore velocità massima. Secondo la Meccanica quantistica, ogni molecola sottoposta ad un moto oscillatorio armonico possiede un’energia potenziale che cambia, secondo un pattern di salti discreti (=quantici), con la sua frequenza di vibrazione. Dove h = costante di Planck (6.626x10-34 j) f = frequenza vibrazionale n = livello vibrazionale (si tratta di salti quantici, quindi è un numero intero)

4 ZERO POINT ENERGY PUNTI CHIAVE:
L’energia potenziale (Ep) non è = 0 nemmeno allo zero assoluto (esiste una piccola quota di Ep gravitazionale). Il minimo livello vibrazionale (n=0) NON significa Ep = 0 ma minima energia potenziale; questo stato è detto ZERO POINT ENERGY (o GROUND ENERGY).

5 Caveat: Il modello dell’Oscillatore Armonico Semplice (OSA) è irrealistico per le molecole. Infatti, l’OSA è rappresentato da una parabola che contiene infiniti salti quantici equispaziati di Ep. Pertanto, l’OSA: consente l’ipotesi di Ep = ∞ ; non prevede l’eventualità che la molecola si possa dissociare (=rottura dei legami). Un modello più realistico è il Potenziale di Morse, dove la parabola è sostituita da una curva asimmetrica che implica, al di sopra di una soglia di Ep critica, la dissociazione della molecola.

6 kJ/mol Nel Potenziale di Morse, i salti quantici non sono equispaziati ma si assottigliano verso l’alto (avvicinandosi ad Ep di dissociazione). Si noti come il fondo della buca di potenziale NON corrisponda ad Ep = 0 !

7 RIASSUMENDO: Le frequenze vibrazionali di una molecola dipendono dal tipo di legame (~costante elastica) e dalla massa degli atomi coinvolti. Se uno degli atomi viene sostituito con un suo isotopo più pesante (= incremento di massa ridotta), la frequenza vibrazionale della molecola decresce. La presenza di isotopi pesanti diminuisce la ZPE della molecola, determinando un diverso frazionamento isotopico di equilibrio. Infatti: - nelle molecole con ZPE bassa (=più pesanti) serve molta energia per rompere i legami: sono molecole stabili e lente; le molecole con ZPE alta (=più leggere) si dissociano più facilmente, e sono quindi coinvolte in modo preferenziale nelle reazioni chimiche: sono molecole più instabili e veloci. Per questi motivi, le differenze in ZPE influenzano anche il frazionamento isotopico cinetico.

8 Recuperiamo quanto già visto in precedenza:

9 Definiamo il fattore di frazionamento (a) fra i due campioni A e B:
Da cui ricaviamo il frazionamento isotopico (e) fra i due campioni:

10 a) FRAZIONAMENTO ISOTOPICO
DI EQUILIBRIO NEL CICLO IDROLOGICO

11 FRAZIONAMENTO ISOTOPICO DI EQUILIBRIO

12 EVAPORAZIONE A ~20˚C 18Ov = 18Ol + l-v 18Ol = 0 ‰ (SMOW) EQUATORE
1.0098 2Hvapor = -77‰ 18Ol = 0 ‰ (SMOW) EQUATORE

13 CONDENSAZIONE A ~15˚C 18Ov = -9.7 ‰ EQUATORE 18Ol = 18Ov + v-l
1.01 18Ol = 18Ov + v-l

14 CONDENSAZIONE lv = 1.0107 @ 10˚C
Se le precipitazioni continuano, 18Ov diminuisce progressivamente. Esempio con 18Ov = -12, T=10 °C: qual’è la composizione delle prime gocce di pioggia? lv = 10˚C

15 VARIABILITA’ DEL 18O DI PRECIPITAZIONE
ll ciclo idrologico globale funziona come una gigantesca colonna di distillazione, entro cui insistono senza sosta processi di frazionamento isotopico. Il 18O di reservoir (=nuvole) e prodotto (precipitazioni) cambia quindi nel tempo sotto l’effetto della DISTILLAZIONE DI RAYLEIGH.

16 DISTILLAZIONE DI RAYLEIGH
R0 = rapporto isotopico iniziale nel reservoir RF = rapporto isotopico finale nel reservoir Q = frazione di reservoir residua (1 ÷ 0) Possiamo quindi calcolare come il 18O di Reservoir (nuvole) e Prodotto (precipitazioni) cambia nel tempo: Reservoir: Prodotto:

17 DISTILLAZIONE DI RAYLEIGH
Quindi, l’acqua evaporata all’equatore forma apparati nuvolosi che, spostandosi e scaricando precipitazioni (il processo è detto rain-out effect), diventano via via più “leggeri”. Nel concreto, i corpi nuvolosi migrano verso le alte latitudini e si raffreddano gradualmente. Fra i due, l’altitudine è il fattore di frazionamento più efficace. I valori del 18O delle precipitazioni sono controllati dall’altitudine (altitude effect) e dalla latitudine (latitude effect).

18 LATITUDE EFFECT

19 ALTITUDE EFFECT Evoluzione del 18O delle precipitazioni fra Atlantico e Pacifico centrali lungo un transetto NE-SW, che mostra un forte gradiente (1‰ 18O/25 km) legato alla presenza della Chorrera (Panama – Costa Rica)

20 ALTITUDE EFFECT 18O delle precipitazioni lungo un transetto W-E attraverso la Coast Range e le Montagne Rocciose. NB il successivo aumento dei valori del 18O

21 Perturbazioni nord-pacifiche
LENTE Cicloni tropicali VELOCI

22 DISTILLAZIONE DI RAYLEIGH
Nel complesso, latitudine e altitudine determinano la temperatura a cui avviene la condensazione del vapore. Esiste una relazione semplice fra 18O delle precipitazioni, “storia” del corpo nuvoloso e temperatura a cui avviene la condensazione. Verifichiamola

23 18O E TEMPERATURA 18O = aT + n
Analisi strumentali su piogge e acque di ruscellamento e falda indicano una correlazione lineare fra T media annua e 18Ol. Il rapporto è quindi rappresentato da una retta di regressione, del tipo y = ax + b: 18O = aT + n Possiamo facilmente calcolare lo slope (a) e l’offset (n) della retta

24 Dd18O (1 ‰) ≈ 1.66°C, oppure DT (1°C) ≈ 0.6 ‰ d18O
18O E TEMPERATURA n 18O = aT + n Poichè T = 0 per 18O = -14 = n otteniamo, per T = 15: 18O = 15a - 14 = ~-5.5 Da cui 18O = 0.6 T Quindi, la covarianza fra 18O e T è: Dd18O (1 ‰) ≈ 1.66°C, oppure DT (1°C) ≈ 0.6 ‰ d18O

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26 18O E TEMPERATURA Alcuni problemi:
Il rapporto 1 : 0.6 appena calcolato (che possiamo immaginare costante nel tempo) permette di stimare DT ma NON Tassoluta, poichè non conosciamo il valore dell’offset n (che dipende da 18Osorgente) nel passato; Che proxy utilizzare per misurare 18Oprodotto nel record geologico? Qual è il fattore di frazionamento (a) caratteristico del proxy utilizzato, ossia la modalità con cui il segnale originario viene filtrato e registrato? Come discriminare l’eventuale frazionamento (e) causato dalla diagenesi?

27 IL RIMESCOLAMENTO ISOTOPICO OCEANICO
Malgrado tutte le complicazioni appena discusse, i valori di 18O oceanico si mantengono in uno stato di (relativo) equilibrio, anzi...

28 IL RIMESCOLAMENTO ISOTOPICO OCEANICO
L’arricchimento in 18O delle acque oceaniche equatoriali (per evaporazione) è infatti compensato dalle precipitazioni “leggere” alle alte latitudini e dal rapido rimescolamento delle acque dovuto alla circolazione globale. Come anticipato nel capitolo sugli Oceani, il tempo di rimescolamento delle acque oceaniche è infatti nell’ordine del migliaio di anni (= trascurabile, in senso geologico). Caveat: non possiamo assumere a priori che la composizione isotopica dell’ossigeno nelle acque oceaniche sia rimasta costante nel tempo geologico. E’ un problema importante!

29 VARIAZIONI DEL δ 18OSEAWATER
Abbiamo prove che, nel corso del tempo geologico, la composizione isotopica degli oceani a lungo termine è cambiata in funzione di processi che non discutiamo. Pochissimo conosciamo degli oceani pre-cenozoici, sia in termini di composizione che delle loro dinamiche interne. E’ più ragionevole limitarsi ad analizzare gli oceani “recenti” (cenozoici) di cui conosciamo discretamente le meccaniche.

30 b) PALEOTEMPERATURA ED EFFETTO GLACIALE

31 L’INTUIZIONE DI HAROLD UREY
Harold Urey ( ). Chimico-fisico americano, sviluppatore di tecniche di separazione isotopica, nel 1931 scoprì il deuterio e ottenne l’acqua pesante. Nel 1934 vinse il premio Nobel per la chimica. Queste scoperte furono fondamentali per lo sviluppo dell’ energia atomica. Si interessò di geofisica e fisica-chimica dei corpi celesti: con Stanley L. Miller realizzò nel 1953 un esperimento sull’origine della vita sulla Terra, ottenendo la sintesi di aminoacidi in un dispositivo che simulava l’atmosfera terrestre primordiale. Molti dei concetti di geochimica isotopica applicata alle Geoscienze si devono ad Harold Urey. Urey aveva un’idea fissa: trovare un metodo per misurare le temperature nel passato geologico. In base a considerazioni termodinamiche, per primo intuì che il tenore di 16O nella calcite dei gusci dei fossili marini varia con la temperatura.

32 LA SCOPERTA DI UREY Nel 1948, Urey pubblicò su Science un fondamentale lavoro in cui dimostrava che il rapporto fra gli isotopi stabili dell’ossigeno nel carbonato di calcio dipende dalla temperatura della soluzione acquosa entro cui tale calcite precipita. Quindi: T influenza i rapporti isotopici dell’ossigeno fra acqua (H2O) e calcite (CaCO3), la principale componente delle rocce sedimentarie. Urey si convinse che misurando i rapporti isotopici nella calcite dei fossili fosse possibile ricostruire le temperature dell’acqua in cui questi organismi vivevano. In altre parole, Urey considerava gli isotopi stabili dell’ossigeno nei carbonati fossili come un vero e proprio paleotermometro.

33 CALCOLO DELLE PALEOTEMPERATURE
Urey e i suoi collaboratori determinarono sperimentalmente i rapporti fra la temperatura e la calcite secreta dai molluschi marini. Si noti che la CaCO3 secreta in equilibrio con l’acqua del mare è SEMPRE arricchita in 18O (è il solito frazionamento isotopico). Tuttavia, l’arricchimento relativo in 18O (=frazionamento) diminuisce con l’aumentare della temperatura.

34 L’EQUAZIONE DI EPSTEIN et al.
E’ la prima equazione (polinomiale) delle paleotemperature, che venne pubblicata nel 1951: T = 16,5 - 4,3(δcarb- δseawater) + 0,14(δcarb- δseawater)2 δcarb è la composizione isotopica (misurata) sul carbonato del campione; δseawater è la composizione isotopica dell’acqua in cui precipita la calcite.  NB: SOLO in laboratorio (e nel mare attuale) è possibile misurare δseawater!

35 Negli anni successivi sono state sviluppate moltissime equazioni differenti. Fra le principali citiamo: Epstein et al. (1953): calcite dei bivalvi Oba & Horibe (1972): calcite dei bivalvi Grossman & Ku (1986): aragonite dei gastropodi

36 T = 16,5 - 4,3(δcarb- δseawater) + 0,14(δcarb- δseawater)2
d18O

37 T d18O

38 T = 16,5 - 4,3(δcarb- δseawater) + 0,14(δcarb- δseawater)2
PRIMA EVIDENZA (fondamentale) T = 16,5 - 4,3(δcarb- δseawater) + 0,14(δcarb- δseawater)2 L’equazione delle paleotemperature dimostra che i carbonati con valori isotopici più “pesanti” sono precipitati in condizioni di acqua più fredda (è ciò che ci aspettavamo, del resto)

39 L’EVOLUZIONE DEL METODO
Inizialmente, Urey usò gusci di bivalvi. Fu subito chiaro che servivano fossili più comuni, presenti con maggiore continuità e di ambienti diversi. Nei primi anni ‘50 erano già state sviluppate tecniche di raccolta di carote dai fondali oceanici, lunghe sino a metri (erano semplici “piston cores”). Queste contenevano foraminiferi planctonici in abbondanza, mentre erano molto meno comuni i foraminiferi bentonici. Urey creò presso il suo laboratorio una position per lo studio degli isotopi dell’ossigeno nel guscio dei foraminiferi planctonici; il posto venne vinto da un giovane micropaleontologo italiano, Cesare Emiliani.

40 CESARE EMILIANI: ISOTOPI E FORAMS
Nato a Bologna nel 1922, laureato nel 1945 in Scienze Naturali con una tesi in Micropaleontologia. Dopo aver lavorato per l’AGIP, ha iniziato nel 1950 un Dottorato presso il laboratorio di Urey, lavorando sugli isotopi stabili dell’ossigeno sui foraminiferi che conosceva dai suoi studi in Italia. Trasferitosi all’Università di Miami, è diventato uno dei fondatori della moderna Paleoceoceanografia. E’ morto nel 1992. Dopo qualche anno di lavoro, Cesare Emiliani pubblicò le sue prime “curve” isotopiche basate sui foraminiferi planctonici di carote raccolte nei Caraibi e nel Mediterraneo. Le carote coprivano l’Olocene e il tardo Pleistocene, con risultati sensazionali.

41 ESEMPI DI CURVE ISOTOPICHE DI δ18O
OSSERVAZIONI: la curva del δ18O varia ritmicamente; i valori olocenici sono “leggeri” (=clima caldo); i valori relativi all’ultimo glaciale (LGM) sono invece molto “pesanti” (variazione di ca. 1.5 ‰ in pieno oceano); in aree geografiche distinte, le curve si correlano quasi perfettamente.

42 LE CURVE DEL δ18O SONO UN PROXY DEL CLIMA
Evidentemente, gli isotopi dell’ossigeno riflettono quegli stessi cicli climatici (glaciale-interglaciale) che i geologi studiavano da un secolo sul continente, con enormi difficoltà a stabilirne e il NUMERO e la CRONOLOGIA (cf. “Cronologia alpina”). L’entusiasmo fu enorme, ma cominciarono le discussioni perchè non tutto “tornava” perfettamente. Pochi dubitavano che il δ18O fosse un “proxy” del clima, ma molti erano scettici sul valore della correlazione diretta (e quantitativa) fra isotopi dell’ossigeno e temperatura.

43 δ18O COME “PROXY” DELLE PALEOTEMPERATURE?
Per Urey ed Emiliani sì, ma erano troppo ottimisti (con molti altri, per una ventina d’anni). Infatti, si ricordi che per risolvere l’equazione delle paleotemperature bisogna definire due variabili: 1) il δcarb, misurarabile anche nel passato geologico (con qualche difficoltà); 2) il δseawater. Ipotesi di partenza: il δseawater è poco variabile nel passato geologico.

44 FORAMS E PALEOTEMPERATURE
Per i foraminiferi planctonici: Risolvendo l’equazione con δseawater = 0 (SMOW, costante) e con δ18O compreso fra 1 e -1.5, risulta: Quindi: Per dc=0.5, dw=0 (riferito all’equatore): è un valore assurdo Per d=-1.5, dw=0  LE VARIAZIONI DI dCARB NEL PASSATO GEOLOGICO NON POSSONO DIPENDERE SOLO DALLA TEMPERATURA.

45 L’EFFETTO GLACIALE Qualcuno invocava i processi di waxing-waning delle grandi calotte glaciali  distillazione di Rayleigh Sappiamo che la neve che cade ai poli è molto impoverita in 18O (fino a -40 per mille) e, quindi, il ghiaccio delle calotte è molto arricchito in 16O (è “leggero”). In pieno glaciale, molta acqua oceanica “leggera” è intrappolata nelle calotte (il livello eustatico scende). L’acqua negli oceani è quindi arricchita in 18O. Durante la deglaciazione, quest’acqua “leggera” torna all’oceano, il livello eustatico sale e si “alleggerisce” la composizione media del δseawater

46 COME QUANTIFICARE L’EFFETTO GLACIALE?
Già dagli anni ‘60, nessuno negava il peso dell’effetto glaciale sui valori di δ18O: il problema era quantificarlo o, almeno, capirne l’importanza rispetto alla temperatura nel definire il δ18O dei foraminiferi planctonici. Ricordate che il δ18O dei carbonati marini aumenta sia col diminuire di T che con la crescita delle calotte glaciali.  più freddo e più ghiaccio equivalgono a valori di δ18Ocarb più “pesanti”; viceversa per l’interglaciale. E’ in questa fase di impasse che entra in scena un altro “grande” delle moderne Scienze della Terra.

47 L’IDEA DI NICK SHACKLETON
Nella solita Università di Cambridge, a metà degli anni ‘60 stava concludendo il suo Ph.D in Geochimica isotopica un giovane studente, Nick Shackleton ( ), BS in Fisica, figlio di un grande geologo e nipote del famoso esploratore dell’Antartide. Shackleton non era convinto delle interpretazioni di Urey ed Emiliani, ed era fra coloro che ritenevano l’effetto glaciale molto più importante di T nel “costruire” il δ18Ocarb dei foraminiferi planctonici. Nick ebbe un’idea semplice e, allo stesso tempo, grandiosa: studiare la composizione isotopica dei foraminiferi bentonici. Fu un’intuizione geniale. Perché?

48 ISOTOPI E FORAMINIFERI BENTONICI PROFONDI
δ18O di un foraminifero bentonico epifaunale (cerchio aperto) e di un foraminifero planctonico (cerchio pieno) nella carota V22-108, Oceano Antartico (Charles & Fairbanks, 1990). I risultati furono sconvolgenti. I foraminiferi bentonici (che vivono sul fondo a temperature pressoché costanti fra il glaciale e l’interglaciale) mostrano sostanzialmente le stesse variazioni di δ18O dei foraminiferi planctonici che vivono in superficie, dove la T varia moltissimo. Questi risultati indicano che il l’effetto glaciale è di gran lunga dominante, rappresentando il 70-90% del segnale del δ18O in pieno oceano.

49 RIASSUMENDO: IL 18O NEI FORAMS
La composizione isotopica della calcite dei foraminiferi (planctonici e bentonici) dipende dalle temperature e dalla concentrazione isotopica delle acque marine nelle quali i foraminiferi stessi vivono (EQUAZIONE DI UREY). La composizione isotopica delle acque oceaniche varia sia globalmente che regionalmente, in base al rapporto P/E e agli apporti di acque dolci (runoff). La composizione isotopica delle acque marine varia nel tempo geologico, con modalità virtualmente imprevedibili e non misurabili se si esclude l’effetto glaciale. E’ chiaro che i forams hanno un ruolo fondamentale, in quanto assumono 18O e 16O in rapporti proporzionali a T e alla composizione isotopica dell’acqua in cui vivono: sono quindi eccezionali archivi di informazioni paleoclimatiche.

50 FORAMINIFERI BENTONICI
E CALOTTE GLACIALI Un’altra idea di Nick Shackleton: misurando le piccole variazioni del δ18O dei foraminiferi bentonici possiamo tentare di “pesare” le calotte glaciali. Con un semplice bilancio di massa possiamo quindi calcolare quanta acqua “leggera” viene sequestrata nelle calotte durante una glaciazione e la relativa oscillazione del livello eustatico.

51 -40‰ Quanta acqua è stata sequestrata agli oceani e trasformata in ghiaccio? Sappiamo che: - Il d18O del ghiaccio polare è ca. -40 ‰; Il d18O oceanico durante l’ultima glaciazione era ca ‰. Ipotizziamo che: - Tutto il vapor acqueo sequestrato agli oceani sia stato trasformato in ghiaccio (= conservazione di massa)

52 T = 1F1 + 2F2 oppure T = 1F1 + 2(1-F1 )
BILANCIO DI MASSA TnT = 1n1 + 2n2 + 3n3 + … Per un sistema a due componenti, le quantità espresse in moli (ni) possono essere sostituite dall’abbondanza relativa (F), con F1 +F2 = 1. Quindi: T = 1F1 + 2F2 oppure T = 1F1 + 2(1-F1 ) T dev’essere = 0 (conservazione della massa); 1 è il d18O glaciale = ‰; F1 è la frazione di acqua rimasta, (1- F1) è la frazione trasformata in ghiaccio. Quindi: T = 1F1 + 2(1-F1 ) 0 = 1.65 F (1-F1) F1 = 0.96  (1- F1) = = 4%

53 CALOTTE GLACIALI E SEA LEVEL
E’ verosimile che nel corso del Pleistocene la geometria dei bacini oceanici non sia cambiata in modo importante, e che l’area da essi occupata sia rimasta costante. Quindi, possiamo stimare che la caduta eustatica (DSL) durante l’ultima glaciazione sia stata pari al 4% della profondità oceanica media (MD): 4 % (MD) = 4 % (~3.7 km);  DSL ≈ 0.148, ossia ~150 m. E’ un dato realistico (anche se un po’ sovrastimato), confermato dalle quote dei terrazzi marini (Barbados, Tahiti).

54 CALOTTE GLACIALI E TEMPERATURA
La formazione di calotte implica una diminuzione di Tmedia. Se nelle acque meteoriche 0.6 ‰ (Dδ18O) ≈ 1 °C, qual’è la relazione equivalente in ambito oceanico? E’ un calcolo non banale, poichè tutti i proxy disponibili hanno dei problemi: in ogni caso, i dati più ragionevolo provengono ancora una volta dai foraminiferi

55 Dati sperimentali permettono di misurare a per diverse specie di foraminiferi: è il loro fattore di frazionamento metabolico, o effetto vitale. Stiamo semplificando, poiché a dipende da numerosi altri fattori quali il pH, la luce, etc. In particolare, in condizioni di scarsa luminosità ambientale (LL) il frazionamento per effetto vitale diventa trascurabile. L’offset HL-LL dipende dalla specie, ma in generale è pari a ca. 0.5 ‰. I dati in letteratura indicano che, negli oceani, 1 ‰ (Dδ18O) ≈ 4-5 °C

56 NON DI SOLI FORAMINIFERI...
Fra i fossili calcarei sono utilizzati i coralli e, nel Mesozoico, le belemniti. I nannofossili calcarei sono poco utilizzati perché troppo piccoli ( BULK) e perché spesso non rispettano l’equazione di Urey (=non frazionano in equilibrio). Si utilizzano (raramente) organismi a guscio siliceo (es. le diatomee) e si può analizzare anche l’O presente nella materia organica (es. nei tessuti vegetali).

57 UNA STORIA CLIMATICA


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