La teoria del ragionamento inferenziale

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Transcript della presentazione:

La teoria del ragionamento inferenziale In entrambe le concezioni sembra esserci del vero. Il cervello deve risolvere il problema di cosa c’è da percepire, però non lo fa in base ad una semplice associazione di idee, ma si serve di un ragionamento inferenziale* utilizzando sia l’esperienza passata sia gli schemi innati. Si tratta di un ragionamento inconsapevole che avviene senza che ce ne rendiamo conto, come possiamo capire osservando ad esempio il cubo di Necker, del quale non si può dire osservandolo quale sia la faccia più vicina a noi. Mauritius Cornelius Esker Infinito *L’inferenza è un procedimento logico mediante il quale, da una proposizione ammessa come vera, attraverso una seconda proposizione che sia vera, si passa a una terza proposizione la cui verità è considerata contenuta nelle due precedenti.

Altri modi di vedere il mondo Ma cosa sarebbe il mondo senza il nostro modo di percepirlo? Cosa vedremmo se avessimo la vista a raggi X, cosa sentiremmo se potessimo percepire gli ultrasuoni? Come si presenta il mondo per i cani, le mosche, i pipistrelli? Le persone diversamente abili sviluppano i sensi di cui dispongono per compensare quelli che non possono utilizzare: il mondo che percepiscono loro è lo stesso che percepiamo noi? Un’immagine del sole ai raggi X

Siamo noi a costruire il mondo Molti filosofi hanno riflettuto sul fatto che siamo noi a costruire il mondo con le nostre percezioni, a “dargli forma” e hanno tratto da queste riflessioni conclusioni anche molto diverse: Immanuel Kant credeva che esistesse una “cosa in sé” cioè qualcosa che provoca la percezione tuttavia risulta impossibile da capire o da raffigurare, una sorta di entità misteriosa; Johann Fichte riteneva che la cosa in sé non esistesse, riducendo la produzione di tutto il pensiero e della stessa realtà all’attività creativa dello Spirito. Kant Fichte

Siamo noi a costruire il mondo Non è stata solo la filosofia occidentale a porsi questi problemi: duemilacinquecento anni fa nella regione ai confini tra India e Nepal, il filosofo e asceta Siddhartha, noto poi come il Buddha (l’Illuminato), osservando con acutezza i processi della percezione e basandosi su una concezione di tipo atomistico, negò che le cose avessero un’esistenza autonoma, ma le descrisse come il sempre mutevole prodotto di una serie dei cause, strettamente dipendente dal soggetto che le percepisce (negazione del realismo).

Siamo noi a costruire il mondo Egli tuttavia non negò l’esistenza di ciò che percepiamo, sostenne piuttosto che tra osservatore ed oggetto osservato esiste una forte interdipendenza, nulla esiste in modo completamente autonomo, anche perché nell’Universo ogni cosa è legata alle altre secondo relazioni di causa ed effetto. La realtà è inoltre dovuta al continuo associarsi di parti sempre più piccole vincolate da legami di causa ed effetto che continuamente si generano e vengono meno.

La scienza e l’osservazione Ma cosa dice la scienza a proposito? La fisica del Novecento ha scardinato antiche certezze come quelle che esista una realtà indipendente dall’osservatore. La teoria dei quanti e il principio di indeterminazione di Eisemberg hanno provato che, su scala subatomica, certe caratteristiche delle particelle (es. velocità e posizione) non sono determinabili contemporaneamente perché l’osservatore, dovendo usare la luce per rilevare i dati, devia la loro traiettoria condizionando inevitabilmente il processo di osservazione. Inoltre, a livello subatomico, quelle che ci sembrano in alcune circostanze particelle puntiformi, in altre si manifestano come onde, rivelando davvero una fondamentale ambiguità della loro natura: possono essere infatti definite in entrambi i modi a seconda delle circostanze e del tipo di osservazione.

Alcune teorie recenti Alcune recentissime teorie ancora in fase di verifica sperimentale sostengono che quelle che il cervello ci rappresenta come immagini, suoni, impressioni tattili… in realtà corrispondono a schemi di interferenza di onde, come accade negli ologrammi. Dunque sembrerebbe che i pensatori che hanno privilegiato la teoria della rappresentazione abbiano in qualche modo colto delle verità profonde e ancora non del tutto esplorate.

Simulacri e simulazioni La realtà dunque si costituisce nella nostra percezione e nel nostro intelletto come una sorta di modello, la simulazione di qualche cosa che è esterno a noi, ma modello o simulazione di cosa? Viene in mente una favola di Jorge Luis Borges, alla quale si è ispirato il filosofo francese J. Baudrillard per scrivere la sua opera “Simulacri e simulazioni” Alcuni scienziati costruiscono per un re una carta geografica magicamente interattiva, che consente a chi tocca un punto di avere la sensazione di essere lì. Ad un certo punto è la carta che diventa reale, il mondo vero che l’ha generata perde importanza e “pende” dal suo retro come resto in decomposizione. J. Baudrillard