Il Mobbing Avv. Amilcare Mancusi Tra dottrina e giurisprudenza Forme di tutela giuridica e risarcibilità del danno 1.

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Il Mobbing Avv. Amilcare Mancusi Tra dottrina e giurisprudenza Forme di tutela giuridica e risarcibilità del danno 1

2 Risultati della ricerca medica e psicologica Sul piano delle scienze subalterne al diritto del lavoro, la medicina del lavoro, la psicologia del lavoro, si è incominciato da qualche anno a metter a fuoco questa tipologia di violenza morale nei confronti di singoli lavoratori ed a identificarne la fattispecie: la durata e la persistenza delle molestie spesso attuate con strumenti o azioni formalmente legittimi; le caratteristiche, le diverse fasi di evoluzione della situazione di mobbing, la condizione di isolamento, gli effetti sulla vittima, le malattie che può causare.

3 Prime definizioni Uno dei dati salienti e caratterizzanti del mobbing è che la molestia, la violenza, l’azione produttiva di conseguenze dannose, a volte formalmente legittima, spesso proviene non dal datore di lavoro o da un preposto (il c.d. bossing ), ma dagli stessi colleghi di lavoro (il c.d. mobbing orizzontale) Molestia e violenza sono originate anche da ragioni che per sintesi si possono definire “irrazionali” (cioè non giustificate in nome della razionalità produttiva, o scaturenti da situazioni di conflitto fisiologici nel luogo di lavoro, ma originate da cause spesso oscure scaturenti da quella mai sufficientemente esplorata caverna che è la coscienza e la psiche dell’essere umano con tutti gli annessi turbamenti esistenziali).

Origine dell’istituto e sua evoluzione. Il fenomeno del mobbing ha iniziato ad essere valutato ad opera di numerosi studi condotti fin dagli anni ‘60 negli USA e nei Paesi anglosassoni, da cui emergeva un concetto primordiale di mobbing, proteso entro una logica meramente discriminatoria per motivi classici, come il fattore sessuale o razziale, ovvero indirizzato entro un contesto di violenza sessuale, con cui il datore di lavoro pretendeva prestazioni sessuali dalle lavoratrici al fine di mantenere il posto di lavoro. 4

Con il passare dei decenni e l’evoluzione della prassi concreta delle relazioni sociali, sono emersi nuovi studi, realizzati dalla grandi organizzazioni specializzate dell’ONU, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e, soprattutto, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), che hanno promosso azioni contro la violenza sul luogo di lavoro. In particolare, lo studio “La violenza sul lavoro: la minaccia globale”, promosso nell’ambito della “Conferenza internazionale sul trauma sul luogo di lavoro”, presenta un’evoluzione sostanziale ed a nostro parere decisiva dello stesso concetto di mobbing, non più limitato entro condotte negative meramente discriminatorie o vessatorie, ma anzi proiettato alla lesione dell’integrità fisica e dell’equilibrio psicologico della vittima. 5

In tale contesto ermeneutico, la salubrità psicologica assume rilievo decisivo, quale elemento fondante la medesima integrità fisica della Persona, e deve trovare ampia tutela, per l’appunto, quale elemento di rispetto dell’inviolabilità della Persona. Entro tale prospettiva, è evidente la necessità dell’assolvimento di condotte positive, volte ad assicurare la salubrità psico-fisica del luogo di lavoro (ed a nostro avviso, di tutti gli ambienti in cui si svolgono le relazioni sociali). 6

Tra le diverse esperienze positive nazionali, la Svezia è stata il primo Paese europeo a dotarsi di una legge nazionale sul mobbing. Un’Ordinanza entrata in vigore il 31 marzo 1994, valorizza proprio la questione del mobbing come forma di «persecuzione psicologica» negli ambienti di lavoro. Nel 1997, nuovi atti normativi hanno approvato misure da adottare contro le forme di persecuzione psicologica in ambito lavorativo. 7

Del pari, la Francia nel 2000 ha approvato la legge “lutte contre le harcèlement moral au travail”, specifica sul mobbing, ove il fenomeno viene definito come un “insieme di azioni ripetute di violenza morale che hanno per oggetto e per effetto la degradazione delle condizioni di lavoro suscettibile di recare offesa ai diritti e alla dignità del salariato, di alterare la sua salute psicologica o mentale e compromettere il suo avvenire professionale” (art ). La legge prevede, inoltre, l’introduzione di un’apposita figura di reato dedicata al mobbing che, con l’inserimento nel codice penale francese di una nuova sezione intitolata all’harcèlement moral, al nuovo articolo punisce con la pena della reclusione fino a un anno o della multa di euro, “il fatto di molestare gli altri attraverso comportamenti ripetuti aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale”. 8

In ambito europeo, il 16 luglio 2001 la Commissione Occupazione ed Affari Sociali del Parlamento Europeo, ha presentato una Relazione sul mobbing sul posto di lavoro. La relazione è stata allegata alla Risoluzione sul mobbing che nel settembre 2001 il Parlamento Europeo ha approvato (2001/2339). Tale risoluzione ha evidenziato la necessità per gli Stati membri di approfondire lo studio del fenomeno delle violenze psicologiche in ambito lavorativo, al fine di pervenire ad una comune definizione della fattispecie del mobbing e creare una più solida base statistica sulla sua diffusione. 9

Tra l’altro, la risoluzione ha esortato gli Stati membri a rivedere ed a completare la propria legislazione, sotto il profilo della lotta al mobbing ed alle molestie sessuali sul posto di lavoro, nonché a verificare e ad uniformare la definizione della fattispecie del “mobbing”. Da segnalare che il Parlamento europeo ha provveduto all’istituzione, nell’ambito della propria organizzazione interna, di un apposito Comitato consultativo sulle molestie morali. Per altro aspetto, del mobbing si occupano alcuni documenti comunitari relativi ai settori della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, delle condizioni di lavoro, del rispetto e della dignità dell’individuo, e della parità di trattamento. 10

In materia è intervenuta anche la Corte di Giustizia delle Comunità Europee in una sua pronuncia del 12 novembre 1996, C-84/94, Regno Unito/Consiglio, nella quale si è occupata indirettamente di mobbing quando, richiesta di chiarire le nozioni di “ambiente di lavoro” “sicurezza” e “salute” richiamate dall’art. 118A del trattato UE, ha fornito un’interpretazione molto ampia del concetto di ambiente di lavoro e delle sue implicazioni di natura psicologica, avvicinandosi alla concezione scandinava dell’ambiente di lavoro, particolarmente attenta all’integrazione psicosociale del lavoratore nella comunità di lavoro. 11

12 Definizione sintetica Per sintetizzare: il mobbing può definirsi come quella violenza subdola, non sempre condita di aggressività, esercitata per lo più nei luoghi di lavoro, reiterata e sistematica, che conduce ad una intollerabile situazione di isolamento e sofferenza psicologica della vittima designata, che travalica la fisiologia del conflitto interpersonale, o della contrapposizione di interessi nel luogo di lavoro, che può avere magari origine in conflitti fisiologici, cui però si dà una risposta antigiuridica con conseguente lesione, a volte tutelabile con strumenti già apprestati dall’ordinamento giuridico, ma altre volte non tutelabile con strumenti di tutela tipici.

13 Altra definizione Si tratta di una prassi di violenza psicologica che ha origine in dinamiche irrazionali (non giustificate cioè da obiettivi, ancorché malintesi, di produzione o efficienza : antipatia personale, competizione patologica, violenza fine a se stessa originata da frustrazione o da attrazione sessuale); in questo caso l’accostamento naturale che gli studiosi fanno è ad altri fenomeni similari: il nonnismo tra i militari o il bullismo da goliardia tra gli studenti

La disciplina del mobbing in Italia. Il c.d. mobbing in Italia non ha trovato organica ed autonoma disciplina. Da diversi anni vengono presentati alcuni disegni di legge, ma nessuno di questi è stato approvato in legge. In ogni caso, il concetto di molestie e di discriminazioni è largamente mutuato dalla disciplina di derivazione comunitaria. Al riguardo, si segnala la nozione comunitaria di discriminazione, recepita dal nostro ordinamento nei decreti legislativi 215/2003 e 216/2003, per cui “le molestie sono da considerarsi una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato e avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”. 14

Tuttavia, il concetto di discriminazione qui tipizzato ha ad oggetto condotte inerenti le discriminazioni per motivi della razza, l’origine etnica, la religione, le convinzioni personali, l’handicap, l’età, il sesso, le tendenze sessuali, la lingua, il credo politico, il credo religioso, l’appartenenza sindacale, la partecipazione ad attività sindacali, la sieropositività. Come accennato, motivi di discriminazione classici, che ben potrebbero non sussistere nei casi di discriminazione e vessazione da mobbing da lavoro, familiare, scolastico o da relazioni sociali. Di qui, è evidente la necessità di un’integrazione della normativa nazionale, al fine di colmare le lacune citate. 15

Altro aspetto disciplinato dal Legislatore, e che può assumere rilievo ai fini del mobbing, è costituito dalla normativa in tema di sicurezza sul lavoro, dettata da ultimo dal decreto legislativo n. 81/2008. La materia della sicurezza sul lavoro investe indirettamente il tema del mobbing, nella parte in cui definisce il concetto di “salute del lavoratore”, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità, ma in uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. In tale contesto, il datore di lavoro ha l’obbligo, non solo di non consumare condotte negative lesive della salute psico-fisica del lavoratore, ma addirittura di porre in essere adeguate misure di prevenzione e di protezione della salute e sicurezza del lavoratore. 16

Per altro aspetto, da richiamare il principio generale di cui all’art cod. civ. intitolato “tutela delle condizioni di lavoro”, per il quale il datore di lavoro ha l’obbligo contrattualmente assunto di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro. Tale disciplina, quale “norma di chiusura” del sistema, pone a carico del datore di lavoro uno speciale ed autonomo obbligo di protezione della persona del lavoratore e reca una previsione particolarmente ampia ed elastica, comprensiva non solo del rispetto delle condizioni e dei limiti imposti dalle leggi e dai regolamenti per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del lavoro, ma anche dell’introduzione e manutenzione delle misure idonee, nelle concrete condizioni aziendali, a prevenire infortuni ed eventuali situazioni di pericolo per il lavoratore, derivanti da fattori naturali o artificiali di nocività o penosità presenti nell’ambiente di lavoro, e che possano incidere non solo sul profilo dell’integrità psico-fisica dei lavoratori, ma anche a quello della loro personalità morale. 17

L’interpretazione della Alte Corti La giurisprudenza penale. Come accennato, nel contesto normativo nazionale non esiste una fattispecie di mobbing. Allo stato, le condotte di mobbing possono configurare fatti di reato nei casi in cui siano integrati fatti di violenza privata (art. 610 cod. pen.), lesioni personali (art. 582 cod. pen), morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.), istigazione al suicidio (art. 580 c.p.), molestie (art. 660 cod. pen.), molestie sessuali o violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), maltrattamenti (art. 572 c.p.). Ancora, singole azioni rientranti tra il mobbing possono configurare i reati di ingiuria o diffamazione (artt. 594 e 595 cod. pen.), abuso d’ufficio (art. 323 cod. pen.), condotta discriminatoria (art. 15 e 38 st.lav., e 4 d.lgs. 216 del 2003), restando poi applicabile l’aggravante comune ex art. 61 n. 11 cod. penale. 18

Ed infatti, la giurisprudenza delle Alte Corti ha meglio specificato i termini della questione, affermando la responsabilità penale del soggetto agente sotto differenti profili. In via generale, è stato affermato che «la condotta di mobbing suppone non tanto un singolo atto lesivo, ma una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti, anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti sia nell’esprimere l’ostilità del soggetto attivo verso la vittima sia nell’efficace capacità di mortificare ed isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro» (tra le altre, Corte di Cassazione Sez. I, n /2007). 19

In tale contesto ermeneutico, è stato riconosciuto che la condotta di mobbing «integra il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 cod. pen., e non invece quello di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 cod. pen.)», dovendosi riconoscere come tale «la condotta del datore di lavoro e dei suoi preposti che, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, abbiano posto in essere atti volontari, idonei a produrre uno stato di abituale sofferenza fisica e morale nei dipendenti, quando la finalità perseguita dagli agenti non sia la loro punizione per episodi censurabili ma lo sfruttamento degli stessi per motivi di lucro personale» (Corte di Cassazione, Sez. VI, n /2001). 20

Per converso, è stata invece esclusa la configurabilità di lesioni personali volontarie aggravate, nel caso di una «alterazione del tono dell’umore di un insegnante, riconducibile, secondo la prospettazione accusatoria, ad una condotta di “mobbing” posta in essere dal preside dell’istituto, senza specificare i singoli atti lesivi e causativi di tale malattia» (Corte di Cassazione Sez. I, n /2007). 21

Per altro aspetto, il mobbing è stato configurato come delitto di violenza privata, consumata o tentata, nel caso dei datori di lavoro che «costringano o cerchino di costringere taluni lavoratori dipendenti ad accettare una novazione del rapporto di lavoro comportante un loro “demansionamento”» (Corte di Cassazione, Sez. VI, n /2006). Ed ancora, «il mutamento di destinazione di una dipendente comunale dallo svolgimento delle mansioni di coordinatrice economa a quelle di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta, deliberato dal Sindaco in violazione dell’art. 56 D.Lgs. n. 29 del 1993» integra il delitto di «abuso d’ufficio» (Cassazione, Sez. VI, n /2007; Cassazione, Sez. VI, n /2007). 22

Infatti, a parere della Suprema Corte, la fattispecie di mobbing «presuppone una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare e a isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro; d’altra parte, tale fenomeno, così come definito, appare più prossimo alla fattispecie di cui all’art. 572 cod. pen. (maltrattamenti commessi da soggetto investito di autorità), la cui integrazione richiede, comunque, la ravvisabilità dei parametri di frequenza e durata nel tempo delle azioni ostili al fine di valutarne il complessivo carattere persecutorio e discriminatorio» (Cassazione, Sez. I, n /2007), commessi da soggetti posti in posizione di preminenza per motivi di lavoro, cura ed educazione, potendo dunque ricomprendere entro tali limiti sia la condotta del datore di lavoro verso il lavoratore, quanto quella dell’insegnante, del genitore, del tutore o del curatore, verso i fanciulli. 23

Per altro aspetto, il mobbing è stato configurato come delitto di violenza privata, consumata o tentata, nel caso dei datori di lavoro che «costringano o cerchino di costringere taluni lavoratori dipendenti ad accettare una novazione del rapporto di lavoro comportante un loro “demansionamento”» (Cassazione, Sez. VI, n /2006). Ed ancora, «il mutamento di destinazione di una dipendente comunale dallo svolgimento delle mansioni di coordinatrice economa a quelle di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta, deliberato dal Sindaco in violazione dell’art. 56 D.Lgs. n. 29 del 1993» integra il delitto di «abuso d’ufficio» (Cassazione, Sez. VI, n /2007; Cassazione, Sez. VI, n /2007). 24

In tale contesto, è evidente che la legislazione vigente non configuri un concetto unitario di mobbing, dovendo applicarsi la fattispecie che di volta in volta può essere stata consumata in concreto dal soggetto agente. E dunque, a nostro parere i fatti di mobbing trovano già ampia tutela penale, potendosi infatti applicare diverse fattispecie di reato, dalle meno gravi - come l’ingiuria - ad altre più rilevanti, come i maltrattamenti, le lesioni personali, od addirittura l’istigazione al suicidio o la morte come conseguenza di altro reato. 25

Senonché, da ultimo, è stato affermato che, in applicazione del principio di tassatività, «in mancanza di una specifica normativa, il mobbing non può trovare una tutela penale» (Cassazione, Sez. VI, n /2009). Il caso concreto posto all’attenzione della Suprema Corte presentava una condotta gravemente lesiva dei diritti del lavoratore, integrante comportamenti ostili, umilianti, ridicolizzanti e lesivi della dignità personale, tanto da procurare lesioni gravi e gravissime soprattutto a livello psichico. Tuttavia, a parere degli ermellini, tale comportamento non può essere «assimilato al reato previsto dall’art. 572 c.p.», in quanto tale reato prevede la reclusione da uno a cinque anni per chiunque, «maltratta una persona della famiglia, 26

o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte». Secondo tale prospettazione, mancherebbe la configurabilità della fattispecie, in quanto il lavoratore non può essere assimilato ad una “persona della famiglia” né a soggetto “affidato per l’esercizio di una professione o di un’arte”. 27

28 Come si manifesta Questa forma di violenza può manifestarsi con una molteplicità di comportamenti. impedire al lavoratore di esprimersi; isolare il lavoratore (privandolo dei mezzi di comunicazione: telefono, computer, posta.), bloccare il flusso d’informazioni necessarie al lavoro, estrometterlo dalle decisioni, impedire che gli altri lavoratori gli rivolgano la parola, negare la sua presenza, comportarsi come se il mobbizzato non ci fosse, trasferirlo in luoghi isolati o distanti (che lo obblighino a tragitti faticosi, etc.);

29 screditare il lavoratore attraverso attacchi contro la sua reputazione (ridicolizzarlo, umiliarlo, attaccare le sue convinzioni religiose, sessuali, morali, calunniare membri della sua famiglia); ridurre la considerazione di sé del lavoratore (privarlo degli status symbol; non attribuirgli incarichi; attribuirgli incarichi inferiori o superiori alle sue competenze; simulare errori professionali; avanzare continue critiche alle prestazioni o alle sue capacità professionali, anche di fronte a soggetti esterni, ma anche critiche soggettive; applicare sanzioni senza motivo apparente e senza motivazioni; affidare compiti volutamente confusi, contraddittori e/o lacunosi; mettere in atto azioni di sabotaggio, etc); compromettere il suo stato di salute (diniego di periodi di ferie o di congedo, attribuzione di mansioni a rischio o con turni massacranti etc);

30 segue Imporre ingiustificati cambi di mansioni; operare violenza o minacce di violenza. Spesso le pressioni violenze operate hanno lo scopo di indurre nelle vittime del mobbing reazioni “irragionevoli” che possono essere utilizzate al fine di promuovere contro di loro azioni disciplinari (fino al licenziamento) Molte delle azioni, sopra elencate, se isolate e non ripetute, possono avere luogo anche in condizioni normali, ed essere dettate da cause contingenti. Si parla, però, di mobbing quando una o più di queste azioni diviene sistematica ed a lungo termine.

31 In sintesi. Tipologie di mobbing Mobbing di tipo verticale: quando la violenza psicologica viene posta in essere nei confronti della vittima da un superiore (nella terminologia anglosassone questa forma viene anche definita bossing o bullying ); Bossing: azione compiuta dall’azienda o dalla direzione del personale nei confronti di dipendenti divenuti scomodi. Si tratta dunque di una strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione degli organici (detto anche mobbing pianificato); Bullying: indica i comportamenti vessatori messi in atto da un singolo capo.

32 Una sintetica definizione giuridica di “mobbing” Una forma di molestia o violenza psicologica esercitata quasi sempre con intenzionalità lesiva, ripetuta in modo iterativo, con modalità polimorfe finalizzate ad estromettere il soggetto dal posto di lavoro.

Inquadramento giuridico della fattispecie. Gli strumenti giuridici di tutela 33

34 Prima ipotesi Una prima corrente di pensiero ritiene sufficiente l’armamentario di tutela esistente nel nostro ordinamento giuridico: la novità del mobbing consisterebbe in un mutamento di impostazione, vale a dire la considerazione unitaria e non più frammentata di comportamenti miranti a ledere la dignità morale del lavoratore sul luogo di lavoro; secondo questa opinione si tratta di comportamenti antigiuridici che tuttavia già trovano adeguati rimedi nella legislazione vigente (tutela antidiscriminatoria, tutela della professionalità, strumenti di informazione e prevenzione contro atti e comportamenti lesivi del benessere psicofisico, tutela contro i licenziamenti ecc.).

35 Seconda ipotesi Occorre un intervento legislativo ad hoc. Strada intrapresa dalla Regione Lazio. La Corte Costituzionale (sent. 359/03) ha dichiarato incostituzionale tale intervento (ordinamento civile/competenza esclusiva non concorrente).

36 Prima ipotesi si è attinto all’apparato tradizionale di norme inderogabili di protezione del lavoratore subordinato per reprimere comportamenti che oggi vengono – assieme ad altri - ricondotti alla cornice più generale del mobbing. La norma sul divieto di dequalificare il lavoratore, adibendolo a mansioni inferiori a quelle sue proprie è stata la norma più utilizzata per reprimere, in passato, questi comportamenti

37 L’apertura di nuovo orizzonte l’approdo a quella che è ormai la norma più utilizzata in caso di mobbing – l’art c.c. (norma sugli obblighi di sicurezza del datore di lavoro) ora coadiuvato dal permanente richiamo dell’art c.c. (e cioè della norma sul divieto di demansionamento);

38 Meccanismi di imputazione della responsabilità I criteri di imputazione della responsabilità sono talmente sofisticati che, sebbene tali comportamenti possano non provenire direttamente dal datore di lavoro, sarebbero comunque a lui imputati, sulla base di meccanismi generali e speciali presenti nel nostro ordinamento (la culpa in vigilando, in eligendo, le norme sulla responsabilità datoriale contenute nel d.lgs. 626 ecc.). Pronuncia del Tribunale di Torino del , in cui per la prima volta si dà rilevanza a comportamenti antigiuridici qualificati unitariamente come mobbing, e si predispongo rimedi risarcitori in relazione al danno biologico procurato alla vittima di isolamento, angherie e violenze morali, sembrerebbero confermare questa impostazione.

Il mobbing può essere perseguito e la vittima tutelata anche senza bisogno di una disciplina speciale: sembrerebbe questo il messaggio più significativo proveniente da quella pronuncia 39

40 I rimedi tradizionali i repertori sono pieni di sentenze in cui i giudici hanno posto rimedio - con un ordinario e fisiologico ricorso alla normativa di tutela esistente e attraverso un accorto uso della interpretazione adattiva ed evolutiva - ad una serie di episodi di mobbing violento, estremo o degenerato (reitera ingiustificata di provvedimenti disciplinari, isolamenti e inattività forzosa per indurre alle dimissioni, licenziamento diffamatorio, dimissioni procurate con mezzi subdoli, trasferimenti ricattatori, molestie sessuali ecc.).

41 Ma quando si è di fronte ad un comportamento qualificabile come mobbing? La fattispecie che non c’è. Tutto è mobbing niente è mobbing

42 Una possibile ricostruzione a) Il mobbing dovrebbe ricadere per intero nell’aerea della tutela della salute e sicurezza: è questa la sua collocazione naturale. Costituisce una sorta di nuova frontiera del diritto alla salute che comprende per intero anche gli aspetti più sottilmente psicologici che hanno difficoltà ad essere compresi nella regolamentazione della direttiva quadro del 1989 Ma anche nell’area dell’illecito civile per i comportamenti non imputabili al datore b) La fattispecie mobbing deve essere qualificata teologicamente: deve essere il risultato di una attività, di una sequenza di atti (non un semplice episodio ancorché grave), collegati da uno scopo: la distruzione psicologica o l’espulsione del soggetto mobbizzato.

43 Obiezione: un singolo atto? E’ vero che, in astratto, anche un atto isolato, ma particolarmente grave, può essere qualificato come mobbing se è lesivo dei beni tutelati (la personalità morale, la dignità); Secondo alcuni il riferimento ad una somma di atti teleologicamente orientati ha solo “una valenza descrittiva, più che rigorosamente definitoria” è difficile immaginare il mobbing come atto singolo che non si possa reprimere autonomamente inquadrandolo in un’altra fattispecie tipica: licenziamento ingiurioso, demansionamento, per esempio [o, anche, nei casi di maggiore gravità in una fattispecie penale (ingiuria: a. 594 c.p.; diffamazione: a. 595 c.p., per esempio)].

44 Terzo elemento c) La fattispecie mobbing, proprio perché si realizza attraverso una attività teologicamente orientata, deve essere caratterizzata da un ordito, da un trama, posta in essere dagli autori o degli autore (il mobber) che deve essere riconosciuta oggettivamente tale ; in alternativa deve essere disvelata dal soggetto che lo subisce anche attraverso il sistema delle presunzioni semplici (ma questa è questione legislativamente regolabile). Occorre lo scopo o basta l’effetto? Occorre dare rilevanza al comportamento dell’autore o è sufficiente l’effetto sulla vittima?

45 Quarto elemento d) Il mobbing è attività antigiuridica che si evidenzia attraverso una sequela di atti che singolarmente considerati possono essere anche legittimi (collocare volutamente un lavoratore in una posizione a lui palesemente sgradita o inadatta professionalmente, affidargli obiettivi irraggiungibili, isolarlo fisicamente ecc.).

46 Mobbing e tutela della salute il mobbing deve ricadere per intero nell’area della tutela della salute e della sicurezza: questa è la sua collocazione più naturale. il mobbing «costituisce una sorta di nuova frontiera del diritto alla salute»; questa l’impostazione è confermata da una serie di segnali provenienti dall’ordinamento comunitario già la Risoluzione del Parlamento Europeo sul mobbing, del 2001, era chiara in proposito

47 Il danno I danni da mobbing – lo si legge nelle sentenze dei giudici del lavoro – possono essere danni patrimoniali (nella doppia veste di danni emergenti e di lucro cessante: spese mediche sostenute; perdita di chance lavorative, di carriera), biologici (se c’è lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertata) e esistenziali.

48 esempio Tribunale Trieste, 10 dicembre 2003 Il comportamento del datore di lavoro consistente in atti vessatori nei confronti del lavoratore compiuti al fine di isolarlo e denigrarlo integra gli estremi del c.d. mobbing ed obbliga il datore di lavoro a risarcire il danno biologico. Viola l’articolo 2087 del codice civile l’ente pubblico che omette di salvaguardare la professionalità, il ruolo, la dignità personale, la salute del proprio funzionario, consentendo al superiore – Segretario generale di continuare e perseverare nell’illecita condotta persecutoria nei confronti del sottoposto. Le conseguenze del danno devono ritenersi molteplici in quanto relative alla potenzialità economica (danno patrimoniale puro), alla salute psicofisica (danno biologico e morale), alla dimensione professionale(danno d’ordine professionale e d’immagine). Con riguardo al danno professionale la quantificazione del danno avviene riguardo ad una percentuale della retribuzione mensile che nel caso in esame, considerata la gravità della condotta attuata, è determinata equamente nella misura del 100% della retribuzione mensile. La responsabilità dell’ente pubblico è piena e duplice, contrattuale ai sensi degli articoli 2087 e 1228 del codice civile, ed extracontrattuale in base agli articoli 2043 e 2049 del codice civile, è indiretta (per fatto del proprio dipendente) è diretta per fatto (omissivo) proprio. Ad essa si aggiunge in veste solidale quella del Segretario generale.

49 Contro il danno esistenziale In un provocatorio saggio critico nei confronti del danno esistenziale, Gazzoni si diverte ad immaginare una serie di «perdite» di tipo esistenziale, di pregiudizi alla serenità di vita dell’individuo (nel ns. caso del soggetto mobbizzato) che diventerebbero così risarcibili a discrezione del giudice: “la perduta possibilità di scrivere lettere d’amore (…); di andare a passeggio (…), di incontrarsi con gli amici; di scrivere romanzi d’appendice(…)” e quant’altro; il giudice diventerebbe, alla fine, una sorta di Babbo Natale incontrollabile alle cui pulsioni finirebbe per essere affidato il danneggiato

50 La Corte di Cassazione recente Corte di Cassazione sentenza del … Come è stato più volte affermato da questa Corte, per mobbing si intende comunemente «una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità». Ai fimi della configurabilità di tale condotta sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;

b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (cfr., in questi termini, Cassazione 17 febbraio 2009 n. 3785; Cassazione 17 gennaio 2014 n. 898). Tali elementi, la cui prova è a carico del lavoratore in applicazione del principio generale di cui all'art cod. civ., nella specie sono rimasti assolutamente indimostrati, non avendo la ricorrente - al di là dei dedotti provvedimenti asseritamente dequalificanti - nemmeno specificato gli elementi di fatto e le circostanze di luogo e di tempo in cui si sarebbero verificati i comportamenti vessatori. 51

Corte di Cassazione sentenza 898 del Va innanzi tutto ribadito - in riferimento al regime precedente all'art. 4 d.lgs. n. 216/2003 che alla fattispecie in esame non si applica che per "mobbing" si deve intendere una «condotta del datore di lavoro che, in violazione degli obblighi di protezione di cui all'art c.c., consiste in reiterati e prolungati comportamenti ostili, di intenzionale discriminazione e di persecuzione psicologica, con mortificazione ed emarginazione del lavoratore». Ossia si intende - come già affermato da questa Corte (Corte di Cassazione 17 febbraio 2009, n. 3785): 52

«una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità» 53

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro rilevano i seguenti elementi, il cui accertamento costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato: a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutori o, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; 54

c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio. Elementi questi che il lavoratore ha l'onere di provare in applicazione del principio generale di cui all'art c.c. e che implicano la necessità di una valutazione rigorosa della sistematicità della condotta e della sussistenza dell'intento emulativo o persecutorio che deve sorreggerla (Corte di Cassazione 26 marzo 2010, n. 7382). 55

Corte di Cassazione sentenza 3256 del … alla stregua dell'orientamento interpretativo di questa Corte, pur dalla ricorrente stessa richiamato, in base al quale si ha mobbing allorché sia ravvisabile da parte del datore o di un superiore gerarchico «un atteggiamento sistematico e protratto nel tempo di ostilità verso il dipendente che si concreti in una molteplicità di comportamenti così da tradursi in forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica tali da indurre la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente (vedi, da ultimo, in questi termini Cassazione n /2014, Cassazione n. 898/2014, Cassazione n. 3785/2009) 56

Corte di Cassazione, 6 agosto 2014, n La Corte ( poi ripresa da Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 15 febbraio 2016, n ) quale ha ribadito che «ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere:Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 15 febbraio 2016, n a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi» (conformi, Corte di Cassazione, sentenza 17 gennaio 2014, n. 898 e Corte di Cassazione, sentenza 17 febbraio 2009, n. 3785). Ne consegue che il fenomeno del mobbing, per assumere giuridica rilevanza, implica l'esistenza di plurimi elementi, la cui prova compete al prestatore di lavoro, di natura sia oggettiva che soggettiva e, fra questi, l'emergere di un intento di persecuzione, che non solo deve assistere le singole condotte poste in essere in pregiudizio del dipendente, ma anche comprenderle in un disegno comune e unitario, quale tratto che qualifica la peculiarità del fenomeno sociale e giustifica la tutela della vittima. 57

Corte di Cassazione sentenza del … Con la terza critica i ricorrenti, allegando violazione degli artt. 1218, 2087, 2043 e 2697 cc, nonché vizio di motivazione, sostengono che le risultanze processuali non fanno emergere nel caso di specie una fattispecie riconducibile a quella tipica del mobbing. La critica è infondata. Richiamate le considerazioni, di cui all'esame del precedente motivo di ricorso, concernenti la valutazione delle risultanze processuali, devesi rimarcare che la Corte del merito pone a base del proprio decisum anche le risultanze della perizia, allegata agli atti, eseguita in sede penale da uno dei massimi esperti di mobbing che, esaminata la vicenda lavorativa della Di Mizio aveva riscontrato la presenza contestuale di tutti e sette i «parametri tassativi» di riconoscimento del mobbing che sono «l'ambiente; la durata, la frequenza, il tipo di azioni ostili, il dislivello tra gli antagonisti, l'andamento secondo fasi successive, l'intento persecutorio», parametri questi di cui la Corte territoriale trova riscontro, come detto, nelle risultanze istruttorie. 58

Corte di Cassazione sentenza 8025 del Va considerato che alla base della responsabilità per mobbing lavorativo si pone normalmente l'art cod. civ., che obbliga il datore di lavoro ad adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità psicofisica e la personalità morale del lavoratore, per garantirne la salute, la dignità e i diritti fondamentali, di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost.. Come risulta dalla stessa definizione del fenomeno, se anche le diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultano, pertanto, complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l'equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificare la sua dignità, ciò non esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorché finalisticamente non accumunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente, lesive dei fondamentali diritti del lavoratore, costituzionalmente tutelati (cfr, al riguardo, Corte Cass n e Corte Cass n ). 59