Il cinema come “arte”: un problema della cultura novecentesca Il complesso caso del film Senso di Luchino Visconti (1954)

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Transcript della presentazione:

Il cinema come “arte”: un problema della cultura novecentesca Il complesso caso del film Senso di Luchino Visconti (1954)

Il cinema, ad un certo punto della sua storia (gli anni ’20) incontra la cultura alta e diventa (nella sua doppia forma di ricerca artistica e fenomeno popolare) l’espressione più peculiare del secolo XX. Studiarlo vuol dire tanto indagare i modi con cui esso si è espresso nelle sue forme più consapevoli quanto esplorare la distanza col nostro presente.

CINEMA LETTERATURAARCHITETTURAPITTURATEATROMUSICA ARTI MINORI (tessitura, oreficeria, ecc.) BALLETTOURBANISTICA

Più nello specifico …. Incrocio tra molte arti di cui usa codici per elaborarli in una creazione originale dal punto di vista dell’espressione. Il cinema ha natura ambigua e proteiforme (industria o arte, creazione individuale o collettiva, raffinata o popolare) e quindi è diventata l’arte più caratteristica del secolo scorso, prima osteggiata dagli intellettuali benpensanti (che la valutavano un divertimento plebeo) poi accostata dai più significativi uomini di cultura (per restare in ambito italiano, i Futuristi, Pirandello, Moravia, Soldati, Pasolini, ma all’estero possiamo parlare di Picasso, Dalì e i Surrealisti, etc). ne sono stati catturati e affascinati perché arte nuova di cui intuivano le immense potenzialità La sua natura collettiva lo ha reso preda del potere politico ma anche strumento di espressione e affermazione della libertà.

Alcuni problemi teorici Questa splendida forma d’arte è, forse, anche la sintesi di quello che la cultura ottocentesca ha sempre cercato: l’arte totale teorizzata da Wagner (1851 in Opera e dramma la rottura dei confini tra le varie arti, per lasciare che esse comunichino sotto la guida della musica; abbattimento degli ambiti disciplinari). Si parla di rapporto tra cinema e pittura, cinema e letteratura, cinema e musica. Proviamo a leggere il rapporto da un altro punto di vista: se il cinema fosse la realizzazione di quell’arte totale, che integra e sussume tutte le arti? Prima e diversa dal multimediale, può rappresentare l’arte più ambiziosa del XX secolo? Arte di massa, non ritualizzata e tendenzialmente popolaresca o plebea, ma anche riflessione sull’esistere e sulla storia. Il cinema è creazione collettiva (molteplicità di tecnici oltre che di codici) lavorazione manuale e artigianato; è arte nel senso di quelle technes che per lungo tempo furono giudicate arti non “liberali”.

Perché questo film? Anzitutto chi è Luchino Visconti (1906/1976) figlio del duca Visconti di Modrone e di Carla Erba Cosa rappresenta questo film nella cinematografia italiana Come un regista crea un capolavoro lavorando con i tecnici e gli attori

Cosa vogliamo dimostrare? Che il cinema può essere una forma d’arte molto complessa e il film è espressione artistica frutto della coscienza altissima che Visconti aveva del suo lavoro: il suo intento è una riflessione sull’uomo e sulla Storia. Che questo film è, come voleva Visconti, un esempio di “arte totale”: per Visconti è la sintesi delle arti, tutto deve concorrere alla creazione dell’opera cinematografica che prende senso proprio attraverso i segni che mandano le varie arti. Film come produzione: compromessi con la produzione (il film serve per far soldi, dopotutto!)

L’opera totale - Gesamtkunstwerk L’arte totale è teorizzata da R. Wagner Gli Scapigliati italiani furono tra i primi ad adottarne i modi e il testo narrativo da cui prende il via il nostro discorso è la novella Senso, scritta da Camillo Boito ( ), autore tardo-scapigliato.

Il primo aspetto: la letteratura Letteratura: il soggetto è abbastanza fedele al racconto di Camillo Boito (1885); moltissimo nello spirito meno nella trama. Il racconto è scritto da Camillo Boito, autore minore “scapigliato” che, come tutti i suoi sodali, riflette amaramente sulla disillusione storica post – unitaria che attraversò la classe intellettuale italiana. A grandi linee questo è il messaggio di questo racconto lungo. La giovane contessa Livia, moglie di un vecchio funzionario austriaco (italiana di stirpe), si innamora di un giovane ufficiale austriaco. In verità si tratta soprattuto di una forte attrazione fisica, comunque sia l’ufficiale la sfrutta soprattutto quando, allo scoppio della guerra (la cosiddetta Terza guerra di Indipendenza del 1866), vuole evitare di andare a combattere. Ma Remiglio usa il denaro di Livia anche per mantenere a casa sua una prostituta. Livia lo denuncia e Remiglio viene fucilato. La trama è però nulla in confronto con la vera natura della vicenda, bellissima e raccontata benissimo: i tre personaggi principali sono brutte persone, avide, ipocrite, senza sentimenti, in balia di passioni autodistruttive.

Visconti quindi su questa base crea un racconto che per alcuni aspetti si stacca dal modello: cambia il nome dell’ufficiale austriaco (da Remiglio Ruiz a Franz Mahler) crea un contraltare a Remigio (è il suo rivale ma è “asessuato”: è infatti cugino di Livia, interpretato da un “bello” del cinema di allora, Massimo Girotti): l’eroe risorgimentale, che crede nella patria e per essa si sacrifica; per giustificare la passione cieca di Livia l’attrice che la interpreta (Alida Valli) è più vecchia dell’attore che interpreta Remigio - Franz. Ella cioè amerebbe in maniera così forte perché è più vecchia. Visconti rende più “accettabile” ciò che Camillo Boito lascia invece inespresso: ossia il perché di un amore così intenso e folle (ma già nel racconto i commilitoni di Remiglio non sanno spiegarsi il comportamento di Livia e credono infatti essa sia una vecchia)

Differenze nella trama: Visconti fa emerge ciò che nel testo è implicito o alluso o sottinteso Rende chiara la dimensione storica del racconto di Boito facendo emergere il ruolo dell’aristocrazia (e del popolo) nel Risorgimento; poi Visconti tramuta la delusione per il Risorgimento tradito nel ruolo ambiguo delle classi dirigenti nella Resistenza per sancire il fallimento dell’uno e dell’altra. Nel film il conte Ussoni, difendeva l'importanza del coinvolgimento popolare; il capitano Meucci rifiutava quel coinvolgimento sostenendo che «l'esercito regolare basterà alla Patria». Questa scena è stata tagliata dalla censura per volontà del ministero della Difesa e non è mai stata reintegrata in nessuna edizione restaurata, neppure nell’ultima versione del 2007 (mi pare). Il titolo originale era Custoza ma è stato censurato Nel finale non vi era la fucilazione dell’austriaco ma fu reintegrata. Riflettere sul ruolo della censura nell’industria cinematografica degli anni ’50 e ’60 e peso che ha tutt’ora (es, nella programmazione di film in “fascia protetta”!!!). Il tema del tradimento delle “rivoluzioni italiane” era caro al Pci e ai suoi intellettuali (tra cui Visconti). La struttura basata sui tradimenti è in Boito (ma Visconti ne aggiunge uno: Livia tradisce Ussoni e la Patria): due rivoluzioni tradite e il tradimento degli amanti è la costante del testo.

Un racconto fatto per il cinema Una predisposizione all’iconicità è nel racconto di Boito (e Visconti, in qualche nodo, non fa che sfruttarla): “La moglie del Luogotenente volle condurmi un giorno a vedere la galleria dell'Accademia di belle arti: non ci capii quasi nulla (…) ma allora, benché non sapessi niente, quell'allegrezza di colori, quella sonorità di rossi, di gialli, di verdi e di azzurri e di bianchi, quella musica dipinta con tanto ardore di amor sensuale non mi sembrò un'arte, mi sembrò una faccia della natura veneziana; e le canzoni, che avevo udito cantare dal popolo sboccato, mi tornavano nella memoria innanzi alla dorata Assunta di Tiziano, alla Cena pomposa di Paolo, alle figure carnose, carnali e lucenti del Bonifacio … Le stelle impallidivano, si diffondeva intorno un albore giallastro (…) e nello stesso punto mi accorsi che Remigio era nudo fino alla cintura, e quelle braccia, quelle spalle, quel collo, tutte quelle membra, che avevo tanto amato, m'abbagliarono. Mi volò nella fantasia l'immagine del mio amante, quando a Venezia, nella Sirena, pieno di ardore e di gioia, m'aveva stretta per la prima volta fra le sue braccia d'acciaio. Un secondo frastuono mi scosse: sul torace ancora palpitante e bianco più del marmo s'era slanciata una donna bionda, cui schizzavano addosso i zampilli di sangue.

Visconti sancisce la fine della cultura ottocentesca mitteleuropea che qui è segnata dalla musica di Bruchner e dall’ambientazione veneziana che diventerà segnale decadente per eccellenza (Thomas Mann di Morte a Venezia, pubblicato nel 1900, non a caso trasposto cinematograficamente una ventina di anni dopo dallo stesso Visconti): “cosa m’importa che i miei compatrioti abbiano vinto oggi una battaglia in un posto chiamato Custoza, quando so che perderanno la guerra e non soltanto la guerra e l’Austria tra pochi anni sarà finita e un intero mondo sparirà, quello a cui apparteniamo tu ed io. E il nuovo mondo di cui parla tuo cugino non ha alcun interesse per me.” La morale del film è recitata da un personaggio così amorale: perché? Visconti è insieme Ussoni e Mahler, il bene e il male. Come gli specchi sono elemento più volte presentato a sottolineare la natura doppia dei personaggi e della natura umana. Da eroe scapigliato a eroe decadente

L’arte totale Melodramma: il racconto si snoda come in un melodramma (amore, patria, morte tradimento) e a teatro con la rappresentazione di un melodramma verdiano (Il Trovatore) si apre il film (poi scandito da altre musiche, es. Bruchner) e teatro: la rappresentazione del Trovatore Scenografia e architettura: villa Godi - Malinverni (la prima villa veneta progettata dal Palladio) e Venezia (il ghetto). Pittura: è un trionfo della pittura della metà dell’Ottocento: Hayez, Fattori, Signorini, Lega, ecc.

Architettura e scenografia Il valore simbolico della scenografia: il teatro iniziale (la Fenice); distrutto da un incendio nel 1996nel restauro sono state utilizzate queste scene i percorsi in città (ruolo che ha Venezia), città scura e angosciante gli elementi scenografici vengono utilizzati da Visconti e Ottavio Scotti (lo scenografo) sempre in maniera artificiosa e antinaturalistica. La villa: casa - teatro viene sottolineata dagli splendidi affreschi della villa, che fanno da veri e propri “fondali di scena”, davanti ai quali Franz recita la parte dell’innamorato. La villa è Villa Godi Valmarana (oggi Malinverni) di Lugo di Vicenza, la prima progettata da Palladio. Ambienti molto vari e scenografici (il granaio, la stanza della contessa, il porticato), le pitture e le fughe delle sale sottolineano la perdita di riferimenti e l’artificiosità dei personaggi. I personaggi sono spesso collocati nelle prospettive delle porte e delle finestre così da teatralizzare lo spazio (ma anche specchi, tendaggi, creazioni illusionistiche e fantastiche.

Il melodramma Verdi come segno dell’ottocento italiano Melodramma: sentimenti sono eccessivi come nel melodramma. Questo voleva Visconti I personaggi, nei rapporti tra loro, recitano una parte (l’amante innamorato, il vecchio marito lubrico e stupido, la giovane annoiata) ben riconoscibile come a teatro. Lo specchio: il doppio dalla realtà. Tra cinema e teatro, o meglio tra cinema e opera lirica, questo grazie soprattutto alla sequenza alla Fenice, tra l’altro scelta come incipit in posizione quindi altamente significativa, dove viene rappresentato questo contraddittorio rapporto: osservate i movimenti di macchina: dallo sguardo sul teatro allo sguardo dal teatro, in un cortocircuito tra realtà e finzione nella finzione. Il melodramma è la seconda chiave di lettura del film. Osservate l’interpretazione degli attori: recitano melodrammaticamente, sopra le righe, in particolare la Livia (Alida Valli) e il cugino Ussoni (Massimo Girotti); Franz Mahler (Farley Granger) usa il registro romantico/ melodrammatico solo quando vuole ingannare Livia, se no recita naturalisticamente. Granger deve tenere ben distinti i due toni: quando recita la parte dell’ufficiale e quando l’ufficiale recita la parte dell’innamorato

Villa Godi - Malinverni Camera di Venere

La musica Sinfonia n. 7 in mi maggiore composta proprio nel 1865 da Anton Bruchner, erede di Richard Wagner.

La pittura e l’uso del colore Riferimenti alla pittura: Hayez, Fattori, Lega, Signorini (esempi) Technicolor nuovo che impiega il colore in funzione drammatica o espressiva, con toni sbiaditi dall’oro al rosa, al giallo al verde marcio di quella Venezia notturna Prati aperti e le colline di Custoza disseminate di combattenti e di morti, mentre attorno si continua a falciare il grano, Grigio piombo punteggiato delle fiaccole che fungono da luce naturale della scena finale. a Venezia

Gli attori Marlon Brando era la prima scelta per Franz ma non era disponibile e si optò per Farley Granger (trentenne all’epoca), poi doppiato da Enrico Maria Salerno Alida Valli fu la prima scelta per il ruolo di Livia anche perché proveniva da una famiglia nobile (all’anagrafe era Alida Maria Laura Altenburger baronessa von Marckenstein und Frauenberg) (trentaseienne all’epoca)

I costumi e Piero Tosi Il desiderio di Visconti - ha scritto lo stesso Tosi - era avere gente viva, vera, in flagranza di fronte alla macchina da presa. Il costume non elemento esteriore e decorativo, ma brandello di storia, vita. La stretta collaborazione tra il regista e il costumista permise di sottolineare le pulsioni, i sentimenti, poi l’habitus dei personaggi e questo grazie d’un lato ad una puntuale interpretazione dei dipinti della storia dell’arte del secondo Ottocento, in particolare italiano, dall’altro ad una metodica ricerca – documentaria e repertoriale - di abiti ed accessori dell’epoca.

La pittura Alcuni quadri di soggetto militare di Giovanni Fattori e di ambientazione domestica di Silvestro Lega, Vito D’Ancona, Esempi più clamorosi: La visita di Silvestro Lega, La toilette del mattino di Telemaco Signorini, Il Bacio di Francesco Hayez, alle quali si ispirano i personaggi femminili del film Finale

Letteratura, pittura e cinema in Senso di Luchino Visconti

Telemaco Signorini: La toilette

Senso a Borghetto sul Mincio

Perché ne parliamo? Siamo nel terzo millennio: il secolo scorso è il 1900: possiamo parlare di cinema con sguardo da storici e non da giornalisti? Che cosa è rimasto di questa forma comunicativa? Il cinema è incredibilmente semplice (una storia narrata per immagini, come già faceva Giotto nelle storie di San Francesco ad Assisi) ma implica l’attività di decine di specialisti; è arte (indagine sulla realtà, sperimentazione di nuove espressioni per parlare di sé e della vita) e industria; è intuizione individuale che diventa creazione collettiva: è divertimento da baracconi che può essere fruito nella baraonda della sala parrocchiale o degustato in eleganti salette d’essai. La natura ambigua e proteiforme (industria e arte, creazione individuale e collettiva, raffinata e popolare) ne ha fatto l’arte più caratteristica del secolo scorso, prima osteggiata dagli intellettuali benpensanti (che la valutavano un divertimento plebeo) poi accostata dai più significativi uomini di cultura (per restare in ambito italiano, i Futuristi, Pirandello, Moravia, Soldati, Pasolini, ma all’estero possiamo parlare di Picasso, Dalì e i Surrealisti, etc). La sua natura collettiva lo ha reso preda del potere politico ma anche strumento di espressione e affermazione della libertà.

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