1 Sociologia economica del welfare Piera Rella -17 marzo corso di laurea in Programmazione Gestione e Valutazione dei Servizi Sociali PROSS- I anno 12 crediti formativi (inclusi 6 Accorinti sul welfare locale) – gruppo disciplinare SPS/09 Dal 2 marzo al 26 maggio Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche Ricevimento stanza B12 dopo la lezione di giovedì
Abbiamo visto ieri Modelli di welfare e diversi modelli di sviluppo del capitalismo (Burroni) Trasformazione dei rischi sociali e stazionarietà del welfare il primo capitolo del testo a cura di Ascoli, Il welfare in Italia
Le politiche di welfare non hanno subito cambiamenti Inerzia del nostro sistema di welfare: in sanità si spende meno che negli altri grandi paesi Ue per la tutela della disabilità e ancor meno in indennità di disoccupazione, e spesa sociale in senso stretto Spesa sociale per famiglie e infanzia più a rischio con la crisi non è aumentata Manca un Rmi
conclusioni Le disuguaglianze tra i diversi gruppi sociali si sono approfondite in un gioco a somma 0, in cui i perdenti sono i < 16 anni, i giovani, i lavoratori temporanei, le famiglie monoreddito, i non autosufficienti e coloro che li accudiscono, i ceti medi I vincitori: ricchi, dirigenti, imprenditori professionisti,pensionati Il welfare non ha attenuato le sofferenze degli sconfitti per Inerzia delle politiche pubbliche (visione benevola) Propensione a rispondere agli interessi degli insiders (Ranci, Migliavacca)
Le politiche socio assistenziali di Yuri Kazepov Cap4 del testo a cura di Ascoli, Il welfare in Italia (+ riferimenti a Madama Le politiche di assistenza del welfare)
Cos’è l’assistenza sociale e come è cambiata Le politiche socio-assistenziali vanno dalle misure contro la povertà a quelle che servono a integrare i servizi socio assistenziali territoriali E’ la parte più antica del welfare che risale alla Poor Laws →obbligo delle parrocchie locali di assistere i propri poveri (misura paternalista per ga- rantire ordine pubblico)↓→contenere vagabondaggio stigma per le persone
2° generazione di politiche sociali 2° generazione: dopo rivoluzione francese e industriale assunzione di responsabilità da parte dello stato → secolarizzazione assistenza e istituzionalizzazione diritti bisognosi. Specie nel dopoguerra definizione di soglie di povertà considerate inaccettabili → erogazione di un sussidio a fronte di una prova dei mezzi → universalismo selettivo Nel 1995 i trasferimenti assorbivano tra il 90 e il 95% della spesa assistenziale: bisogna incrementare i servizi a livello territoriale e definire i LEP (livelli essenziali di prestazioni
3° generazione di politiche sociali 3° generazione: nuovi rischi sociali a seguito della transizione demografica (bassi tassi fertilità, instabilità matrimoniale e processi migratori) e crisi socio economica (disoccupazione etc) → diritto “vincolato” si diffonde in tempi diversi nella Ue → politiche di attivazione ( ti do il sussidio se sei disponibile a lavorare o a formarti) e rifiuto termine assistenza sociale (ad sistere = stare vicino). Difficoltà e ritardi italiani dato che neanche quelle di 2° generazione erano consolidate
Le misure di assistenza sociale in Europa Inizio anni ’70 ultima rete di sostegno contro la povertà (con generosità variabile e diversi criteri di accesso) diffusa nella maggior parte paesi Ue. Asili nido e assistenza domiciliare anziani nei paesi nordici (sviluppati nell’Europa continentale negli anni ’90). I paesi mediterranei sono ancora più in ritardo. Manca un Rmi → Forti responsabilità alla famiglia → funziona finché il capo famiglia ha un reddito sufficiente e la donna svolge compiti di cura
Come si passa a forme assistenziali di 3° generazione L’aumento della disoccupazione, specie di lungo periodo fa aumentare l’uscita dalla protezione previdenziale e l’entrata nell’assistenza sociale → politiche di attivazione ↙↘ Promozione personalitàobbligo lavorativo Inclusione socialecondizione x il sussidio Paesi nordici (continentali) paesi anglosassoni Ovunque cresce il ruolo degli attori regionali e diminuisce quello dello stato
Le politiche di assistenza sociale in Italia “Diritto al mantenimento e all’ assistenza per chi è inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi” ( art.38 Costituzione) Nonostante ciò molti aspetti critici nel welfare italiano 1)Categorialità e frammentarietà 2)Squilibrio distribuzione spesa pubblica per poca capacità redistributiva, risorse scarse e gestione disorganica → poca efficacia nel ridurre povertà e disagio 3)particolarismo clientelistico: ad es. pensioni di invalidità quintuplicate dal 1960 al 1980, merce di scambio sul mercato clientelare tanto da superare nel 1974 quelle di vecchiaia
Difficolta’ nell’applicare le forme assistenziali di 2°generazione L’AS tra stato e chiesa (Madama) Dpr 616/1977 Regioni ed enti locali acquisiscono competenze in tema di assistenza e beneficienza incluse beni e personale Ipab Lungo contenzioso sulle Ipab che ne bloccò di fatto l’attuazione fino al 2001
Discrezionalità e sussidiarietà passiva Elevata discrezionalità degli operatori sociali per scarsa esigibilità dei diritti e in funzione di limitare la spesa Sussidiarietà passiva: attribuire responsabilità a famiglie, terzo settore, enti locali, senza attribuire risorse adeguate (ad es. assegni familiari bassi e limitati a lavoratori dipendenti a basso reddito) ↓ Le politiche di assistenza sociale esprimono più di altre la debolezza del welfare
Gli anni ’80 tra crisi economica e de-sincronizzazione delle riforme Assistenza sociale e politiche per il lavoro non sincronizzate → aumento differenze territoriali Assistenza sociale schiacciata tra un sistema pensionistico ingombrante e uno sanitario poco efficiente 1989 primo tentativo di risolvere l ’ ambigua divisione tra previdenza e assistenza Seguono diverse leggi di riforme parziali prima della legge quadro
Gli anni ’90: le pressioni della Ue e le speranze di cambiamento Pressione Ue dopo il trattato di Maastricht Legge 285/1997 Disposizioni per la promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza → interventi socio-educativi di prevenzione del disagio La commissione Onofri nominata nel 1997 dal I governo Prodi per una riforma dello stato sociale ↓ Diagnosi: spesa inadeguata, elevata frammentazione istituzionale e categoriale, sovrapposizioni funzionali; eccessivo ricorso ai trasferimenti a discapito dei servizi, differenziazione territoriale, assenza di una rete di sicurezza sociale di ultima istanza Incremento risorse Proposte di riforma ↕ Razionalizzazione interventi
La sperimentazione del RMI Nel 1999 si sperimenta in 39 comuni per 1 biennio una misura assistenziale di 3° generazione, ispirata al Rmi francese che prevedeva misure attive di inserimento nel lavoro con percorsi psicologici e formativi Nel 2001 si estende la sperimentazione a 267 comuni che facevano parte di patti territoriali per un altro biennio → Al Sud lavori di pubblica utilità → al Nord inserimento lavorativo protetto
Criticità della sperimentazione per scarso coordinamento inter-istituzionale 1.Mancanza accompagnamento comuni 2.Scarso coordinamento interistituzionale per controllare le dichiarazioni dei richiedenti 3.Chi dichiara di non avere reddito viene considerato un lavoratore in nero (danno per i veri disoccupati) 4.Mancanza personale formato a gestire situazioni multiproblematiche o comunque un progetto di reinserimento 5.Incapacità (o maggiore difficoltà ) di creare circoli virtuosi di reinserimento professionale proprio al Sud 6.Variabilità rete attori locali 7.Esclusione enti territoriali sovra-comunali (ma comuni troppo piccoli non possono gestire il reinserimento)
Rapporto di valutazione del Rmi fatto da 3 istituti di ricerca indipendenti Valutava positivamente il fatto che faceva venir meno misure categoriali e discrezionali di sostegno al reddito Aveva incluso persone in acuto bisogno economico pria escluse Promosso nuovi percorsi di inserimento e recupero sociale (incluso l’abbandono scolastico Aspetti critici: selettività e scarsa attivazione in alcuni contesti meridionali Ministro Maroni, appigliandosi alle critiche, dichiarò fallimentare l’esperienza. Nel 2001 si passa dal Rmi al RUI (reddito di ultima istanza molto più basso e previsto dal Libro bianco del welfare)
Le aspettative tradite dalla legge 328/2000 Riprende proposte commissione Onofri, ma demanda la realizzazione a decreti attuativi (di fatto solo il d l 207/2001 di scioglimento Ipab) E’ l’esito di un lungo percorso di avvicinamento tra erogazioni monetarie e servizi socio-assistenziali Annullata dalla riforma del Titolo V della Costituzione che lascia allo stato i compiti di finanziare il fondo perequativo (alle Regioni tutto il resto) Coordinare la riforma istituzionale Stabilire i LEPS (prestazioni sociali)
La spesa per servizi sociali Il fondo per le politiche sociali, istituito nel 1998, in crescita fino al 2004, poi altalenante, con tendenza al ribasso. Chiuso nel 2010 per rendere certa la (bassa) quota spettante agli enti territoriali. Rispecchia le caratteristiche del welfare italiano dato che finanzia per il 59,3% Inps, 36,5% le regioni, 4,2% altre amministrazioni nel 2009 Nel 2006 la spesa per servizi sociali è solo il 15%
Ambiguità anche dei governi di centro sinistra Sgravi fiscali lasciano fuori chi non ha alcuna fonte di reddito, a meno che si preveda un imposta negativa o bonus per incapienti Sgravi sull’Ici per la prima casa sono iniqui rispetto alla platea degli affittuari
Recenti misure di AS contro la povertà social card introdotta nel 2008 di 40 euro mensili, bonus famiglia per cittadini sopra i 65 anni e con figli minori sotto i 3 anni e valore ISEE sotto i 6000 euro ISE = Indicatore Situazione Economica (oltre al reddito il patrimonio per evitare i “falsi positivi” dovuti all’evasione fiscale ISEE = Indicatore Situazione Economica equivalente (ISE ponderato con numerosità nucleo familiare)
Viene meno la funzione anticiclica delle politiche sociali Per una spesa troppo bassa che scende ulteriormente durante la crisi Perché non si colma la carenza dei servizi sociali Il Piano asili nido è tra le poche cose che riesce ad avviare il II governo Prodi, senza completarlo
Deresponsabilizzazione governo centrale Viene meno l’anomalia italiana che pagasse l’Inps (lavoratori dipendenti) l’integrazione al minimo e l’invalidità civile Ma i LEPS non si definiscono I piani di zona a livello locale funzionano, ma aggravano le differenze territoriali Le riforme con risorse decrescenti sono difficili
conclusioni La sussidiarietà non deve trasformarsi in una forma passiva di delega delle responsabilità: si rischia impoverimento e sovraccarico famiglie Leps potrebbero essere strumenti contro la distorsione particolaristica, creatori di diritti, ma non vengono definiti Manca una visione lungimirante delle politiche sociali come investimento sul benessere della società
calendario 23 marzo faccio lezione alle 15, 30 marzo NO LEZIONE il 31marzo facciamo lezione alle 14 Accorinti e alle 16 Rella il 6 aprile ore 15 I esonero.