I problemi storici della matematica La quadratura del cerchio La duplicazione del cubo La trisezione dell’angolo
p L'estensione di tale segmento dicesi lunghezza della circonferenza. Dividendo questa lunghezza per la lunghezza del diametro della circonferenza di partenza si ottiene un numero molto prossimo a 3,14….. . Ripetendo la stessa esperienza con molti altri cerchi di raggi differenti, si può constatare che dividendo le lunghezze delle varie circonferenze per le lunghezze dei rispettivi diametri si otterranno sempre valori che differiscono pochissimo dal numero 3,14…. . Queste verifiche sperimentali riguardanti i cerchi hanno indotto a concludere che il rapporto tra una qualsiasi circonferenza ed il suo diametro è costante. È impossibile risalire a chi per la prima volta abbia osservato che al variare del raggio del cerchio la circonferenza varia proporzionalmente. Un semplice esperimento che generalmente gli insegnanti delle scuole elementari propongono ai propri alunni per determinare la lunghezza di una circonferenza è il seguente: - Si ritagli un cartone a forma circolare e si avvolga lungo il bordo un filo sottilissimo inestensibile in modo che i suoi estremi combacino. Così facendo si ottiene il modello della circonferenza. - Distendendo tale modello su di una retta si ottiene un segmento che altro non è che la circonferenza rettificata.
IPPOCRATE DI CHIO Siamo ad Atene, all’incirca nel 440 a. C. e il vecchio Ippocrate si confida con il suo allievo Alessandro, figlio di Alcibiade di Afridisia, offrendogli la sua eredità culturale. Ne Gli Elementi di Ippocrate fa per la prima volta la sua comparsa la geometria come modello ipotetico-deduttivo. Per chiarire questo concetto, procediamo con un paragone. La geometria, così come l’hanno intesa Ippocrate e i suoi successori, è come una partita a carte: gli elementi del gioco (le carte) sono gli elementi primitivi, enti privi di ogni definizione, ma il più possibile intuitivi; le regole del gioco sono gli assiomi, proprietà degli elementi primitivi prive di qualsiasi dimostrazione, ma date per buone; le partite sono i teoremi che per essere accettati devono essere dimostrati. Con le stesse carte possiamo giocare a giochi diversi cambiando semplicemente alcune regole; così con gli stessi enti primitivi si possono fare geometrie diverse cambiando gli assiomi. Spesso nelle mie lezioni abbiamo usato gli strumenti fondamentali, la riga e il compasso, per costruire particolari figure geometriche: con essi sappiamo dividere un segmento o un angolo in due parti uguali, sappiamo tracciare rette parallele e perpendicolari e anche costruire poligoni di grande bellezza. A una cosa non abbiamo mai pensato: quadrare una figura dai contorni curvilinei e addirittura quadrare il cerchio. Tu sai che per quadrare intendo “costruire con riga e compasso” un quadrato che abbia l’area uguale a quella della figura in questione. È facile pensare che esista un quadrato equivalente ad una certa figura, ma la difficoltà sta proprio nel costruirlo con riga e compasso. Vedo perplessità nel tuo sguardo: forse ti sembra una pazzia o forse una cosa del tutto inutile. Tieni presente che questo equivarrebbe a realizzare il sogno di un mondo naturale governato dalla ragione e dall’ordine, sostituendo l’asimmetrico con il simmetrico, l’imperfetto con il perfetto, l’irrazionale con il razionale. Il trionfo non solo della ragione umana, ma anche della semplicità dell’universo.
Per arrivare a tanto è necessario partire da tre teoremi preliminari: Una mezzaluna, detta più rigorosamente lunula, è una figura piana delimitata da due archi di circonferenza. Per arrivare a tanto è necessario partire da tre teoremi preliminari: Il teorema di Pitagora Ogni angolo inscritto in una semicirconferenza è retto Le aree di due semicerchi stanno fra loro come i quadrati dei loro diametri. Traccio una semicirconferenza di centro O raggio AO; costruisco il raggio OC perpendicolare al diametro AB e unisco C con A e con B. Fissato il punto medio D di AC traccio la semicirconferenza di centro D e diametro AC. Ecco la lunula: è la parte delimitata dalla semicirconferenza AEC e dal quarto di circonferenza AFC. Questa lunula è quadrabile e per dimostrarlo si mostra che essa è equivalente al triangolo AOC il quale, come tutti i triangoli, ho appena dimostrato che è quadrabile. Posso cominciare la dimostrazione notando che l’angolo è retto perché inscritto in una semicirconferenza e che i due triangoli AOC è BOC sono uguali quindi hanno AC=BC. Per il teorema di Pitagora, dunque, . Ora voglio applicare il terzo teorema ricordato all’inizio ai diametri AB e AC ottenendo: In altre parole l’area del semicerchio AEC è la metà dell’area del semicerchio ACB che a sua volta è l’area del quadrante AFCO. Se dall’area del semicerchio AEC sottraggo l’area della regione AFCD e dall’area del quadrante AFCO sottraggo l’area della stessa regione, le due aree che così si ottengono si manterranno uguali. Dunque l’area della lunula AFCE è uguale a quella triangolo AOC. Sono riuscito così a costruire con riga e compasso un triangolo equivalente alla lunula: ma questo triangolo è, come già detto, quadrabile, dunque, anche la mia lunula è quadrabile.
LA TRASCENDENZA DI p Inizialmente la scoperta della quadratura della lunula fu un vero trionfo: i matematici dell’epoca dedicarono molti sforzi al tentativo di quadrare il cerchio, ma ben presto si accorsero dell’errore commesso. Ippocrate credette d’aver dimostrato la quadrabilità di una generica lunula, la dimostrazione valeva in realtà solo per una particolare lunula: quella costruita come vedi sul lato del triangolo rettangolo isoscele (metà quadrato). Fino al ventesimo secolo si è riusciti a dimostrare la quadrabilità di altro quattro tipi di lunule: due le dimostrò sempre Ippocrate, altre due, ben duemila anni più tardi, nel 1771 il grande Eulero. Solo centocinquant’anni dopo si arrivò a dimostrare che quelle erano le uniche cinque lunule quadrabili grazie a N.G. Tschebnatorew e A.D. Dorodnow. I tentativi di quadrare il cerchio continuarono per generazioni, ma tutte contenevano qualche errore, d’altra parte l’assenza di una soluzione non dimostra l’impossibilità di una costruzione del genere. Nel 1882 il matematico tedesco Ferdinand Lindemann (1852-1939) riuscì a dimostrare che la quadratura del cerchio è impossibile.
Lindemann Trasferì il problema dall’ambito geometrico a quello numerico: all’epoca le conoscenze matematiche erano molto avanzate e in particolare i numeri reali erano stati divisi in algebrici (numeri che possono essere soluzione di qualche equazione di tipo polinomiale a coefficienti interi) e trascendenti (non algebrici). I due sottoinsiemi dell’insieme sono logicamente disgiunti e come sottoinsieme dell’insieme dei numeri algebrici troviamo l’insieme dei numeri costruibili con riga e compasso: partendo ad esempio da un segmento di lunghezza unitaria che rappresenta l’1 possiamo costruire il 2, il 3 e così via; così le lunghezze razionali ½, 2/3, 4/9, ecc. ed anche le lunghezze irrazionali del tipo , ecc. grazie proprio al teorema di Pitagora. E così tante altre che utilizzino la somma, la differenza, il prodotto o il quoziente di quelle ora menzionate. Certamente nessun numero trascendente può essere costruito con riga e compasso (e questo ai tempi di Lindemann era già stato dimostrato). Il matematico tedesco non fece altro che dimostrare che il famoso numero p è un numero trascendente. Ora, se fosse possibile quadrare il cerchio, diciamo di raggio 1 ed area dunque p, basterebbe costruire un quadrato avente area uguale sempre a p e lato : ma ciò è impossibile dato che sia p sia non sono costruibili con riga e compasso essendo numeri trascendenti. Di qui l’evidente impossibilità di quadrare il cerchio.
Eudosso da Cnido (408 a.C.) Senza saperlo Eudosso aveva sfiorato una delle idee più importanti e difficili da afferrare: il concetto di limite. Metodo di esaustione. Se ci si limita a considerare il cerchio come una figura curvilinea, è praticamente impossibile calcolarne l’area e il perimetro. Se si inscrive un quadrato, poi un esagono, poi un ottagono e così via si vedrà che questi poligono approssimano sempre di più il cerchio. Per usare il linguaggio di Eudosso, i poligoni esauriscono il cerchio dall’interno, da qui appunto il suo metodo fu chiamato di esaustione.
Menecmo e Dinostrato Eudosso ebbe come discepoli due eminenti matematici, i due fratelli Menecmo e Dimostrato. A Menecmo viene attribuita la scoperta delle curve coniche e di alcune loro proprietà. Attraverso tali studi risolse il problema di Delo, o della duplicazione del cubo (di cui tratteremo più avanti), naturalmente non con i soli strumenti aurei, riga e compasso). Il problema che tormentò Ippocrate, la quadratura del cerchio fu invece risolto da Dimostrato. Per questo egli utilizzò una particolare curva, la trisettrice di Ippia (350 a.C.), che sembra sia stata la prima curva introdotta nella matematica oltre il cerchio e la retta.
Trisettrice di Ippia Nella figura la trisettrice è la curva passante per i punti A, P, W e Q, luogo dei punti P di intersezione fra il lato AB che trasla verso il basso e il lato DA che ruota verso destra. È impossibile stabilire oggi se Ippia fosse consapevole che la stessa curva era una quadratrice. Ippia visse intorno al V secolo a.C., fu un filosofo della scuola sofista e si occupò anche di matematica; in questo ambito individuò appunto la trisettrice, così chiamata perché permette di dividere un angolo in tre parti uguali, costruita come luogo di punti determinati geometricamente mediante l’intersezione di segmenti.
Archimede Euclide (365 a.C.) nei suoi scritti dimostra che due cerchi stanno fra loro come i quadrati dei rispettivi diametri: è quindi molto vicino alla formula per l’area del cerchio, ma non la scopre, o meglio non ha alcun interesse verso di essa. E’ invece Archimede il primo a proporre un metodo scientifico per la valutazione di p. Egli nella sua opera “Sulla misura del cerchio”, partendo da poligoni regolari di 6, 12, 24, sino a 96 lati inscritti e circoscritti ad una circonferenza ha potuto assegnare a p un valore compreso fra 3+10/71 e 3+10/70 . Archimede fu attratto dai famosi tre problemi della geometria: la duplicazione del cubo, la trisezione dell’angolo e la quadratura del cerchio. La famosa spirale di Archimede risolve due di questi tre problemi e precisamente la trisezione di un angolo e la quadratura del cerchio. Le soluzioni ottenute sono logicamente non con riga e compasso solamente
Spirale di Archimede La spirale di Archimede è ottenuta tracciando una circonferenza in modo continuo ed aumentandone il raggio in modo proporzionale all'angolo percorso. In coordinate polari, l'equazione della spirale di Archimede è ove r è la distanza dal punto tracciante all'origine degli assi, è la distanza angolare percorsa ed a>0 una costante a piacere.
Non si tratta dunque di una curva algebrica.
Perché la quadratura del cerchio appassiona i greci? Il problema della quadratura del cerchio potrà sembrarti quanto meno senza utilità pratica, ma è proprio in questo che vediamo la differenza fra la matematica pre-ellenica e quella greca. In Grecia si discutono questioni filosofiche speculative, si fanno ragionamenti intorno ai principi che regolano l’universo, si cerca il fine ultimo della vita sulla terra. La matematica è filosofia di vita e si occupa di questi problemi, anzi è fonte di nuove teorie e idee: la troviamo anche a giustificazione del bello, del perfetto.
La duplicazione del cubo Lasciamo ora le leggende, più o meno attendibili, e occupiamoci del problema da un punto di vista scientifico. Da un punto di vista geometrico, questo problema potrebbe avere avuto origine con la Scuola Pitagorica e potrebbe essere stato il tentativo di estendere alle figure solide, di cui il cubo è un caso molto particolare, il risultato ottenuto per le figure piane che riguarda la scoperta di una figura piana simile ad una seconda ed uguale (cioè equivalente) ad una terza. I Pitagorici potrebbero anche aver tentato di estendere il Teorema di Pitagora, di cui è caso molto particolare l’altro: il quadrato costruito sulla diagonale di un quadrato ha area doppia di questo quadrato, al caso della ricerca del lato di un cubo di volume doppio di un altro. Questo potrebbe essere un indizio di come la matematica greca si sviluppava, rispettando l’invarianza nel mutamento, ovvero la compatibilità e la possibile compresenza dell’altro e dell’identico. Oltre alla quadratura del cerchio, un altro problema che impegna i matematici greci nasce da una leggenda. Atene nel 430 a.C. è colpita da una gravissima pestilenza che causa la morte di circa un quarto della popolazione. Gli ateniesi si recano all’oracolo di Delo (di qui il nome di Problema di Delo) per chiedere consiglio su come calmare l’ira degli dei. L’oracolo sentenzia che l’unico modo è quello di erigere al dio Apollo un altare di volume doppio rispetto a quello esistente avente forma di cubo. Gli ateniesi, rientrati in patria, si apprestano alla costruzione ma, anzichè di volume doppio, preparano un altare di lato doppio con il risultato che il volume è di otto volte quello esistente e l’ira del dio Apollo non viene placata!
La duplicazione del cubo Un altro problema che assilla i matematici greci dell’epoca, chiede di trisecare un angolo: cioè costruire con riga e compasso, due semirette interne ad un angolo uscenti dal suo vertice che formino con i lati dell’angolo tre lati uguali. È un altro problema privo di soluzione! Ben 2200 anni dopo, nel XIX secolo, l’italiano Ruffini e il norvegese Abel dimostrarono l’impossibilità di risolvere questi problemi.
Il problema della duplicazione del cubo è risolto da Archita di Taranto (o forse da Menecmo di Proconneso, ambedue vissuti attorno al 400 a. C.) per mezzo dell'intersezione di due parabole, e da Diocle (II sec. a. C.) tramite una nuova curva, la cissoide.
Cissoide di Diocle La cissoide di Diocle è una curva algebrica di 3° ordine, simmetrica rispetto all’asse x.
Duplicazione del cubo con la cissoide
Duplicazione del cubo con la cissoide
Breve storia di p Benché Archimede sia stato il primo a sottoporre p ad un preciso esame scientifico, l’importanza di questo numero era già nota da molto tempo. Un’interessante stima di p si ricava da un passo della Bibbia (I Re, 7, 23) in cui si parla di un grande bacino di bronzo a forma circolare che serviva a raccogliere l’acqua piovana: “… fece un bacino di metallo fuso di dieci cubiti da un orlo all’altro, rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e la sua circonferenza di trenta cubiti…” Da queste misure si deduce Un’altra valutazione più precisa risale agli antiche Egizi: nel papiro di Rhind troviamo come valore di p il rapporto Il metodo di Archimede dei poligoni inscritti e circoscritti fu utilizzato fino verso la metà del 1600. Verso il 150 d.C. il grade astronomo Tolomeo calcolò il valore 3,1416, ottenuto considerando un poligono inscritto di 360 lati.
Breve storia di p Teoricamente questo metodo è interessante, perché indica il cambiamento di prospettiva rappresentato dalla considerazione di un problema dal nuovo punto di vista aritmetico, ma in pratica è poco fruibile, data la convergenza molto lenta della serie. Verso la fine del 1600 la matematica riceve un impulso di proporzioni storiche. I problemi vengono affrontati non più solo in modo geometrico, ma rivolgendosi principalmente all’aritmetica e all’algebra. Nel 1670 il grande Isaac Newton affronta il calcolo di p con il suo metodo delle flussioni e con il suo teorema sullo sviluppo del binomio; nel 1674 il suo grande rivale Leibniz scopre che si può calcolare con una discreta approssimazione sommando i termini della serie
Breve storia di p E tutto iniziò più di duemila anni fa con un trattato sull’area del cerchio del grande Archimede di Siracusa. Nel 1761 Lambert dimostrò che p è un numero irrazionale, cioè non può essere scritto né come decimale finito, né periodico, e nel 1822 Lindemann dimostrò che è un numero trascendente. Da allora i matematici rinunciarono a trovare un valore decimale esatto, ma la ricerca di una sempre migliore approssimazione non si fermò qui, ricordiamo uno dei più importanti matematici del XX secolo: Srinivasa Ramanujan (1887-1920) che aprì porte nuove al calcolo di p con l’utilizzo di equazioni modulari (cioè equazioni iterative che permettono di reintrodurre nella formula i risultati del calcolo precedente per avere un’approssimazione ancora migliore) L’avvento dei computer rivoluzionò i metodi di calcolo. Nel 1949 Eniac, il primo computer gestito dall’esercito statunitense, trovò ben 2037 cifre decimali per p e alla fine degli anni ottanta i computer sono arrivati a calcolarne circa mezzo miliardo. E tutto iniziò più di duemila anni fa con un trattato sull’area del cerchio del grande Archimede di Siracusa.