Colonizzazione fenicia v. Lipiński, Itineraria Phoenicia, 2004 Iniziamo con uno sguardo generale ai siti dell’area egea: Cipro: presenza fenicia già in fase arcaica, si intensifica nell’8° sec.a.c. Caratteristica importante è la diffusione della presenza fenicia in vari centri, anche se è difficile capire quale sia la natura di tale presenza (emporio, città stato, semplice gruppo di mercanti). Cartagine di Cipro era una città coloniale retta da un governatore dipendente dal re Hiram di Sidone; la necropoli della città, con centinaia di sepolture a cremazione, sembra attestare un uso tipicamente fenicio e confermare così lo sviluppo dell’influenza fenicia con la creazione di un nuovo insediamento. Qualche anno dopo anche Kitium appare città dipendente da Lulî di Sidone. D’altra parte, le iscrizioni assire attestano la presenza di città stato governate da re locali, i cui nomi sono tuttavia solo in parte fenici.
Cilicia: anche le fonti greche classiche attestano il rapporto di lunga durata tra i Fenici e questa regione. Ciò è confermato anche dall’aumento della ceramica fenicia trovata a Tarso nel periodo che va dall’850 a.c. ca. al periodo post-assiro. Tarso, sulle rive del fiume Cidno, e dotata di un comodo porto, era sicuramente un emporio fenicio, ove veniva commerciato il legname dell’entroterra montuoso e dove giungeva soprattutto il ferro estratto dai locali. I Fenici acquistavano i metalli probabilmente fornendo beni di pregio. Un piccolo archivio di testi su argilla attesta le pratiche legali e commerciali e fa supporre un parallelo uso di documenti in fenicio su pergamena sigillati poi dai sigilli in fenicio.
All’interno della regione le tracce più esplicite sono rappresentate dalle iscrizioni bilingui. Oltre a quelle già considerate di Karatepe e Cineköy, si può considerare l’iscrizione fenicio-luvia di Ivriz, commissionata da re Wrblw (ossia Warpalawa in luvio, o Urballa delle fonti assire) di Tuwana. L’iscrizione di Celibereis Dag inoltre, concernente una questione confinaria, fa supporre che anche questioni legali fossero definite con documenti in fenicio. E’ tuttavia evidente che prove più ampie sono necessarie per la definizione delle modalità di presenza fenicia nell’area anatolica.
Siria: La più antica iscrizione fenicia è quella di Kilamuwa, rinvenuta a Zincirli, a est della catena dell’Amano, nel regno aramaico di Sam’al. A ca. 7 km a nord di Aleppo fu eretta da Bar-Hadad di Arpad una statua del dio fenicio Melqart. E’ databile all’800 a.c. ca. ed è scritta in aramaico, ma è dedicata al dio di Tiro, rappresentato nella stele. L’uso del fenicio nel monumento può peraltro essere connesso ai riferimenti visti sopra, nonché alla menzione di uno scriba fenicio a Guzana, nel regno di Kapara, e all’affermazione di Yariris di Karkemish di comprendere la lingua di Tiro. L’insieme di questi riferimenti potrebbe sottolineare l’importanza del fenicio in questa fase e la forza diffusiva della cultura fenicia.
Rodi: la presenza fenicia è attestata da aree funerarie a Kamiro e Ialysos; uno dei prodotti che i laboratori Fenici esportano, a partire dal 725 a.c., sono le fiaschette in faience
Samo: posta allo sbocco delle vie commerciali dell’Anatolia non ha restituito documenti fenici. Al tempio di Hera tuttavia furono donati molti oggetti (più di 180 in bronzo) provenienti dall’Egitto e l’Oriente e dalla Fenicia. Oggetto di particolare interesse sono dei pettini in avorio che potrebbero giungere dalla regione del Guadalquivir in Andalusia, a conferma del racconto erodoteo del viaggio avventuroso e fortunato di Kolaios da Samo a Tartesso (Storie 4, 152).
In Grecia, gli abitanti dell’Eubea appaiono i più attivi sul mare fin dal 10° sec.a.c. e i contatti da loro stabiliti sono probabilmente all’origine dell’affermazione dello storico Strabone secondo cui Cadmo introdusse un elemento semitico nella sua popolazione. La necropoli di Lefkandi ha restituito finissimi esempi di importazioni fenicie di stile egittizzante, coppe e gioielli di fattura fenicia (sec. 9° e 8°). Anche per le Cicladi la tradizione storiografica greca narra la colonizzazione da parte dei Fenici (Erodoto) o dei Carii (Tucidide). In Attica la presenza di oggetti di importazione fenicia non è sufficiente per ffermare l’esistenza di una colonia fenicia, benché una comunità di fenici sia attestata nell’Atene del 4° sec.a.c., e personaggi famosi come Zenone di Cizio (Cipro), fondatore della scuola stoica nel 301 a.c., figurino tra gli intellettuali attivi nella città.
Creta: documenti fenici attestano la presenza di naviganti, in particolare a Kommos, tra il 9° e l’8° sec.a.c., probabilmente come tappa per viaggi più lunghi. Più a ovest, a Tekke, non lontano dall’acropoli di Cnosso, il cimitero di età proto-geometrica e geometrica (10°-7° sec.a.c.) ha restituito in una delle tombe, coppe fenicie una delle quali con iscrizione, insieme a vasellame di importazione attica. Come ben noto la colonizzazione fenicia si estese lungo le coste del Mediterraneo occidentale, di cui consideriamo di seguito una serie di siti.
Tarshish/Tartesso: è uno dei siti raggiunti dalla penetrazione fenicia la cui localizzazione viene più ampiamente discussa. Il toponimo compare anche nella Bibbia con riferimenti tuttavia piuttosto vaghi, ma che ne mettono in luce la collocazione ai limiti delle imprese di navigazione dei popoli del Levante. Tali limiti possono essere considerati in una prospettiva complessiva che prende in considerazione l’intera area a sud- ovest della costa fenicia e che include altre regioni lontane da cui i Fenici importavano materie prime. I rapporti commerciali dei Fenici potevano irradiarsi in queste lantane regioni, come Kush, antica Nubia, oggi in Sudan, benché singoli reperti non possano consentire di ipotizzare connessioni specifiche. Altro luogo discusso è Ophir che compare nella Bibbia e che è stato variamente cercato dal sito di Ezion Geber, porto giudaico sul Mar Rosso, alle coste africane, fino all’India.
La concezione del continente africano all’epoca poteva giustificare una relazione tra il limite rappresentato dal Mar Rosso e la regione atlantica, ove sembra più verisimile cercare il sito di Tartesso.
Nelle fonti greche Tartesso appare il nome di una regione più che di una città. Erodoto la definisce un emporion ove giunse il navigatore samio riportandone grandi ricchezze. Alcuni tentativi di identificazione si concentrano su Gades/Cadice, che però va esclusa. Eforo infatti menziona sia Tartesso che Gades e descrive la prima come posta a due giorni di navigazione oltre la seconda. Ciò induce a individuare come possibile candidata l’area di Huelva, antica Onoba/Onuba aestuaria. Strabone ritiene che Tartesso occupasse una penisola formata dal doppio estuario del fiume e Stesicoro chiama le sorgenti del fiume che sfocia a Tartesso «sorgenti d’argento». Tutto ciò suggerisce l’identificazione con Huelva e le miniere del Rio Tinto a ca. 80 km a nord della città.
Il Rio Tinto
Piatto bronzeo da necropoli nell’area di Siviglia, in cui significati simbolici o riferimenti mitologici sono probabilmente da associare alle figure di animali e esseri ibridi rappresentati. Ai motivi di chiara matrice orientale e fenicia si affianca (a dx) l’immagine di un’urna cineraria tipica della zona di Tartesso.
Statuetta di Ashtarte dall’area di Siviglia – sec. 8°-7° a.c. Presenta un’acconciatura di tipo egizio, ma la nudità è caratteristica dell’ambito fenicio-siriano; fenicia è l’iscrizione votiva sul piedestallo. Nel luogo sorgeva un santuario fenicio dedicato a Ba’al e Ashtarte, forse meta di naviganti che giungevano da oriente. Guanciale di morso di cavallo con rappresentazione di divinità, forse Ashtarte o Signora degli Animali, sorretta da due uccelli che riprendono la forma di una nave.
Statuetta maschile incedente con corona simbolo del dio egizio Osiris, dio della morte e rinascita. E’ un tipo di statuina molto diffuso nei siti fenici d’occidente, talvolta interpretate come raffigurante il dio fenicio Reshef. Osiris era correlato agli dei Melqart (fenicio) e Eracle; a questi era consacrato un santuario in un’isola nei pressi di Cadice. Anche questa statuina è un oggetto rituale; ne è stata proposta una datazione, anche su base tecnica, tra il 710 e il 630 a.c.
Protome maschile realizzata a stampo in varie parti poi composte insieme. Due piccoli fori sulla sommità indicano che doveva essere sospesa. E’ stato ipotizzato che possa rappresentare Osiride. Simili maschere rinvenute in aree funerarie a Cartagine e Sulcis suggeriscono un uso rituale.
Placca pettorale o frontale in oro. Da una serie di ornamenti trovati accidentalmente in un vaso, denominati Tesoro di Carambolo (in totale 2,392 kg d’oro). Bracciale in oro. I gioielli, realizzati con tecniche che derivano dalla tradizione mediterranea ma sono in parte associate anche all’artigianato atlantico, sono stati interpretati come il corredo di un principe.
Collana d’oro con pendenti. Le ricerche sul sito hanno rivelato la presenza di un santuario sulla costa che prolungò la sua esistenza dal 9° al 6° sec. a.c., quando avvenne l’occultamento del tesoro. Tale santuario è in relazione con la città fenicia di Spal (moderna Siviglia). Il tesoro faceva parte probabilmente del corredo del tempio dedicato alle divinità fenicie Ashtarte e Ba’al.
Vaso di manifattura egizia risalente al sec. 16°a.c., ma rinvenuto in un contesto funerario fenicio dell’8° sec.a.c., insieme a altri oggetti di provenienza egizia come attestato dai nomi dei faraoni in essi incisi. Oggetti egizi sono stati trovati nelle città levantine come Biblo già per l’età del bronzo, indicando l’importanza delle relazioni commerciali tra Levante e Egitto. Tali beni di prestigio forse raggiunsero poi l’occidente con l’espansione fenicia.
Brocche in bronzo dalla necropoli di Huelva. 8°-7° sec.a.c. Presentano caratteristiche tipiche dello stile fenicio riproponendo forme realizzate in ceramica, ma anche caratteristiche proprie del mondo iberico, soprattutto nella manifattura in metallo, o nelle rappresentazioni zoomorfe.