LA CONCEZIONE DELLA VITA E DELLA MORTE

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LA CONCEZIONE DELLA VITA E DELLA MORTE

FABER EST SUAE QUISQUE FORTUNAE I concetti che sembrano fondamentali per gli antichi Romani sono due, il primo : «Faber est suae quisque fortunae» (ciascuno è artefice della propria sorte), mette in luce che i Romani, prima del Cristianesimo, credevano in una vita non comandata dal fato, dal destino, ma in una vita in cui è l’uomo stesso padrone di sé, di quello che è, di quello che gli accade, del proprio futuro. E’ l’uomo con le proprie forze, le proprie capacità a determinare la propria vita.

D’altra parte questa vita non va solo costruita, ma va anche goduta, perché è breve e la morte può essere sempre dietro l’angolo. Godersi la vita non significa però eccedere in alcuni vizi che possono essere legati all’idea di essere artefici del proprio destino. Si può, infatti, avere successo nella vita e dipendere dalle proprie abilità; essere vittoriosi e potenti, o ricchi, ma questo non deve dare spazio alla superbia, per esempio, o alla avarizia o alle cattive abitudini, perché di fronte alla morte comune tutti devono avere il rispetto della vita propria e altrui.

MEMENTO MORI Il secondo concetto : «memento mori» (ricordati che devi morire) , come scriveva Tertuliano , è una frase che veniva fatta sussurrare da uno schiavo all’orecchio del generale vittorioso, che ritornava da una battaglia per ricordargli di non farsi prendere dal delirio di onnipotenza, perché anche lui un giorno sarebbe morto. Riassumendo: «memento mori» vuol dire : godersi la vita con moderazione, senza cadere nelle normali cattive abitudini che sono presenti in ogni uomo come : superbia, avarizia ecc.

Aurea Mediocritas è una locuzione latina trattata dal poeta Orazio . In latino la parola Mediocritas significa «stare in posizione intermedia» esaltando il rifiuto di ogni eccesso e rispettare il giusto mezzo. Perciò «Mediocritas» cioè «tenersi lontani da ogni condizione intellettuale», viene definita dal poeta «Aurea», la quale in senso letterale significa «d’oro», ma viene considerata la definizione con la parola ottimale. Cioè si ispira alla filosofia epicurea, cioè che invita l’uomo a godere dei piaceri della vita senza abusarne (est modus in rebus).

CONCEZIONE DELLA MORTE Tra il primo secolo a.C e il primo secolo d.C, hanno grande influenza l’epicureismo e lo stoicismo. Tutti e due partono dalla stessa premessa: la morte non va temuta perché non è un male. Questa premessa naturalmente incide sul senso della vita. La vita in effetti viene vista come una preparazione alla morte e non è, talvolta, priva di dolore, anzi è ricca di preoccupazioni, angosce e dolori, soprattutto per i più deboli, i meno potenti. Per Lucrezio (epicuerista) gli uomini che hanno paura della morte sono coloro che hanno paura di perdere i beni materiali : il denaro, il potere, sono quindi coloro che vedono nella morte la fine del proprio avere e, sempre secondo Lucrezio, solo la scienza può insegnare a questi uomini quali siano i veri beni da ricercare in vita e il vero significato della morte…

..per gli storici, invece, la morte è un bene perché appartiene all’ordine naturale delle cose e perché la vita è stata dato solo a condizione dalla morte. Per gli storici il senso della vita sta nella qualità della vita, che non deve essere vissuta insegnando soltanto il piacere , il denaro, il lusso, ma esercitando la virtù. Infatti chi vive con virtù non avrà mai il terrore della morte, mentre gli altri si , perché con essa sanno di perdere quello che più gli sta a cuore.

CITTADINANZA ROMANA Per essere cittadini romani dovevano avere molti privilegi o qualcosa che durante la loro vita li avesse resi importanti. Essere un cittadino romano permetteva loro l’entrata nella vita politica, nelle cariche pubbliche. Un cittadino romano aveva «Plenum Ius» o «Opimum Ius» cioè il «diritto pieno».

Un cittadino poteva perdere questa autorità se commetteva un omicidio, oppure se decideva lui stesso di lasciare la cittadinanza romana. Poi vi era la cittadinanza latina, a metà tra quella romana e quella straniera. I latini, gli abitanti di Roma e, in alcune circostanze, anche gli schiavi, potevano esercitare il diritto di voto e contrarre matrimoni legali.

CIVIS ROMANUS SUM Civis Romanus sum, ovvero Sono cittadino romano, è una locuzione latina che indicava l'appartenenza all'Impero Romano e sottintende, in senso lato, tutti i diritti (e i doveri) connessi a tale stato. Paolo di Tarso, appellandosi all'Imperatore, ottenne che il processo, che lo vedeva imputato per le leggi del suo popolo e nella sua terra, venisse sospeso e lui, in catene e sotto scorta, portato Roma, per essere giudicato dall'imperatore dell'epoca, Nerone, sebbene la tradizione storiografica ce lo tramandi come uno tra i più feroci persecutori del culto cristiano.

I soldati venivano addestrati in finti combattimenti con il RUDIS (spada di legno) e con i PRAEPITALI (giavellotti senza punta), con la corsa con le armi, trasporto dei pesi e riparazione degli armamenti. All’inizio i soldati erano solo arruolati all’interno dell’esercito, alla fine essere soldato era considerata una vera e propria professione (che portava ad avere una posizione economica) Per l’arruolamento di un soldato, uno dei requisiti importanti da avere era l’altezza. Avevano un’età che andava da 17 a 23 anni. Per diventare soldato dovevano passare delle prove fisiche nei ranghi. Cittadini che avevano la cittadinanza e diventavano soldati, potevano entrare a far parte della coorte legionaria, mentre gli stranieri potevano entrare nelle truppe ausiliarie.

LA DONNA ROMANA Le donne erano relegate all’unico ruolo possibile di madri, escluse dalla vita politica e sociale della città e sotto il controllo maschile. Devono essere moderate in tutti gli aspetti della vita: nell’uso della parola, nell’abbigliamento e nel comportamento. Nel periodo di maggior splendore della società dell’antica Roma si emancipano e, per alcuni versi, furono rispettate, ottenendo «il riconoscimento formale di una quasi totale parità», pur rimanendo, però, fermo l’ideale della matrona. Tuttavia, nel periodo di crisi (dovuta a fattori economici, politici e culturali), grazie anche all’intervento della religione cristiana, le donne persero tutta la libertà conquistata nei secoli precedenti.

SOMNIUM SCIPIONIS Il Somnium Scipionis non è altro che la conclusione del sesto e ultimo libro del De re publica di Cicerone, un dialogo filosofico composto dal celebre oratore tra il 54 (per alcuni 55) e il 51 a.C. e che ha per tema le forme possibili di governo di uno stato (monarchia, aristocrazia e democrazia). Il Somnium Scipionis, descrivendo il sogno di un viaggio ultraterreno da parte di Scipione l’Emiliano, presenta la figura ideale del princeps, che rispetta e tutela le istituzioni repubblicane di Roma e si impegna per il bene supremo della patria.

L'opera di Platone (il «De Re Publica») si conclude nel decimo libro con il mito di Er, ovvero la narrazione del mondo dell’aldilà da parte di un soldato tornato in vita alcuni giorni dopo la sua morte. Il mito platonico dimostra che ogni azione compiuta durante la nostra esistenza riceve premi e punizioni in relazione al grado di giustizia che ci ha guidato in terra.