Boccaccio: il preumanesimo in prosa

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Boccaccio: il preumanesimo in prosa Lezioni d'Autore

Il periodo napoletano Boccaccio visse a Napoli dal 1327 al 1341, con il padre, rappresentante della famosa e potente banca fiorentina dei Bardi, che lo voleva avviare al suo stesso mestiere. Gli anni napoletani, oltre all’apprendistato tecnico in materia economica e all’apparire della vocazione letteraria, sono per l’autore un’esperienza umana e culturale straordinaria.

Napoli in quei decenni era una delle maggiori metropoli europee; una città portuale culturalmente vivace e un mercato variegatissimo e cosmopolita. Era sede della corte angioina, erede del gusto cortese che aveva caratterizzato i secoli precedenti, soprattutto per quanto riguarda la produzione letteraria (basti pensare alle corti provenzali e a quella siciliana). La prima produzione di Boccaccio, tipica degli anni napoletani, ma che poi influenzerà l’autore anche nei successivi anni, è proprio nei due aspetti: commerciale/borghese e culturale/cortese

Dante Gabriele Rossetti, A vision of Fiammetta, 1878

Il periodo napoletano è caratterizzato da opere che cercano di coniugare la tradizione cortese di origine provenzale, con quella classica, che la cultura del tempo va riscoprendo e valorizzando. Boccaccio, che si è avvicinato alla letteratura in modo autonomo, senza seguire un corso di studi regolari, usa queste opere anche per mostrare la propria erudizione, tanto che talvolta alcuni passaggi risultano prolissi e ‘iperletterari’ per sfoggio di erudizione. Tra queste opere si possono citare il Filostrato e il Filocolo.

Filostrato Quest’opera (‘Vinto dall’amore’, secondo l’etimologia greca del nome) è un poemetto in ottava rima di endecasillabi a rima ABABABCC, poi tipica della produzione cavalleresca. Temi e personaggi sono tratti dai poemi omerici, adattati però a contesti e caratteri medioevali. Narra la storia d’amore tra Troilo, figlio di Priamo, e Criseida, figlia dell’indovino Calcante. La vicenda è in parte autobiografica, relativa alla vita amorosa degli anni napoletani, come suggerisce Boccaccio stesso nel dedicare l’opera alla donna amata. È modellata sui gusti del pubblico cortigiano cui si rivolge.

Filocolo Nel Filocolo (‘Pena d’amore’) Boccaccio racconta, in prosa, le vicende di due giovani innamorati, Florio e Biancifiore, che vengono allontanati e si ritrovano dopo una lunga serie di peripezie. La tematica, poi ripresa in lingua d’oil, è tipica del romanzo greco-alessandrino e si fonda oltre che sull’argomento amoroso che rappresenta il motore di tutta l’azione, anche sull’avventura e sul viaggio. È il soggetto di uno dei più antichi cantari toscani, al quale l’autore vuole dare dignità letteraria.

Il periodo fiorentino Il ritorno a Firenze all’età di quasi trent’anni, e dopo quattordici anni di lontananza, rappresenta per Boccaccio un’esperienza triste e dolorosa. L’ambiente fiorentino, rispetto a quello napoletano, è molto più angusto, meno vivace; la città è più piccola, dilaniata da lotte interne, lontana dalla grandiosità della corte angioina.

L’autore trova un panorama culturale ancora fortemente segnato dalla poesia allegorica di cui la Commedia di Dante rappresentava il punto di massima espressione. Nel desiderio di farsi accettare dal nuovo ambiente, Boccaccio si dedica a opere che rimandino a questa tradizione.

Comedìa delle ninfe fiorentine La Comedìa delle ninfe fiorentine, in prosa con inserti in terzine, è ispirata alla poesia bucolica classica, ma modellata sulla poesia di tipo allegorico-didattico. Il protagonista, Ameto, è un pastore che grazie all’incontro con le ninfe fiorentine (che rappresentano le virtù) s’ingentilisce; molto chiaro, in questo, l’influsso della filosofia dello Stil novo, ma con un importante passo in avanti: la bellezza e la virtù delle ninfe/donne non ha più la finalità di avvicinare l’uomo a Dio, ma è una bellezza fine a sé stessa, che porta verso il godimento edonistico che sarà tipico della cultura umanistica.

Il godimento edonistico nella Comedìa non è legato solo alla contemplazione della bellezza, ma anche al piacere della parola: le ninfe, infatti, raccontano storie che in qualche modo anticipano il gusto del racconto del Decameron. Un altro passo, dunque, verso valori e temi preumanisti con la tendenza a coniugare esperienze letterarie diverse come classicità e poesia allegorica.

Elegia di Madonna Fiammetta Romanzo in prosa, l’Elegia è un’opera di grande originalità e profondamente innovativa. L’autore assume il punto di vista di una signora napoletana abbandonata dal suo amato Panfilo – tornato a Firenze e dimentico di lei – che si trova a visitare i luoghi del loro amore, tormentata dai ricordi e dalla gelosia. Anche in questo caso, i nomi sono simbolici e il titolo contiene un omaggio alla poesia classica greca e latina. La tradizione è presente pure nella scelta della forma espressiva: una lettera indirizzata alle donne innamorate, il cui modello ricorda l’Ovidio delle Heroides.

L’elemento di forte novità consiste proprio nel dare voce alla donna. Già dagli albori della poesia amorosa, infatti, la domina/donna, pur rappresentando apparentemente il nucleo dell’opera letteraria di argomento amoroso, era tuttavia un oggetto d’amore, spesso inconsapevole e comunque muto e lontano. Ora, invece, la donna assume, se pure attraverso la penna maschile, il ruolo di chi prova sentimenti e li descrive.

Diversamente dal gesto di condanna (se pure unita alla pietas) che Francesca da Rimini suscita in Dante, la Fiammetta innamorata ha tutta la comprensione non solo di Boccaccio, ma anche del pubblico e dei lettori tutti, portati dall’autore a vedere l’amore in quella chiave edonistica che più prepotentemente si riaffaccerà nel Decameron e che vedrà tante protagoniste femminili rivendicare il loro diritto all’amore, anche a quello dei sensi. Insomma, Fiammetta è una sorta di modello di quella spavalderia femminile rappresentata dalla Monna Filippa della giornata VI.

FINE Lezioni d'Autore