Invito alla lettura: RAGAZZI DI VITA (1955) UNA VITA VIOLENTA (1959)

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Invito alla lettura: RAGAZZI DI VITA (1955) UNA VITA VIOLENTA (1959)

In una nota premessa alla prima versione di Ragazzi di vita (una sorta di appunto per una quarta di copertina) Pasolini scrive: "Questo romanzo è una biografia di alcuni ragazzi della malavita romana, dall'infanzia alla prima giovinezza. Il Riccetto, che è il protagonista, aveva undici anni all'arrivo delle truppe anglo-americane a Roma, e ne ha diciotto alla fine del libro, in piena guerra di Corea e durante il declino del periodo degasperiano. L'ambiente "vero" (le borgate romane, che fasciano la capitale con i loro lotti, i loro villaggi di tuguri), i personaggi "veri", quasi da documentario sociologico, le situazioni "vere", fino a sembrar tolte dalla cronaca cittadina dei quotidiani romani, potrebbero far pensare a questa biografia del Riccetto e dei suoi coetanei come a un prodotto del gusto neorealistico: mentre non è precisamente così. C'è troppa violenza in questo realismo. E l'autore, instaurando questo genere di racconto, ha avuto piuttosto davanti a sé dei modelli più autentici e assoluti: a parte il romanzo picaresco spagnolo, probabilmente gli sono stati presenti e stimolanti certi personaggi minori dell'Inferno dantesco, certi ambienti da suburra del Decameron, la Milano manzoniana dei tumulti e dei monatti, o infine i miserabili sotto-proletariati del Belli o del Verga...".

Deposizione di Pasolini del 4 luglio 1956 Pier Paolo Pasolini: Io non ho inteso fare un romanzo nel senso classico della parola, ho voluto soltanto scrivere un libro. Il libro è una testimonianza della vita da me vissuta per due anni in un rione a Roma. Ho voluto fare un documentario. La parlata in dialetto romanesco riportata nel romanzo è stata un'esigenza stilistica. Quando antropomorfizzo la cagna ho voluto dire che molte volte i ragazzi purtroppo conducono la vita come animali. Nel titolo Ragazzi di vita ho inteso dire ragazzi di malavita. Nel descrivere i tre ragazzi che fanno il bisogno materiale ho voluto richiamare quel pretesto che ogni ragazzo sorpreso a rubare negli orti mette in ballo, e cioè era andato solo per un bisogno. Nei dialoghi riportati ragiono con la stessa mentalità dei ragazzi che sono i protagonisti del romanzo; anche nei discorsi indiretti, pur essendo io a parlare, cerco di pensare con la mentalità dei ragazzi e riporto in modo indiretto le battute dei ragazzi. Intendevo proprio presentare con perfetto verismo una delle zone più desolate di Roma.

Dichiarazione scritta di Giuseppe Ungaretti ai giudici Ho letto Ragazzi di vita, e stimo sia uno dei migliori libri di prosa narrativa apparsi in questi anni in Italia. Questa mia convinzione l'ho dimostrata sostenendo il romanzo prima per il Premio Strega, poi per il Premio Viareggio, promuovendo da parte di Letture Critiche, società che presiedo, un pubblico dibattito sul romanzo stesso. La discussione, diretta dal prof. Schiaffini, si concluse con la generale ammissione che si trattava di un libro casto. Le parole messe in bocca a quei ragazzi, sono le parole che sono soliti a usare e sarebbe stato, mi pare, offendere la verità, farli parlare come cicisbei. D'altra parte è libero compito del romanziere rappresentare la realtà com'è. Non si può chiedere a uno scrittore che abbia coscienza dei suoi doveri di fare come lo struzzo o peggio di fare l'ipocrita davanti a piaghe sociali tanto più esigenti una denunzia in quanto sono ragazzi e bimbi ad esserne le vittime più gravemente colpite. Pasolini non solo ha sentito con raro impeto dell'animo questo dovere, ma ha anche avuto il merito di sollevare sempre la sua narrazione ad un alto grado di poesia. Pier Paolo Pasolini è lo scrittore più dotato che oggi possediamo in Italia. Ogni sua attività: romanzo, critica, erudizione, poesia, è prova di un impegno estremamente serio ed offre risultati che onorerebbero chiunque. Da AA.VV., Cronaca giudiziaria: persecuzione e morte, Garzanti, Milano.

Con Ragazzi di vita e Una vita violenta - che molti idioti credono frutto di un superficiale documentarismo - io mi sono messo sulla linea di Verga, di Joyce e di Gadda: e questo mi è costato un tremendo sforzo linguistico: altro che immediatezza documentaria! Rifare, mimare il "linguaggio interiore" di una persona è di una difficoltà atroce, aumentata dal fatto che, nel mio caso - come spesso nel caso di Gadda - la mia persona parlava e pensava in dialetto. Bisognava scendere al suo livello linguistico, usando direttamente il dialetto nei discorsi diretti, e usando una difficile contaminazione linguistica nel discorso indiretto: cioè in tutta la parte narrativa, poiché il mondo è sempre "come visto dal personaggio". Le stonature in questa operazione sono sempre a un pelo dalla scrittura: basta eccedere solo un minimo sia verso la lingua che verso il dialetto che il difficile amalgama si rompe, e addio lo stile."

“E’ morto ed io mi sono accorto che la parte migliore della mia vita se n’era andata e che cominciavo a morire con lui. Sono convinto che mi sta aspettando, che gli devo andare appresso. Per questo oramai dico a tutti che sono in viaggio verso il cielo, anzi verso il Paradiso, se esiste, perché uno come Pier Paolo, uno che è stato odiato come lui, solo per aver dato alla gente tanto amore, non può essere andato che lì. Voglio morire per essere il primo ragazzo di vita che va in Paradiso”. Scriveva così Franco Citti nella quarta di copertina della sua autobiografia, Vita di un ragazzo di vita(SugarCo edizioni), edita nel 1992.